Forma Urbis Severiana

pianta marmorea dell'antica città di Roma
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La Forma Urbis Severiana (anche Forma Urbis Romae, "Pianta marmorea severiana", o Forma Urbis Marmorea) era una pianta dell'antica città di Roma incisa su lastre di marmo. Realizzata tra il 203 e il 211, all'epoca di Settimio Severo, era collocata in una delle aule del Tempio della Pace.[1]

Frammento della Forma Urbis Severiana con il teatro di Pompeo

Nel corso dei secoli ha subito numerosi danni ed è andata in larga parte perduta; tuttavia ne sono sopravvissuti numerosi frammenti.[2]

Storia modifica

La datazione della pianta è posteriore al 203 (data della costruzione del Settizonio, visibile su uno dei frammenti) e anteriore al 211 (anno della morte di Settimio Severo: questi viene infatti citato come regnante insieme al figlio maggiore Caracalla nell'iscrizione incisa su un gruppo di frammenti: SEVERI ET [AN]TONINI AV[GG] NN […], ossia "di Severo e Antonino, nostri augusti". L'iscrizione, come di consueto sulla pianta marmorea, è infatti al genitivo e non al dativo come in una dedica). La mancanza dell'altro figlio di Settimio Severo, Geta, associato al trono nel 209, fa propendere per una datazione anteriore a tale data.

La pianta fu probabilmente eseguita in occasione della ricostruzione di alcuni settori del Tempio della Pace danneggiati da un incendio nel 192. È possibile che la pianta severiana volesse aggiornare e sostituire una pianta precedente, verosimilmente risalente a Vespasiano (imperatore committente del Tempio della Pace) e andata perduta nell'incendio del 192.

La forma era probabilmente connessa con la pianta catastale dell'Urbe redatta su papiro, forse conservata nella medesima sala. Quest'ultima pianta, più facilmente aggiornabile, doveva riportare anche i dati riguardanti la proprietà degli edifici, oltre che le loro misure.

Descrizione modifica

Disposizione delle lastre modifica

La pianta misurava in origine circa 13 metri in altezza per 18 di larghezza (circa 43×61 piedi romani) e si componeva di circa 150 lastre rettangolari di marmo, di dimensioni variabili, disposte su undici file: nelle prime otto dal basso le lastre erano disposte verticalmente e orizzontalmente in alternanza, mentre nelle ultime tre erano orizzontali. Il disegno della pianta fu inciso sulle lastre e dipinto di rosso[2] dopo che queste ultime erano state fissate sul muro mediante grappe di sostegno e malta.

Le lastre fungevano da rivestimento parietale di una delle sale disposte all'angolo meridionale del Tempio della Pace. Il fatto che l'ambiente immediatamente adiacente sia stato riutilizzato (intorno all'anno 530) per la Basilica dei Santi Cosma e Damiano ha permesso la conservazione della parete su cui erano applicate, pur con rimaneggiamenti legati alla storia edilizia della chiesa. Sulla parete della Forma sono tuttora visibili i fori utilizzati per le grappe di fissaggio della pianta.

Pianta modifica

 
La parete del Tempio della Pace su cui era applicata la Forma Urbis

La pianta è redatta all'incirca nella scala globale 1:246, come dimostrato dai rilievi topografici effettuati sul terreno e dalle analisi matematiche realizzate sui frammenti.[3] Forse l'intento era di avere una pianta dalla scala unica 1:240 (ossia un piede sulla Forma corrisponde a 2 actus nella realtà), la più usuale nella cartografia romana antica, sebbene tale osservazione non sia suffragata dalle misure topografiche e dalle analisi matematiche e rimanga perciò una supposizione archeologica.

La pianta è orientata, diversamente dagli usi moderni, con il sud-est in alto. Probabilmente l'attuale Monte Cavo (la cima più alta dei colli Albani) fu utilizzato per eseguire i rilevamenti topografici della pianta.[4]

È rappresentato in dettaglio il piano terra di tutti gli edifici, compresi colonnati e scale interne. Le dimensioni di alcuni monumenti erano però riportate in scala maggiore, probabilmente perché fossero ben visibili anche da lontano e svolgessero funzione prevalentemente orientativa e celebrativa.

Frammenti modifica

 
Alcuni frammenti della Forma in una incisione di Giovanni Battista Piranesi (1756)

Al 2022 sono stati rinvenuti 1.186 frammenti fisici, che coprono il 10-15% della superficie originaria della mappa. Furono e continuano a essere rinvenuti a più riprese, in particolare durante scavi a partire dal primo ritrovamento del 1562, talvolta anche in luoghi non corrispondenti all'originaria collocazione. Alcuni dei frammenti ritrovati nel XVI secolo andarono perduti prima del loro trasferimento ai Musei Capitolini, prima sede espositiva della mappa; tuttavia di alcuni frammenti esistono vari disegni rinascimentali che rappresentano altri 87 pezzi. In totale, sono noti 1.273 frammenti.

