Flotta del Mar Rosso

La Flotta del Mar Rosso era la componente operativa del Comando Navale Africa Orientale Italiana della Regia Marina italiana, basata a Massaua in Eritrea, in Africa Orientale Italiana. Durante la seconda guerra mondiale fu la protagonista delle operazioni navali in Africa Orientale Italiana contro la Eastern Fleet della Royal Navy dalla dichiarazione di guerra del 10 giugno 1940 fino alla caduta di Massaua l'8 aprile 1941.

Flotta del Mar Rosso
Comando Superiore Marina "A.O.I."
Descrizione generale
Attiva10 giugno 1940 - 8 aprile 1941
NazioneBandiera dell'Italia Italia
Servizio Regia Marina
Guarnigione/QGMassaua
Battaglie/guerreSeconda guerra mondiale
Parte di
Comando Superiore FF.AA. "A.O.I."
Reparti dipendenti
giu. 1940:
Comando Superiore Navale "A.O.I."
Comando Marina "Massaua"
Comando Marina "Assab"
Comando Marina "Chisimaio"
Comandanti
Degni di notaContrammiraglio Carlo Balsamo di Specchia Normandia (1939-dicembre 1940)
Contrammiraglio Mario Bonetti (dicembre 1940-aprile 1941)
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Presupposti modifica

 
La squadriglia "Pantera" entra a Massaua.

Fin dal 1936, al termine della Guerra d'Etiopia, il Regno d'Italia aveva intrapreso un'intensa opera di potenziamento dei porti e delle basi navali nel Corno d'Africa per fornire supporto alle unità navali là dislocate. Le unità dislocate, datate e di piccolo tonnellaggio, avevano compiti di presidio ed eventualmente di disturbo al traffico marittimo nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden, vie d'accesso al Canale di Suez. A questo scopo la Regia Marina dislocò a Massaua due squadriglie di cacciatorpediniere, una flottiglia di sommergibili, alcuni MAS e poche altre unità leggere e ausiliarie. L'inadeguatezza delle imbarcazioni, oltre alla distanza dalla madrepatria e alla difficoltà dei rifornimenti, ebbero una certa importanza nel contribuire al destino finale di queste operazioni[1]. A questo proposito, già nel maggio del 1939 una circolare del Viceré avvisava i comandi delle Forze Armate che "(omissis) …l'Impero deve fronteggiare qualsiasi situazione facendo assegnamento soltanto sulle proprie forze e sui propri mezzi."[2], lasciando pochi dubbi sulla possibilità di ricevere aiuti e rifornimenti dall'Italia.

Le forze modifica

 
I cacciatorpediniere Pantera, Nullo, Manin e Battisti alla banchina di Massaua nel 1940.

Le unità di superficie più grandi disponibili erano cacciatorpediniere di classi troppo vecchie per essere ancora considerate unità di squadra: la V Squadriglia Ct era composta dalle unità classe Leone (Leone, Tigre e Pantera) e la III Squadriglia Ct inquadrava le unità della classe Nazario Sauro (Nullo, Manin, Sauro e Battisti). Tutte le unità erano state munite di impianti di aria condizionata per adattarle all'uso nelle regioni calde, ma si trattava comunque di navi obsolete nella concezione e, specialmente per la classe Sauro, con gravi problemi di affidabilità meccanica.

La XXI Squadriglia MAS era composta dai MAS 205, 206, 210, 213 e 216 risalenti alla prima guerra mondiale ed inviati a Massaua alla fine della Guerra d'Etiopia con compiti ausiliari e di collegamento tra le isole. L'anzianità ed il clima tropicale avevano logorato tanto i MAS che nel 1940 due di questi erano in secca per danni allo scafo, mentre i restanti tre avevano i motori oltre la vita utile (non superavano i 10 nodi) ed erano talmente malandati che una commissione ne aveva stabilito la radiazione dal Regio Naviglio. In vista dell'entrata in guerra, Supermarina promise l'invio dei nuovi MAS Baglietto 155[3] ma questi, a causa del precipitare degli eventi in AOI, non arrivarono mai. Furono quindi riattivati quattro dei cinque MAS presenti, ai quali si aggiunsero tre grossi motoscafi per il supporto idrovolanti ceduti dalla Regia Aeronautica e quattro motoscafi veloci da addestramento, tutti modificati sul posto con armamento silurante e bombe di profondità. L'unità disponeva inoltre di alcuni sambuchi armati, imbarcazioni tradizionali equipaggiate con mitragliere e personale misto di nazionali ed ascari di marina.

La Flottiglia Smg si componeva di sei sommergibili oceanici (Archimede, Galilei, Torricelli, Ferraris, Galvani, Guglielmotti) e due sommergibili costieri (Perla e Macallè). Anche queste unità non erano state costruite per operare nelle condizioni ambientali in cui vennero a trovarsi. La maggior parte di essi mostrò immediatamente gravi problemi legati da un lato agli impianti elettrici malfunzionanti per l'elevatissima umidità ambientale, dall'altro agli impianti di condizionamento funzionanti a cloruro di metile, gas tossico e insidioso che dette luogo a diversi episodi di intossicazione degli equipaggi[4]. Inoltre, il regime monsonico creava condizioni meteorologiche e di mare per le quali questi scafi non erano progettati[1].

Completavano il naviglio combattente la nave coloniale Eritrea che fungeva da nave comando, due vecchie torpediniere Acerbi e Orsini, due navi bananiere armate RAMB I e RAMB II e le cannoniere Porto Corsini e Biglieri. Il naviglio ausiliario e di supporto comprendeva il posamine Ostia e le cisterne acqua Sile, Sebeto e Bacchiglione, la petroliera Niobe e la nave ospedale RAMB IV.[5][6]

Ordine di battaglia modifica

Note modifica

  1. ^ a b Pier Filippo Lupinacci e Aldo Cocchia (a cura di), Le operazioni in Africa Orientale, La Marina Italiana nella Seconda Guerra Mondiale. Vol. X, Roma, Ufficio Storico della Marina Militare, 1961.
  2. ^ Circolare n. 2281 del 15 maggio 1939 del viceré d'Etiopia ai Governatori e ai Comandanti delle Forze Armate.
  3. ^ http://www.ilcornodafrica.it/st-melecaartiglio.pdf.
  4. ^ G. Alfano.
  5. ^ Il Mar Rosso, su regiamarina.net, consultato il 01-01-2009 (archiviato dall'url originale il 31 luglio 2008).
  6. ^ E. Bagnasco.
  7. ^ a b c d Brown, p.43.
  8. ^ a b c d Blair, p. 739.

Bibliografia modifica

  • Guido Alfano, Marinai in guerra. 1940-1945. Diari di tre ventenni, Peveragno (CN), Blu Edizioni, 2002.
  • Erminio Bagnasco, In guerra sul mare. Navi e marinai italiani nel secondo conflitto mondiale, Parma, Ermanno Albertelli Editore, 2005.
  • (EN) Clay Blair, Hitler's U-Boat War: The Hunters 1939-1942, New York, Random House, 1996.
  • (EN) David Brown, Warship Losses of World War Two, New York, Naval Institute Press, 1995.
  • Vincenzo Meleca, Storie di uomini, di navi e di guerra nel Mar delle Dahlak, Milano, Greco & Greco, 2012.

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica

  • Pagina su ICSM., su icsm.it. URL consultato il 20 ottobre 2012 (archiviato dall'url originale il 23 marzo 2014).