La ricchezza delle nazioni

saggio di Adam Smith

La ricchezza delle nazioni o per esteso Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni (An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations), è la principale opera (saggio economico) di Adam Smith, ritenuto il fondatore dell'economia politica.

La ricchezza delle nazioni
Titolo originaleAn Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations
Altro titoloIndagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni
AutoreAdam Smith
1ª ed. originale1776
Generesaggio
Lingua originaleinglese

Scritta tra il 1767 e il 1773 a Kirkcaldy, dopo un viaggio in Europa come precettore di un giovane aristocratico durante il quale l'autore ebbe occasione di conoscere gli intellettuali del tempo (Voltaire, D'Alembert, François Quesnay e altri) e contestualizzata storicamente nel periodo che precede la guerra d'indipendenza americana (1779), fu completata a Londra, dove fu pubblicata il 9 marzo 1776, l'anno della Dichiarazione d'indipendenza. Nella quarta edizione del libro del 1786, Smith dedica questo ad Henry Hope, banchiere di Amsterdam.[1]

Descrizione modifica

 
Adam Smith

Il monopolio dell'industria manifatturiera (inglese) fu una delle cause scatenanti il conflitto con l'Inghilterra che non voleva la nascita di un'industria sul suolo americano. L'autore assume in merito una posizione contraria all'intervento statale: infatti l'affermazione del laissez faire nel caso americano avrebbe comunque significato il mantenimento delle importazioni dalla madrepatria inglese. A tale politica economica la teoria smithiana forniva inoltre anche un fondamento teorico e in quest'opera comparve infatti per la prima volta la metafora della mano invisibile.

L'opera formalmente è composta da cinque Libri:

  1. Delle cause del progresso nelle capacità produttive del lavoro, e dell'ordine secondo cui il prodotto viene naturalmente a distribuirsi tra i diversi ceti della popolazione tratta gli effetti della divisione del lavoro ed è esposta in dettaglio la teoria smithiana del valore e della distribuzione del reddito;
  2. Della natura, dell'accumulazione e dell'impiego dei fondi tratta del ruolo svolto dalla moneta e la teoria dell'accumulazione del capitale;
  3. Del diverso progresso della prosperità nelle diverse nazioni, contiene un'esposizione critica della storia economica dalla caduta dell'impero romano;
  4. Dei sistemi di economia politica è un piccolo trattato di storia del pensiero economico e contiene la critica radicale della dottrina mercantilista e fisiocratica;
  5. Del reddito del sovrano e della repubblica analizza il ruolo dello Stato e delle finanze statali nello sviluppo economico.

Il lavoro come fonte della ricchezza delle nazioni modifica

 
Frontespizio dell'edizione originale della Ricchezza delle Nazioni, Londra, 1776

Smith individua nel lavoro svolto "il fondo da cui ogni nazione trae in ultima analisi tutte le cose necessarie e comode della vita". Tali beni sono o il prodotto immediato di tale lavoro, oppure il risultato di uno scambio di questi ultimi con quelli cercati.

Tuttavia, nota Smith, la quantità della produzione sarà il risultato di due cause distinte:

  • "l'arte, la destrezza e l'intelligenza con cui vi si esercita il lavoro", che sono le determinanti della capacità produttiva dello stesso;
  • il rapporto tra coloro che sono impiegati in lavori produttivi e coloro che non lo sono, quelli che Smith chiama lavoratori improduttivi.

In Smith la ricchezza di una nazione non deriva quindi dalla quantità di risorse naturali o metalli preziosi di cui essa può disporre, come ritenevano i mercantilisti, né è generata solo dalla terra, l'unica risorsa capace di produrre un sovrappiù per i fisiocratici, ma dal lavoro produttivo in essa svolto, e dalla capacità produttiva di tale lavoro.

