George Smith Patton (San Gabriel, 11 novembre1885 – Heidelberg, 21 dicembre1945) è stato un generalestatunitense durante la seconda guerra mondiale e un grande esperto nell'impiego dei mezzi corazzati.
Dotato di una solida personalità, determinato e risoluto, a volte eccessivamente impulsivo ed eccentrico, dimostrò grande capacità di comando e notevole preparazione strategica durante la campagna di Sicilia e soprattutto sul fronte occidentale nel 1944-45, guidando con grande energia le sue truppe in una serie di brillanti vittorie fino al cuore della Germania. La risolutezza e la determinazione gli valsero il soprannome di "generale d'acciaio".
I russi lo chiamavano "generale dopo" perché assonante (потом, pron. patóm). All'apice della carriera amava girare con un revolverColt SAA dall'impugnatura in avorio e una cintura da cowboy fuori ordinanza, funzionale alla costruzione mediatica del personaggio-guerriero che egli amava interpretare.[1]
Patton in posa di fronte a un Renault FT nell'estate del 1918
Nel 1912 il giovane Patton partecipò alla V Olimpiade a Stoccolma nella gara di pentathlon moderno, inserita per la prima volta nel programma olimpico.[4][5] Iniziò con un modesto ventesimo posto nella prova di tiro (150 punti su 200), ma recuperò posizioni nelle prove successive. Fu settimo nel nuoto (300 metri in 5'55"6), quarto nella scherma (20 scontri vinti e sole 4 sconfitte), sesto nell'equitazione (percorso netto di 5 km e 17 ostacoli in 10'42") ed infine terzo nella corsa (4000 metri in 20'01"9). Nella classifica finale fu quinto, dietro a quattro atleti svedesi.[6]
Acquisì una certa esperienza militare al fianco del generale John Joseph Pershing, nella campagna del Messico (1916-1917) contro Pancho Villa.[7][8] Durante la spedizione contro Pancho Villa, in un conflitto a fuoco uccise Julio Cárdenas – il braccio destro di Villa – montando una mitragliatrice su un'auto (così nacque la sua ammirazione verso l'utilizzo delle unità meccanizzate in guerra); e fu promosso capitano.[9] Seguì Pershing anche quando fu a capo della spedizione americana in Europa, allo scoppio della prima guerra mondiale.[8] In Europa accumulò conoscenze sull'utilizzo dei carri armati.[9]
Il generale dimostrò subito estrema risolutezza, riuscì a riorganizzare le sue forze e sollevare il morale delle truppe molto scosso dopo la serie di sconfitte, ma non ottenne grandi risultati. Il II corpo d'armata passò all'offensiva il 17 marzo 1943 ma i ripetuti attacchi alla stretta di Maknassy, dal 23 al 25 marzo, furono respinti dai tedeschi nonostante la superiorità di uomini e mezzi degli americani. Patton riuscì a respingere un contrattacco di panzer ad El Guettar il 24 marzo, ma una nuova serie di attacchi a Fondouk e a El Guettar il 27 e 28 marzo, terminarono con pesanti perdite e scarsi risultati; i difensori italo-tedeschi mantennero le loro posizioni.[14]
Comandò il ricongiungimento delle forze statunitensi con quelle dell'8ª Armata britannica di Bernard Law Montgomery. Tra i suoi più stretti collaboratori in questa fase della guerra c'era l'allora maggiore Generale Omar Bradley.[15]
Lo sbarco in Sicilia e il massacro di BiscariModifica
Patton era uno dei più energici comandanti americani ed ebbe il comando della 7ª Armata impegnata nello sbarco in Sicilia del 10 luglio 1943. Prima dello sbarco aveva pubblicamente esortato i suoi uomini a non avere pietà: "Se si arrendono non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!". Nei giorni successivi allo sbarco avvennero diversi sanguinosi eccidi operati dalla settima armata statunitense. Il più atroce fu l'uccisione di settantatré soldati italiani, catturati il 14 luglio durante la battaglia per la conquista dell'aeroporto di "Santo Pietro" a Biscari (oggi Acate).
