Discussione:Terrorismo nero

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LO STRAGISMO NERO IN ITALIA

Sommario A partire dalla fine degli anni ’60 fino agli anni ’80 l’Italia è stata colpita da innumerevoli attentati con fine stragistico. Qui di seguito sono approfondite quattro vicende che hanno segnato profondamente gli anni del terrorismo di matrice politica in Italia. Tutte queste stragi sono da attribuirsi al terrorismo nero tuttavia nessuno degli iter processuali di queste quattro vicende ha portato alla verità o all’identificazione dei colpevoli ma soprattutto dei mandanti. Le vicende analizzate sono: la strage di Piazza Fontana, del Treno Italicus, di Piazza della Loggia e della Stazione di Bologna. In molti casi il segreto di Stato nega tuttora ai familiari delle vittime la giustizia che essi chiedono.

Introduzione Le commissioni d’inchiesta parlamentare si sono occupate a lungo e con molta cura del fenomeno stragistico, con particolare attenzione ai depistaggi messi in atto dagli apparati dello Stato. Depistaggi, cioè azioni di sviamento delle indagini giudiziarie, tesi non solo a coprire i veri responsabili degli attentati, ma molto spesso ad indirizzare le indagini su piste destinate a fallire tanto clamorosamente da inficiare e rendere vana l’inchiesta stessa. Un’azione scientifica, quella del depistaggio, messa in atto dai servizi segreti – soprattutto militari (il SID prima, il SISMI poi) – che è presente in tutte le stragi, da piazza Fontana a Brescia, dall’Italicus fino al massacro alla stazione di Bologna. Questa considerazione sarà incontestabile almeno fino a quando non verrà pienamente svelata dai suoi stessi protagonisti la vera dinamica delle formazioni politiche sorte, a partire dal dopoguerra, nel solco del neofascismo, ma che acquistano una valenza e una loro rappresentatività soltanto nel corso degli anni Sessanta e Settanta. Si tratta di formazioni oggi scomparse – in primo luogo il movimento politico Ordine Nuovo ed Avanguardia Nazionale – che però conservano a tutt’oggi nel loro DNA non poche zone buie impenetrabili ed alcune zone grigie indecifrabili, la cui ricostruzione storico-politica è stata finora affidata solo alle requisitorie dei pubblici ministeri e alle sentenze della magistratura. I servizi segreti, autori di ormai provati depistaggi, hanno una storia molto travagliata. Essi, nell’Italia repubblicana, nascono ufficialmente il 1 settembre 1949, sulle ceneri - ma mantenendo in pieno uomini e strutture - del vecchio SIM, il servizio d’informazione militare, nato durante il regime fascista: il suo nome è SIFAR (Servizio Informazioni Forze Armate).Già nella costituzione del SIFAR c’è qualcosa di anomalo: nessun dibattito parlamentare, ma solo una circolare interna, firmata dall’allora ministro della Difesa Randolfo Pacciardi, repubblicano. Dalla nascita della Repubblica, l’Italia ha atteso più di tre anni, quindi, per dar vita all’organismo che dovrebbe tutelare la sicurezza della nazione, schierata con il Patto Atlantico, durante la Guerra Fredda. Il primo direttore del SIFAR è il generale di brigata Giovanni Carlo Del Re che opera sotto l’esplicita supervisione dall’emissario della CIA in Italia, Carmel Offie. In carica per tre anni, Del Re viene sostituito nel 1951 dal gen. Umberto Broccoli, l’uomo che - almeno sulla carta - darà l’avvio a Gladio, sostituito, neppure un anno e mezzo dopo, dal gen. Ettore Musco. Anche Musco, che nel 1947 aveva formato l’AIL (Armata Italiana per la Libertà) - una formazione diretta da militari, sostenuta economicamente e militarmente dai servizi segreti americani, incaricata di vigilare su un’eventuale insurrezione comunista – fu uomo di stretta osservanza CIA e proprio sotto il controllo americano portò a termine l’acquisto dei terreni di Capo Marrargiu, in Sardegna, dove sarebbe sorta la base di Gladio. È evidente che i servizi segreti fin dalla loro nascita furono sotto il diretto controllo degli Stati Uniti e mantennero una sostanziale indipendenza per non dire avversità nei confronti delle istituzioni repubblicane democratiche. Anche oggi, dopo innumerevoli tentativi di riforma, alcuni riusciti altri andati a vuoto, i servizi segreti, formati da Sismi (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare) e Sisde (Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Democratica), sono coinvolti in azioni antidemocratiche in collaborazione con gli americani a dispetto del governo e del parlamento. Un esempio lampante è il recente caso Abù Omar, in cui i servizi segreti italiani consentirono alla Cia di sequestrare l’imam perché sospettato di terrorismo. Oltre ai servizi segreti, altre organizzazioni ebbero un ruolo fondamentale nei depistaggi e nelle oscure vicende del fenomeno stragistico. La più potente e segreta di queste organizzazioni fu la P2. L’esistenza di una loggia massonica coperta, denominata "Propaganda 2", emerge nel marzo del 1981 quando, indagando sul caso Sindona, i magistrati di Milano, Turone e Colombo, sequestrano molti documenti nella villa e negli uffici aretini di Licio Gelli, grande maestro della massoneria, un personaggio dal passato quanto mai ambiguo.Tra quei documenti una lista di 953 nomi, per lo più di esponenti politici, alti ufficiali, personaggi del mondo economico e uomini dei servizi segreti, tutti raccolti in una loggia segreta, potente strumento di intervento nella vita del Paese. Licio Gelli ed alcuni suoi consulenti avevano anche stilato un "piano di Rinascita Democratica" che, attraverso il controllo dei mass media, mirava all’inibizione dei sindacati, al controllo della magistratura e al rafforzamento in senso autoritario del potere istituzionale. La Loggia P2 si delinea così come un potere parallelo forse addirittura in grado di promuovere e gestire la strategia della tensione, mirata a minare la struttura democratica del Paese. Il dubbio che a tutt’oggi rimane è che in realtà quella che è stata scoperta sia soltanto una parte, la meno influente, della loggia e che il potere cospirativo ed occulto della massoneria riservata sia continuato negli anni.