La divisione del lavoro modifica

 
Inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, 1922

Nel Capitolo I Smith passa all'individuazione dei fattori che influiscono su tale produttività. A tale proposito afferma:

«La causa del progresso nelle capacità produttive del lavoro, nonché della maggior parte dell'arte, destrezza e intelligenza con cui il lavoro viene svolto e diretto, sembra sia stata la divisione del lavoro»

A tale affermazione segue la celebre descrizione dei vantaggi della divisione del lavoro nella manifattura degli spilli:

«Io ho visto una piccola manifattura...dove erano impiegati soltanto dieci uomini e dove alcuni di loro, di conseguenza, compivano due o tre operazioni distinte. Ma, sebbene fossero molto poveri e perciò solo mediocremente dotati dei macchinari necessari, erano in grado, quando ci si mettevano, di fabbricare, fra tutti,...più di quarantottomila spilli al giorno. Si può dunque considerare che ogni persona, facendo la decima parte di quarantottomila, fabbricasse quattromilaottocento spilli al giorno. Se invece avessero lavorato tutti in modo separato e indipendente e senza che alcuno di loro fosse stato previamente addestrato a questo compito particolare, non avrebbero certamente potuto fabbricare neanche venti spilli per ciascuno»

Smith osserva poi che i vantaggi della divisione del lavoro sono massimi nella manifattura, mentre nelle attività agricole, dato il carattere di tali attività, sebbene vantaggi possano essere ottenuti, questi saranno necessariamente limitati.

L'accentuato incremento della produttività collegato alla divisione del lavoro è per Smith il risultato di tre cause distinte:

  • la maggior destrezza (dexterity) dell'operaio nello svolgere le attività che gli sono affidate, dovuta alla semplificazione delle stesse;
  • il risparmio di tempo che si perde di solito nel passare da un tipo di lavoro ad un altro;
  • la possibilità di meccanizzazione del processo, reso più semplice dalla suddivisione del processo in attività elementari.

Riguardo all'ultimo fattore Smith rileva che la divisione del lavoro, non solo migliora l'applicabilità al processo di macchine già esistenti, ma agevola l'invenzione di nuove macchine.

La divisione del lavoro opera sia all'interno della singola manifattura, sia a livello più generale come divisione sociale del lavoro:

«Con il progredire della società, la filosofia o speculazione, diviene, come ogni altra occupazione, l'unica o la principale attività professionale di una particolare categoria di cittadini e, come ogni altra occupazione, anch'essa si suddivide in un gran numero di rami diversi, ciascuno dei quali occupa una particolare categoria o un particolare gruppo di filosofi. E questa suddivisione delle occupazioni...accresce la perizia e fa risparmiare tempo.»

Per Smith la divisione del lavoro non è tuttavia il risultato di una "consapevole intenzione degli uomini", ma piuttosto la "conseguenza necessaria" dell'inclinazione naturale di questi al commercio.

Il baratto o lo scambio del prodotto del proprio lavoro con quello degli altri si realizza nel mercato.

Poiché dunque per Smith la possibilità di scambiare è il primum movens della divisione del lavoro, quest'ultima risulta "limitata dall'ampiezza del mercato".

Poiché la possibilità di servirsi di mercati internazionali è stata comunque sempre impedita dall'esistenza di barriere di natura sia legale che istituzionale, un posto di rilievo nello sviluppo delle nazioni hanno rivestito i mercati interni. Per Smith la prosperità degli antichi Egizi, come dei Cinesi, nonostante queste civiltà abbiano incoraggiato il commercio estero, è dovuta in larga parte all'ampiezza dei mercati interni.

Se da un lato l'ampiezza del mercato stimola la divisione del lavoro; dall'altro una crescente divisione del lavoro aumenta la dimensione dei mercati generando circoli virtuosi.

Valori e prezzi modifica

Dopo una breve interessante analisi dell'origine e delle funzioni della moneta, Smith distingue le due accezioni con cui il termine valore può essere utilizzato in riferimento ad un bene:

A tale proposito egli osserva:

«Le cose che hanno il maggior valore d'uso hanno spesso poco o nessun valore di scambio; e, al contrario, quelle che hanno maggior valore di scambio hanno spesso poco o nessun valore d'uso.»

A questa affermazione fa seguito il celebre esempio del paradosso dell'acqua e del diamante, che costituì anche il punto di partenza per lo sviluppo della teoria soggettiva del valore sviluppata dai marginalisti e centrata sul concetto dell'utilità marginale dei beni. Osserva Smith:

«Nulla è più utile dell'acqua, ma difficilmente con essa si comprerà qualcosa, difficilmente se ne può avere qualcosa in cambio. Un diamante, al contrario, ha difficilmente qualche valore d'uso, ma in cambio di esso si può ottenere una grandissima quantità di altri beni.»

Il lavoro comandato come misura del valore "reale" modifica

Nelle società moderne, in cui la divisione del lavoro si è pienamente affermata, la maggior parte delle cose di cui un uomo ha bisogno le trae dal lavoro di altri.

«[Un uomo] sarà ricco o povero secondo la quantità di lavoro che può comandare, ovvero che può permettersi di comprare. Il valore di una merce... è quindi uguale alla quantità di lavoro che essa...mette in grado di comandare. Il lavoro è dunque la misura reale del valore di scambio di tutte le merci.»

La quantità di lavoro che la merce riesce a comprare, o comandare (il cosiddetto lavoro-comandato), è dunque per Smith la misura del valore della merce. Poiché il lavoro è l'origine della ricchezza delle nazioni, questo diventa anche la misura ultima del valore. Tuttavia, nota Smith, nonostante il lavoro sia la misura reale del valore di scambio delle merci, non è

«per suo mezzo che il loro valore viene di solito stimato...[poiché] accertare il rapporto tra due diverse quantità di lavoro è spesso difficile...Inoltre, ogni merce viene scambiata, e quindi paragonata, più spesso con altre merci che col lavoro. È quindi più naturale stimare il suo valore in base alla quantità di qualche altra merce, piuttosto che in base alla quantità di lavoro che essa può comprare.»

Tra le merci, con la progressiva evoluzione dei commerci, alcune, come l'oro e l'argento, sono state scelte come mezzo di scambio privilegiato e sono diventate moneta. Ciononostante, anche l'oro e l'argento, come qualsiasi altra merce cambiano nello spazio e nel tempo il loro valore. Al contrario, per Smith, il valore del lavoro per il lavoratore è tendenzialmente lo stesso in ogni tempo e luogo, perché uguale valore per il lavoratore hanno i beni che egli deve sacrificare per compierlo:

«Nel suo stato ordinario di salute, di forza e d'animo, al livello ordinario della sua arte e della sua destrezza, egli deve sacrificare la stessa quota del suo riposo, della sua libertà e della sua felicità...Soltanto il lavoro dunque, non variando mai nel suo proprio valore, è l'ultima e reale misura con cui il valore di tutte le merci può essere stimato e paragonato in ogni tempo e luogo. È il loro prezzo reale; la moneta è solo il loro prezzo nominale

Subito dopo però Smith nota che, nonostante il valore del lavoro per colui che lo presta sia tendenzialmente sempre uguale, per colui che lo utilizza il suo valore può cambiare, ma ciò dipende dalla produttività media del lavoro stesso, che fa più o meno care le merci che esso produce. Così, il valore del lavoro, quando come numerario sono scelte le merci che esso produce, varia perché a variare è il valore del numerario prescelto. Questo è il motivo per cui il 'prezzo' del lavoro in oro o argento (il salario) cambia continuamente.

Inoltre, poiché la possibilità di disporre di lavoro è legata alla possibilità di garantire la sussistenza del lavoratore, quelle merci, come il grano, nell'acquisto delle quali i lavoratori spendono la maggior parte del loro reddito (le cosiddette merci-salario), tenderanno a mantenere relativamente costante nel tempo e nello spazio il loro valore reale, cioè la quantità di lavoro che riescono a comandare. Anche se, nota Smith subito dopo,

«la sussistenza del lavoratore, cioè il prezzo reale del lavoro, è assai diversa...in diverse occasioni: più liberale in una società che progredisce verso la prosperità che in una che è ancora stazionaria, e più in una stazionaria che in una che va indietro.»

