Gaio Licinio Macro

politico e storico romano
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Gaio Licinio Macro (in latino Gaius Licinius Macer; circa 108 o 107 a.C.Roma, 66 a.C.) è stato un politico e storico romano.

Gaio Licinio Macro
Pretore della Repubblica romana
Nome originaleGaius Licinius Macer
Nascita108-107 a.C.
Morte66 a.C.
Roma
FigliGaio Licinio Calvo
GensLicinia
Tribunato della plebe73 a.C.
Pretura68 a.C.
Propretura67 a.C.

Biografia modifica

La data di nascita è sconosciuta, ma, sulla base della data della sua pretura, si può supporre che fosse nato nel 108 o 107 a.C. circa.[1] Macro apparteneva alla nobilitas e assunse la carica di tribuno della plebe nel 73 a.C. e nel 68 a.C. ricoprì la pretura, seguita da una propretura che risale probabilmente all'anno successivo. Quest'ultimo incarico dovrebbe corrispondere a un governo di una provincia, di cui però non è stata tramandata alcuna testimonianza.

Macro era vicino alle tesi “democratiche”: durante il suo tribunato della plebe, si batté per la restaurazione della tribunicia potestas. Nel 66 a.C., anno in cui Cicerone era pretore, secondo la lex repetundarum fu condannato.

Morì poco dopo la condanna e sulla sua morte abbiamo tre fonti letterarie: Cicerone, Valerio Massimo e Plutarco che, nella Vita di Cicerone[2], scrive:

«Licinio Macro, uomo già potente nella città di per sé e per di più appoggiato da Crasso. Un'inchiesta per peculato fu condotta a suo carico da Cicerone. Licinio Macro, confidando nel proprio potere e nei propri appoggi, quando ancora i giudici non avevano deciso il verdetto, tornò a casa, si fece tagliare i capelli e indossò in fretta un mantello bianco, per andare nel foro di nuovo, da vincitore. Sotto casa, però, incontrò Crasso, venuto a dirgli che era stato condannato all'unanimità. Tornò quindi indietro, si mise a letto e morì»

Da quanto scrive Plutarco si dovrebbe ricavare la vicinanza di Macro a Crasso, informazione che non è convalidata dalle altre fonti. Questa idea potrebbe confermare la descrizione di Cicerone, che presenta Macro come inimicus nella Pro Rabirio perduellionis reo, orazione tenuta davanti al popolo in difesa di Rabirio, condannato a morte per l'uccisione del tribuno Saturnino nel 100 a.C., considerato delitto contro lo Statoː Cicerone ricorda che, per difendere dalle accuse il suo assistito, sarebbe sufficiente solo mezzora; poi intuisce che data la limitazione di tempo impostagli, le accuse secondarie lo distoglierebbero dalla confutazione principale, inducendolo a perdere tempo rispetto alla difesa. L'accusa secondaria è ripresa da una vecchia accusa di Macro del 66 a.C. (tre anni prima del processo per Rabirio), ossia aver violato luoghi sacri e boschi. Cicerone si stupisce della ripresa di questa infondata accusa e mette in luce che l'accusa di un avversario (“inimicus”) non può avere alcun valore e inoltre i giudici avevano non accettato le argomentazioni di Macro. Plutarco presenta Macro come convinto della sua assoluzione, per questo decide di indossare un abito bianco, simbolo della festa e della vittoria.

Valerio Massimo, invece, nel nono libro dei suoi Factorum et dictorum memorabilium libri IX descrive le morti di uomini illustri come Tullio Ostilio, Eschilo, Euripide, Socrate e altri. Tra i personaggi ricordati c'è anche l'ex pretore Gaio Licinio Macro, che salì sulla balconata della Basilica, durante il conteggio dei voti per l'accusa de repetundis (di concussione) e si uccise. Cicerone, che presiedeva il tribunale, saputo che Macro con un fazzoletto si voleva soffocare, decise di non pronunciare la condanna.

(LA)

«Consimili impetu mortis C. Licinius Macer vir praetorius, Calui pater, repetundarum reus, dum sententiae diriberentur, in maenianum conscendit. si quidem, cum M. Ciceronem, qui id iudicium cogebat, praetextam ponentem vidisset, misit ad eum qui diceret se non damnatum, sed reum perisse, nec sua bona hastae posse subici, ac protinus sudario, quod forte in manu habebat, ore et faucibus suis coartatis incluso spiritu poenam morte praecucurrit. qua cognita re Cicero de eo nihil pronuntiavit. igitur inlustris ingenii orator et ab inopia rei familiaris et a crimine domesticae damnationis inusitato paterni fati genere vindicatus est.»

(IT)

«Altrettanto veemente fu la fine di C. Licinio Macro, ex pretore, padre di Calvo, accusato di estorsione. Mentre si contavano i voti, salì su un balcone, e vide che M. Cicerone, che era incaricato del processo, si toglieva la toga praetexta. Macro gli inviò un messaggio, per dire che sarebbe morto come accusato, non come condannato; e che quindi il suo patrimonio non poteva essere confiscato. Detto questo, si coprì la bocca e la gola con il fazzoletto, e col fiato bloccato, evitò la sua punizione con la morte. Quando ciò fu saputo, Cicerone evitò di pronunciare sentenza su di lui. Così, per la straordinarietà della morte del padre, l'illustre oratore fu liberato sia dalla povertà, sia dalla vergogna di una condanna in famiglia.»


