Discussione:Montalto Dora

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Non si capisce cosa abbia a che fare il contenuto dell'articolo con il titolo dello stesso, e soprattutto sembra copiato da uno o più libri. L'autore è pregato di dare qualche delucidazione su cosa ha intenzione di fare. grazie.

Snowdog 17:56, Lug 2, 2004 (UTC)

Concordo con Snowdog Gac 15:33, Lug 5, 2004 (UTC)

  • Potrebbe trattarsi di parte di ina tesi di laurea, comunque la decrizione dei reperti è fatta usando un linguaggio estremamente specialistico con precisi riferimenti a reperti numerati che nel testo originale probabilmente comparivano come immagini. Se non vengono fornite ulteriori precisazioni sarebbe meglio considerarlo come una violazione di copyright--Madaki 16:35, Ago 8, 2004 (UTC)

Il Neolitico di Montalto Dora modifica

Il ritrovamento modifica

Nel 1977 un’alluvione (la stessa che mise in luce i piloni del pons maiorìì di Eporedia) costrinse le autorità municipali a svuotare parzialmente il Lago di Montalto, o lago Pistono, riportandolo così al livello "naturale". Il livello infatti che si vede normalmente è dovuto ad un piccolo sbarramento costruito per alimentare una attività molitoria.

Dopo l'abbassamento del livello del bacino, vennero rinvenuti ad opera di Ermanno Vigliani moltissimi frammenti ceramici, strumenti in pietra levigata ed in quarzo, un utensile in osso, un vago di collana ricavato da un fossile, un frammento di selce.

La notizia del ritrovamento fu resa nota ad alcuni studiosi canavesani e fotografie dei più significativi comparvero su pubblicazioni locali.

I reperti vennero consegnati qualche anno dopo alle autorità competenti, ottemperando così agli obblighi di legge. Lo scopritore, che durante il periodo in cui ne fu in possesso li aveva utilizzati per integrare la propria attività didattica, dichiarò di non averli consegnati subito alla Sovrintendenza per evitare che oggetti tanto importanti per un piccolo angolo di mondo, "sparissero, come tante altre cose, nella cantina di qualche museo... ",

La quantità degli oggetti ritrovati è notevole. Molti assolutamente indecifrabili, privi di forma o di ornamento, utilizzabili esclusivamente per elaborazioni statistiche sulle frequenze di colori o spessori. Altri, certamente non appartenenti ad un orizzonte preistorico, come il fondo di un recipiente tornito in pietra ollare, anelli di ferro, una punta sempre in ferro; qualcuno misterioso, come il facsimile in pietra di un coltello, rotto in diversi frammenti; ma i rimanenti (125) costituiscono un documento di estremo interesse sulla vita di una delle più antiche comunità canavesane. La presenza di alcuni vasi dalla forma particolare - a bocca quadrata, o quadrilobati - permette inoltre di collocare con certezza i reperti nel periodo del Neolitico Padano, ovvero tra il 4500 ed il 3000 a.C. (in datazione non calibrata), tra la scoperta dell’agricoltura e quella della metallurgia.

La ceramica costituisce il grosso dei materiali, accompagnata da una consistente industria su pietra levigata, da utensili in quarzite (utilizzata in sostituzione della selce, non presente in Canavese ), da un solo frammento di selce, da uno strumento in osso e da un fossile forato per essere utilizzato come vago di collana o come pendente.

Il luogo, l’ambiente modifica

Elementari misure di prudenza, volte alla tutela del nostro patrimonio archeologico, mi impediscono di specificare il luogo esatto del ritrovamento. Una spiaggetta sulle rive del Lago Pistono, in un ambiente naturale - quello dei laghi morenici - sostanzialmente immutato dal punto di vista morfologico dalla fine dell'ultima glaciazione ai giorni nostri, ma che dal punto di vista paesaggistico - ambientale doveva apparire piuttosto diverso 5 - 6000 anni fa, al periodo cioè cui si ritiene appartengano gli oggetti ritrovati. L'ambiente dei cinque laghi infatti è stato profondamente modificato dall'uomo. I Romani furono probabilmente i primi, con la costruzione del noto acquedotto, ad apportavi modifiche considerevoli. Viadotti, gallerie, e le relative strade di accesso per il trasporto di materiale e per la mano d'opera costituirono certamente quello che oggi definiremmo un bell' "impatto ambientale". In epoca più vicina a noi, a partire dal Rinascimento , per poter ricavare terreno coltivabile, furono costruiti numerosissimi terrazzamenti, con opere talvolta di notevole entità realizzate in pietra a secco. Il popolamento della zona rese necessarie strade e sentieri, molti dei quali selciati con cura. Infine durante il secolo scorso, l'attività estrattiva di torba contribuì, con il conseguente svuotamento di piccoli bacini lacustri, ad ulteriori ed importanti modifiche del territorio. La recente generale decadenza delle pratiche agricole in Canavese ha ricondotto a bosco parti consistenti di terreno anche qui, nel parco dei cinque laghi, rendendo l'attuale paesaggio - anche se di poco - più vicino a quello che circondava il villaggio neolitico di quanto non fosse solo cinquant'anni fa.

La collocazione culturale e la datazione del Neolitico di Montalto Dora modifica

La ceramica ci fornisce i principali elementi di collocazione culturale e di datazione. Il repertorio è ricco di forme e di decorazioni ciascuna delle quali trova precisi e numerosi riscontri in altre località dell'Italia settentrionale e della Liguria. Le forme caratterizzanti sono i vasi quadrilobati o V.B.Q. (FIG), l’olla ovoide (FIG), le anse (FIG) e le prese triangolari od a linguetta (REP, M5, M6). Le decorazioni utili a stabilire un inquadramento culturale sono le impressioni trascinate od a scorrimento, ottenute tramite una stecca lignea impressa e poi trascinata sull’impasto crudo (FIG, tecnica detta dello stab and drag), tracciate sotto il collo dei recipienti in linee parallele; le decorazioni a punzone in doppie file parallele (FIG) sulle pareti; le tacche oblique sull’orlo dei vasi (FIG), in particolare se ricavate esclusivamente all’interno del bordo stesso (REP, M18). I frammenti di vasi quadrilobati ci permettono di attribuire con sicurezza i reperti al Neolitico VBQ padano, ma non bastano da soli a situarli con maggiore precisione nel periodo antico, medio o recente di quella cultura. Secondo la cronologia di Barfield, ripresa e meglio precisata dal Bagolini , tuttora universalmente accettata, si possono infatti distinguere tre periodi del VBQ: 1 - Antico, caratterizzato da stanziamenti vicino a laghi o corsi d’acqua , con decorazioni ottenute da motivi geometrici graffiti, vasi a bocca quadrata ad alto collo, vasi grossolani (olle ovoidi, Barfield, 1971, pag.42) decorati con la tecnica stab and drag. I VBQ vengono ottenuti per pressioni diagonali incrociate su vasi a bocca rotonda; 2 - Medio, caratterizzato da stanziamenti su versante o su alto morfologico, decorazioni excise a motivo triangolare, decorazioni meandro - spiraliche su VBQ a impasto fine, mentre la ceramica grossolana ha le caratteristiche del periodo precedenti. Sono presenti pintadere e idoletti fittili femminili. I VBQ sono ottenuti per schiacciamento su superficie piana di forme rotonde; 3 - Recente, con stanziamenti su colline in posizione dominante o fortificabile, decorazioni a cannuccia ed a punti sotto l’orlo a triangoli, a lisca di pesce; sono presenti cordoni impressi a polpastrello. I VBQ sono ottenuti per “stiramento” dei quattro beccucci.

Inoltre, alcune caratteristiche vengono fatte risalire a persistenze della precedente cultura del Neolitico antico, quella della Ceramica Impressa: impasti grossolani a pareti spesse, poco levigate, di colore grigio e rossiccio; ciotole sferoidali a bocca ristretta; prese triangolari (De Marinis, 1985, pag. 17); fasce orizzontali o verticali, utilizzo del punzone, decorazioni a unghiate (Bagolini, ibidem). Che considerazioni possiamo fare sulla ceramica di Montalto? L’attribuzione “ad un momento finale della fase media della cultura VBQ” (Luzzi, 1996, pag.139) e gli “stringenti confronti con l’Isolino” mi sembrano affermazioni un pò affrettate e categoriche. Infatti, se analizziamo i reperti, vedremo che: 1 - sono presenti decorazioni eseguite con la tecnica stab and drag; tacche oblique all’interno dell’orlo; orli decorati a tacche (15 su 59); prese triangolari (5); prevalenza di colori grigi-rossicci (34 su 59); prevalenza di impasti grossolani e lavorazione rozza (40 su 59); 2 - mancano invece decorazioni excise meandriformi, pintadere o idoletti fittili, caratteristiche appunto della fase media, e presenti in altre località del Canavese . 3 - manca in particolare la ciotola con decorazione incisa a triangoli capovolti, tipica dell’Isolino di Varese, e presente anche a Ghemme (F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) D’altra parte, i pochi frammenti ritrovati non permettono di capire se i vasi quadrilobati siano ad alto collo, e non mi è stato possibile determinare esattamente se si tratta di beccucci ottenuti per pressioni oblique o per stiramento: quello che è certo, è che non sono stati ottenuti per appiattimento, come quelli della fase media, ad esempio di S. Maria di Doblazio o dell’Isolino.

