Ilio Barontini

partigiano e politico italiano

«Il cavaliere della libertà dei popoli.»

(Arrigo Boldrini[1])

Ilio Barontini (Cecina, 28 settembre 1890Scandicci, 22 gennaio 1951) è stato un partigiano e politico italiano.

Ilio Barontini

Deputato dell'Assemblea Costituente
In carica
Gruppo
parlamentare
Comunista
CircoscrizionePisa
Incarichi parlamentari
  • Componente della Quarta Commissione per l'esame dei disegni di legge
Sito istituzionale

Senatore della Repubblica Italiana
In carica
LegislaturaI
Gruppo
parlamentare
Comunista
CircoscrizioneToscana
CollegioLivorno
Sito istituzionale

Dati generali
Partito politicoPartito Comunista Italiano
Professioneferroviere

Antifascista di matrice anarchica, socialista e, successivamente, comunista, combattente nella guerra di Spagna e in Cina, nella resistenza in Etiopia, in Francia e in Italia, senatore del PCI, cittadino onorario della città di Bologna. Decorato dalle forze alleate con la Bronze Star Medal e dall'Unione Sovietica con l'Ordine della Stella Rossa.

BiografiaModifica

La gioventùModifica

Barontini nacque a Cecina da famiglia di matrice politica anarchica. Sensibile ai temi della politica, a 13 anni era già un militante anarchico. A 15 anni iniziò a lavorare come operaio tornitore presso il Cantiere Orlando di Livorno, iscrivendosi al Partito Socialista Italiano. Negli anni che precedettero la prima guerra mondiale si dichiarò "non interventista". Dopo la guerra, nel 1919, partecipò ai lavori del gruppo politico de L'Ordine Nuovo, fondato da Antonio Gramsci.

Nel 1921 fu fra i fondatori del Partito Comunista d'Italia nel congresso di Livorno. Successivamente fu eletto sia come consigliere comunale che responsabile della Camera del Lavoro della CGIL della città di Livorno. Con l'avvento del fascismo subì arresti, denunce e aggressioni, ma non si arrese mai e tornò sempre alla militanza politica. Fra i dirigenti del Partito Comunista d'Italia fece parte della minoranza favorevole all'ingresso delle formazioni antifasciste di difesa del Partito nel Fronte Unito Arditi del Popolo.

Espatrio in FranciaModifica

Per sfuggire alla cattura a seguito di una condanna a tre anni inflittagli dal Tribunale Speciale fascista nel 1931 espatriò avventurosamente in Francia con una pericolosa attraversata in barca attraverso la Corsica, rifugiandosi a Marsiglia. Il suo lavoro di militante rivoluzionario e antifascista proseguì nella clandestinità tra gli esuli italiani.

Nell'URSS e in CinaModifica

In URSS Barontini perfezionò le sue capacità militari presso i centri di addestramento dell'Armata Rossa, frequentando l'Accademia Militare Frunze a Mosca, ottenendo il grado di Maggiore[2]. Il suo primo incarico con quel grado fu in Cina, in appoggio al Partito Comunista Cinese di Mao Tse-tung. Sarà questa esperienza a metterlo per la prima volta in contatto con le tecniche della guerriglia, ampiamente usate e sperimentate dai comunisti cinesi.

In SpagnaModifica

Nel 1936 Barontini partecipò in Spagna alle prime fasi della Guerra civile. Sostituì Randolfo Pacciardi, ferito, alla guida del Battaglione Garibaldi (unità combattente italiana delle Brigate Internazionali), nella battaglia di Guadalajara, dimostrando - a detta di Giovanni Pesce, altro combattente del battaglione - eccezionali capacità di trascinatore militare. Il valore e le qualità dimostrate da Barontini a Guadalajara erano così manifeste, che il Comintern decise di inviarlo sul fronte della guerra di Etiopia in appoggio alla Resistenza locale.

In EtiopiaModifica

Barontini nel 1938 si trasferì, su indicazione di Giuseppe Di Vittorio, in Etiopia, unendosi ad altri esponenti dell'Internazionale Comunista, i cosiddetti "tre apostoli": Barontini era Paulus, lo spezzino Domenico Rolla era Petrus e il triestino Anton Ukmar era Johannes[3]. Il gruppo degli "apostoli" fondò il foglio La Voce degli Abissini e addestrò e organizzò i guerriglieri etiopici, con risultati talmente positivi da far ottenere a Barontini da parte del Negus il titolo di "vice-imperatore". Venne messa una taglia su di lui, ma il Barontini riuscì a fuggire in Sudan, accolto a Khartoum dal generale britannico Harold Alexander che gli concesse un riconoscimento per i meriti acquisiti nell'organizzazione della resistenza all'invasione fascista italiana in Etiopia.

In FranciaModifica

Nel momento in cui la Francia cadde sotto il controllo dei nazisti, con l'ascesa al potere del governo Pétain, Barontini organizzò militarmente i nuclei di partigiani francesi comunisti, denominati "Francs-tireurs partisans (FTP)", fidando sull'appoggio anche della classe operaia francese che mal sopportava gli occupanti tedeschi. I partigiani francesi del Maquis utilizzarono nei combattimenti delle bombe soprannominate "Giobbe", inventate da Barontini stesso, così chiamate dal nome di battaglia da lui utilizzato in Francia.