Nel 2002 l'Università di Stanford ha curato un progetto basato sulla creazione di un database on-line dei frammenti esistenti per la ricostruzione della pianta con l'ausilio di tecnologie informatiche, il cui risultato è stato il posizionamento di altri quattro frammenti.[2]

Uno dei contributi più recenti allo studio della Forma Urbis permette di stimare il contenuto metrico della pianta marmorea tramite l'analisi del rapporto tra le strutture riprodotte sulla Forma e la topografia reale, utilizzando tecniche geomatiche per verificare la posizione relativa dei frammenti. Dallo studio si confermano le ipotesi di una scala globale unica in tutte le direzioni (1:~246), ma di una diversa dimensione di rappresentazione degli edifici maggiori; nel caso del Teatro di Marcello, l'applicazione del metodo proposto ha portato alla formulazione di una ipotesi di ricollocazione di alcuni frammenti al fine di ricostruire una scala uniforme sulla relativa lastra.[3]

Nel corso del tempo, molti studiosi si sono occupati dell'identificazione degli edifici raffigurati sui frammenti e hanno proposto nuove localizzazioni e interpretazioni. Fra questi si ricordano in particolare Lucos Cozza, Emilio Rodríguez Almeida, Claudia Cecamore, Filippo Coarelli, Daniele Manacorda, Domenico Palombi, Luigi Pedroni, David West Reynolds, Pier Luigi Tucci, Francesco Paolo Arata ed Enrico Felici.

Fruizione modifica

I frammenti della Forma Urbis Severiana pertengono alle collezioni dei Musei Capitolini. Furono esposti nel giardino di Palazzo dei Conservatori tra il 1903 e il 1924, poi all'Antiquarium comunale del Celio fino al 1939.

Nel 2024 sono stati collocati in un nuovo e apposito museo sul Celio.[5][6]

Confronti modifica

Nel Museo municipale della città di Orange in Francia si conservano diversi frammenti di una pianta marmorea del territorio della città in epoca romana (Arausio), conosciuta con il nome di les Cadastres.

Note modifica

  1. ^ Tina Squadrilli, Vicende e monumenti di Roma, Roma, Staderini, 1961, p. 199.
  2. ^ a b c (EN) The Severan Marble Plan, su Stanford Digital Forma Urbis Romae Project, Università di Stanford, 17 gennaio 2022.
  3. ^ a b Crespi et al. 2012.
  4. ^ Piero Maria Lugli (1992). Considerazioni urbanistiche sulla pianta marmorea del foro della Pace. Bollettino di Archeologia
  5. ^ https://www.comune.roma.it/web/it/notizia.page?contentId=NWS1127992
  6. ^ Il Museo della Forma Urbis, su www.sovraintendenzaroma.it. URL consultato l'11 gennaio 2024.

Bibliografia modifica

Francesco Paolo Arata, Enrico Felici (2011), Porticus Aemilia, navalia o horrea? Ancora sui frammenti 23 e 24 b-d della Forma Urbis, Archeologia Classica 62, n.s.1: pp. 127-153.