Tuttavia, la suddetta stabilità del valore reale del grano, se è vera per confronti molto lontani nel tempo ("da un secolo all'altro"), non risulta più vera nel breve periodo:

«Da un anno all'altro, al contrario, l'argento è una misura migliore del grano perché uguali quantità di argento si avvicineranno di più a comandare la stessa quantità di lavoro.»

Questo accade perché l'esatta misura del valore di scambio nominale di tutte le merci è la moneta ed il prezzo reale e quello nominale di tutte le merci sono tra di loro, "nello stesso tempo e luogo", in un rapporto ben determinato.

Il Capitolo VI del Libro I: Delle parti componenti il prezzo delle merci modifica

Il Capitolo VI del Libro I della Ricchezza delle Nazioni si apre con la celebre esposizione della teoria del lavoro-incorporato:

«In quello stadio primitivo e rozzo della società che precede l'accumulazione dei fondi e l'appropriazione della terra, il rapporto tra le quantità di lavoro necessarie a procurarsi diversi oggetti sembra sia la sola circostanza che possa offrire una qualche regola per scambiarli l'uno con l'altro. Se, ad esempio, in un popolo di cacciatori uccidere un castoro costa di solito un lavoro doppio rispetto a quello che occorre per uccidere un cervo, un castoro si scambierà naturalmente per due cervi, ovvero avrà il valore di due cervi. È naturale che ciò che è di solito il prodotto del lavoro di due giorni o di due ore abbia un valore doppio di ciò che è di solito il prodotto del lavoro di un giorno o di un'ora.»

«Se una specie di lavoro è più faticosa di un'altra, si darà un qualche riconoscimento alla maggiore durezza; e il prodotto del lavoro di un'ora della prima specie si scambierà spesso per il prodotto del lavoro di due ore della seconda.»

«Oppure, se una specie di lavoro richiede un grado non comune di destrezza e di ingegno, la stima che gli uomini hanno per questi talenti darà naturalmente al loro prodotto un valore superiore a quello che sarebbe dovuto al tempo di lavoro che vi si è impiegato...»

«In questa situazione l'intero prodotto del lavoro appartiene al lavoratore e la quantità di lavoro comunemente impiegata nel procurarsi o nel produrre una merce è l'unica circostanza che può regolare la quantità di lavoro che essa dovrebbe comunemente comprare o comandare o ricevere in cambio.»

Tuttavia per Smith:

«Non appena i fondi si sono accumulati nelle mani di singole persone, alcune di loro li impiegheranno naturalmente nel mettere al lavoro gente operosa, a cui forniranno materiali e mezzi di sussistenza allo scopo di trarre profitto dalla vendita delle loro opere o da ciò che il loro lavoro aggiunge al valore dei materiali. Nello scambiare il manufatto finito con moneta, con lavoro o con altri beni, oltre a quanto basti a pagare il prezzo dei materiali e il salario degli operai, qualcosa deve'essere dato per i profitti dell'imprenditore dell'opera, il quale rischia i suoi fondi nell'impresa. Il valore che gli operai aggiungono ai materiali si divide dunque in questo caso in due parti, una delle quali paga il loro salario, mentre l'altra paga i profitti di chi li impiega sul complesso dei fondi che ha anticipato per i materiali e i salari.»

Per Smith dunque il profitto, proporzionale al capitale anticipato per mezzi di produzione, materie prime e salari, in seguito all'accumulazione dei fondi entra necessariamente a far parte del prezzo delle merci. Egli osserva che questo è riconosciuto per il rischio sopportato da chi impiega i fondi, e non va confuso con il compenso spettante per il lavoro di direzione o ispezione, in quanto è dovuto anche se tale attività è di fatto affidata a terzi.