In ItaliaModifica

Immediatamente a seguito della caduta del Fascismo e dell'Armistizio dell'8 settembre 1943 Barontini tornò in Italia per contribuire alla lotta di liberazione dai nazifascisti, assumendo il nome di battaglia di "Dario". Dotato di ottime capacità di organizzatore e di una notevole esperienza militare nella guerriglia, durante la Resistenza fu il perno dell'organizzazione antifascista in diverse città e zone d'Italia. Organizzò le Squadre di Azione Patriottica (SAP) e i Gruppi di azione patriottica (GAP) a Torino, a Milano, in Emilia, a Roma. Di lui parla con grande ammirazione Giorgio Amendola in Comunismo, antifascismo e Resistenza.

In Emilia-Romagna diresse la lotta di Resistenza in qualità di comandante del CUMER (Comando Unificato Militare Emilia-Romagna), con centro operativo a Bologna. Antonio Roasio[4] nel suo libro Figlio della classe operaia descrive le peregrinazioni fatte nel centro-nord della penisola da Barontini e del come insegnasse a gappisti e sappisti le tecniche militari apprese in tanti anni di battaglie, sui svariati fronti di guerra (e forse anche dagli esperti istruttori dell'Armata Rossa) - dall'uso di una bomba a mano al metodo più spiccio per far deragliare un convoglio - ricordandolo attivo nel "visitare le città dell'Italia centro-settentrionale per organizzare e far funzionare i gruppi gappisti. Studiava gli uomini, le loro caratteristiche, insegnava i primi elementi sulla costruzione di bombe a mano, bombe a scoppio ritardato, come far deragliare un treno, ecc. Aveva sempre con sé una vecchia borsa sgualcita, che certo non poteva passare per quella di un avvocato. Un giorno gli chiesi che cosa custodisse tanto gelosamente: l'aprì, c'erano dei panini, alcuni oggetti personali e dei candelotti di dinamite[5].

Nel dopoguerraModifica

Finita la seconda guerra mondiale fece parte della Consulta Nazionale. Fu eletto nel 1946 con il PCI deputato all'Assemblea Costituente nella circoscrizione di Pisa, e nel 1948 al Senato della Repubblica, dove fu segretario della commissione Difesa.[6]

Per la sua attività fu decorato con la Bronze Star ancora dal generale Alexander, mentre Giuseppe Dozza gli conferì il titolo di cittadino onorario della città di Bologna. L'Unione Sovietica gli conferì il prestigioso Ordine della Stella Rossa.

Morì in un incidente automobilistico a Scandicci nel 1951 all'età di 60 anni, di ritorno da un congresso del PCI, assieme ai dirigenti comunisti livornesi Leonardo Leonardi e Otello Frangioni.

OnorificenzeModifica

  Medaglia commemorativa del periodo bellico 1940-43
  Medaglia commemorativa della guerra di liberazione
  Medaglia di benemerenza per i Volontari della Guerra 1940–43
  Distintivo di Volontario della Libertà
  Bronze Star Medal (Stati Uniti d'America)
  Ordine della Stella Rossa (Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche)

Il ricordoModifica

È stata istituita la Coppa Barontini importante palio remiero livornese.[7]

NoteModifica

  1. ^ Definizione di Ilio Barontini, cit. in C. De Simone, Gli anni di Bulow, Milano, Mursia, 1996, p. 227.
  2. ^ "Largo a Pacciardi" di Alberto Indelicato da "Liberal" 14 ottobre-novembre 2002
  3. ^ A. Bianchi, Storia del movimento operaio di La Spezia e Lunigiana. 1861-1945, Editori riuniti, 1975, p. 214.
  4. ^ Biografia di Antonio Roasio (ANPI).
  5. ^ A. Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977.
  6. ^ Portale storico Camera
  7. ^ Coppa Barontini, su senzasoste.it. URL consultato il 13 giugno 2011 (archiviato dall'url originale il 23 giugno 2011).

BibliografiaModifica

  • Ena Frazzoni "Nicoletta", Ilio Barontini "Dario", in Luigi Arbizzani - Giorgio Colliva - Sergio Soglia (a cura di), "Bologna è libera. Pagine e documenti della Resistenza", Bologna, ANPI, 1965, pp. 169–172.
  • Giorgio Amendola, Comunismo, antifascismo e Resistenza, Roma, Editori Riuniti, 1967.
  • Ena Frazzoni, Note di vita partigiana a Bologna, Bologna, Tamari, 1972.
  • Antonio Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977.
  • Era Barontini - Vittorio Marchi, Dario. Ilio Barontini, Livorno, Nuova Fortuna, 1988.
  • Fabio Baldassarri, Ilio Barontini. Fuoriuscito, internazionalista, partigiano, Robin Edizioni, 2013.
  • Mario Tredici, Gli altri e Ilio Barontini. Comunisti livornesi in Unione Sovietica, Ets, 2017.

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