Marco Rubio

politico e avvocato statunitense

Marco Antonio Rubio (Miami, 28 maggio 1971) è un politico e avvocato statunitense, membro del Partito Repubblicano e senatore federale per la Florida.

Marco Rubio

Senatore degli Stati Uniti
per la Florida
In carica
Inizio mandato3 gennaio 2011
ContitolareRick Scott
PredecessoreGeorge LeMieux

Speaker della Camera dei rappresentanti della Florida
Durata mandato21 novembre 2006 –
18 novembre 2008
PredecessoreAllan Bense
SuccessoreRay Sansom

Membro della Camera dei rappresentanti della Florida, 111º distretto
Durata mandato25 gennaio 2000 –
18 novembre 2008
PredecessoreCarlos Valdes
SuccessoreErik Fresen

Dati generali
Partito politicoRepubblicano
Titolo di studioBachelor of Arts e Juris Doctor
UniversitàUniversità della Florida, University of Miami School of Law, Santa Fe College, Tarkio College, Università di Miami e South Miami High School
FirmaFirma di Marco Rubio

Biografia modifica

Di origine cubano-americana,[1] nasce a Miami, terzo di quattro figli, da Mario Rubio (1927–2010) e Oriales García (1931) e trascorre parte dell'infanzia a Las Vegas in Nevada (dal 1979 al 1985), dove il padre lavora come barista e la madre come donna delle pulizie in uno dei tanti hotel della città. Frequenta il college grazie alla sua bravura nel giocare a football americano e con una borsa di studio per atleti. Tornato in Florida, si laurea in legge a pieni voti nel 1996.[2][3]

Vita privata modifica

Sposato dal 1998 con Jeanette Dousdebes, di origine colombiana, è cattolico e padre di quattro figli, due maschi e due femmine.[4] Grande appassionato di football americano, è tifoso dei Miami Dolphins.

Carriera politica modifica

 
Rubio nel 2005

È stato commissario della città di West Miami, prima di essere eletto alla Camera dei Rappresentanti della Florida nel 111º distretto.

Dal novembre 2006 al gennaio 2009 è stato speaker della Camera dei rappresentanti della Florida. Al 2006 risale la pubblicazione del libro 100 idee innovative per il futuro della Florida (100 Innovative Ideas For Florida's Future), in cui propone delle strategie per attuare nuove riforme nello stato.

Il 5 maggio 2009, Rubio annunciò sul suo sito web l'intenzione di concorrere per il Senato degli Stati Uniti. Inizialmente i sondaggi lo davano in svantaggio già nelle primarie, ma nonostante questo riuscì a vincere e divenne il candidato del partito repubblicano. Il 2 novembre 2010, Rubio vinse le elezioni con ampio margine, battendo il membro della Camera dei rappresentanti federale Kendrick Meek (democratico) e l'ex governatore della Florida Charlie Crist (candidatosi come indipendente), e divenendo così senatore.[5] Visto il successo della sua elezione al senato, il partito repubblicano lo propose come candidato alle presidenziali del 2012, ma Rubio decise di non percorrere quella strada.[6]

Presidenziali 2016 modifica

Il 13 aprile 2015 annuncia alla Freedom Tower di Miami la sua candidatura alle presidenziali del 2016 per il Partito Repubblicano.[7][8][9]

Acclamato invariabilmente, all'inizio della sua campagna elettorale, come uno dei favoriti grazie alla giovane età, alle umili origini cubane, al carisma, viene soprannominato l'Obama repubblicano dai mainstream media. Rubio nei sondaggi si attestava al 9-10%, mentre l'apparente candidato inevitabile, Jeb Bush, figlio e fratello dei due Bush Presidenti, aveva il 13%; il governatore del Wisconsin Scott Walker (14%), beniamino dei Tea Party come l'altro ultraconservatore della destra repubblicana e competitor visto le origini cubane comuni, il senatore del Texas Ted Cruz, tra l'8-9%.