Sembra quindi di poter concludere, sulla base di quanto è stato trovato finora (uno scavo potrebbe mettere in luce altri oggetti, e quindi portare ad altre conclusioni: ma in archeologia questo è sempre vero,e quindi è bene ragionare su quanto si ha) che la collocazione cronologica può essere la fase antica o recente del VBQ padano, ma non la fase media.Se a questo aggiungiamo l’insediamento in prossimità di un lago, tutte le caratteristiche enumerate al punto 1), ritenute universalmente caratterizzanti la fase antica, o addirittura sopravvivenze della Ceramica impressa, l’attribuzione al primo momento del VBQ padano sembra la più plausibile. L’industria su quarzite è meno significativa per una collocazione cronologica: ma l’unica indicazione che possiamo trarre dai pochi reperti a disposizione è il ritocco piatto, non invadente, ben visibile sul grattatoio (REP, MQ1, FIG???), caratteristica riconducibile alla fase antica del VBQ padano, mentre la cultura della Ceramica impressa è accompagnata dal ritocco erto (Bagolini, ibidem). L’industria litica, caratterizzata da forme molto legate alla funzione, non ci dà alcun elemento significativo di collocazione, che non sia quella genericamente neolitica. Ipotizzata quindi per Montalto l’appartenenza alla fase antica del VBQ, con una datazione intorno al 4500 a.C., possiamo chiederci quale sia la sua posizione culturale e cronologca nell’ambito del Neolitico canavesano. I siti neolitici finora noti sono S. Maria di Doblazio, attribuibile con certezza alla fase media (meandriforme, pintadera); S. Giovanni, appartenente alla stessa fase (idoletto femminile fittile); Fiorano e Boira Fusca, non collocabili data la scarsità di reperti, anche se per Boira Fusca è difficile presupporre una datazione diversa da St. Maria. Ma trattandosi di posizioni su alto morfologico o su posizione dominante (Fiorano, S. Giovanni), sembra di poterli ricondurre comunque alla fase media. Sono trascurabili per la datazione altri “segnali” neolitici, come gli antropomorfi di Panier e Navetta, e le numerose asce in pietra ritrovate fuori contesto, ancora più difficilmente attribuibili ad altro che non sia un generico orizzonte Neolitico. Tutto fa quindi supporre, in attesa di prove contrarie, che il villaggio di Montalto Dora sia stato il primo insediamento della cultura VBQ in Canavese. Avendo formulato questa ipotesi, che, teniamo a ribadire, uno scavo stratigrafico con la raccolta di altri elementi potrà benissimo smentire, viene ora la domanda successiva: da dove sono venuti i “neolitizzatori canavesani”? I pochi reperti attribuiti al Neolitico antico rinvenuti nel grottino di Salto di cui prima abbiamo fatto menzione fanno pensare ad una provenienza occidentale, ligure, giunta in Canavese dal Piemonte meridionale, seguendo o la fascia pedemontana o i fiumi. Ciò rafforza la tesi recente secondo la quale la neolitizzazione della pianura padana occidentale non proviene da Est. In particolare per quanto riguarda il Piemonte, le stazioni neolitiche di Alba hanno fornito, sulla base degli studi più recenti (AA.VV.,1995; F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) testimonianze tali da far supporre un’origine “ligure” del Neolitico piemontese, ovvero hanno confermato la presenza di una “componente occidentale” Neolitica in Piemonte. Sulle orme dei primi agricoltori venuti dal mare, che varcarono le Alpi marittime e lungo il corso del Tanaro giunsero ad Alba per stabilire una nuova colonia, arrivarono quasi mille anni dopo i portatori della cultura del Vaso a Bocca Quadrata.. L’importanza e la lunga vitalità (1500 anni) della stazione neolitica albese, testimoniata da numerosi siti ed altrettanto numerosi reperti, viene fatta risalire (F.M. Gambari - M. Venturino Gambari, 1983, pag.100) al commercio della pietra verde , che dai giacimenti del Piemonte veniva trasportata fin nella Scozia. La posizione su una via d’acqua navigabile non può far altro che rafforzare quest’ipotesi. Ma un giacimento importante di pietre verdi è segnalato (Barfield, 1996) sulla Dora Baltea proprio all’imbocco della Valle d’Aosta, corridoio di transito da e per il Nord Europa dai tempi più remoti (vedi Gallay, 1986, pag 91, su di un’ascia in pietra ritrovata sul sentiero del colle del Teodulo). Anche a Montalto Dora il corredo litico è particolarmente ricco, per quantità e tipologia di materiale e non mancano i “semilavorati” (REP, ML3; ML5): e quindi non sembra azzardato ipotizzare che da Alba, su una delle vie delle pietre verdi, un gruppo di neolitizzatori abbia stabilito più a Nord un avamposto vicino ad un giacimento importante e su una importante via di commercio del materiale. Dall’insediamento montaltese possono essersi originate le altre comunità neolitiche canavesane, o per esaurimento della fertilità del suolo , o per pressione demografica, o per entrambe le ragioni. Il fatto che i successivi insediamenti siano, in Canavese come in tutta l’Italia settentrionale, posti su alture difendibili, testimonia una situazione di conflitti diffusi, e quindi di una rarefazione delle risorse. Qualunque ne fossero le ragioni, a qualche secolo di distanza dalla fondazione del villaggio di Montalto, altre numerose comunità di agricoltori/ coltivatori/ cacciatori popolavano il Canavese.

La vita nel villaggio neolitico modifica

Abbiamo utilizzato fin qui, impropriamente, la parola “villaggio”: il realtà gli insediamenti del Neolitico nella zona alpina erano generalmente costituiti da una capanna nella quale viveva un solo nucleo famigliare “allargato ”, circondata da locali accessori. Sovente le capanne erano appoggiate contro una falesia rocciosa, sfruttatta come parete e come regolatore termico, secondo un uso comune nell’arco alpino. Ulteriori ricerche potrebbero mettere in luce, nei dintorni del lago, capanne appunto con queste caratteristiche.

L’economia modifica

La grande quantità di reperti ci permette una ricostruzione abbastanza precisa della vita di quella antica comunità. Sicuramente veniva praticata una rudimentale forma di agricoltura, dopo aver disboscato e fertilizzato il terreno con gli incendi, rivoltando i suoli leggeri con strumenti in legno, dalla punta indurita con il fuoco. Le macine ed i macinelli, tutti consunti dall’uso, testimoniano l’importanza nell’alimentazione dei cereali: ma come in tutte le comunità Neolitiche europee, ed in particolare quelle dell’area alpina, la caccia e la raccolta costituivano ancora una componente fondamentale dell’economia. Fino all’epoca romana infatti, i diagrammi pollinici ci segnalano sì, a partire dal Neolitico, la presenza di pollini di cereali o di specie ruderali, accompagnatrici della presenza umana , ma la diminuzione delle specie arboree è poco marcata, a testimonianza di una sempre consistente presenza della foresta. Il gran numero di pesi da rete ritrovati (29, e si tratta per ora dell’unico ritrovamento del genere in Italia) sono la prova di quanto i primi Montaltesi tenessero in conto la pesca, probabilmente più della caccia, vista l’assenza tra i reperti del villaggio di utensili sicuramente riconducibili a questa attività (punte di freccia, trancianti trasversali ). Il villaggio era autosufficiente: tra lo strumentario litico sono presenti oggetti che servivano a sbozzare le asce (i percussori, REP, ML10; incudini, affilatoi) od a ritoccare i frammenti di quarzite per ricavarne bulini, grattatotoi, raschiatoi. Un ritrovamento molto interessante, finora probabilmente unico, è il punzone in osso (REP, MO1; FIG??) utilizzato per lavorare, appunto a punzone, proprio la ceramica ritrovata nel villaggio: REP, M15; FIG??? : le impronte corrispondono perfettamente. Il degrassante, cioè la sostanza inerte mescolata all’argilla per renderla più resistente al fuoco durante la cottura , era ricavata dalla macinatura di rocce locali, come ci provano gli inclusi di biotite, quarzite e mica - macinatura eseguita utilizzando qualcuna delle macine e dei macinelli trovati, ad esempio ML18 e ML21, che recano appunto abbondanti tracce di mica. Sicuramente queste molteplici attività non venivano eseguite da artigiani a tempo pieno, ma di specialisti a tempo parziale, che prendevano anche parte alle attività di ricerca o produzione del cibo, così come fino a poco tempo fa avveniva ancora sulle nostre montagne. Il poco surplus prodotto dalla comunità veniva dedicato a scambi con comunità vicine, per sopperire ai periodi di carestia, od a commerci a raggio più vasto, che potevano ad esempio provvedere allo scambio della pietra verde (grezza o semilavorata) con altre merci.