«Nel prezzo delle merci i profitti dei fondi costituiscono dunque una parte componente del tutto diversa dai salari del lavoro, e regolata da principi interamente diversi.»

Dopo l'accumulazione dei fondi si crea così una scissione tra il lavoro contenuto ("la quantità di lavoro comunemente impiegata per procurarsi o produrre una merce") e il lavoro comandato ("la quantità di lavoro che essa può comunemente comprare, o comandare, o ricevere in cambio").

Inoltre, dopo che tutta la terra di un paese è stata appropriata ("non appena la terra di un paese diventa tutta proprietà privata"), per Smith nel prezzo della merce deve di necessità entrare anche un'altra componente che remuneri il proprietario della terra utilizzata nel processo produttivo: la rendita.

Dunque il prezzo di una merce (finale e intermedia) risulta dalla somma delle tre componenti di reddito: salari, profitti e rendite.

«In ogni società il prezzo di ogni merce si risolve, in definitiva, nell'una o nell'altra di queste parti, o in tutte e tre, mentre in ogni società progredita tutte e tre entrano, poco o tanto, come componenti del prezzo della maggior parte delle merci.»

Ciononostante il lavoro rimane la misura del valore reale di tutte e tre le componenti:

«...il valore reale di tutte le diverse componenti del prezzo è misurato dalla quantità di lavoro che ognuna di esse può comprare o comandare.»

Smith giunge a questo attraverso una serie di passaggi logici, a volte soltanto impliciti. Da un lato quello con cui risolve il prezzo di ogni merce nella somma delle tre componenti di reddito e in un insieme di merci utilizzate nella sua produzione; queste ultime a loro volta ridotte nella somma di salari, profitti e rendite e in un insieme di quantità fisiche di mezzi di produzione. L'operazione è ripetuta diminuendo a ciascun passaggio il residuo di mezzi di produzione prodotti, fino a quando rimangono solo salari, profitti e rendite. Dall'altro quello in cui ogni merce prodotta è collegata alla quantità di lavoro direttamente necessaria a produrla e ad un insieme di mezzi di produzione; questi a loro volta ridotti a quantità di lavoro e ad altri mezzi di produzione. L'operazione è ripetuta arrivando a vedere il sistema economico come un insieme di settori che collegano i beni di consumo finali a quello che per Smith è l'unico fattore produttivo originario: il lavoro.

Smith nota infine:

«Se la società dovesse impiegare annualmente tutto il lavoro che può annualmente comprare, siccome la quantità di lavoro aumenterebbe molto ogni anno, il prodotto di ciascun anno avrebbe un valore assai maggiore di quello dell'anno precedente. Ma non c'è nessun paese in cui tutto il prodotto annuale sia impiegato nel mantenimento degli operosi. Gli oziosi ne consumano ovunque una grossa parte; e secondo i diversi rapporti in cui esso è annualmente diviso fra questi due diversi ordini, il suo valore ordinario o medio deve aumentare o diminuire o rimanere uguale da un anno all'altro.»

Prezzo naturale e prezzo di mercato modifica

Per Smith in ogni società o ambiente esistono saggi ordinari o naturali di salari, profitti e rendita. Tali saggi dipendono da:

  • le "condizioni generali della società, dalla sua ricchezza o povertà e dalla situazione di progresso, di stasi o di regresso";
  • la natura specifica dei diversi possibili impieghi per salari e profitti, e dalla fertilità della terra per la rendita.

«Quando il prezzo di una merce non è né più né meno di ciò che è sufficiente a pagare la rendita della terra, i salari del lavoro e i profitti dei fondi impiegati nel coltivare, preparare e portare al mercato la merce stessa, secondo i loro saggi naturali, quella merce verrà venduta per quello che si può chiamare il suo prezzo naturale

Il prezzo naturale può essere diverso dal prezzo effettivo di vendita della merce, cioè il prezzo di mercato. Quest'ultimo è regolato dal rapporto tra la quantità effettivamente offerta e la domanda di coloro che sono disposti ed in grado di pagare il prezzo naturale della domanda effettuale o domanda effettiva (effectual demand), diversa dalla domanda assoluta. Nota Smith:

«In un certo senso si potrebbe dire che un povero ha una domanda per un tiro a sei, possederlo potrebbe piacergli; ma la sua domanda non è una domanda effettuale, in quanto questa merce non può mai essere portata al mercato per soddisfarla.»