Con la comparsa in scena di personaggi anti-establishment, Rubio scompare presto. Tra settembre e dicembre la nomination sembra contendersi tra il miliardario newyorchese Donald Trump (29%) e il neurochirurgo Ben Carson (22%), entrambi neofiti della politica e famosi per proposte choc in tema di politica d'immigrazione ed estera, invisi allo stesso establishment; Cruz e Rubio si contendono un deludente terzo posto col 11-12%. Col crollo della credibilità di Carson, la sfida della nomination si restringe a 3: Trump primo col 34%, Cruz col 17% e Rubio col 11% mentre sembra tramontata definitivamente la possibilità dei candidati moderati appoggiati dal partito come l'ex governatore della Florida Jeb Bush col 5,5% e il governatore del New Jersey Chris Christie.

 
Rubio nel novembre 2015 durante la campagna elettorale

Risultati alle primarie modifica

Tuttavia, il 1º febbraio 2016, i primi caucus del piccolo Iowa sembrano favorire la candidatura di Rubio al posto del tramontante Bush. Rubio ottiene un buon terzo posto col 23% (43-228 voti) pari a 7 delegati ad un passo dal miliardario frontrunner Donald Trump col 24% e al vincitore Ted Cruz col 28%, radicato nell'elettorato della destra evangelica. Il voto determina una svolta nella campagna elettorale riversando su Rubio le speranze di grandi elettori e finanziatori, i quali vedono nel conservatorismo moderato di Rubio l'unica alternativa credibile per fermare il ciclone Trump, vista anche l'ostilità personale di molti colleghi di partito al radicalismo di Cruz. Decidono di abbandonare la stella declinante di Bush (sesto col 2,8%) incoronando Marco a candidato dell'establishment repubblicano: riceve il supporto di ex candidati repubblicani nel 2016 come l'ex governatore di New York George Pataki, l'ex governatore della Louisiana Bobby Jindal e il senatore della Pennsylvania e secondo alle Primarie Presidenziali 2012, Rick Santorum.

Durante un dibattito TV tra i contendenti del GOP, Rubio annaspa vistosamente sotto l'incalzare degli attacchi di Chris Christie, mostrandosi incapace di reagire alla sfida. La pessima figura TV si ripercuote la settimana successiva, 7 febbraio, alle primarie del New Hampshire: Trump vince col 35%; al secondo posto c'è il governatore del vicino Ohio, il moderato John Kasich al 16%; Rubio subisce lo smacco di essere superato persino dal suo avversario a destra, Cruz (col 12%), e dal debole Jeb Bush (11%), finendo al quinto posto col 10,6%, appena 3 delegati.

Le primarie della Carolina del Sud e il caucus del Nevada lo incasellano al secondo posto, col 23% e il 24%, ma la distanza dal vincitore Trump è quasi doppia: 33% e 46%; alle spalle di Rubio si pone per un soffio Ted Cruz, che gli resta sotto di uno e tre punti. Dopo la South Carolina e il ritiro di Jeb Bush rimane fermo sempre al 8%, incapace di coalizzare gli anti-Trump attorno a lui.

Il 1º marzo, il SuperTuesday col voto di 15 Stati rappresenta un bagno di sangue per Rubio. Vittoria col 37% nel solo caucus del Minnesota seguito da Cruz al 29% e Trump al 21% mentre in quasi tutti gli Stati la vittoria se la spartiscono Trump e Cruz, ora diventato l'anti-Trump. Rubio finisce secondo in Virginia, col 32% ad un passo dal vincitore Trump col 35%, in Georgia col 25% (Trump vincitore 39%) seguito sul filo da Cruz col 24, in Massachusetts col 18% appaiato col moderato Kasich (Trump vince col 49%) e infine in Vermont col 19% (Trump vince col 33%). In tutti gli altri Stati Rubio, nonostante margini più o meno crescenti, sembra fare da spettatore tra i due competitor: Alabama 19% (Trump 43%, Cruz 21%), Alaska 15% (Cruz 36%, Trump 34%), Arkansas 25% (Trump 33%, Cruz 30%), Oklahoma 26% (Cruz 34%, Trump 28%), Tennessee 21% (Trump 39%, Cruz 25%), Texas 18% (Cruz 44%, Trump 27%) dove arriva quasi sempre sotto la soglia del 20%. Alla fine del voto il bottino di delegati conquistati è impietoso: 456 delegati a Trump (32%), 378 delegati a Cruz (28%), solo 144 delegati a Rubio (14%).

