Linguaggio diagnostico

stile di comunicazione

Il linguaggio diagnostico è uno stile di comunicazione socialmente distribuito, il quale, oltre alla medicina, interessa gli ambiti professionali afferenti alle scienze sociali - in particolare le discipline psicologiche e le scienze dell'educazione e della formazione [1].

Immagine di copertina della rivista francese Ridendo. Revue gaie pour le médecin negli anni 1934 e 1935 (particolare)

Storia modifica

La locuzione linguaggio diagnostico è attestata nella lingua italiana dagli inizi dell'Ottocento, con riferimento al lessico della tassonomia (ambito delle scienze naturali) [2].

Dalla fine del Novecento questa espressione viene utilizzata nelle scienze sociali, specialmente nella critica del linguaggio della medicina (antipsichiatria) e della psicoanalisi [3].

L'argomento si giustifica sulla base del duplice significato della parola diagnosi: quello di "processo investigativo" (tecnica diagnostica) e quello di "prodotto linguistico" (formulazione diagnostica) [4].

Col XXI secolo la riflessione di tipo tecnico si estende al dibattito filosofico [5] [6]; la diagnosi, trattata esclusivamente in quanto linguaggio, diventa materia per l'educazione alla comunicazione nelle più differenti aree disciplinari [7].

Descrizione modifica

In senso ampio, il linguaggio diagnostico è una modalità comunicativa di prestigio, una tendenza a descrivere l'intera realtà in termini investigativi (retorica della complessità).

In senso stretto, è l'insieme delle formulazioni diagnostiche contenute nei manuali di classificazione utilizzati nelle attività di tipo socio-sanitario e psico-pedagogico. Questi testi sono dotati di caratteristiche trasversali, come la numerosità dei destinatari e la varietà delle denominazioni professionali coinvolte. I manuali diagnostici si differenziano pertanto dalla classificazione ICD, testo ufficiale dello stato il cui pubblico è costituito unicamente da medici [8].

Le principali opere di linguaggio diagnostico, considerate in quanto sistema integrato di conoscenze sull'essere umano, sono il DSM (manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali), l'ICF (classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute) e il NANDA (manuale di diagnosi infermieristica) [9], a cui si aggiungono il PDM (manuale diagnostico psicodinamico) e la CD03 (classificazione diagnostica per l'infanzia) [10].

Conseguenze modifica

Le formulazioni linguistiche standardizzate contenute nei manuali di classificazione diagnostica si riferiscono a "oggetti di diagnosi" eterogenei, come disturbi, problemi, bisogni e rischi, non assimilabili al comune concetto di malattia, intesa quale «lesione anatomica o fisiologica dimostrabile» (Thomas Szasz)[11].

Parallelamente, permane la sovrapposizione dell'idea di diagnosi all'idea di malattia, un diffuso bias cognitivo che favorisce la proliferazione delle "non-malattie" [12] e del disease mongering. In questo contesto di confusione semantica attorno ai concetti fondamentali della medicina, la teoria del linguaggio diagnostico ripropone un tema centrale della filosofia del linguaggio: il rapporto tra parole e cose, la distinzione tra piano del linguaggio e piano della realtà.

La riscoperta dell'evidenza che «una mappa non è il territorio» (Alfred Korzybski) [13] è finalizzata alla riappropriazione da parte dell'individuo di una adeguata consapevolezza della propria posizione nel mondo.

Note modifica

  1. ^ C. Doliana, La distribuzione sociale del linguaggio diagnostico e le sue conseguenze. Studio quantitativo sui titoli dei libri in commercio, in Tutor, vol. 11.2-3, 2011, pp. 38-47.
  2. ^ M. Tenore, Corso delle botaniche lezioni. Trattato di fitognosia: tomo primo, Napoli, Orsiniana, 1806, pp. 5-6.
  3. ^ J. Hillman, Il mito dell'analisi, Milano, Adelphi, 1979, pp. 167 e 212.
  4. ^ G. Cosmacini, G. Gaudenzi e R. Satolli, Dizionario di storia della salute, Torino, Einaudi, 1996, p. 154.
  5. ^ V. Cagli, La crisi della diagnosi. Cosa è mutato nel concetto e nelle procedure della diagnosi medica, Roma, Armando, 2007.
  6. ^ D. Antiseri e V. Cagli, Dialogo sulla diagnosi. Un filosofo e un medico a confronto, Roma, Armando, 2008.
  7. ^ C. Doliana, Il linguaggio diagnostico. Saggi di pedagogia della comunicazione, Foggia, Edizioni del Rosone, 2019.
  8. ^ Idem, pp. 48-49.
  9. ^ (EN) E. Gabriel, Commentary on prospects for a more integrated system of psychiatric classification and diagnosis, in Psychopathology, vol. 35.2-3, 2002, pp. 197-198.
  10. ^ Da qui in avanti, ove non specificato altrimenti, si fa riferimento al testo citato in nota 7.
  11. ^ Th. Szasz, Il mito della malattia mentale, Milano, Spirali, 2003, p. 16.
  12. ^ (EN) R. Smith, In search of "non-disease", in British Medical Journal, n. 7342, 2002, pp. 883-885.
  13. ^ (EN) A. Korzybski, Science and sanity, 5ª ed., New York, Institute of General Semantics, 1994, p. 750.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica