Equus kiang

specie di animali della famiglia Equidae

L'emione tibetano o kiang (Equus kiang) è un mammifero perissodattilo appartenente alla famiglia degli Equidi. Il più grosso degli asini selvatici, è originario dell'altopiano del Tibet, dove vive nelle praterie e steppe montane. Il suo areale attuale è ristretto alle piane dell'altopiano tibetano, del Ladakh (Jammu e Kashmir)[2][3] e del Nepal settentrionale lungo il confine con il Tibet.[4] Altre denominazioni comuni per questa specie sono Asino selvatico tibetano, khyang, kyang e gorkhar.[5][6] I racconti di viaggiatori aventi come argomento il kiang potrebbero essere una delle origini del mito dell'unicorno.

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Emione tibetano o kiang
Equus kiang
Stato di conservazione
Rischio minimo[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Ordine Perissodactyla
Famiglia Equidae
Genere Equus
Specie E. kiang
Nomenclatura binomiale
Equus kiang
Moorcroft, 1841
Sinonimi

Equus equioides, Equus holdereri, Equus kyang, Equus nepalensis, Equus polyodon, Equus tafeli

Descrizione modifica

 
Kiang of Tibet from the book entitled, "The Great and Small Game of India, Burma, and Tibet"- published in the year 1900

L'altezza media dei kiang al garrese è di 139 cm (con valori compresi tra 135 e 145), con un corpo della lunghezza di 214 cm e una coda lunga 45. Li caratterizza soltanto un leggero dimorfismo sessuale, con maschi del peso tra i 250 e i 400 kg e femmine tra i 250 e i 300. La testa è grossa, con muso arrotondato e naso convesso. La criniera è eretta e relativamente corta. Il mantello è di un sontuoso color nocciola, che diventa un bruno più scuro in inverno e un bruno rossastro nella tarda estate, quando l'animale muta completamente il pelo. Il mantello estivo è lungo 1,5 cm, mentre d'inverno raddoppia di lunghezza. Zampe, ventre, estremità del muso e orecchie sono completamente bianchi. Un'ampia striscia dorsale si estende dalla criniera all'estremità della coda, che termina con un ciuffo di peli bruno-nerastri.[7]

Evoluzione modifica

 
Cranio di un cavallo gigante estinto, Equus eisenmannae

Il genere Equus, che comprende tutti gli equini esistenti, si ritiene si sia evoluto dal Dinohippus attraverso la forma intermedia del Plesippus (da non confondere con il genere di ragni Plexippus). Una delle specie più antiche è l'Equus simplicidens (cavallo di Hagerman), descritto come una sorta di simil-zebra con testa da asino. Il resto fossile attualmente più antico proviene dall'Idaho, USA, e risale a circa 3,5 milioni di anni fa. Il genere sembra essersi diffuso rapidamente nel Vecchio Mondo, insieme al coetaneo Equus livenzovensis documentato in Europa occidentale e Russia.[8]

Secondo la filogenesi molecolare l'ultimo antenato comune (MRCA) di tutti gli equidi moderni sarebbe vissuto circa 5,6 milioni di anni fa (3,9 - 7,8). Il sequenziamento paleogenomico diretto dell'osso metapodiale di un cavallo risalente a 700.000 anni fa (Pleistocene medio), trovato in Canada, farebbe invece risalire tale ultimo antenato comune a una più recente epoca di 4,07 milioni di anni fa su una gamma da 4 a 4,05 milioni.[9] Le devianze più antiche sono rappresentate dall'asino selvatico asiatico (sottogenere Asinus, comprendente, tra gli altri, il kulan, l'onagro e il kiang), seguito dalle zebre africane (sottogeneri Dolichohippus e Hippotigris)[10].

Ogni altra forma moderna, compreso il cavallo domestico (più altre forme fossili risalenti a Pliocene e Pleistocene) appartiene al sottogenere Equus, che si è differenziato circa 4,8 (3,2 - 6,5) milioni di anni fa.[11]

Tassonomia modifica

Il kiang è strettamente imparentato con l'onagro (Equus hemionus), e in certe classificazioni ne è considerato la sottospecie E. hemionus kiang. Studi molecolari hanno tuttavia segnalato che si tratta di una specie diversa.[12] Un parente ancora più prossimo potrebbe tuttavia essere l'estinto Equus conversidens dell'America del Pleistocene,[13] con cui ha un certo numero di rassomiglianze straordinarie, una simile parentela richiederebbe tuttavia che i kiang avessero attraversato la Beringia durante l'Era glaciale, fatto di cui esistono poche prove. In cattività i kiang possono incrociarsi con onagri, cavalli, asini e zebre di Burchell, anche se, come i muli la risultante prole è sterile. I kiang non sono mai stati addomesticati.[14]

Distribuzione e habitat modifica

 
Kiang nel Qiangtang

I kiang si trovano sull'Altopiano tibetano, tra l'Himalaya a sud e i monti Kunlun nord. Il che restringe la loro presenza alla Cina, anche se se trovano tra 2500 e 3000 al di là dei confini, in Ladakh e Sikkim, e in quantità minori lungo la frontiera settentrionale del Nepal.[15], oltre che nel Qinghai.

 
Un kiang solitario vicino al lago da cui sorge il Fiume giallo, Qinghai

Ne sono attualmente riconosciute tre sottospecie:

  • E. k. kiang — kiang occidentale (Tibet, Ladakh, Xinjiang del sud ovest)
  • E. k. holdereri — kiang orientale (Qinghai, Xinjiang del sud est)
  • E. k. polyodon — kiang meridionale (Tibet del sud, confine nepalese)

Il kiang orientale è la sottospecie di maggiori dimensioni, quello meridionale la più piccola. L'occidentale è leggermente più piccolo dell'orientale e ha anche un mantello più scuro. In ogni caso nessuna informazione genetica conferma la validità delle tre sottospecie, che potrebbero rappresentare semplicemente una variazione clinale, con poche varaizioni tra le tre forme.[16][17]

I kiang vivono in territori montani di prateria e steppa tra i 2700 e i 5300 metri di altitudine. Preferiscono altipiani relativamente piatti, valli ampie e alture basse, dominate da erbe, falaschi e quantità minori di altra vegetazione di bassa altura. Tale terreno aperto, oltre a fornirli di adeguato foraggio assente nelle regionipiù aride dell'Asia centrale, è possibile renda loro più facile notare i predatori e sfuggire loro.[18]

Comportamento modifica

Come tutti gli equidi, i kiang sono erbivori e si nutrono di quanto indicato sopra, in particolare di stipa, comprese tuttavia altre piante locali come kobresia, carex e poa. In caso di scarsità di erba, come d'inverno o sui margini più aridi del loro habitat nativo, sono stati notati nutrirsi di arbusti, piante erbacee e persino radici di Oxytropis scavate dal terreno. Anche se capita che bevano ad abbeveratoi, nell'altopiano tibetano tali fonti di acqua sono rare, ed è più facile che essi traggano la maggior parte del fabbisogno acquoso dalle piante che mangiano, o anche da neve in inverno.[14]

Oltre agli esseri umani, l'unico vero loro predatore è il lupo, da cui essi si difendono formando un cerchio a testa bassa e scalciando con violenza. Di conseguenza i lupi attaccano di norma animali isolati che si sono separati dal gruppo.[19]

Branco di kiang vicino al Lago Peiku ai piedi del Shishapangma

A volte i kiang si raccolgono in grossi branchi, che arrivano a comprendere diverse centinaia di individui. Tali branchi non sono tuttavia di norma permanenti, ma aggregazioni temporanee composte soltanto di govani maschi o di madri con i loro puledri. I maschi più adulti sono di norma individui solitari che difendono dai rivali un territorio da 0,5 a km dove dominano su ogni locale gruppo di femmine. Tali maschi possono diventare aggressivi nei confronti degli intrusi, scalciandoli e mordendoli, ma più comunemente li scacciano dopo avere assunto un atteggiamento di minaccia appiattendo gli orecchi e ragliando[14]

Riproduzione modifica

I kiang si accoppiano tra la fine di luglio e la fine di agosto, quando i maschi più adulti corteggiano le femmine riproduttive trotterellando loro intorno e poi dando loro la caccia prima di accoppiarsi. La durata della gestazione è stata variamente riferita tra i sette e i dodici mesi con l'esito di un unico puledro. Le femmine sono in grado di procreare immediatamente dopo il parto, ma i parti biennali sono più comuni. Alla nascita i puledri pesano fino a 35 chili e dopo poche ore sono in grado di reggersi sulle zampe. L'età della maturità sessuale non è nota, anche se probabilmente è raggiunta a 3 o 4 anni, come avviene per il loro stretto parente l'onagro. Allo stato brado essi vivono fino a 20 anni.[14]

Racconti di viaggiatori modifica

Lo storico naturalista Chris Lavers individua nei racconti di viaggiatori aventi come argomento il kiang una delle fonti di ispirazione per l'unicorno, per la prima volta descritto da Ctesia di Cnido nei suoi Indikà.[20]

Ekai Kawaguchi, monaco giapponese che ha viaggiato in Tibet da luglio 1900 a giugno 1902 ha riferito:

«Come ho già detto, khyang è il nome dato dai tibetani al cavallo selvatico delle loro steppe settentrionali. Più precisamente si tratta di una specie di asino delle stesse dimensioni di un grosso cavallo giapponese. Quanto a colore è bruno rossiccio, con pelo nero sulla cresta del dorso, criniera nera e ventre bianco. Al normale vedersi appare un comune cavallo, a eccezione della coda con il ciuffo. Si tratta di un animale poderoso, di estrema agilità. Non lo si vede mai solo ma sempre in gruppi di due o tre, se non in branchi di sessanta o settanta. Il suo nome scientifico è Equus hemionis, ma di norma cisi riferisce a esso con il suo nome tibetano, usualmente scritto khyang in inglese. Se arriva a portata di vista di un uomo ha la curiosa abitudine di girare ripetutamente in tondo. Già alla distanza di un miglio e un quarto inizia questo suo movimento in tondo a ogni avvicinamento, fermandosi un po' dopo ogni giro per voltare la testa a guardare l'uomo oltre le proprie spalle, come una volpe. Finisce tuttavia con l'arrivargli molto vicino, anche se una volta vicinissimo appare impaurito e scatta via, sia pure per fermarsi a guardarsi di nuovo dietro e spalle. Quando si pensa che sia scappato, si scoprirà che ha compiuto un cerchio arrivando di nuovo nelle vicinanze, quasi volesse, per così dire, compiere un esame silenzioso dello sconosciuto da dietro. Si tratta nel complesso di un animale dagli usi molto bizzarri.»[21]
 
Coppia di kiang

Thubten Jigme Norbu, fratello maggiore del XIV Dalai Lama Tenzin Gyatso, raccontando il viaggio fatto nel 1950 dal Monastero Kumbum (vicino a Xining, Qinghai) a Lhasa, ha detto:

«I kyang o asini selvatici vivono riuniti in piccoli gruppi, ciascuno dei quali guidato da uno stallone dominante su un numero di giumente che può andare da 10 a 50. Sono rimasto colpito dall'aspetto nobile di questi animali, e in particolare dalla bella linea di testa e collo. Il mantello è bruno chiaro sul dorso e biancastro sotto il ventre, mentre le lunghe code sottili sono quasi nere; l'insieme rappresentando un'eccellente mimetizzazione nel loro ambiente naturale. Sono di un'eleganza e grazia mirabili quando li si vede dardeggiare per le steppe come frecce, la testa tesa e la coda che fluttua alle loro spalle nel vento. La loro stagione riproduttiva è in autunno e, mentre montano la guardia ai propri harem, gli stalloni sono al massimo dell'aggressività. In quel periodo dell'anno si svolgono i più fieri e spietati combattimenti tra lo stallone locale e gli intrusi di altri branchi. Finita la battaglia, il vincitore, egli stesso insanguinato e contuso per effetto di morsi e calci feroci, guida lontano le giumente in un galoppo selvaggio sulla steppa. Abbiamo visto spesso kyang a migliaia sparsi sui versanti delle alture che guardavano con aria incuriosita la nostra carovana; a volte arrivavano persino a circondarci, pur tenendosi a una certa distanza.»[22]

Giuseppe Tucci, massimo tibetologo italiano, nella cronaca del viaggio fatto nel 1933 salendo per la Valle dello Spiti fino a Tsparang (capitale in rovina dell'antico Regno di Guge) ha scritto:

« (19 agosto, Sumur) Qui per la prima volta vediamo alcuni asini selvatici detti chiàn (tib. rkyan) che vengono a curiosare fin presso le tende, forse attirati dalla presenza dei nostri cavalli, ma, appena veggono l'uomo, fuggono veloci. Vivono a branchi sui grandi piani erbosi: la leggenda ne fa la cavalcatura di Kesar, l'eroe dell'epica tibetana.[23]

Note modifica

  1. ^ (EN) Equid Specialist Group 1996, Equus kiang, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ In weasel land Archiviato il 22 gennaio 2004 in Internet Archive.; Text and pictures by Sujatha Padmanabhan; Jan 10, 2004; The Hindu, India's National Newspaper
  3. ^ Wild Ass sighted in Rajasthan villages along Gujarat Archiviato il 29 giugno 2011 in Internet Archive.; by Sunny Sebastian; Sep 13, 2009; The Hindu, India's National Newspaper
  4. ^ Sharma, et al., 2004. Mapping Equus kiang (Tibetan Wild Ass) Habitat in Surkhang, Upper Mustang, Nepal. Mountain Research and Development. Vol 24(2): 149–156.
  5. ^ Ladakh Physical, Statistical, and Historical Ladakh Physical, Statistical, and Historical by Alexander Cunningham
  6. ^ Kiang: The Animal Facts Kiang: The Animal Facts
  7. ^ St-Louis, A. e Côté, S., Equus kiang (Perissodactyla: Equidae), in Mammalian Species, vol. 835, 2009, pp. 1–11, DOI:10.1644/835.1.
  8. ^ A. Azzaroli, Ascent and decline of monodactyl equids: a case for prehistoric overkill (PDF), in Ann. Zool. Finnici, vol. 28, 1992, pp. 151–163.
  9. ^ L. Orlando, Ginolnome2= A., G. Zhang, Froesenome4= D., A. Albrechtsen, M. Stiller, M. Schubert, E. Cappellini e B. Petersen, Recalibrating Equus evolution using the genome sequence of an early Middle Pleistocene horse, in Nature, vol. 499, n. 7456, 4 luglio 2013, pp. 74–8, DOI:10.1038/nature12323, PMID 23803765.
  10. ^ Vedi Equus grevyi
  11. ^ J. Weinstock, Evolution, systematics, and phylogeography of Pleistocene horses in the New World: a molecular perspective, in PLoS Biology, vol. 3, n. 8, 2005, pp. e241, PMC 1159165, PMID 15974804. URL consultato il 19 dicembre 2008 (archiviato dall'url originale il 19 marzo 2019).
  12. ^ Ryder, O.A. e Chemnick, L.G., Chromosomal and molecular evolution in Asiatic wild asses, in Genetica, vol. 83, n. 1, 1990, pp. 67–72, DOI:10.1007/BF00774690.
  13. ^ Bennett, D.K., Stripes do not a zebra make, part I: a cladistic analysis of Equus, in Systematic Zoology, vol. 29, n. 3, 1980, pp. 272–287, DOI:10.2307/2412662.
  14. ^ a b c d St-Louis, A.; Côté, S. (2009). "Equus kiang (Perissodactyla: Equidae)". Mammalian Species. 835: 1–11. doi:10.1644/835.1.
  15. ^ Shah, N., Equids: zebras, asses and horses. Status survey and conservation action plan, a cura di Moehlman, P.D., Gland, Switzerland, IUCN, 2002, pp. 72–81. URL consultato il 26 novembre 2019 (archiviato dall'url originale il 31 dicembre 2018).
  16. ^ Shah, N.; St. Louis, A.; Huibin, Z.; Bleisch, W.; van Gruissen, J. & Qureshi, Q. (2008). "Equus kiang". IUCN Red List of Threatened Species. Version 2008. International Union for Conservation of Nature. Retrieved 10 April 2009. Database entry includes a brief justification of why this species is of least concern.
  17. ^ Shah, N. (2002). Moehlman, P.D. (ed.). Equids: zebras, asses and horses. Status survey and conservation action plan. Gland, Switzerland: IUCN. pp. 72–81.
  18. ^ Harris, R.B. e Miller, D.J., Overlap in summer habitats and diets of Tibetan Plateau ungulates, in Mammalia, vol. 59, n. 2, 1995, pp. 197–212, DOI:10.1515/mamm.1995.59.2.197.
  19. ^ Tibet is My Country: Autobiography of Thubten Jigme Norbu, Brother of the Dalai Lama as told to Heinrich Harrer, pp. 151–152. First published in German in 1960. English translation by Edward Fitzgerald, published 1960. Reprint, with updated new chapter, (1986): Wisdom Publications, London. ISBN 0-86171-045-2.
  20. ^ Lavers, Chris (2009): The Natural History of Unicorns, pp. 15–19. HarperCollins Publishers, New York. ISBN 978-0-06-087414-8.
  21. ^ Kawaguchi, Ekai (1909): Three Years in Tibet, pp. 131, 133. Reprint: Book Faith India (1995), Delhi. ISBN 81-7303-036-7
  22. ^ Tibet is My Country: Autobiography of Thubten Jigme Norbu, Brother of the Dalai Lama as told to Heinrich Harrer, pp. 151–152. First published in German in 1960. English translation by Edward Fitzgerald, published 1960. Reprint, with updated new chapter, (1986): Wisdom Publications, London. ISBN 0-86171-045-2.
  23. ^ Giuseppe Tucci, Dei, demoni e oracoli. La leggendaria spedizione in Tibet del 1933, Neri Pozza, 2006, ISBN 978-88-545-0108-9»

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