Il 5 marzo, le primarie in Kansas, Louisiana, Kentucky e Maine vedono un duello tra Trump e Cruz con una sostanziale parità tra i due per la vittoria mentre Rubio è sempre più marginale e irrilevante. Prima del voto nel dibattito televisivo, Rubio aveva lanciato l'attacco più duro contro Trump accusandolo di "aver costruito i suoi hotel sfruttando immigrati irregolari" mentre oggi vuole costruire muri ma viene dispregiativamente soprannominato dal magnate newyorkese come "Little Marco" (Piccolo Marco), accusato di essere un assenteista cronico in Senato e un corrotto quindi non capace di poter fare il Presidente. Negli stessi giorni Trump viene attaccato duramente dagli ex candidati repubblicani presidenziali nel 2012 e 2008 Mitt Romney e John McCain oltre che dallo Speaker della Camera Paul Ryan sottolineando un sostegno indiretto al candidato dell'establishment, Rubio stesso. Tuttavia Trump vince nei grandi stati di Louisiana e Kentucky col 41% e 36% seguito testa a testa da Cruz col 38% e 34%, mentre Rubio è confinato ad un ridicolo 11% e 16% (il moderato Kasich risulta a pochi punti di distanza col 6% e 14%); Cruz vince in Maine e soprattutto in Kansas col 46% e 48% riuscendo persino a distanziare il frontrunner Trump fermo al 33% e 23%, ma sempre ben distante da Rubio lontano al 8% (dietro persino a Kasich al 12%) e più vicino nello stato del sud col 17% (Kasich dietro 11%).

Il giorno dopo, un piccolo respiro di sollievo, nel caucus del piccolo Porto Rico, stato dipendente dagli Stati Uniti, a stragrande maggioranza di latini, premiano Rubio: 71% contro 13% di Trump e 9% di Cruz conquistando tutti i 23 delegati.

L'8 marzo, si ripete quanto già successo tre giorni prima: Trump e Cruz si inseguono col miliardario newyorkese grande vincitore in quasi tutte le sfide mentre Rubio rimane ai margini venendo in certi casi surclassato persino da Kasich nonostante l'appoggio di tutto il partito e i grandi finanziatori. Trump vince in Mississippi (47%) e Hawaii (42%) e Michigan (37%) seguito dall'ultraconservatore Cruz stabilmente secondo col 36%, 33% e 25% mentre Rubio è due su tre sotto il 10% e battuto da John Kasich (5%, 9% e 13% contro 9%, 24% e 11% del governatore dell'Ohio che in Michigan lo umilia pesantemente ad un passo dal secondo posto con Cruz).

Alcuni giorni dopo, i piccolissimi caucus delle Isole Vergini e Guam dove trionfano i delegati indipendenti (65% e 8) Rubio ottiene un 10% battendo Trump fermo al 6%, ma non Cruz che vince col 12% che riesce anche ad eleggere, unico tra tutti, il suo candidato nell'altra piccola isola dove i non affiliati prendono tutto. Il 12 marzo, tuttavia Rubio vede un importante successo simbolico: nel Distretto di Columbia dove c'è la Capitale federale Washington DC il senatore cubano trionfa nel caucus col 37% (nonostante il tallonamento di Kasich secondo al 36% che stava per fare il miracolo) lasciando a bocca asciutta Trump (14%) e Cruz (12%) sottolineando il sostegno di apparato e funzionari repubblicani che appoggiano il candidato di partito Rubio. Buono anche il secondo posto col 20% nel caucus del piccolo stato dello Wyoming, vinto da Cruz con un ciclopico 66%, che gli permettono di doppiare un Trump fermo al 7%.

