Homalodotherium

genere di animali della famiglia Homalodotheriidae

Homalodotherium è un genere estinto di mammiferi notoungulati, appartenente ai tossodonti. Visse nel Miocene inferiore (circa 20 milioni di anni fa) e si suoi resti fossili sono stati ritrovati in Argentina.

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Homalodotherium
Homalodotherium cunninghami
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Mammalia
Ordine Notoungulata
Sottordine Toxodonta
Famiglia Homalodotheriidae
Genere Homalodotherium

Descrizione modifica

Lungo un paio di metri e alto circa un metro e mezzo, questo animale assomigliava molto ai rappresentanti di un altro gruppo di mammiferi, gli ancilopodi, caratteristici però dell'emisfero settentrionale e non imparentati con l'omalodoterio, che apparteneva al gruppo molto diversificato dei notoungulati. Le somiglianze riguardano lo scheletro, davvero bizzarro per alcune caratteristiche. Come gli ancilopodi, l'omalodoterio possedeva lunghe zampe anteriori e robusti arti posteriori. Le estremità terminavano in grossi artigli, e il piede era plantigrado. Le "mani", invece, dovevano essere digitigrade.

Il profilo di questo mammifero era leggermente pendente, dal momento che gli arti anteriori erano più lunghi di quelli posteriori. Il muso era raccorciato, con le ossa nasali poste in alto sul cranio (il che indica la probabile presenza di una corta proboscide nell'animale in vita); i denti, in fila serrata, non erano molto specializzati (da qui il nome che significa "bestia dai denti uguali") e i canini non erano prominenti, al contrario di quelli di animali affini ma più antichi, come Thomashuxleya.

 
Palato fossile, Homalodotherium cunninghami. Museo de La Plata

Le apofisi delle vertebre toraciche erano poco sviluppate, e questo fatto ha portato i paleontologi a sospettare che l'omalodoterio pascolasse abitualmente in posizione semieretta (il che non richiederebbe un grande sviluppo dei muscoli nucali per sostenere il cranio), facendo perno sul possenti arti posteriori e utilizzando quelli anteriori per aggrapparsi ai rami.

Classificazione modifica

Homalodotherium venne descritto per la prima volta da Flower nel 1873, sulla base di resti fossili ritrovati in Argentina. La specie tipo è Homalodotherium cunninghami, ma sono state descritte in seguito altre specie: H. segoviae, H. crassum e H. encursum. Si conoscono altre forme simili, Asmodeus e Chasicotherium. Questi animali formano la famiglia degli omalodoteriidi, un piccolo gruppo di mammiferi sudamericani appartenenti ai notoungulati.

Paleobiologia modifica

 
Zampa anteriore destra di Homalodotherium segoviae

È stato proposto che Homalodotherium fosse un animale scavatore, che estraeva radici e tuberi grazie ai forti artigli; tuttavia, un'analisi dettagliata della morfologia degli arti di questo animale ha indotto a ritenere che Homalodotherium non fosse uno scavatore. La struttura dell'arto anteriore è invece compatibile con movimenti veloci e potenti della parte distale dell'arto, forse utilizzati a scopo di difesa. Gli arti posteriori, estremamente robusti e plantigradi, rendevano possibile una postura bipede; probabilmente Homalodotherium si nutriva di foglie degli alberi, che strappava grazie agli artigli (Elissamburu, 2010).

Bibliografia modifica

  • Flower, W.F. 1873. On a newly discovered extinct mammal from Patagonia, Homalodotherium cunninghami. Proceedings of the Royal Society of London 1873: 383–384.
  • Scott, W.B. 1930. A partial skeleton of Homalodontotherium from the Santa Cruz Beds of Patagonia. Field Museum of Natural History, Geology Memoirs 1: 7-34.
  • Riggs, E.S. 1937. Mounted skeleton of Homalodotherium. Geological series of Field Museum of Natural History 6 (17): 233–243.
  • Coombs, M.C. 1983. Large mammalian clawed herbivores: a comparative study. Transactions of the American Philosophical Society 73: 1-96.
  • Elissamburu, A. 2010. Estudio biomecánico y morfofuncional del esqueleto apendicular de Homalodotherium Flower 1873 (Mammalia, Notoungulata). Ameghiniana vol.47 no.1 Buenos Aires ene./mar. 2010

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