Questa descrizione è riportata dallo stesso Arpinate in una lettera ad Attico, in cui dichiara di essersi comportato con indulgenza.[3]

Famiglia modifica

Macro era padre del poeta neoterico Licinio Calvo, amico di Catullo e ostile, come oratore, di Cicerone. Il figlio era un famoso poeta della nuova tendenza neoterica ed eccellente oratore atticista.

Opere modifica

Orazioni modifica

Macro doveva avere delle ottime capacità retoriche, come si capire dal discorso riportato da Sallustio e dalle dichiarazioni di un personaggio a lui ostile, come Cicerone, che nel Brutus scriveva:[4]

«Gaio Macro ebbe sempre poca autorità, ma fu avvocato dalla diligenza pressoché ineguagliabile. Se la sua condotta di vita, i suoi costumi, infine la sua stessa fisionomia non avessero completamente guastato la reputazione che doveva al suo talento, avrebbe goduto di maggiore rinomanza tra gli avvocati. Senza aveva grande ricchezza di eloquio, non era tuttavia misero; lo stile non era particolarmente forbito, ma neppure trasandato; la voce, il gestire, e tutta l'azione non aveva grazia; ma nell'invenzione e nella composizione era di una accuratezza straordinaria: difficilmente saprei indicare, in altri, una maggiore, o più scrupolosa: ma era tale, che l'avresti detta piuttosto da mestierante che da oratore. Egli anche se si faceva apprezzare nei processi penali, aveva tuttavia un ruolo più in vista nelle cause private»

Cicerone riconosce le capacità oratorie e di patronus nelle cause private ma disconosce il costume di Macro, che aveva una spiccata propensione oratoria, con uno stile vivace e colorito e che riusciva a organizzare perfettamente le cinque parti dell'arte retoricanei suoi discorsi.

Cicerone chiarisce che ha lavorato molto, i fatti nei suoi discorsi sono precisi, ma queste capacità sono rovinate da un comportamento e dall'astuzia di un “mestierante”. Macro era un popularis, legato a Mario e questo può spiegare la volontà di difendere la città etrusca di Etruria, che sostenne Mario e subì gravi danni a opera di Silla. Nel discorso Pro Tuscis Macro rimpiange le conseguenze negative sull'Etruria della colonizzazione sillana. Il rapporto con la città etrusca è stato messo in relazione anche con le origini etrusche della gens Licinia[5].

Annales modifica

L'opera storica di Macro (in sedici o ventuno libri), Annales o Historiae, quasi del tutto perduta, fu adoperata come fonte attendibile da Livio e Dionigi di Alicarnasso, forse per le ricerche approfondite e per il ricorso ai libri lintei. Dagli autori dei secoli successivi quest'opera, che si dovrebbe ricollegare all'annalistica più che al genere biografico, fu considerata «un'autorità per la parte in cui trattava dalle origini fino al III secolo a.C.»[6].

Macro era un'annalista di tendenze popolari dell'età sillana, secondo la testimonianza di Cicerone, che scrive, nel primo libro del De legibus[7]:

«A che infatti dovrei citare un Macro? la cui garrulità presenta qualche arguzia, ma non già derivante dalla colta facondia dei Greci, ma dai copisti latini, e nei pezzi oratori vi è certo molto elevatezza, ma fuor di proposito, ed esagerata audacia»

Macro è, quindi, uno storico abile, ma la sua preparazione si riconduce più alla tradizione patrizia latina, che a quella greca.

Note modifica

  1. ^ La lex Villia annalis, un plebiscito del 180 a.C. del tribuno Lucio Villio, infatti, introduce un'età minima per l'accesso alle magistrature e un intervallo di due anni tra la investitura di due cariche; si poteva, in questo contesto, diventare Pretore a 39 o 40 anni.
  2. ^ Cap. 9.
  3. ^ Ad Att., I, 4, 2.
  4. ^ Brutus, 238.
  5. ^ Come si legge in F. Münzer, Roman aristocratic parties and families, London, Johns Hopkins University press, 1999, p. 25 (in cui si parla anche del frammento 26 di Priscilliano sulla Pro Tuscis).
  6. ^ L. Cracco Ruggini, Storia antica. Come leggere le fonti, Bologna, Il Mulino, 2000, p. 143.
  7. ^ I 1.

Bibliografia modifica

Fonti storiche modifica

Studi moderni modifica

  • (DE) Friedrich Münzer, Licinius 112, in Paulys Realencyclopädie der classischen Altertumswissenschaft[collegamento interrotto], I, 1, 1942 [1837], pp. 419-428.
  • F. Münzer, Roman aristocratic parties and families, London, Johns Hopkins University press, 1999.
  • (EN) T. Robert S. Broughton, The Magistrates of the Roman Republic, a cura di Phillip H. De Lacy, collana Philological Monographs, II, 1ª ed., New York, American Philological Association, 1952.
  • L. Cracco Ruggini, Storia antica. Come leggere le fonti, Bologna, Il Mulino, 2000.

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