Gli ornamenti

In attesa di opportune analisi chimiche, non sappiamo se su qualche macina, anzichè cereali, sia servita a preparare coloranti a base di ocra, uso comune fino dal Paleolitico; certamente gli abitanti del villaggio si adornavano di collane e pendagli, fatti di conchiglie, ma anche di ciottoli forati. A Montalto si è trovato un pendaglio ricavato da una conchiglia fossile, forse proveniente da una delle brecce fossilifere canavesane. (REP, MF1)

I culti

Secondo Fedele (Fedele, 1988, pagg.86 e sgg.) , i neolitici camuni intendevano l’abitazione come una creatura, cha andava fatta “nascere” consacrando o propiziando lo spazio domestico, e che al termine della vita andava “uccisa”, per esempio spezzando le macine abbandonate, o altre pietre precedentemente utilizzate. Segni di un culto di questo tipo potrebbero essere i reperti ML13 ed ML14, un utensile ed una macina spezzati, anche se in assenza di uno scavo stratigrafico non è possibile dire se fossero stati spezzati e sepolti, come accadde al Castello di Breno circa 4000 anni prima di Cristo, quando la capanna fu abbandonata. I segni di frattura rilevati non sono comunque recenti. Altro segno di un culto delle pietre “esotiche” potrebbe essere il reperto ML16, frammento di vulcanite, pietra certo non di provenienza canavesana, che forse accompagnava come un amuleto i neolitici di Montalto, o forse fu scambiato con qualche ascia in pietra verde.




REPERTI DAL LAGO DI MONTALTO: oggetti significativi dal repertorio modifica

CERAMICA

omo.= omometrico; dec. = decimi di millimetro; mil. = millimetrico; diam. = diametro approssimativo dell'orlo se compreso nel frammento, del piede o della parete se isolata. Tutte le misure sono in millimetri.

cod. Ddescrizione impasto degrassante colore int. colore est. diam. spess. misura materiale max min M2 Frammento di parete di vaso ovoidale, con orlo a tacche e due file di "impressioni trascinate" sotto l'orlo medesimo. Superf. non lisciata. Grossolano eterom.max. mil. quarzitemica marrone scuro marrone chiaro 440 8,2 6,2 M3 Frammento di orlo di vaso quadrilobato (VBQ). Pareti ben lisciate. Semifine eterom.max. mil. quarzitemica marrone marrone 10 5,3 M4 4 Frammenti incollati di orlo di vaso quadrilobato(VBQ). Pareti lisciate con degrassante rilevabile al tatto. Semifine om./ mil. quarzite marrone marronerosato chiaro 7,3 5,1 M5 2 Frammenti di parete di vaso a grandi dimensioni con presa triangolare. Lavorazione rozza Grossolano eterom.max 7mm quarzitemica marronescuro marronechiaro 420 11,3 7,1 M6 Frammento di parete di vaso di grandi dimensioni con presa triangolare. Interno lisciato, esterno ruvido Grossolano eterom.max 4mm. quarzite grigio legg. rosato marrone 400 13 9 M13 2 frammenti di parete con orlo decorato a tacche. Lavorazione rozza Grossolano om./mil quarzite camoscio chiaro rossiccio 10 7,4 M15 Frammento di parete con ansa e decorazione a due ordini di impressioni ottenute con punteruolo. Grossolano eterom.max 2mm. quarzitebiotite rossiccio camoscio 8 5,8 M18 4 frammenti di parete di vaso di grandi dimensioni. Orlo decorato a tacche; sotto l’orlo, due file di impressioni (ungueali?). Lavorazione rozza Grossolano eterom.max. 6mm quarzitemica bruno brunorossiccio 8,7 5 M19 Frammento di orlo estroflesso decorato a due ordini di tacche impresse su doppia fila. Lavorazione rozza Grossolano eterom.max 2mm quarzite grigio chiaro grigio chiaro 9,5 4,9 M21 Frammento di parete con "impressione trascinata". Lavorazione rozza Grossolano om./mil. quarzitemica grigio scuro rossiccio 7 5,5 M24 Frammento di orlo di vaso VBQ decorato a tacche poco impresse. Superfici ben lisciate. Semifine omo./dec quarzite rossiccio rossiccio 7,8 5,5 M25 Frammento di orlo estroflesso decorato a tacche profondemente impresse e da una linea di tacche a "impressione trascinata". Lisciatura esterna sommaria, interna accurata. Grossolano eterom.max 7mm quarzitemica bruno cuoio scuro 9 5 M34 Frammento di orlo decorato a tacche, da una linea di tacche impresse sotto il bordo e da "impressioni trascinate". Lisciatura esterna sommaria, interna accurata. Grossolano eterom.max 3mm quarzite bruno camoscio 7,1 5

QUARZITE, SELCE e OSSO

codice Descrizione dimensioni mm. MQ1 Grattatoio in quarzite. Ritocco piatto. Una delle due facce presenta segni di usura 21 * 10 * 6 MQ4 Frammento in quarzite di forma trapezioidale, con segni di stacco su entrambe le facce 34 * 28 * 14 MQ5 Raschiatoio in quarzite di forma semicircolare, ritocco piatto su entrambe le facce. 54 * 30 * 11 MQ7 Frammento di quarzite di forma allungata (bulino?), con segni di stacco su di una faccia. 65 * 28 * 13 MQ8 Raschiatoio in quarzite di forma allungata, con segni di stacco su entrambe le facce. 66 * 27 *10 MQ9 Grattatoio di quarzite, con segni di stacco su entambe le facce. 46 * 38 * 16 MQ10 Frammento di quarzite a forma fogliata, con segni di stacco su entrambe le facce. 54 * 39 * 11 MS1 Frammento di selce grigia, a forma sub triangolare, con segni di stacco su entrambe le facce. 33 * 18 * 9 MO1 Scheggia d'osso 38 * 9 * 3

Altro

MF1 Oggetto dall'apparente aspetto di un fossile, forato su di una estremità da un foro non perfettamente circolare. 26 * 20 * 5foro 5,3



REPERTI LITICI


codice Descrizione Pesogr. dimensioni mm. ML1 Ascia con tallone appuntito, in pietra verde locale (giadeitite). Tagliente perfettamente conservato. 78 * 37 * 17 ML2 Ascia con tallone appuntito, in pietra verde locale(onfacitite). Tagliente scheggiato in tre punti. 89 * 36 * 19 ML3 Ascia con tallone appuntito, in pietra locale di colore giallo - bruno. Forma irregolare, lavorazione rozza, tagliente poco affilato. 103 * 41 * 21 ML4 Ascia con tallone appuntito, in gneiss. Forma regolare, tagliente poco affilato e scheggiato. 128 * 48 * 23 ML5 Ascia con tallone appuntito, in eclogite. Forma regolare, lavorazione rozza, tagliente scheggiato in diversi punti. 140 * 53 * 21 ML6 Ascia con tallone piatto, in scisto locale. Forma regolare, tagliente consunto e scheggiato. 83 * 53 * 27 ML9 Utensile di forma allungata rotto in tre parti. Ricorda un coltello con manico ad un solo taglio. La punta è spezzata. 135 * 24 * 18 ML10 Percussore in pietra scura, di forma appiattito - rettangolare, con segni di usura. 99 * 39 * 18 ML13 Frammento di oggetto di forma oblunga in pietra scistosa. Spaccatura trasversale netta non recente, sezione circolare. 73 * 51 * 42 ML14 Macina rotta i due parti. Molto appiattita, reca tracce di usura su una delle due facce. 160 * 73 * 22 ML15 Pestello in pietra verde locale (giadeitite). La pietra presenta leggere scalfitture in senso longitudinale, apparentemente naturali. 130 * 32 + 15 ML16 Frammento di pietra esotica (vulcanite) piatto di froma rettangolare. Su di un fianco si presenta con una frattura molto netta. 90 * 38 * 11 ML17 Oggetto ricavato da un sasso appiattito, con due tacche sui fianchi (come per favorirne la legatura) 72 * 51 * 15

Ed inoltre altri 28 oggetti come ML17, tutti ricavati da sassi piatti locali (gneiss, serpentino) con due tacche sui fianchi.