Le quattro stragi che hanno segnato la storia Ora passiamo ad elencare e raccontare quattro delle più buie vicende della storia italiana.

1. Piazza Fontana Venerdì 12 dicembre 1963. Un rumore sordo, cupo, che sembra venire dal ventre della terra, viene udito in buona parte del centro di Milano. E, contemporaneamente, tremano le pareti, sussultano i pavimenti. Qualcuno pensa al terremoto. Invece è un’esplosione; un’esplosione che sta portando morte e distruzione all’interno della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in Piazza Fontana. Ad uccidere, a ferire e a distruggere non è l’incidentale esplosione di una caldaia ma un ordigno accuratamente programmato. L’esplosione si sviluppa dal centro della “rotonda”; così viene chiamato, da clienti e dipendenti, il salone circolare, sormontato da una cupola, al quale si accede dal largo corridoio d’ingresso. Al centro della “rotonda”, luogo d’affari e contrattazioni, c’è un largo tavolo ottagonale e ad ognuno degli otto lati corrisponde una sedia. Ad una di queste sedie, pochi minuti prima delle 16.30, si siede l’attentatore di Piazza Fontana. È probabile che, per non dare nell’occhio, abbia fatto scivolare sotto il tavolo la borsa di pelle nera che contiene la bomba. Il bilancio è pesantissimo: quattordici morti (diventati sedici il 2 gennaio per il decesso di due gravi feriti) e quarantacinque feriti. Ai primi soccorritori l’interno della banca offriva uno spettacolo raccapricciante: sul pavimento marmoreo del salone, nel cui centro la deflagrazione aveva provocato uno squarcio, giacevano tra calcinacci e resti di suppellettili molti corpi senza vita orribilmente mutilati, mentre altri urlavano dal dolore delle ferite. Nella storia del Paese la bomba di Piazza Fontana sarebbe stata altra cosa se fosse stata solo la bomba di Piazza Fontana; ma chi ha preparato l’attentato ha disposto altrimenti: altre quattro bombe erano state posizionate per colpire in quel tragico 12 dicembre. Gli altri ordigni hanno esiti diversi: • una bomba piazzata alla Banca Commerciale di Milano viene trovata inesplosa e fatta brillare dagli artificieri; • una seconda esplode in un passaggio sotterraneo alla Banca Nazionale del Lavoro a Roma senza provocare morti; • una terza esplode davanti al Vittoriano, il monumento al Milite Ignoto a Roma, sotto un pennone provocando il lancio violento di frammenti di pietra, che danneggiano qualche autovettura; • un ultimo ordigno esplode di fronte all’Ara Coeli sempre in Piazza Venezia a Roma. Tutte le cinque esplosioni avvengono in un orario prestabilito, dalle 16.30 alle 17.30, e sono da ricondursi ad un’unica mente in quanto avvengono con le medesime modalità e con l’utilizzo di borse in pelle nera di fabbricazione tedesca. La triste vicenda di Piazza Fontana non si chiuse certo con lo straziante funerale nel Duomo di Milano, con quelle quattordici bare allineate salutate da migliaia di milanesi, ma diede vita ad un infinito iter processuale che ancora oggi non è riuscito a stabilire e condannare i colpevoli di quella strage ingiustificata. Cominciò così una delle più lunghe e controverse indagini giudiziarie italiane. La prima pista seguita dagli inquirenti è la cosiddetta “Pista anarchica”, i sospettati sarebbero appunto degli anarchici del circolo milanese Ponte della Ghisolfa. Vengono subito fermati assieme ad altri anarchici Pietro Valpreda e Giuseppe Pinelli, principali indiziati per aver già compiuto atti sovversivi. È proprio ora che avviene il primo fatto oscuro di queste indagini: Pinelli interrogato per ore nella Questura vola dal balcone e muore. Su questo fatto ci sono molte teorie: si è suicidato, sotto