Se la domanda effettuale eccede l'offerta contingente del bene il prezzo di mercato tenderà a superare quello naturale. Il contrario accadrà se è l'offerta ad eccedere la domanda effettuale. Maggiore è la deperibilità dei beni maggiori saranno le oscillazioni dei prezzi di mercato. Ciononostante il prezzo naturale tenderà a ristabilirsi nel lungo periodo se non esistono impedimenti (naturali o istituzionali) e non vi sono ulteriori "accidenti", questo perché:

«la quantità di merce portata al mercato si adegua naturalmente alla domanda effettuale... Il prezzo naturale è dunque in un certo senso il prezzo centrale, attorno al quale i prezzi di tutte le merci gravitano in continuazione.»

Tra gli impedimenti naturali Smith considera l'assenza di terra o di risorse naturali con particolari caratteristiche richieste per la produzione di una data merce. Così, ad esempio, il saggio di rendita della terra messa a coltura per la produzione di vino in Francia può essere molto al di sopra del saggio naturale della rendita, questo perché, dopo che tutta la terra utilizzabile a tale scopo in Francia viene utilizzata nella produzione di vino, ancora residua una domanda insoddisfatta.

Tra gli impedimenti di natura lato sensu istituzionale, Smith considera l'esistenza di monopoli, derivanti sia da "segreti" circa i metodi di produzione sia da regolamenti e statuti governativi (statuti di apprendistato, corporazioni).

Smith passa poi ad analizzare le singole componenti del reddito e le condizioni che ne regolano i saggi naturali.

Il salario modifica

«Il prodotto del lavoro costituisce la ricompensa naturale, o salario, del lavoro.»

Sia il profitto che la rendita sono "deduzioni del prodotto del lavoro". In seguito all'accumulazione dei fondi e alla proprietà privata sulla terra, che sostituisce la "situazione originaria...in cui tutto il prodotto del lavoro appartiene al lavoratore",

«in tutte le arti e le manifatture la maggioranza degli operai ha bisogno di un padrone che anticipi i materiali del lavoro, i salari e il mantenimento finché il lavoro non sia portato a termine. Questi ha una quota sul prodotto del loro lavoro, ossia sul valore che il lavoro aggiunge ai materiali su cui si esercita; in questa quota consiste il suo profitto.»

 
Minatori degli inizi del 900.

La ripartizione della quota spettante al lavoratore e di quella spettante al proprietario dei fondi è dunque tendenzialmente conflittuale. Entrambi tendono a coalizzarsi per aumentare la loro quota, ma Smith lucidamente a tale proposito osserva:

«Non è comunque difficile prevedere quale delle due parti in una situazione normale prevarrà nella contesa...I padroni, essendo in numero minore, possono coalizzarsi più facilmente; e la legge, del resto, autorizza o almeno non proibisce le loro coalizioni, mentre proibisce quelle degli operai...[Inoltre] in tutte queste contese i padroni possono resistere più a lungo...Nel lungo periodo l'operaio può essere tanto necessario al padrone quanto il padrone all'operaio, ma la necessità non è altrettanto immediata.»

Il limite minimo del salario è determinato da quel livello strettamente necessario alla sussistenza del lavoratore e della sua famiglia.

Vi è poi l'affermazione di quella che costituirà la base della cosiddetta teoria del fondo-salari:

«La domanda di coloro che vivono di salario non può ovviamente aumentare se non in proporzione all'aumento dei fondi destinati al pagamento dei salari. Questi fondi sono di due specie: primo, il reddito che supera quanto è necessario per il mantenimento; secondo, i fondi che superano quanto è necessario per l'impiego dei loro padroni.»