Codice Descrizione Pesogr. dimensioni mm. ML18 Macina in pietra scistosa con abbondanti tracce di mica. 2150 260 * 100 *41 ML19 Macinello in pietra scistosa, forma ovoidale 700 91 * 73 * 79 ML20 Pestello in giadeitite. La base porta tracce di usura da percussione (dedotte dal colore biancastro causato da minuti grani di quarzite residuo dello sfaldamento) 1550 160 * 74 * 76 ML21 Oggetto di forma oblunga, leggermente appiattito, in pietra scistosa con tracce abbondanti di mica 350 155 * 48 * 24 ML22 Piccola macina in pietra verde, fortemente appiattita, con segni di usura su entrambi i lati 126 * 62 * 18 ML24 Blocco di pietra scura (incudine?) con una parte lavorata in modo da ottenere una superficie perfettamente piana. Su tale superficie sono persenti alcune striature da sfregamento 2350 230 * 80 * 70sup. lisciata:60 * 100

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE


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ALTRE CURIOSITA'

IO E IL MIO PAESE, MONTALTO DORA (TORINO - ITALIA)

1 Descrizione geografica e toponomastica

2 Preistoria

3 La conquista romana

4 Il Medio Evo

5 Il castello



1 Descrizione geografica e toponomastica

Montalto è il primo paese che si incontra dirigendosi da Ivrea ad Aosta e può sembrare strano che si chiami così. Infatti, nonostante il suo nome, il paese è situato in una zona completamente pianeggiante e, per arrivarci da Ivrea, si percorre un tratto di strada in discesa.

Montalto deriva certamente dal nome che i romani diedero al luogo fortificato che probabilmente già esisteva prima del loro arrivo, sulla sommità della collina dove ora c'è il castello. Dopo aver occupato militarmente quell'importante presidio i conquistatori mantennero la funzione che aveva avuto in precedenza e lo chiamarono "Praesidium Montis Altis". Così avvenne anche per altri luoghi fortificati: "Praesidium Montis Obstructi" ora Montestrutto, frazione di Settimo Vittone, e "Praesidium Montis Grandis" ora Mongrando, oltre la Serra, in provincia di Biella.

Al nome Montalto si aggiunse poi, per distinguerlo da altri paesi omonimi, il distintivo "Dora" nel 1885 - 1890, dopo l'inaugurazione della ferrovia Ivrea - Aosta.



2 Preistoria

E' documentato da ritrovamenti archeologici che già centinaia di migliaia di anni fa, nel Paleolitico Inferiore, l'uomo abitava le coste della Liguria di Ponente, ricche di grotte naturali. Questi cacciatori-raccoglitori risalirono nel corso dei millenni dal mare verso l'interno e, in periodi in cui il clima era favorevole, si insediarono anche nelle prealpi piemontesi.

In Canavese la più antica presenza umana documentata da reperti archeologici, ritrovati in una grotta chiamata "Boira Fusca", vicino a Cuorgnè nella valle dell'Orco, risale a 12.000 anni a.C. (Paleolitico Superiore). Sempre nella Boira Fusca sono state trovate punte di freccia, ceramica e resti di ossa che risalgono, secondo gli esperti, ad un periodo che va da 10.000 a 5.500 anni a.C.. Anche in altri luoghi del Canavese sono stati ritrovati dei reperti archeologici che attestano la presenza dell'uomo:

- resti di sepoltura e parti di collane datate 2.500 anni a.C. sempre nei pressi di Cuorgnè. - un'ascia di bronzo trovata tra Bienca e Chiaverano datata 1.500 a.C.. - Nel Lago di Viverone sono stati contati i resti di 5.250 pali che sostenevano le palafitte di un villaggio conficcati nel terreno in un periodo che va dal 1.400 al 1.100 a.C.. - A Piverone sono stati trovati forni per fondere il metallo e due forme di fusione per spade che risalgono almeno a 800 anni prima di Cristo.

Anche a Montalto sono stati trovati dei manufatti preistorici. Il più importante ritrovamento è quello più recente e risale a pochi anni fa quando, l'abbassamento artificiale del livello delle acque del lago Pistono, ha permesso il recupero di un deposito archeologico consistente in 4 asce di pietra verde levigata, resti di vasi "a bocca quadrata" e 5 pesi per rete da pesca. Il tipo di vaso ha consentito di stabilire la datazione al 5° millennio a.C.. Queste bellissime asce di pietra verde ed i pesi per le reti da pesca, li ho visti nel museo archeologico di Torino, nel mese di ottobre 1996, durante la mostra dal titolo "La pietra verde", organizzata dalla Soprintendenza Archeologica del Piemonte. Altri ritrovamenti preistorici a Montalto sono: - 3 "armille" di bronzo di epoca gallica, trovate vicino al castello nel 1898. Questi bracciali di diverse dimensioni e decorati con figure geometriche sono state datati circa 500 anni a.C.. - Circa nel 1870, durante l'estrazione della torba nel "lago Coniglio", dove ora ci sono le cosiddette "terre che ballano", è stata ritrovata una piroga, una spada e un'ascia di bronzo datate circa 800 anni a.C..



3 La conquista romana

I più antichi abitatori del Canavese di cui si hanno notizie documentate sono i Salassi, i quali occupavano anche tutta l'odierna Valle d'Aosta. L'origine di questo popolo può essere fatta risalire alle invasioni dei Celti (chiamati Galli dai Romani) che iniziarono nel V secolo a.C.. In quel periodo probabilmente la tribù gallica dei Salassi, si scontrò con il popolo dei Liguri che a quel tempo occupavano tutto l'odierno Piemonte meridionale ed estendevano la loro influenza sulla pianura a nord del Po, costringendoli a ritirarsi definitivamente a sud del grande fiume. Successivamente altre tribù galliche quali quelle dei Boi, dei Lingoni e dei Senoni valicarono le Alpi, per il passo del Gran San Bernardo. Attraversarono la Valle d'Aosta e si spinsero molto a sud, fin nelle odierne regioni dell'Emilia e delle Marche, dove si stabilirono. I Salassi vengono nominati per la prima volta dagli storici latini in occasione della discesa di Annibale, anche se essi non si allearono, come avevano fatto altre tribù galliche, con il condottiero Cartaginese per combattere contro Roma. Pertanto si può dire che i Salassi vivevano liberi nelle loro terre dedicandosi alla pastorizia, all'allevamento, allo sfruttamento delle miniere di rame, ferro, argento e all'estrazione dell'oro mescolato nella sabbia della Dora, dell'Orco e di altri torrenti. Plinio e Strabone, storici rispettivamente dei I e II sec. d.C. e Cassio Dione, storico del III sec. d.C. raccontano delle continue guerre tra i Salassi e le altre tribù galliche degli Ittimuli, padroni delle ricchisime miniere d'oro della Bessa, ed i Libui dell'odierna pianura vercellese. Queste contese fornirono sicuramente il pretesto ai Romani per intervenire. Ma sicuramente i Romani avevano altri motivi ben più importanti per intervenire e conquistare queste terre e cioè, memori dell'aiuto dato ad Annibale da molte tribù, assicurarsi il controllo dei valichi alpini del Piccolo e Gran San Bernardo e il dominio su tutta la pianura.

Nel 143 a.C. dunque Roma organizzà la prima spedizione contro i Salassi comandata dal console Appio Claudio Pulcro. Lo scontro andò malissimo per i Romani, che avendo sottovalutato il nemico, dovettero ritirarsi lasciando sul terreno 5.000 soldati. Questa terribile sconfitta suscitò a Roma grande impressione ed il timore che altre tribù ormai soggiogate potessero ribellarsi. Venne inviata una seconda spedizione meglio preparata e con forze più consistenti. Questa volta furono i Salassi ad essere sconfitti ed a lasciare sul campo di battaglia 5.000 morti. I Salassi inoltre dovettero cedere ai Romani le loro miniere, il controllo dei passi montani e della strada che portava ad essi. Per controllare meglio la strada per le Gallie nel 100 a.C. i Romani fondarono Eporedia e in seguito organizzarono, lungo tutta la strada delle Gallie, una serie di posti di controllo e, dove possibile, postazioni militari permanenti di vedetta e per eventuali interventi. Il Castrum Montis Altis poteva svolgere sicuramente questa funzione, per la sua particolare posizione strategica che permette di controllare un'area che va dalla pianura a nord di Torino ai confini con la Valle d'Aosta.