stress è scivolato dalla ringhiera, è stato buttato giù; chi si trovava con lui ha raccontato di come si sia slanciato d’improvviso, ma la telefonata (prova ne sono le registrazioni telefoniche) per chiamare l’ambulanza avvenne due minuti prima che si urlasse che Pinelli “si era buttato”. Quello che è certo è che Pinelli divenne, il giorno dopo, il colpevole dei morti di Piazza Fontana: il questore Guida dichiarò che “Pinelli era fortemente indiziato… è stato un gesto disperato una specie di autoaccusa”; così s’infangò il nome di un defunto che, poi, fu riconosciuto innocente in quanto non vi erano prove a suo carico. Intanto Valpreda, altro anarchico, amico di Pinelli, veniva continuamente interrogato e trasferito ma non emergeva, contro di lui, nessuna prova se non un “costruito” riconoscimento di un taxista, che avrebbe affermato di aver portato, il 12 dicembre, Valpreda in piazza Fontana. Questo riconoscimento fu giudicato fasullo da un giudice poiché precedentemente era stata mostrata al taxista una foto di Valpreda e durante il riconoscimento era stato messo accanto a poliziotti puliti e sbarbati, che non avevano subito né le ore di prigionia ed interrogatori né la pesante infamia di essere chiamati attentatori. Caduta la “pista anarchica” ecco che dalla provincia di Treviso si sviluppa una lunga e ostacolata indagine, la “pista nera” che porterà a riconoscere colpevoli, almeno in primo grado, gli esponenti di Ordine Nuovo: Giovanni Ventura e Franco Freda. Le prove contro Ventura e Freda sono schiaccianti: • Guido Lorenzon, un amico di Ventura, raccontò che Ventura fece viaggi sospetti a Milano e Roma e che in un occasione gli mostrò un temporizzatore alimentato a batteria già predisposto per scopo dinamitardo; • Freda ordinò d’urgenza, giovedì 18 settembre 1969, presso la ditta Elettrocontrolli di Bologna cinquanta timer da 60 minuti (registrazioni telefoniche); • Secondo una negoziante un signore, probabilmente Ventura, si recava spesso nel suo negozio, la Standa di Treviso, a comprare set di quattro o cinque orologi economici; • Freda fu visto comprare le quattro borse in pelle (stesso modello di quelle utilizzate negli attentati), di marca tedesca, in un negozio di Padova; • Freda e Ventura, in collaborazione con un agente del Sid, furono riconosciuti colpevoli di aver distribuito alle alte cariche militari un opuscolo su “la svolta autoritaria per fermare il comunismo”; Ma dopo la condanna in primo grado avviene una svolta, le prove sono ad una ad una rese inutili, depistate, celate ed eliminate. Guido Lorenzon viene lasciato, con colpevole mancanza degli inquirenti, nel proprio ambiente, addirittura a contatto con membri di Ordine Nuovo, e intimidito ritratta parte della propria deposizione; la registrazione dell’ordinazione dei timer viene tenuta celata ai magistrati dalla Procura di Padova; i particolari lacci attaccati alle borse, che provavano la provenienza dal negozio padovano, sparirono e non si poté più dimostrare che le borse non venivano da oltre confine; la bomba inesplosa, rinvenuta alla Banca commerciale di Milano, invece che analizzata fu subito fatta brillare dagli artificieri (non fu mai stabilito chi diede l’ordine); il Sid non collaborò mai alle indagini poiché si sarebbe scoperto l’intreccio tra i servizi segreti e le frange estremiste di destra. Molti membri di Ordine Nuovo tra cui Delfo Zorzi, prima condannati e poi assolti nel processo di Piazza Fontana, che potrebbero chiarire le responsabilità del gruppo Veneto nelle stragi sono tuttora in latitanza all’estero. Ancora oggi quindi, per la magistratura, l’attentato di Piazza Fontana non ha un colpevole.