L'esecuzione fu compiuta dal sergente Horace West, che da solo uccise trentasei soldati italiani prigionieri, e dal plotone del capitano John Compton, che uccise trentasette italiani (West e Compton militavano, entrambi, nella 45ª Divisione). Questo terribile atto fu reso pubblico grazie a una denuncia fatta da un cappellano della 45ª Divisione, il colonnello William King e poi confermato dalle ripetute denunce inascoltate dell'unico sopravvissuto alla strage, il soldato Giuseppe Giannola.
La testimonianza del cappellano permise lo svolgersi di un regolare processo, dal quale emerse la colpevolezza del sergente Horace West che fu condannato all'ergastolo, ma non scontò neppure un anno: il governo statunitense era infatti preoccupato dalla possibilità che l'immagine americana potesse essere compromessa, soprattutto davanti all'Italia, con la quale gli Stati Uniti avevano da poco concluso l'armistizio (8 settembre 1943).
George Smith Patton, 30 marzo 1943.
Il capitano John Compton, che si difese dicendo di aver eseguito gli ordini di Patton, al contrario di West fu assolto dall'accusa di aver compiuto il massacro. È noto (attraverso dichiarazioni rilasciate da decine di soldati ed ufficiali, i quali testimoniarono al processo sui crimini di Biscari), che il generale Patton avrebbe detto ai suoi militari prima dello sbarco:
«Se si arrendono quando tu sei a due-trecento metri da loro, non badare alle mani alzate. Mira tra la terza e la quarta costola, poi spara. Si fottano, nessun prigioniero! È finito il momento di giocare, è ora di uccidere! Io voglio una divisione di killer, perché i killer sono immortali!»
Parole inequivocabili, anche se ufficiali e soldati che avevano lavorato al fianco di Patton e avevano avuto modo di conoscerlo hanno affermato che non avrebbe mai ordinato un massacro. Ad es. un amico di George Patton, il generale Everett Hughes, scrivendo al capo dell'ispettorato di Washington, dichiarò:
«Sono convinto che non ha mai ordinato di eliminare i prigionieri. Sono convinto che sia un combattente che guarda alla realtà della guerra e fa quello che pochi nel nostro esercito hanno il coraggio di fare: parla apertamente di uccidere. George crede che il modo migliore di accorciare la guerra sia ammazzare quanti più tedeschi, il più in fretta possibile.»
È anche noto (da affermazioni contenute nel diario personale del generale) che Patton ritenesse i siciliani poco valorosi, vili e troppo arrendevoli. Ad esempio racconta nel libro Patton Generale d'acciaio a pagina 64 che "quando stavamo combattendo nelle vicinanze della città (Gela, ndr), gli abitanti erano, a dire il meno, poco amichevoli; ma da quando abbiamo dimostrato che eravamo in grado di battere sia i tedeschi, sia gli italiani, si sono perfettamente "americanizzati" e impiegano il loro tempo a chiederci sigarette".
Non mancano però gli elogi al popolo italiano nel suo complesso. Al vicario del cardinale disse "sono rimasto sconcertato della testardaggine e dal coraggio degli italiani; testardi perché combattono per una causa persa, coraggiosi perché italiani". Gli episodi e i giudizi espressi da Patton sono molti e sempre influenzati dalle circostanze, e la strage resta. La spedizione in Sicilia si concluse il 17 agosto del 1943 quando lo sconfitto esercito tedesco abbandonò l'isola e si ritirò in Calabria.
La campagna di Normandia e la fine della guerraModifica
Patton fu richiamato in Gran Bretagna; fu messo a capo della 3ª Armata alcune settimane dopo lo sbarco in Normandia avvenuto il 6 giugno del 1944; durante la battaglia di Normandia si distinse in maniera particolare nelle operazioni di conquista di alcune importanti città francesi come Nantes, Orléans, Avranches, Nancy e Metz. Respinse in maniera esemplare la controffensiva tedesca delle Ardenne, (16 dicembre 1944), contrattaccando e mettendo in fuga l'esercito tedesco[N 1].
Riprese l'avanzata e, superato il Reno, si spinse fino a Plzeň, al confine cecoslovacco; qui l'ordine diretto del generale Dwight Eisenhower gli impedì di continuare l'avanzata verso Praga che fu invece raggiunta dalle armate corazzate sovietiche del maresciallo Ivan Konev l'11 maggio 1945, costringendolo a fermarsi e a congiungersi con le truppe sovietiche provenienti dall'Austria, le forze del 3 ° Fronte Ucraino del maresciallo Fedor Tolbuchin.