A Montalto l'unica, ma importante, traccia della conquista romana è l'acquedotto, costruito per rifornire la città di Eporedia, che si snoda tra le colline per almeno 5 dei suoi 7,5 Km di lunghezza. La portata dell'acqueotto era di circa 280 litri al secondo, pari a circa 24.000 metri cubi al giorno. Considerando anche che l'effettiva quantità di acqua che scorreva nel condotto fosse mediamente solo il 50% della portata, si può calcolare che in un anno ad Ivrea fosse rifornita di 4.365.000 metri cubi d'acqua. Considerando che il consumo odierno è di circa 4.000.000 di metri cubi all'anno, consumo relativo a 25.000 abitanti ed alle industrie e attività che si svolgono, si può dire che l'acquedotto riforniva acqua potabile in quantità più che sufficiente sia per soddisfare i bisogni degli abitanti che per alimentare le terme, far girare le macine dei mulini ed irrigare orti e giardini di tutta la città. L'acquedotto romano aveva origine nel "Maresco" di Bienca, frazione di Chiaverano, ai confini con Montalto. Il Maresco ora è una zona adibita soprattutto a prati per la produzione di foraggio che tende a diventare paludosa quando in primavera od in autunno vi sono piogge intense. Gli studiosi ritengono che il Maresco fosse un bacino naturale di raccolta delle acque alimentato però anche da una derivazione artificiale del torrente Viona che ha le sorgenti sul Mombarone. Dal Maresco iniziava dunque il condotto che si snodava tra le colline di Montalto, dove ancora oggi se ne trovano molte tracce, e arrivava nel territorio di Ivrea. Uno studio fu effettuato da G.Borghezio e G.Pinoli e nella relazione, pubblicata nel 1919, si legge che uscendò dalla città di Ivrea le prime tracce dell'acquedotto si trovano "dietro le case alte del Valentino in regione S.Antonio di proprietà dei Salesiani; nella cinta del giardino furono largamente utilizzati i massi di conglomerato che si trovano sotto, oltrepassato il primo tratto della strada vicinale di S.Pietro, nella proprietà Modina, e più sopra nelle ville Olivetti, Jona e Vitalevi". Probabilmente da S.Antonio l'acquedotto si diramava in più parti; una scendeva a Porta Aosta, anticamente chiamata Porta Fontana, un'altra, se la città doveva essere fornita d'acqua "per caduta" arrivava nella parte più alta dove ora ci sono la cattedrale ed il castello (dove secondo lo storico Benvenuti c'era fino al XVI secolo una fontana), per mezzo di un viadotto di cui però fino ad ora non si sono trovate tracce. Secondo lo storico Benvenuti una diramazione dell'acquedotto forniva l'acqua per il funzionamento di un mulino ai piedi del Monte Brogliero in quanto in un atto notarile del 1471 due proprietari si impegnano a mantenere in buono stato i condotti dell'acqua.

Naturalmente nel territorio di Montalto passava anche la strada romana delle Gallie. Del percorso antico non è stata trovata alcuna traccia. Con certezza la strada delle Gallie proveniva da Vercelli ed entrava ad Ivrea lungo l'attuale corso massimo d'Azeglio, seguiva la direzione delle attuali via Palestro, via IV Martiri, via S.Giovanni Bosco fino alla chiesetta di S.Antonio, nei pressi della quale nell'anno 1005 era stato edificato un Ospizio per dare ospitaltà ai pellegrini poveri che percorrevano quella importante strada. Dalla chiesetta poi, la strada delle Gallie continuava parallelamente alla strada attuale ma più spostata ad ovest di alcuni metri (di questo tratto sono state trovate tracce), e poi scendeva verso Montalto. Nel territorio di Montalto si può supporre che corresse molto più ad est, ai piedi delle colline, perchè in posizione leggermente più sopraelevata sarebbe stata al sicuro dalle inondazioni della Dora. Inoltre due toponimi coincidono e rafforzano tale supposizione. Il primo è località "la gablera" cioè la gabella, dove chi passa si deve fermare ad un controllo e pagare una tassa. Questa località a confine tra Montalto ed Ivrea si trova ai piedi delle colline, ad est dell'attuale strada statale. Il secondo è località "la munè". In francese "monnaie", che si pronuncia "monnè" significa moneta; e "ad monetam" in latino può significare appunto luogo in cui si deve pagare un pedaggio. Questa località si trova ai piedi delle colline a poca distanza dall'attuale sede del Municipio di Montalto; inoltre dalla piazza IV novembre, o piazza del Municipio, parte una strada che porta alle case più vecchie del paese e, costeggiando sempre le colline, a Borgofranco, anche qui nella parte più antica del paese. Continuando ancora verso la valle d'Aosta, sempre parallelamente alla attuale statale 26 ed ai piedi delle colline si attraversa San Germano nella zona dei "balmetti" e si giunge a Montestrutto, ovvero "Castrum Montis Obstructis", accampamento fortificato costruito dai Romani per arginare le scorrerie dei Salassi. Negli ultimi anni del secolo scorso e una seconda volta nel 1915 in regione Balme di Montalto, a est della statale per Aosta e a poche centinaia di metri dalla regione detta Gablera furono trovate due tombe medievali le cui pareti erano però costruite con materiale romano. Gli studiosi ritengono che in questa località situata lungo la via che conduceva ad Augusta Praetoria, esistesse una necropoli romana.