  • Giovanni Pietro Bellori, Fragmenta vestigii veteris Romae ex lapidibus Farnesianis nunc primum in lucem edita cum notis, Romae, typis Iosephi Corvi, 1673 (Corpus belloriano Archiviato il 24 aprile 2014 in Internet Archive.).
  • Guglielmo Gatti (1934). Saepta Iulia e Porticus Aemilia nella Forma Severiana. Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma 72: pp. 123-149.
  • Gianfilippo Carettoni, Antonio Maria Colini, Lucos Cozza, Guglielmo Gatti, La pianta marmorea di Roma antica. Forma urbis Romae, 2 voll., Roma 1960.
  • Ferdinando Castagnoli (1961). La pianta marmorea di Roma antica. Gnomon 33 (6): pp. 604-610.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1975-1976). Aggiornamento topografico dei colli Oppio, Cispio e Viminale secondo la Forma Urbis marmorea. Rendiconti della Pontificia Accademia romana di Archeologia 48: pp. 263-278.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1977). Forma Urbis marmorea. Nuovi elementi di analisi e nuove ipotesi di lavoro. Mélanges de l'École Française de Rome 89: pp. 219-256.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1978-1979). Miscellanea sulla Forma Urbis marmorea. Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia 51-52: pp. 91-109.
  • Emilio Rodríguez Almeida, Forma Urbis Marmorea. Aggiornamento Generale 1980, 2 voll., Roma, Quasar, 1981.
  • Robert B. Lloyd (Jan. 1982). Three monumental gardens on the marble plan. American Journal of Archaeology 86 (1): pp. 91-100.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1983). Un nuovo frammento della Forma Urbis Marmorea. Analecta Romana Istituti Danici, Suppl. 10: pp. 87-92.
  • Filippo Coarelli, Le plan de la via Anicia in AA.VV., L'Urbs: espace urbain et histoire (Ier siècle av. J.C.-IIIe siècle ap. J.C.), Actes du colloque international organisé par le Centre national de la recherche scientifique et l'Ecole française de Rome (Rome, 8-12 mai 1985) Collection de l'Ecole française de Rome (98), Paris - Rome, de Boccard, 1987.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1988). Un frammento di una nuova pianta marmorea di Roma. Journal of Roman Archaeology (1): pp. 120-131.
  • Lucos Cozza. (1990). Adonaea nella pianta marmorea severiana. Analecta Romana 19: pp. 233-237.
  • Romana De Angelis Bertolotti (1991). Contributo per un aggiornamento della Forma Urbis. Römische Mitteilungen 98: pp. 111-120.
  • Emilio Rodríguez Almeida, Diversi problemi connessi con la lastra 37 della Forma Urbis Marmorea e con la topografia in Circo e in Campo. Rendiconti della Pontificia Accademia romana di Archeologia 64 (1): pp. 3-26.
  • Luigi Pedroni (1992). Per una lettura verticale della Forma urbis marmorea. Ostraka 2: pp. 223-230.
  • Emilio Rodríguez Almeida (1992). Novità minori dalla Forma Urbis marmorea. Ostraka 1 (1): pp. 55-80.
  • Piero Maria Lugli (1992). Considerazioni urbanistiche sulla pianta marmorea del foro della Pace. Bollettino di Archeologia
  • David West Reynolds, Forma Urbis Romae: the Severan Marble Plan and the Urban Form of Ancient Rome, Ann Arbor, University of Michigan, 1996.
  • Pier Luigi Tucci (1996). Tra il Quirinale e l'Acquedotto Vergine sulla pianta marmorea severiana: i frammenti 538 a-o. Analecta Romana Instituti Danici 23: pp. 21-33.
  • Pier Luigi Tucci (1997). Dov'erano il tempio di Nettuno e la nave di Enea?. Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 98: pp. 15-42.
  • Emilio Rodríguez Almeida (2002). Forma urbis antiquae, Le mappe marmoree di Roma tra la repubblica e Settimio Severo. Collection de l'école française de Rome 305.
  • Pier Luigi Tucci (2004). Eight Fragments of the Forma Urbis Shedding New Light on the Transtiberim. Papers of the British School at Rome 72: pp. 185-202.
  • Roberto Meneghini; Riccardo Santangeli Valenzani (a cura di), Formae Urbis Romae. Nuovi frammenti di piante marmoree dallo scavo dei Fori Imperiali (BCAR, Suppl. 15), Roma, L'Erma di Bretschneider, 2006. ISBN 88-8265-405-2. Per la recensione del volume v. Pier Luigi Tucci (2007). New Fragments of Ancient Plans of Rome. Journal of Roman Archaeology 20: pp. 469-480.
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  • Pier Luigi Tucci; Lucos Cozza (2006). Navalia. Archeologia Classica 57: pp. 175-202.
  • Pier Luigi Tucci, Imagining the Temple of Castor and Pollux in Circo Flaminio in Anna Leone, Domenico Palombi, Susan Walker (a cura di), Res Bene Gestae. Ricerche di storia urbana su Roma antica in onore di Eva Margareta Steinby, Roma, Quasar, 2007, pp. 411-425. ISBN 88-7140-353-3
  • Pier Luigi Tucci (2011-2012). The Pons Sublicius: a Reinvestigation. Memoirs of the American Academy in Rome 56-57: pp. 177-212.
  • Mattia Crespi; Ulisse Fabiani; Paolo Carafa; Maria Teresa D'Alessio, L'utilizzo delle tecnologie geomatiche e la Forma Urbis: un nuovo approccio, in Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma, vol. 111, 2012, pp. 119-142, ISSN 1828-3179 (WC · ACNP).
  • Pier Luigi Tucci (2012). La controversa storia della Porticus Aemilia. Archeologia Classica 63: pp. 575-591

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