Legge suntuaria

legge che ha lo scopo di limitare il consumo legato all'ostentazione del lusso, in particolare nella moda maschile e femminile, oppure di regolare l'abbigliamento di determinati gruppi sociali obbligandoli a indossare segni distintivi

Per legge suntuaria si intende ogni dispositivo legislativo che abbia lo scopo di limitare il consumo legato all'ostentazione del lusso, in particolare nella moda maschile e femminile, oppure di regolare l'abbigliamento di determinati gruppi sociali obbligandoli a indossare segni distintivi.

Giovanni Drei, Le leggi suntuarie a Parma, 1918

Storia modifica

Già nel 215 a.C. la Lex Oppia cercava di limitare la ricchezza degli abiti femminili. In seguito lo stesso Giulio Cesare e poi altri imperatori, intervennero contro le vesti di uomini e donne stabilendone anche il prezzo. Con l'avvento del Cristianesimo i documenti citano, per i primi secoli, esclusivamente prediche di monaci o ecclesiastici contro costumi considerati troppo audaci.

 
Rinovatione della provisione sopra la prohibitione delle perle gioie, canutiglie, e ricami, Firenze, 1602. Rinnovava un analogo provvedimento emesso a Firenze il 30 luglio 1593[1] e precedenti.

In Italia le prime leggi suntuarie di cui si abbia notizia certa riappaiono nel Duecento: erano colpiti acconciature, decorazioni, gioielli, strascichi, pellicce. I colpevoli erano multati, oppure gli si vietava l'assoluzione in chiesa, fatto gravissimo per il tempo. Dal 1500 in poi le leggi diventarono più dettagliate e minuziose e cominciarono a colpire maggiormente le classi medie o popolari, in specie la servitù, chiudendo un occhio sul lusso dei signori e delle loro corti. Non potendo arginare realmente il lusso le leggi suntuarie vi si adeguarono permettendo cose che nei secoli precedenti erano proibite, come alcuni tipi di pelliccia o la moltiplicazione dei gioielli sulle mani e su tutto il corpo. Esse variavano da città a città, con maggiore durezza o tolleranza. A Firenze furono diverse le leggi suntuarie emanate dalla Repubblica fiorentina fin dal 1330, per arrivare al 19 ottobre 1546 con la legge "sopra gli ornamenti et abiti degli uomini e delle donne" e alla riforma del 4 dicembre 1562 "sopra il vestire abiti et ornamenti delle donne ed uomini della città di Firenze", emanate da Cosimo I de' Medici contro gli eccessi del lusso. Venezia, città libera e ricca, era più clemente di altre. Esistevano guardie delegate al controllo delle disposizioni emanate, che a volte potevano entrare nelle case o raccogliere denunce premiando il denunciante. Le reazioni delle donne, bersaglio preferito dei legislatori, furono a volte di esplicita protesta, a volte di furbi accomodamenti, come quando nascondevano lo strascico con spille per poi scioglierlo alla prima occasione favorevole.

Tra le leggi più discriminanti vi erano quelle che colpivano gli ebrei, che erano obbligati a portare un cappello a punta o un contrassegno colorato sul braccio; per le prostitute era solitamente vietato lo sfoggio troppo vistoso, mentre a volte dovevano indossare abiti di determinati colori o segni distintivi. In seguito anche a coloro che furono giudicati eretici si fece indossare un abito penitenziale, solitamente giallo.

 
I rappresentanti degli Stati generali

Nonostante la loro severità le leggi suntuarie si dimostrarono di scarsa efficacia e alla fine del Settecento erano quasi totalmente disattese. Nel 1789 in Francia, alla vigilia della rivoluzione, i borghesi si presentarono all'apertura degli Stati generali in abito nero e cravatta bianca, indumenti che erano stati loro imposti per umiliarli; a confronto l'aristocrazia era addobbata con estremo sfarzo. Il forte contrasto di colori provocò invece l'effetto opposto, e i semplici abiti dei borghesi diventarono simbolo di pulizia morale e di nuovi ideali; l'iniqua proibizione inoltre causò l'attuazione, come primo provvedimento dell'Assemblea nazionale costituente, dell'abolizione – almeno per il vestiario – di ogni differenza di classe.

Note modifica

  1. ^ Legislazione toscana raccolta e illustrata dal dottore Lorenzo Cantini, vol. 14, nella Stamp. Albizziniana da S. Maria in Campo, 1804, pp. 28–.

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