Sulla questione gli storici discutono ancora e, a dispetto di dietrologi che ancora imputano ad Eisenhower una certa "mollezza" politica per aver voluto evitare frizioni con l'alleato sovietico, la maggior parte degli storici ritiene che la sua avanzata avrebbe creato un grave e pericoloso squilibrio nella linea strategica attentamente tracciata e fatta eseguire da Eisenhower, noto per le sue grandi capacità di organizzatore e stratega.
Suscitò discussioni la sua decisione di non trattare i prigionieri di guerra delle Schutzstaffeln diversamente dagli altri, asserendo che tale corpo era diventato troppo numeroso nel corso della guerra per essere diverso dagli altri eserciti.[17]
Altrove dichiarò di essere caldamente a favore di un'azione congiunta anglo-americana e tedesca in funzione anti-sovietica, dal momento che a suo dire l'URSS non avrebbe avuto motivo di restare in rapporti amichevoli con l'Occidente una volta crollato il Reich.[18]
Sembra che Patton fosse convinto dell'inevitabilità di una guerra contro i sovietici, che ipotizzasse di riarmare subito l'esercito tedesco per impiegarlo accanto agli eserciti anglo-americani e che auspicasse un attacco immediato all'Armata Rossa; egli credeva ottimisticamente di "ricacciare quei dannati russi a Mosca in tre mesi". Patton riteneva pure che gli ebrei si sarebbero opposti ad un'alleanza con i tedeschi e che provassero simpatia per l'Unione Sovietica.[19] Egli avrebbe affermato che l'"influenza semitica nella stampa" mirava a "promuovere il comunismo".[19] Dichiarazioni di questo tenore suscitarono polemiche e favorirono la destituzione del generale da incarichi operativi di comando.[19]
Patton fu amareggiato per non aver ricevuto alcun incarico nelle ultime fasi della Guerra del Pacifico, e si rassegnò al suo ruolo di amministratore militare della Baviera.[20]
Il 9 dicembre 1945, mentre si dirigeva ad una battuta di caccia al fagiano insieme al generale Hobart Gay, rimase coinvolto in un incidente stradale nei pressi di Spira: ad un incrocio la sua la limousine Cadillac del 1938 si scontrò violentemente contro un autocarro dell'esercito americano.[21][22] Nessuno rimase ferito tranne Patton che, seduto sul sedile posteriore, fu sbalzato in avanti ed urtò violentemente la testa sul sedile anteriore, rompendosi l'osso del collo. Pur avendo riportato irreversibili e gravi traumi, riuscì a sopravvivere tra atroci sofferenze altri dieci giorni. Mentre sembrava che le condizioni si fossero ristabilite, morì di edema polmonare e congestione cardiaca, alle 17.45 del 21 dicembre 1945, all'età di sessant'anni.[21] La sua morte ha originato ipotesi di un complotto per eliminarlo, a garanzia del patto di Jalta.[23][24]
Venne sepolto, secondo le sue volontà, nel cimitero americano del Lussemburgo, insieme agli altri soldati caduti nell'offensiva delle Ardenne.
^Patton riunì i suoi ufficiali e comunicò che i tedeschi stavano organizzando una controffensiva per Natale e che bisognava coglierli di sorpresa mentre erano ancora occupati con i preparativi. Il 16 dicembre gli americani attaccarono e trovarono i tedeschi nelle condizioni descritte da Patton. I suoi ufficiali gli chiesero come avesse fatto a saperlo. Patton rispose che aveva avuto una "ispirazione improvvisa".
Comitato Olimpico Svedese, The Official Report of the Olypmic Games of Stockholm 1912, Wahlström & Widstrand, Stoccolma 1913 (Versione digitalizzataArchiviato il 26 maggio 2006 in Internet Archive.)
Ladislas Farago, Patton: Ordeal and Triumph, New York, Ivan Sergeyevich Obolensky, 1964, ISBN978-1-59416-011-0.
B. H. Liddell Hart, Storia militare della Seconda Guerra Mondiale (History of the Second World War), in Collezione Le Scie, traduzione di Vittorio Ghinelli, Milano, Mondadori, 1970.