A proposito del saggio di variazione del salario Smith osserva:

«Non è la grandezza assoluta della ricchezza nazionale, ma il suo aumento continuo che dà luogo ad un aumento dei salari del lavoro.»

Così, ad esempio, la Cina, che è stata a lungo uno dei paesi più ricchi del mondo, essendo rimasta stazionaria per tanto tempo, non mostrava all'epoca di Smith un salario reale medio elevato. Invece l'America, che al contrario era in forte espansione, mostrava incrementi salariali costanti, e tali da agevolare l'immigrazione di europei.

Questo accade perché un incremento della produzione aumenta quanto destinato al mantenimento dei lavoratori e quindi stimola la domanda di lavoro, generando tendenze all'aumento del salario. Tuttavia, l'aumentato salario, superando i livelli di stretta sussistenza, porterà ad un incremento della popolazione e quindi ad un aumento dell'offerta di lavoro. Se il tasso di crescita della produzione non è costante e tale da far aumentare ulteriormente la domanda di lavoro, l'aumentata offerta riporterà il salario ai livelli di sussistenza.

Questa sembra per molti versi l'anticipazione della cosiddetta legge bronzea dei salari, cardine della teoria distributiva degli economisti classici ed esposta in dettaglio da Thomas Robert Malthus nel Saggio sul principio della popolazione (1798). Tuttavia vi sono alcune significative differenze tra Malthus e Smith che meritano di essere sottolineate, perché mettono in risalto la profondità del pensiero di Smith:

  • Smith osserva che "la povertà, sebbene indubbiamente scoraggi il matrimonio, non sempre lo impedisce. Sembra persino che sia favorevole alla procreazione." Egli dunque rileva come un aumento della prosperità possa essere associato ad una diminuzione del tasso di natalità. Tuttavia, osserva poi, la diminuzione del tasso di mortalità, soprattutto infantile, che fa seguito ad un miglioramento delle condizioni di vita, necessariamente porterà ad un aumento della popolazione;
  • Smith non assume, contrariamente a Malthus, che il tasso di crescita della popolazione sia sempre necessariamente superiore a quello dei mezzi di sussistenza, ma semplicemente che vi sia una sorta di adeguamento dell'offerta di lavoro alla domanda di lavoro che è tale da far discendere il salario se la domanda di lavoro non cresce costantemente;
  • infine Smith osserva che "la remunerazione liberale del lavoro incoraggia la moltiplicazione della gente comune (a causa degli eventuali aumenti dei salari) e ne aumenta l’operosità e l’efficienza.". Così, l'aumento della produttività del lavoro che fa seguito all'aumento della produzione agisce da ulteriore forza atta a controbilanciare le tendenze alla diminuzione del salario reale.

Smith nota che, supponendo costante l'offerta di lavoro, il livello dei salari monetari è correlato positivamente con:

  • la domanda di lavoro;
  • il prezzo dei beni salario, cioè di quei beni nell'acquisto dei quali il salario è speso.

Questi due fattori, controbilanciandosi, tendono a stabilizzare i salari monetari, che subiscono oscillazioni minori del prezzo dei viveri. Infatti, in periodi di abbondanza, mentre il prezzo dei viveri scende comportando pressioni al ribasso dei salari, l'accresciuta domanda di lavoro esercita pressioni al rialzo. Il contrario accade in tempi di carestia.

Smith osserva poi:

«L'aumento dei salari fa aumentare di necessità il prezzo di molte merci aumentandone la parte che si risolve in salari, e così tende a far diminuire il consumo di queste merci sia all'interno che all'esterno.»

Note modifica

  1. ^ Adam Smith, The Wealth of Nations, 1895; Preface by Edwin Cannan, archive.org, https://archive.org/stream/in.ernet.dli.2015.207956/2015.207956.The-Wealth#page/n28/mode/1up.

Bibliografia modifica

  • Smith, Adam (1975) La ricchezza delle nazioni, Grandi Tascabili Economici Newton, Roma.

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