4 Il Medio Evo

Le vicende di Montalto seguirono naturalmente quelle della vicina Eporedia e quindi, terminata la dominazione romana, si susseguirono, nei primi secoli del Medio Evo, le dominazioni degli Eruli, degli Ostrogoti, dei Longobardi, dei Franchi, dei Marchesi di Ivrea e di Arduino d'Ivrea, re d'Italia nell'anno 1002. Il documento più antico in cui viene citata la "Valle Montaldi" è del 1041; in due atti di vendita del 1163 e 1183 vengono citati i feudatari Filippo e Guido Foglia di "Monte Alto". La storia di Montalto è legata alla storia del castello e a quella della Chiesa di Ivrea di cui era feudo. Fino all'inizio del XIV secolo vi furono continue lotte tra la crescente potenza del Comune di Ivrea, la Chiesa di Ivrea, il Comune di Vercelli, i Marchesi del Monferrato ed i Conti di Savoia. Dal 1200 al 1300 circa, i vescovi Oberto di San Sebastiano, Giovanni di Barone e Federico di Front, furono le personalità che si distinsero maggiormente per la loro forza nel conservare il patrimonio della Chiesa, alleandosi con il Comune di Ivrea contro gli attacchi del Comune di Vercelli. Nel 1202 si fa la prima menzione scritta dell'esistenza del castello di Montalto in un atto notarile e la bolla papale di Onorio III del 1223 conferma che il feudo di Montalto era di proprietà della Chiesa di Ivrea. Nei documenti si riscontra che non vi fu un'unica dinastia a dominare su Montalto ma un susseguirsi di famiglie varie di vassalli, tra le quali: i Suzo di Settimo, i Foglia, i Recagno, gli Schiena, i De Pertusio, i Console, i Pineto, gli Oro di Valperga, i discendenti di Corrado di Settimo, di Florio di Gatinayra e di Ardrico di Montalto. Nel 1318 i vescovo Gonzaga cedette il castello a Ruggero Talliandi e Ubertino de Stria i quali, poco dopo, lo vendettero al conte Amedeo V di Savoia per la somma di 1000 libbre imperiali. Dal 1320 il castello divenne una dei maggiori centri di azioni operative tese al rafforzamento dei Savoia nel Canavese. Per questo motivo negli anni 1338-1341 fu rinforzato con una torre più grande e più forte e con un maggior numero di armati. Quanto il castello fosse importante anche militarmente Š dimostrato dal fatto che un tentativo di farlo cadere nelle mani dei Signori di Milano, finì con l'impiccagione dei colpevoli del tradimento, avvenuta nel 1344 ed eseguita con l'intervento di altri 30 uomini armati inviati appositamente dal castello di Bard. Gli ultimi 30 anni del XIV secolo furono caratterizzati dalle guerre tra il Marchese di Monferrato ed i Conti di Savoia, nel 1403 il Marchese abbandonò Ivrea ed i Conti di Savoia diventarono i signori indiscussi di Ivrea e di tutta la Valle di Montalto. Nel 1404 Amedeo VIII di Savoia per la somma di 3500 fiorini nomina feudatari di Montalto i fratelli Giovanni, Andrea e Antonio de Jordanis, famiglia originaria di Settimo Vittone. A questi nuovi Signori viene anche concesso il potere giudiziario ed il diritto di erigere forche e patiboli. Ibleto e Bonifacio di Challant risultano tra i firmatari dell'atto di investitura avvenuto a Chambery. I nuovi Signori dovettero risolvere una questione con il notaio Antonio di Riparolio dei Conti di San Martino, il quale vantava diritti su prati, boschi vigne e terreni incolti siti nel feudo di Montalto nelle località "Monte Modricii, Lago Negro, La Sala, Ad Vulnum, Crestonetto, Ai Quartieri, In Balmis. Risolte queste questioni i De Jordanis si occuparono di dotare di una forte cinta muraria il castello e di costruirne nuove parti. La costruzione di tali opere, cioè il castello come ci appare oggi, avvenne quindi intorno al 1410-1415. C'è certezza di questa data perchè durante una causa del 1475 tra il vescovo di Ivrea Giovanni di Parella ed i signori De Jordanis vennero ascoltati come testimoni, molti anziani di Montalto e altri paesi vicini. Tra questi vi furono: Giovanni Crota, Giovanni Canali, Martino de Ognio, tutti di Chiaverano; Giacomo de Cagnis di Lessolo; Pietro De Raynerio, Martino de Aymonino, Francesco De Nigro, tutti di Montalto; Giacomo Brolio e Domenico Ferrando di Borgofranco. Tutti questi anziani, avendo prestato servizio di guardia nel castello, o conoscendo bene i luoghi ed i fatti, dichiararono che per loro conoscenza diretta erano certi che i lavori di ampliamento e fortificazione erano stati fatti eseguire dai legittimi proprietari, Signori De Jordanis, e che prima di tali lavori, esistevano solamente la torre quadrata chiamata "Chiaverana", la chiesetta ed il campanile. Nel 1505, per problemi di successione, il castello fu occupato da uomini armati inviati dai Signori di Vallesa e di Introd, che pretendevano parte di quei possedimenti, ed infatti le propriet… furono divise tra le varie famiglie pretendenti. Comincia così la decadenza del Castello di Montalto, diviso e conteso tra molte famiglie. Parte del castello e delle sue pertinenze fu acquistata nel 1530 dal conte Renato di Challant, nel 1560 una parte fu acquistata da Bernardo Gnerro di Montalto, nel 1565 i signori Gamacchio Michele di Bard e Carlo Vuillet di St.Pierre ne acquistarono altre parti. Nel 1568 l'ultimo discendente dei Signori De Jordanis, Francesco, possedeva ancora "un quarto del castello di Montalto, cioè una sala bassa, grande e rovinata, camere presso la sala, metà di una cantina; un quarto di tutti i tributi, laghi, acque, boschi, monti, pedaggi e gabelle ed inoltre un quarto "di altri beni, case e casolari siti in Montalto in varie località, tra le quali: La Torre, il Vernetto, Lago Negro, Lago Prinprisa, il Pescaur, Alla Costa, ai Quartieri". Nel 1662 Francesco Bayletti diventa proprietario dei beni dei De Jordanis pagando la somma di lire 600. Nell'atto notarile si parla ancora di ingressi e cortili rovinati, della torre quadrata, della sala grande rovinata. Nel 1691, una sentenza della Camera dei Conti del Piemonte, stabilisce che il castello di Montalto, ormai in rovina, e tutte le pertinenze del castello, diventino propriet… del re, Vittorio Amedeo II. Nel 1712 il re Vittorio Amedeo II dà l'investitura del feudo e del castello di Montalto al barone Filiberto Antonio di Vallesa sotto forma di dono "con avere, negletta la propria salute, sostenuto l'impeto de' cavalli che, abbandonati dal cochiere, conduccevano a briglia sciolta la carrozza in cui trovavansi gl'istessi prencipi, che siagli, coll'aiuto del cielo, riuscito di sottrargli dall'evidente pericolo che correvano e rapportarne il tanto lodevole intento della loro salvezza, a costo d'una irrimediabile e sè notoria indisposizione in cui è caduto della sua persona". Nel 1823 morì l'ultimo discendente maschio dei Vallesa. Il castello e tutti i beni della famiglia passarono al nipote Alessandro Roero di Guarene. Nel 1885 proprietario del castello e della villa signorile costruita ai suoi piedi divenne il conte Severino dei Baroni di Casana. Nel 1940 la villa ed il bellissimo parco, soggiorno estivo dei Casana, già esistente nel 1700 e fatta ampliare e abbellire nel 1818 dal conte Alessandro Vallesa, venne venduta al Convento delle suore Benedettine di San Michele di Ivrea. Il castello veniva venduto nel 1946 a vari proprietari, tra i quali i Signori Renacco Battista e Aimonino Giovanni di Montalto. Attualmente il castello è proprietà degli eredi del conte Umberto Allioni di Brondello, morto per un incidente aereo il 30 marzo 1973.

Da documenti conservati in biblioteche ed archivi (sono soprattutto atti notarili od elenchi di proprietà) oltre alle date ed ai nomi, si possono ritrovare piccoli fatti che aiutano a capire come si viveva un tempo. Oltre a quanto sopra esposto, per descrivere la storia di Montalto e del suo castello, è perciò interessante riportare alcune altre notizie:

Il 24 agosto 1193 i notai Ambrogio, Ansiso e Rufino, predispongono un atto in cui Amedeo e Guido Foglia di Montalto e Corrado di Settimo, per ordine di Guido, vescovo di Ivrea, giurano di tutelare le persone ed i beni del Comune di Vercelli e dell'Episcopato di Ivrea, di proteggere i viandanti che attraversano le loro terre e soprattutto il passaggio delle mole (macine).

Il 29 luglio 1213 Pietro di Montalto dichiara di essere cittadino di Ivrea. Promette ai consoli del Comune eporediese di sottoporsi agli obblighi ai quali sono tenuti i cittadini e di acquistare una casa in Ivrea entro tre mesi, casa da destinare a propria abitazione.

Il 3 dicembre 1236 il podestà Arduzzone di San Martino minaccia dell'ammenda di 100 soldi, qualora non si presentasse entro 3 giorni, Giliet Bastardo, figlio del Signor Bonifacio di Montealto, avendo colpito con il coltello Perrono del Mercato, procurandogli una ferita.

Il 30 dicembre 1236 nel comune di Settimo, il notaio Guglielmo predispone un atto nel quale viene stabilito ciò che i Signori della valle di Montalto devono fare e dare al Vescovo di Ivrea quando accompagnerà a Roma l'imperatore di Germania per l'incoronazione. Le spese sono così ripartite: - i Signori di Vallesa daranno un asino con la sella per l'uomo che accompagner… il Vescovo (le spese per l'accompagnatore sono a carico del prelato); - Torre Daniele 20 soldi; - Sant'Eusebio di Montalto 20 soldi; - San Lorenzo di Settimo 40 soldi; - San Pietro dei Castagneti 10 soldi.

Il 18 dicembre 1249 Corrado di San Sebastiano, Vescovo di Ivrea, d… l'investitura a Guglielmo Drous di Valperga delle terre e delle possessioni che sono feudo della Chiesa, con eccezione della zona fuori delle mura del castello, per una distanza pari a quanto può essere lanciata una freccia dalle mura e tutto intorno, da un balestriere, perchè quella parte era considerata piena proprietà dello stesso Guglielmo.

Nel 1337, in seguito a minacce dei Monferrini, furono dati ai castellani di Montalto Giovanni di Caluso e Andrea de Cognino 55 fiorini d'oro di Firenze affinchŠ si costruissero nuove difese per il castello.

Il 14 gennaio 1341, Aymone conte di Savoia invia al castellano di Bard il seguente messaggio: "Vi ordiniamo, di nostra piena volont…, che immediatamente scegliate e mandiate presso il nostro castello di Montalto, 6 buoni clienti armati di ferro e bene muniti di balestre ed arnesi opportuni e tre gayte (guardie); ai quali clienti e gayte pagherete gli stipendi necessari per un anno intero al prezzo migliore che potrete ottenere e vi ordiniamo di mettere detti stipendi nel vostro primo conto".

Da inventari depositati presso gli archivi di Stato risulta che nel 1419 nel castello di Montalto erano presenti 2 bombarde, 1 rubbo (circa 300 Kg.) di polvere da sparo, stoppini per far esplodere la polvere e numerose pietre arrotondate utilizzate come proiettili.

Dai registri parrocchiali delle nascite e delle morti più antichi e che risalgono al 1621, risulta che le famiglie più vecchie, oltre ai Gnerro ed ai Gamacchio gi… presenti nel 1560 e 1565, sono i Gianotti, Pesando, Berton Giachetti, Chiaverotti, Gallo, Quagliotti, Perotti, Renacco, Guglielmi, Giacasso, Borra, Aimonino e Burbatti.