Il 15 marzo, il voto del Mega Tuesday, rappresenta la pietra tombale sulla campagna di Rubio. Nella sua Florida, di cui è senatore federale dal 2011 e fu rappresentante per 8 anni nella Camera locale ricoprendo anche l'incarico di Speaker, viene umiliato da un ciclonico Donald Trump che con un travolgente 47% doppia quasi un deludente Rubio piantonato al 27% e facendogli così conquistare tutti i 99 delegati in palio mentre Cruz segue a ruota col 17%. La sconfitta è devastante perché un candidato presidente non può sperare nella "nomination" se non riesce a vincere nemmeno il suo stato (nel "SuperTuesday" l'altro competitor Ted Cruz aveva stravinto nel suo Texas col 44% doppiando Trump al 27%), soprattutto dopo essere stato appoggiato da tutto l'establisment nazionale e locale come la stessa famiglia Bush, dell'ex governatore dello stato (Jeb Bush), che implicitamente lo avevano sostenuto in chiave anti-Trump. Rubio decide di non aspettare i risultati degli altri stati che stavano votando ed annuncia il suo ritiro dalle primarie affermando di "essere dalla corsa ma non è nei piani di Dio che io diventi Presidente oggi o mai". Gli altri stati riservano amarissime sorprese per Rubio: ultimo tra tutti i candidati abbondantemente sotto al 10% in tutte le sfide. In Illinois ultimo col 8% superato da Kasich (20%), Cruz (30%) e Trump (39%), in Missouri piantonato al 6% superato da Kasich (10%) e dal duello alla parità Cruz-Trump (41%), in Carolina del Nord giù al 8% superato sempre da Kasich (12%), Cruz (36%) e Trump (40%) e nelle Isole Marianne addirittura al 1% superato dal 2% di Kasich, il 24% di Cruz e il 73% di Trump. Infine nell'Ohio, Trump vincitore in tutte le sfide del giorno, viene a sorpresa, sconfitto dal governatore dello stato, il moderato John Kasich col 47% contro il 36% del frontrunner diventando il nuovo magnete dell'establisment per fermare i radicalismi di Trump e Cruz dopo la disastrosa campagna di Rubio che nello stato non riesce ad andare oltre il 3%. Con questa vittoria Kasich si aggiudica tutti i 66 delegati raggiungendo quasi Rubio per numero di delegati totali, nonostante questo avesse vinto in 3 Stati come Minnesota, Porto Rico e Distretto di Columbia (172 vs 144 delegati pari a 16,7 vs 13,4).

Ritiro dalla corsa modifica

Finanziato da grandi imprenditori e sostenuto dall'establishment del partito, la sua campagna elettorale non emerse mai, né nei sondaggi né tra gli elettori. Da beniamino della destra repubblicana eletto nel 2010 grazie ai Tea Party, il suo voltafaccia al Senato, soprattutto in tema di immigrazione (firma una proposta di legge bipartisan per regolarizzare gli immigrati clandestini), gli nocque alle primarie. Accreditato come candidato moderato del vertice GOP e dei leader locali, foraggiato dalle lobbies, si dimostrò un boomerang in un ciclo elettorale che ha premiato l'insurrezione contro i politici professionali di Washington, incarnata appieno da Ted Cruz e Donald Trump. L'infrazione etica nell'uso di fondi di partito per uso personale, accompagnata dalle sue prolungate assenze dai lavori in Senato, furono altri punti deboli su cui gli avversari infierono, spendendo decine di milioni di dollari in spot negativi contro Rubio.

Alle Idi di marzo (15 marzo) perde pesantemente contro Donald Trump perfino la Florida, il suo collegio elettorale, annunciando il ritiro dalla competizione elettorale. L'umiliante sconfitta parve la fine della carriera politica, avendo in precedenza annunciato l'intenzione di non ricandidarsi per un secondo mandato al Senato di Washington;[10] in giugno ha cambiato idea annunciando che si ricandiderà per un nuovo mandato.