2. La strage del treno Italicus La notte del 4 agosto 1974 una bomba esplode nella vettura numero 5 dell'espresso Roma-Brennero. I morti sono 12 e i feriti circa 50, ma una strage spaventosa è stata evitata per questione di secondi: se la bomba fosse esplosa nella galleria che porta a San Benedetto Val di Sambro i morti sarebbero stati centinaia. Racconta un testimone della strage: "Il vagone dilaniato dall'esplosione sembra friggere, gli spruzzi degli schiumogeni vi rimbalzano. Su tutta la zona aleggia l'odore dolciastro e nauseabondo della morte". I due agenti di polizia che hanno assistito alla sciagura raccontano: "Improvvisamente il tunnel da cui doveva sbucare il treno si è illuminato a giorno, la montagna ha tremato, poi è arrivato un boato assordante. Il convoglio, per forza di inerzia, è arrivato fin davanti a noi. Le fiamme erano altissime e abbaglianti. Nella vettura incendiata c'era gente che si muoveva. Vedevamo le loro sagome e le loro espressioni terrorizzate, ma non potevamo fare niente poiché le lamiere esterne erano incandescenti. Dentro doveva già esserci una temperatura da forno crematorio. 'Mettetevi in salvo', abbiamo gridato, senza renderci conto che si trattava di un suggerimento ridicolo data la situazione. Qualcuno si è buttato dal finestrino con gli abiti in fiamme. Sembravano torce. Ritto al centro della vettura un ferroviere, la pelle nera cosparsa di orribili macchie rosse, cercava di spostare qualcosa. Sotto doveva esserci una persona impigliata. 'Vieni via da lì', gli abbiamo gridato, ma proprio in quel momento una vampata lo ha investito facendolo cadere accartocciato al suolo".

L’attentato è subito riconducibile al terrorismo eversivo di destra infatti i neofascisti non nascondono di esserne gli esecutori; un volantino di Ordine Nero proclama: "Giancarlo Esposti è stato vendicato. Abbiamo voluto dimostrare alla nazione che siamo in grado di mettere le bombe dove vogliamo, in qualsiasi ora, in qualsiasi luogo, dove e come ci pare. Vi diamo appuntamento per l'autunno; seppelliremo la democrazia sotto una montagna di morti".