5 Il castello

Il fortissimo castello di Montalto, che svolse la sua funzione di palazzo e fortezza inaccessibile, specialmente sotto i Signori De Jordanis dal 1400 al 1500, è ancora oggi uno dei più imponenti di tutto il Canavese. Si accede al castello dal lato nord attraverso un portone inserito in un'antidifesa, cioè un muro posto a protezione del piede delle mura del castello vero e proprio, che è ancora distante parecchie decine di metri. Entrati in questa specie di cortile, ci si trova chiusi da tutti i lati e, per poter entrare nel cortile interno della fortezza, bisogna percorrere un viottolo in leggera salita stretto tra le mura del castello ed un altro muro esterno. Eventuali assalitori, per poter raggiungere il portone d'accesso vero e proprio, posto sul lato est, dovevano superare tre compartimenti stagni divisi da tre robuste porte. Questo percorso obbligava gli assalitori ad esporre il fianco destro, non riparato dallo scudo, al tiro dei difensori, disposti sulla sommità delle mura e della torre quadrata.

Il quadrilatero irregolare del castello è costituito da muri di pietrame alti circa 14 metri che hanno uno spessore di m. 1,45 alla base e m. 1,10, il perimetro del quadrilatero è di circa 175 metri. Il camminamento di ronda, protetto da merli a coda di rondine, prosegue all'interno delle tre torri pensili, della grande torre rotonda che scende fino a terra e del mastio, attraverso due porticine di entrata e di uscita che all'occorrenza potevano essere sbarrate.

Entrando nel castello a destra c'è un'antica chiesetta con un affresco molto rovinato che raffigura una Madonna con il Bambino. A sinistra il casotto del corpo di guardia, nel cortile una cisterna per raccogliere l'acqua. Sul lato sud al piano terreno vi sono dei cameroni che probabilmente servivano da magazzino e al primo piano altri cameroni per i soldati.

Sul lato nord spicca il mastio; è alto circa 20 metri e misura m. 8 per m. 9,20 di lato. I piani interni, come quelli della grande torre rotonda, erano tutti di legno e si accedeva ad essi con scale a pioli che, in caso di necessità potevano essere sollevate al piano superiore.

Nella parte ovest del castello ci sono gli appartamenti del signore. Le quattro camere a piano terreno sono a differente livello e sono raccordate tra di loro con dei gradini, la più grande misura 127 mq.; una quinta camera è quasi sotterranea al mastio e probabilmente serviva da prigione. Una scalinata esterna porta al piano superiore del mastio ed alla sala baronale. Questa è la camera principale del castello, dove il signore intratteneva gli ospiti importanti. E' un salone rettangolare con i lati che misurano metri 10 e 16 e alto più di 5 metri. Sulla parete nord del salone vi è un enorme camino che misura circa tre metri e una bellissima finestra bifora con colonnina e stipiti di pietra. Il pavimento era in semplici mattonelle di cotto ed il soffitto in enormi travi di legno sorretti da mensole di pietra.

by Lurens 13:49, Mag 18, 2005

Sito dell'età del Ferro a Monte Appareglio modifica

Premessa modifica

Nel 1912, in Inghilterra, venne ritrovato nel Sussex parte di un cranio fossile di essere umano, dichiarato in seguito da eminenti paleontologi come il fossile piu' antico dell' Europa. A meta' del '900 il cranio di Piltdown, come veniva chiamato dagli studiosi dal nome del luogo del ritrovamento, si rivelo' una bufala ideata pare da Martin Alistair Campbell Hinton che frequentava in quegli anni i dipartimenti di Geologia e Zoologia del British Museum come volontario, con l' obiettivo di gettare discredito, per mere questioni di carriera, sui colleghi che lo trovarono o forse per dare al Regno Unito la paternita' dell' anello mancante tra ominidi e homo sapiens. Nel nostro piccolo, possiamo raccontare che il sito della collina di Pavone e' stato scoperto grazie al fatto che un vecchio appassionato del Gac insisteva nel dire che una serie di reperti, in maggioranza grossi stacchi di selce, erano stati ritrovati sul Monte Appareglio. Dopo averli attentamente analizzati, i dubbi sulla loro provenienza rimanevano fortissimi in special modo per i nuclei di selce, molto grossolani ed assomiglianti piu' a quelli dei turisti che tornano dalle vacanze sul Gargano che a scarti di un atelier preistorico. Questo non impediva comunque di eseguire una perlustrazione della collina che oltretutto come ambiente era sicuramente promettente essendo inserita ai margini dell' anfiteatro morenico che aveva restituito in ambienti simili vari reperti di superficie (Monte Cordola, Bio', Montalto, Chiaverano). Si conoscevano poi da tempo tracce preistoriche come le varie serie di coppelle sparse lungo i sentieri che portano alla sommita' ed il cosiddetto sedile della madonna (marmitta dei giganti)1. Il luogo indicato come quello del ritrovamento era la parte sommitale della collina nei dintorni di un invaso artificiale per la raccolta dell' acqua piovana costruito piu' di un secolo fa. Si decise percio' di fare un sondaggio di superficie per chiarire questo interrogativo nella speranza di aprire un nuovo capitolo nella preistoria canavesana. Giungendo sul tratto finale del sentiero, ad un centinaio di metri dalla meta si comincio' a notare alcuni frustoli ceramici dilavati dalle piogge, inornati ma sicuramente preistorici ed in effetti dopo una breve esplorazione delle pareti del laghetto l' antropizzazione preistorica venne confermata dal ritrovamento di una piccola parete con cordone plastico ad impressioni digitali confrontabile con il sito di Belmonte, conosciuto ormai da anni come appartenente all' orizzonte Bronzo finale-Prima eta' del Ferro ( XII - IX sec. a. C ). (Cima a cura di, 1984) Al termine del sondaggio esplorativo si poteva concludere quasi con sicurezza che i reperti analizzati in precedenza non c'entravano nulla con il monte Appareglio, in compenso il sito era piu' che promettente e pronto per ricerche approfondite. Questo succedeva nei primi anni novanta e alcuni anni dopo essendo stati raccolti da tre studenti un certo numero di reperti preistorici di superficie, nel cumulo di terra rimasto in loco da circa un secolo cioe' dalla realizzazione del laghetto artificiale, si decise che i tempi erano maturi per una vera e propria campagna di scavo. Nel 1999, grazie al permesso concesso dalla Soprintendenza di Torino e' stata condotta una campagna di scavi sul terreno in giacitura secondaria con i crismi di uno scavo stratigrafico, sia per avere un campo scuola per i neofiti e anche per non perdere ulteriori dati con una semplice setacciatura, dovuto al fatto che il materiale eventualmente recuperato non era ormai da tempo in giacitura stratigrafica. Il lavoro del gruppo e' stato premiato da ritrovamenti molto interessanti che potranno dare nuova luce sull' epoca a cavallo del II e I millennio a. C. e probabilmente anche sulla genesi dell' abitato di Ivrea, quando le prime ipotesi saranno suffragate dai risultati dei sondaggi stratigrafici delle future campagne di scavo. I reperti finora venuti alla luce dal "setacciamento" del cumulo di terreno riportato, sono riconducibili ad un orizzonte protogolasecchiano2 Bronzo finale - Primo ferro che ci riporta ad influssi sia padani che d'oltralpe e che si evolve fino alla piena età del Ferro, in epoca storica negli ultimi secoli avanti Cristo.


1) Le coppelle sono degli incavi emisferici centimetrici ricavati in modo artificiale dall’ uomo su basi rocciose normalmente piane o poco ripide tipo affioramenti o massi erratici. Le marmitte dei giganti sono coppelle naturali di misura molto superiore, in certi casi raggiungono o superano abbondantemente il metro di diametro. 2) Per protogolasecchiano si intende un periodo preistorico del Bronzo Finale prima età del Ferro (XII – IX sec. A. C.) caratterizzato dai primi influssi della cultura di Golasecca sviluppatasi nella zona dei laghi fra Piemonte e Lombardia dall’VIII secolo a. C.