Curiosità sulla candidatura di Rubio modifica

È il terzo (preceduto da Ted Cruz) fra i repubblicani a ritirarsi col maggior numero di delegati (173), percentuale raccolta (13,1%) e voti espressi (3.497.828 voti totali). Secondo candidato a ritirarsi, dopo Ben Carson, dopo il Supermartedì del 15 marzo, nonché il primo americano di origine cubane (nato in Florida da due genitori cubani) a partecipare in una elezione primaria a ritirarsi (primo del 2016 e primo fra i repubblicani) dopo il voto elettorale. È il nono dopo Ben Carson (SuperMartedi del 1 marzo), Jeb Bush (Carolina del Sud), Jim Gilmore, Carly Fiorina, Chris Christie (New Hampshire), Rick Santorum, Rand Paul e Mike Huckabee (Iowa) a ritirarsi dopo un voto elettorale e quattordicesimo in assoluto dopo George Pataki, Lindsey Graham, Bobby Jindal, Scott Walker e Rick Perry. È anche il secondo candidato che ricevette più endorsement nel 2016, sia tra repubblicani che democratici, da ex candidati repubblicani nel 2016 come l'ex governatore di New York George Pataki, l'ex governatore della Louisiana Bobby Jindal e il senatore della Pensylvenia e ex candidato 2012 Rick Santorum.[11]

Il 29 maggio 2016, dopo il ritiro dalla corsa repubblicana di John Kasich e Ted Cruz, l'unico in corsa rimane il miliardario radicale, Donald Trump famoso per le idee choc su immigrazione e una campagna violenta e offensiva, tanto da essere inviso all'apparato tutto, decide (dopo un periodo di lunga riflessione), nonostante ciò, di fare proprio l'appello del partito ad unirsi su Trump per sconfiggere Hillary Clinton appoggiando il tycoon. È l'ottavo, dopo Mike Huckabee, Bobby Jindal, Scott Walker, Rick Perry, Rand Paul, James Stuart Gilmore III, Rick Santorum, a fare un endorsement dopo il voto in Indiana (3 maggio) in suo favore quando ormai Trump è rimasto il candidato unico mentre è il quarto, dopo Huckabee, Paul e Gilmore a fare un primo endorsement dopo tutta la sua campagna elettorale. È il ventesimo in assoluto a fare un endorsement dopo Lindsey Graham (Bush), Rick Perry (Cruz), George Pataki (Rubio), Bobby Jindal (Rubio), Rick Santorum (Rubio), Chris Christie (Trump), Carly Fiorina (Cruz), Ben Carson (Trump), Lindsey Graham (ri-endorsement per Cruz) , Jeb Bush (Cruz), Scott Walker (Cruz), George Pataki (ri-endorsement per Kasich), Mike Huckabee (Trump), Bobby Jindal (ri-endorsement per Trump), Scott Walker (ri-endorsement per Trump), Rick Perry (ri-endorsement per Trump), Rand Paul (Trump), James Stuart Gilmore III (ri-endorsement per Trump), Rick Santorum (ri-endorsement per Trump),sedicesimo dopo Santorum (Iowa), Christie (Nevada), Fiorina (Michigan-Mississippi-Hawaii-Idaho), Carson (Guam-Washington DC-Wyoming), Graham (Florida-Illinois-Missouri-Nord Carolina-Ohio-Isole Marianne), Bush (Arizona e Utah), Walker (Nord Dakota-America Samoa), Pataki (Winsconsin), Huckabee (Indiana), Jindal (Indiana), Walker (Indiana), Perry (Indiana), Paul (Indiana), Gilmore (Indiana), Santorum (Oregon) a farlo dopo un voto elettorale. È il quarto, dopo Mike Huckabee, Rand Paul e James Stuart Gilmore III a fare il suo primo endorsement di tutta la campagna primaria dopo le primarie in Washington quando Trump è rimasto solo. È il nono a sostenere Trump dopo il governatore del New Jersey, il moderato Chris Christie e il neurorchirurgo nero radicale anti-establishment Ben Carson, quando c'era più competitor, l'ex governatore dell'Arkansas ed ex candidato 2008 Mike Huckabee, l'ex governatore della Louisiana Bobby Jindal, il governatore del Wisconsin Scott Walker, l'ex governatore del Texas, Rick Perry, il senatore del Kentuchy, Rand Paul, l'ex governatore della Virginia, Jim Gilmore, e il senatore della Pennsylvania, Rick Santorum a dopo che è rimasto l'unico in corsa.