Tuttavia gli investigatori non riescono ad individuare gli autori della strage fino a quando un extraparlamentare di sinistra, Aurelio Fianchini, evade dal carcere di Arezzo e fa arrivare alla stampa questa rivelazione: "La bomba è stata messa sul treno dal gruppo eversivo di Mario Tuti che ha ricevuto ordini dal Fronte Nazionale Rivoluzionario e da Ordine Nero.Materialmente hanno agito Piero Malentacchi, che ha piazzato l'esplosivo alla stazione di Santa Maria Novella a Firenze, Luciano Franci, che gli ha fatto da palo, e la donna di quest'ultimo, Margherita Luddi". Eppure la polizia era informata da tempo che Mario Tuti era un sovversivo e una donna aveva addirittura dichiarato ad un giudice che l'autore della strage era proprio lui. Ma il risultato è la denuncia archiviata e la donna mandata in casa di cura come mitomane. Il giudice che aveva raccolto e insabbiato la dichiarazione si chiamava Mario Marsili ed era il genero di Licio Gelli, il gran venerabile della loggia massonica P2. Si entra così nei misteri della polizia e dei governi-ombra che per alcuni anni hanno condizionato la vita italiana. Il dubbio che la P2 sia implicata nella vicenda induce il giudice bolognese Vella a diffidare della magistratura aretina. Basti pensare alla frase provocatoria pronunciata da Luciano Franci, il luogotenente di Mario Tuti, rivolgendosi ad un camerata che piagnucolava dopo l'arresto: "Non preoccuparti, da queste parti siamo protetti da una setta molto potente". Una setta, spiegò poi il giudice Vella, che era al centro di un potere occulto collegato alle più oscure vicende della vita italiana. Per saperne di più il giudice Vella si rivolse anche ai Servizi segreti, ma per mesi non ottenne risposta. Protestò e allora l'ammiraglio Casardi, capo del servizio militare, gli scrisse rimproverandolo di ignorare "le norme che regolano il nostro servizio". "Le conosco anche troppo" gli rispose Vella, "ed è questo che mi preoccupa". Probabilmente se i Servizi segreti l'avessero aiutato, il giudice sarebbe subito arrivato a Tuti. Comunque, all'inizio del '75 viene emesso un mandato di cattura contro Mario Tuti, che però riesce a fuggire all'arresto: aspetta che i tre carabinieri andati per arrestarlo suonino alla porta e poi spara loro addosso uccidendone due e ferendo il terzo.

L'uomo riesce ad espatriare, prima ad Ajaccio e poi sulla Costa azzurra. La polizia francese lo rintraccia a Saint-Raphael dove ha luogo di nuovo uno scontro cruento, al termine del quale il terrorista viene arrestato.

Al processo, nel quale sarà condannato, terrà un contegno sprezzante. Anni dopo, nel 1987, sarà lui a capeggiare una rivolta nel carcere di Porto Azzurro che terrà l'Italia con il fiato sospeso per alcuni giorni. Le indagini sull'Italicus e su piazza della Loggia hanno spezzato il fronte dell'omertà tra i terroristi ma quando il giudice Tamburrino di Padova o il giudice Arcai di Brescia chiedono conferme o aiuti ai Servizi segreti per indagare sulle alte complicità cala la serranda del "segreto di Stato". L'ultima importante rivelazione riguarda la figlia di Aldo Moro che,dopo molti anni, dichiarò che suo padre avrebbe dovuto viaggiare sul treno Italicus il 4 agosto 1974. Lo statista, ucciso nel 1978 dalle BR, doveva raggiungere la famiglia in vacanza in Trentino. Già in carrozza, fu fatto scendere per firmare documenti. Della circostanza Moro volle far partecipe solo i familiari, senza rivelarlo ad altri. Maria Fida la racconta nel libro di cui è autrice, "La nebulosa del caso Moro".