Lo scavo ed i materiali

Lo scavo ha coinvolto alcuni settori dello sterro del laghetto artificiale situato a pochi metri dallo stesso. La sommità della collina è stata suddivisa in vari quadrati di un metro per lato denominati con le coordinate cartesiane di ascissa e ordinata, per cui il cumulo di terra si trova automaticamente suddiviso in quadrati che indicheranno nel prosieguo della descrizione i siti meritevoli di nota. I settori che comprendono il terreno asportato nei sondaggi finora effettuati sono L23,L24,L25, O23,O24 e O25. In L25 e in O25 il livello basale che ha cominciato ad evidenziare la presenza di lastroidi in connessione ipotizzabile come la parte iniziale di un paleosuolo, riporta un’altezza allo “0” di partenza di 1metro e 30 centimetri. La misurazione con sistemi simili al teodolite si azzera su una quota fissa posta una ventina di centimetri al di sopra della sommità del terreno di riporto, per cui da questa quota si ricavano per differenza tutte quelle inerenti ai quadrati ed ai reperti ivi ritrovati. La stratigrafia ovviamente non evidenzia particolari differenze sulle pareti dei vari settori perchè lo scavo non viene eseguito su terreno sedimentato in modo naturale ma su un cumulo artificialmente deposto. A parte eventuali concentrazioni di litici decimetrici o di reperti non in connessione, difficilmente interpretabili per effetto dello sconvolgimento avvenuto durante lo spostamento del materiale asportato dall’ invaso, le pareti si presentano senza particolari differenze di colore o di compattezza eccetto il disturbo delle radici degli alberi cresciuti dopo la deposizione del materiale d’ asporto. La ceramica ritrovata, ovviamente in stratigrafia quasi ribaltata va dal XII al II secolo a. C.; naturalmente le tracce di ceramica romana sono molto labili e si riducono a un frammento di ceramica verniciata ed uno di terra sigillata. La ceramica del Bronzo finale è discretamente abbondante ed ha collegamenti con i siti coevi del Canavese ( es.: Belmonte ), quella dell’ Età del Ferro è sicuramente la più numerosa e variegata nei confronti ( es.: Valle d’ Aosta, Lombardia ). Oltre ai ritrovamenti fittili, estremamente interessanti sono anche quelli litici e alcune tracce di ornamenti rappresentati da vaghi di collana e tracce di metalli. Le decorazioni della ceramica del Bronzo Finale sono comprese nella sintassi tipica di tale cultura e vanno dai cordoni lisci o ad impressioni digitali applicati sulla spalla dei vasi, alle serie di tacche di varia fattura sulle pareti e sui bordi fino a quelle più rare tipo la decorazione a pettine presente anche a Belmonte. Per l’ età del Ferro la sintassi decorativa comprende la falsa cordicella, le solcature orizzontali a fasce continue od alternate e le stampiglie3 (a S e ad occhio di gatto) tipiche della cultura di Golasecca. Rimane solo da determinare con un’ analisi più approfondita se sono d’ importazione, se imitazioni locali oppure se il sito può essere inserito a pieno titolo nell’ areale golasecchiano.4 I vaghi di collana sono in opale con copertura di todorokite,5 e in pasta vitrea. Tra i reperti di natura ornamentale è presente un bellissimo pezzetto di armilla in talcoscisto e un frammento di fibula in pasta vitrea colorata con azzurrite. La litica è rappresentata da stacchi di quarzite e da ciotoli di quarzite e di diaspro sicuramente di natura esotica rispetto al sito, ma da studiare in modo più approfondito per darne un’ interpretazione che abbia solide basi.



3) Per stampiglia si intende una decorazione fatta per impressione con un utensile probabilmente metallico sulla ceramica ancora plastica. Le figure sono normalmente delle file di S, delle svastiche, delle spirali, varie sequenze di punti, dei cerchi concentrici o dei quadrati concentrici. 4)L’areale della cultura di Golasecca coeva a quella centroitalica villanoviana comprende a grandi linee parte delle province di Milano e Novara e quelle lombarde di Varese e Como. 5)In mineralogia la todorokite è un rivestimento di ossido di manganese e di ferro che si deposita col tempo su una base litica nella fattispecie, l’opale.




Conclusioni modifica

Partendo dal presupposto che il Canavese e' una zona con una densita' abitativa notevole che va a scapito dell' integrita' degli insediamenti antichi e ha una conformazione a "cul de sac" non particolarmente consona agli spostamenti umani, e' comunque un territorio archeologicamente poco esplorato, per cui si puo' essere fiduciosi sul fatto che abbia ancora grosse potenzialita' in quanto a siti inesplorati e Pavone ne e' una prova. Fino ad un decennio fa era sconosciuto ed ora possiamo formulare alcune ipotesi suggestive sulla protostoria dell' eporediese. Come abbiamo visto nei precedenti paragrafi, l'analisi dei materiali piu' significativi ha evidenziato influssi culturali lombardi ( Golasecca, Ca' Morta ), valdostani ( Pontey, Montsaillou ), occidentali e transalpini ( Belmonte, S. Maria e la fossa del Rodano ), ma anche influssi villanoviani6 dell' Etruria (ceramica buccheroide). Queste peculiarita' di Monte Appareglio si spera vengano confermate da sondaggi stratigrafici, anzi corroborate da altri reperti che essendo recuperati in paleosuoli7 non disturbati dovrebbero restituire una serie di dati inconfutabili. Al momento attuale le ipotesi piu' plausibili sono quelle di contatti con le reti commerciali che seguivano quelle idriche del Po e della Dora Baltea sicuramente navigabile con i mezzi dell' epoca almeno fino a Pavone; questi contatti si intersecavano con il substrato locale che si stava celtizzando grazie ai contatti con il mondo transalpino. Riallacciandoci alle ipotesi esposte nel 1988 nel convegno "Gli Etruschi a nord del Po" (vedi Gambari) “ Il ruolo del commercio etrusco nello sviluppo delle culture piemontesi della prima età del ferro”, parte della ceramica classifficabile come buccheroide8 potrebbe appartenere a ceramica d' importazione. Le vie di commercio che collegavano l' Italia centrale agli abitati golasecchiani sul Ticino in special modo Sesto Calende può aver influenzato in qualche modo anche la zona del Canavese orientale appunto con la navigazione degli affluenti del Po per risalire verso nord, come dimostrano vecchi e nuovi ritrovamenti, dall’ area picena, felsinea e ligure, quest’ultima legata all’ emporio etrusco di Genova e la necropoli di Morano Po. La via dei commerci verso la Svizzera e la Francia può essere giustificata dalla ricchezza di minerale aureo nei fiumi e sulle appendici canavesane come dimostra la derivazione, secondo analisi approfondite, della maggior parte dell’ oro usato nelle oreficerie etrusche. Come appunto notava il Gambari nell’ articolo citato, Tito Livio nelle sue “Storie” scrive che i Romani accusavano gli Etruschi di aver attirato i Galli (Celti)9 verso la Pianura Padana; molto probabilmente oltre alla propaganda antietrusca le fonti liviane si allacciavano alle conseguenze dell’ intenso traffico commerciale esistente tra l’area etrusca e l’oltralpe celtico.

6)Per villanoviano si intende la cultura dell’ Età del Ferro anteriore alla civiltà etrusca. 7)Per paleosuolo si intende un piano di calpestio, di qualunque epoca preistorica che dopo l’ antropizzazione antica non sia stato disturbato se non in maniera molto superficiale da attività moderne. 8)La ceramica buccheroide è quella di colore nerastro, lucida, che si avvicina per queste caratteristiche al bucchero etrusco. 9)I Celti, o i Galli di epoca storica, sono l’ etnia che unificò la cultura dell’ Europa continentale e della Gran Bretagna durante l’ età del Ferro con le culture di Hallstatt (VIII – V sec a. C.) e La Téne (V – I sec. A. C.) fino a giungere in epoca romana nella penisola ellenica. (Famose le statue di epoca ellenistica del Galata suicida, del Galata ferito, del Galata Capitolino ed il bassorilievo con il Galata morente che rappresenta un mercenario Gallo colpito a morte in una battaglia). Hallstatt, sito che ha dato il nome alla cultura omonima si trova nei pressi di Salisburgo in Austria mentre La Téne si trova in Svizzera nei pressi di Yverdon le Bains sul lago di Neuchàtel.

Bibliografia:

AA.VV. “ Gli etruschi a nord del Po “ Mantova 1987

AA.VV. Istit. di Preistoria e Protostoria di Firenze Courmayeur 1996

AA.VV. Istit. di Preistoria e Protostoria di Firenze Alba 1997

Cima M. (a cura) Belmonte alle radici della Storia Ed. Corsac Cuorgnè 1986

Ferrero I. Le Alpi Graie e Pennine nel loro versante padano in età preromana Università degli Studi di Torino Tesi di laurea Facoltà di lettere e Filosofia 1987

In riva al fiume Eridano, una necropoli del Bronzo finale a Morano sul Po. Catalogo della mostra omonima Edizioni dell’ Orso Alessandria 1999

Le Scienze N. 374 Ottobre 1999 Milano 1999

Le Scienze N. 376 Dicembre 1999 Milano 1999

Peroni R. et ali Studi sulla cronologia della civiltà di Este e Golasecca Firenze 1975

Quaderni della Soprintendenza del Piemonte N. 5, 6, 7, 15.

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