Il suo nome è circolato come possibile Vicepresidente in un ticket con Trump, che si è detto entusiasta del nome di Rubio nonostante la campagna avvelenata tra i due. Tuttavia lo stesso senatore cubano ha esplicitato che nonostante il suo appoggio rimanevano molti dubbi tra i due.

Durante la presidenza Trump modifica

Contribuisce agli sforzi dell'amministrazione Trump per inasprire le sanzioni economiche contro il Venezuela e propone di sostenere un colpo di stato contro il governo venezuelano.[12]

Dopo l'imposizione di sanzioni alla Cina da parte degli Stati Uniti, Pechino ha risposto il 21 luglio 2020 imponendo ritorsioni nei confronti di quattro pubblici ufficiali statunitensi, tra cui i senatori repubblicani Marco Rubio e Ted Cruz.

Opere modifica

Note modifica

  1. ^ Usa, Obama annuncia: “Vado a Cuba” Ted Cruz e Marco Rubio non ci stanno, in Sì24.it, 18 febbraio 2016. URL consultato il 20 febbraio 2016.
  2. ^ Giulia Belardelli, Iowa, la vera sorpresa è Marco Rubio. Ora il senatore latino ci crede davvero, in L'Huffington Post, 2 febbraio 2016. URL consultato il 15 febbraio 2016.
  3. ^ Alberto Flores D'Arcais, Marco Rubio, la sorpresa GOP alle primarie in Iowa, in La Repubblica, 2 febbraio 2016. URL consultato il 21 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
  4. ^ (EN) Biography.com Editors, Marco Rubio Biography, in The Biography.com website, 13 febbraio 2016. URL consultato il 13 febbraio 2016.
  5. ^ Andrea Signorelli, Usa 2016: chi è Marco Rubio, in Polisblog, 3 novembre 2015. URL consultato il 3 febbraio 2016 (archiviato dall'url originale il 30 gennaio 2016).
  6. ^ Marco Rubio/Chi è il candidato repubblicano alle elezioni Presidenziali del 2016, in ilsussidiario.net, 14 aprile 2015. URL consultato il 13 febbraio 2016.
  7. ^ Usa, il repubblicano Marco Rubio annuncia la candidatura alla Casa Bianca, in Il Messaggero, 13 aprile 2015. URL consultato il 3 febbraio 2016.
  8. ^ Giulia Belardelli, Elezioni Usa 2016, Marco Rubio annuncia la sua candidatura. L'Obama del GoP sfida le dinastie Clinton e Bush, in L'Huffington Post, 13 aprile 2015. URL consultato il 3 febbraio 2016.
  9. ^ Mario Landi, Usa, il giovane senatore Marco Rubio la risposta repubblicana a Hillary Clinton, in Leggo, 14 aprile 2015. URL consultato il 15 febbraio 2016.
  10. ^ (EN) David M. Drucker, The epic fall of Marco Rubio, in Washington Examinerdata=15 marzo 2016. URL consultato il 17 marzo 2016.
  11. ^ Marco Rubio si è ritirato, in Il Post, 16 marzo 2016. URL consultato il 17 marzo 2016.
  12. ^ (EN) Is Latin America Still the US’s “Backyard”?, su América Latina en movimiento. URL consultato il 6 dicembre 2018.

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Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàVIAF (EN186893969 · ISNI (EN0000 0003 5728 1467 · LCCN (ENno2011162579 · GND (DE1121690599 · WorldCat Identities (ENlccn-no2011162579