3. La strage di Piazza della Loggia Brescia, 28 maggio 1974. Esplode una bomba in Piazza della Loggia gremita di gente per una manifestazione contro il terrorismo. La deflagrazione provoca otto morti e un centinaio di feriti. La strage era stata programmata con la fredda lucidità criminale dei professionisti del terrorismo: l'ordigno - a quanto pare di un chilo di tritolo - era stato collocato in una cassetta della carta straccia, attaccata ad una delle colonne del porticato sul lato meridionale della piazza, proprio di fronte al palco da cui avrebbero parlato gli oratori. I criminali avevano calcolato con esattezza i tempi della strage. L'ordigno era stato collocato e predisposto per esplodere nel momento in cui i cortei erano giunti nella piazza. Erano le 10,10 quando Franco Castrezzati, un sindacalista della Cisl, si è avvicendato al microfono per parlare alle migliaia di persone riunite. Alle 10,20 esatte si è avuta l'esplosione. Il chilo di tritolo nascosto nella cassetta metallica della carta straccia ha dato il suo effetto terribile, l'intera cassetta si e trasformata in un'enorme bomba e le sue schegge di ferro sono state scagliate ovunque. In quel punto la folla era anche più fitta che nel resto della piazza: molti avevano cercato riparo dalla pioggia sotto i portici, che erano così stracolmi di gente. Lo scoppio ha lacerato l'aria; dal palco si è vista una colonna di fumo nero e giallastro alzarsi verso il cielo, mentre le schegge e i brandelli dei corpi martoriati dall'esplosione volavano tutt'attorno. Vi sono stati alcuni secondi di silenzio assoluto, poi, straziante, si è levato l'urlo dei feriti e le grida di orrore della folla. Sono seguiti alcuni attimi allucinanti: la gente correva come impazzita urtandosi e gettandosi a terra. Gli altoparlanti, intanto, continuavano a ripetere di mantenere la calma, quindi è stato dato subito l'ordine a tutti di trasferirsi in piazza della Vittoria, attigua a quella della Loggia. L'operazione è avvenuta incredibilmente nonostante il panico senza alcun incidente. Poi è stato predisposto un servizio d'ordine improvvisato per mantenere sgombre le strade per consentire il passaggio delle ambulanze. In pochi minuti tutti i feriti erano già stati portati agli ospedali cittadini. Sul selciato della piazza erano rimasti solo due corpi straziati dallo scoppio. Alcune bandiere rosse sono state stese sui due poveri corpi: molti dei carabinieri che facevano cordone avevano il volto rigato dalle lacrime. Sulle transenne poste poi all'imboccatura della piazza sono stati appoggiati i primi fiori.

Due furono le piste d'indagine inizialmente intraprese per trovare i colpevoli della strage di piazza Loggia. La prima, bresciana, andava verso un insieme non organizzato, formato da piccoli delinquenti comuni con simpatie di destra e da un gruppo di giovani neofascisti della Brescia bene (fra cui Andrea Arcai, figlio del giudice, poi assolto). Si aprì nel 1974 e si concluse tredici anni dopo con la sentenza del 25 settembre 1987 della Cassazione, che confermò in via definitiva l'assoluzione del gruppo. Il principale imputato, Ermanno Buzzi che già era stato condannato all'ergastolo per la strage con la sentenza di primo grado, venne strangolato nel carcere di Novara da due terroristi neri, Concutelli e Tuti, alla vigilia del processo di appello. La seconda pista venne aperta in seguito ad alcune rivelazioni di collaboratori di giustizia provenienti dall'ambiente carcerario e si focalizzò su gruppi della destra radicale milanese. Gli imputati - Fabrizio Zani, Marco Ballan, Giancarlo Rognoni, Bruno Luciano Benardelli e Marilisa Macchi - vennero definitivamente assolti dalla Corte di Cassazione il 13 novembre 1989.

Le ultime indagini si focalizzano attorno al gruppo neofascista veneto Ordine Nuovo, già autore di attentati e stragi; tuttavia la maggior parte dei membri di Ordine Nuovo oggi è morta, latitante o all’estero. Di certo si sa solo che il fornitore dell’esplosivo fu Delfo Zorzi, membro, di Ordine Nuovo, precedentemente assolto nel processo di Piazza Fontana. Purtroppo i continui depistaggi e l’omertà hanno ormai reso impossibile l’individuazione dei colpevoli.

