La dreamachine è un dispositivo stroboscopico che produce stimoli visivi. È il primo oggetto nella storia dell'essere umano ad essere stato concepito per essere guardato con gli occhi chiusi[senza fonte]. L'osservazione della dreamachine provoca nel soggetto che la "guarda" delle visioni colorate e, in alcuni casi, può indurre uno stato simile a quello del sogno.

Descrizione

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Concepita dal pittore e scrittore Brion Gysin e dal suo amico Ian Sommerville all'inizio degli anni 1960,[1][2] la dreamachine è un semplice cilindro perforato, disposto su un giradischi a 78 giri, con una lampadina sospesa al centro. La rotazione del cilindro fa sì che la luce lampeggi ad una frequenza compresa tra 7 e 13 pulsazioni al secondo (Hertz).[2] Questa gamma di frequenze corrisponde al cosiddetto "ritmo alfa", ovvero alle oscillazioni elettriche emesse dal cervello umano quando quest'ultimo si trova in stato di rilassamento, quando gli occhi sono chiusi, o in assenza di stimoli esterni.[2] Dal 1989 al 2007, David Woodard ha realizzato delle repliche della Dreamachine.[3][4]

Dreamachine è il soggetto per il documentario FLicKeR di Nik Sheehan, nel National Film Board of Canada 2008.[5]

Il lampeggiamento della dreamachine stimola il nervo ottico ed altera l'attività elettrica cerebrale. I fruitori dell'opera descrivono visioni colorate caleidoscopiche "proiettate" dietro le palpebre, che possono evolvere fino ad assumere forme concrete e dare l'impressione di stare sognando (da qui il nome dreamachine, ossia "macchina dei sogni").[6]

  1. ^ (EN) Paul Cecil, Inside Out: The Mysticism of dreamachines, su Everything is Permuted, 1996. URL consultato il 27 marzo 2007.
  2. ^ a b c (EN) Dan Century, Brion Gysin and his Wonderful Dreamachine, su legendsmagazine.net, Legends Magazine, dicembre 2000. URL consultato il 27 marzo 2007 (archiviato dall'url originale il 3 aprile 2007).
  3. ^ Allen, M., "Décor by Timothy Leary", The New York Times, 20 gennaio 2005.
  4. ^ Bolles, D., "Dream Weaver", LA Weekly, 26 luglio–agosto 1, 1996.
  5. ^ Film Web site, su flickerflicker.com.
  6. ^ (EN) David Kerekes, Headpress 25: William Burroughs & the Flicker Machine, Headpress, 2003, p. 13, ISBN 1-900486-26-1.

Bibliografia

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