4. Stazione di Bologna Il 2 agosto 1980, alle ore 10,25, una bomba esplose nella sala d'aspetto di seconda classe della stazione di Bologna. Lo scoppio fu violentissimo, provocò il crollo delle strutture sovrastanti le sale d'aspetto di prima e seconda classe dove si trovavano gli uffici dell'azienda di ristorazione Cigar e di circa 30 metri di pensilina. L'esplosione investì anche il treno Ancona-Chiasso in sosta al primo binario. Il soffio arroventato prodotto da una miscela di tritolo e T4 tranciò i destini di persone provenienti da 50 città diverse italiane e straniere. Il bilancio finale fu di 85 morti e 200 feriti. La città si trasformò in una gigantesca macchina di soccorso e assistenza per le vittime, i sopravvissuti e i loro parenti. I vigili del fuoco dirottarono sulla stazione un autobus, il numero 37, che si trasformò in un carro funebre. E' lì che vennero deposti e coperti da lenzuola bianche i primi corpi estratti dalle macerie. Alle 17,30, il presidente della Repubblica Sandro Pertini arrivò in elicottero all'aeroporto di Borgo Panigale e si precipitò all'ospedale Maggiore dove era stata allestita una delle tre camere mortuarie. Per poche ore era circolata l'ipotesi che la strage fosse stata provocata dall'esplosione di una caldaia ma, quando il presidente arrivò a Bologna, era già stato trovato il cratere provocato da una bomba. Incontrando i giornalisti Pertini non nascose lo sgomento: "Signori, non ho parole" disse,"siamo di fronte all'impresa più criminale che sia avvenuta in Italia". Ancora prima dei funerali, fissati per il 6 agosto, si svolsero manifestazioni in Piazza Maggiore a testimonianza delle immediate reazioni della città. Cominciò una delle indagini più difficili della storia giudiziaria italiana. L'avvio delle indagini trovò un incredibile iniziale ostacolo nel tentativo, protrattosi per 24 ore, di mettere in dubbio la natura dolosa dello scoppio, infatti vennero ipotizzate cause fortuite quali lo scoppio di una caldaia. Si tentò, da un lato di evitare reazioni della piazza e dall'altra, come era successo per la strage di Piazza Fontana, di ritardare il rinvenimento di tracce utili. L'intervento della Procura della Repubblica di Bologna fu tempestivo e l'approccio serio: gli investigatori misero subito a fuoco le protezioni di cui il frastagliato mondo del terrorismo eversivo di destra aveva goduto e continuava a godere a Roma malgrado la città fosse stata sottoposta negli ultimi due anni ad una escalation di violenze e di attentati (di particolare significato l'attentato al C.S.M. e l'uccisione del Giudice Amato). Già alla fine di agosto comincia ad essere abbozzata una ipotesi accusatoria indirizzata anche verso ideatori e depistatori, ma il passaggio dell'inchiesta dalla Procura all'Ufficio Istruzione segna una sorta di inversione di tendenza: l'indagine comincia ad essere spezzettata. Viene inviata a Roma per competenza l'indagine sull'associazione eversiva. Si fanno più pesanti i depistaggi. Eppure la strage era stata preannunciata anche un mese prima, negli ambienti dei servizi se ne troveranno addirittura tracce scritte (rapporto Spiazzi). Depistaggi: al momento dei primi arresti avvenne un incontro tra Licio Gelli (Gran Maestro della loggia massonica P2) e Elio Cioppa (Alto dirigente del S.I.S.M.I.) 'State sbagliando tutto, la pista è quella internazionale'. In quel momento iniziano contrasti feroci all'interno del tribunale, in parte fomentati da pubblicazioni di stampa, che avvalorano tesi e avvenimenti fantasiosi tendenti a screditare i giudici che avevano svolto la prima parte dell'indagine, avvalorando poi un disegno massonico internazionale con l'obiettivo di portare i giudici su piste internazionali estremamente inverosimili e fantasiose. Tutto ciò causa grande sconcerto nell'opinione pubblica e nei familiari delle vittime. Il 19 Gennaio 1987 inizia il processo, la sentenza viene emessa l’11 luglio 1988. I condannati per depistaggio sono tutte persone iscritte a logge massoniche, Licio Gelli, il Generale Pietro Musumeci e il Colonnello Giuseppe Belmonte (alti ufficiali del S.I.S.M.I. servizio segreto militare). Gli esecutori materiali della strage Francesca Mambro e Valerio Fioravante, appartenenti ai NAR (Nuclei Armati Rivoluzionari) di ispirazione fascista, sono condannati all’ergastolo. Subito si scatena una campagna che cerca di squalificare tutto il lavoro dei magistrati, dell'Associazione dei familiari delle vittime e del Collegio di Parte Civile. Vi fu una campagna di stampa martellante che per tutta l'estate fino all'apertura del processo d'appello (ottobre 1989), prendendo le difese dell'avvocato, considerava l'inchiesta frutto di un teorema e di un intrigo del partito comunista. L'Associazione fu accusata di fare un'attività di spionaggio cercando di far passare come illecita la sua attività di informatizzazione degli atti del processo. Questa fu la preparazione del processo d'Appello; il clima di tutto il procedimento risentì di quella situazione. Il processo d'appello iniziò nell'ottobre 1989 la sentenza fu emessa il 18 luglio 1990. Tutti gli imputati vengono assolti dall’accusa di strage nonostante il Procuratore Generale avesse chiesto l'appesantimento delle pene. Immediata presa di posizione del Movimento Sociale Italiano che chiese la cancellazione dalla lapide presso la stazione di Bologna della scritta 'Strage Fascista'. Il Presidente del Consiglio Andreotti si disse d'accordo ed il Presidente della Repubblica Francesco Cossiga chiese ufficialmente scusa all'M.S.I. Il 12 febbraio 1992 le Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione emettono la sentenza: il processo d’appello deve essere rifatto. La Corte ha sentenziato che la sentenza d'Appello è priva di coerenza, immotivata e che non ha valutato in termini corretti prove ed indizi. Il secondo processo d’appello conclusosi nel marzo del 1994 conferma l’impianto accusatorio del processo di primo grado. Il 22 novembre inizia il processo in Cassazione, la sentenza viene emessa il 23 novembre 1995: viene confermata la sentenza del secondo processo d’appello.

Conclusioni Molti di questi attentati sono da ricondurre a gruppi di estrema destra tuttavia è difficile intravedere il sottile filo che li collega. Oggi, grazie allo sforzo di storici, giornalisti e dei familiari delle vittime che hanno tentato di far luce sulle vicende, nonostante i tentativi di poteri occulti di insabbiarle, si può con ragionevole certezza affermare che le bombe e molti altri attentati dinamitardi furono orchestrati da gruppi terroristici di destra, con l’appoggio di settori dei servizi segreti italiani e statunitensi, nella logica della tensione per portare l’opinione pubblica ad accettare una svolta autoritaria e antidemocratica nelle istituzioni italiane, sull’esempio del regime dei “colonnelli” che prese il potere in Grecia. Queste stragi ed altri avvenimenti come il tentato golpe Borghese, inseriti nella logica mondiale dei blocchi opposti decisa con i trattati di Yalta, fa capire come l’Italia abbia attraversato anni bui, di divisione e di debolezza dello Stato. Ancora oggi è difficile vederci chiaro e forse nemmeno quando la cronaca diverrà storia si capirà come sono stati veramente quegli anni per l’Italia.


Vorrei dare una mano nella compilazione di questa pagina di grande importanza storica, vorrei quindi sapere se quanto scritto sopra è stato copiato da qualche fonte e quindi citarlo in modo corretto.--sampleworld 17:14, 27 set 2007 (CEST)Rispondi

Piazza fontana modifica

Io ero rimasto a che la strage di piazza fontana era di ignota attribuzione e che le indagini portarono a molti arresti ma 0 condanne: come mai qui è attribuita per certo al terrorismo nero? --AndreaFox (msg) 00:24, 27 giu 2008 (CEST)Rispondi

Si e no... Non abbiamo mai avuto condanne definitive per la strage, ma c'è stato il neo fascista Carlo Digilio che ha confessato la propria partecipazione all'attentato, per essere poi prescritto. Cfr. [1] --Skarn86

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Ho modificato ed ingrandito la voce con tanto di note, citazioni, etc. Credete possa rimuovere l'avviso? --Keegan (msg) 21:24, 17 set 2013 (CEST)Rispondi

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