Massimino il Trace

venticinquesimo imperatore romano (r. 235-238)

Gaio Giulio Vero Massimino (in latino Gaius Iulius Verus Maximinus; Tracia, 173 circa – Aquileia romana, 10 maggio 238), meglio noto come Massimino il Trace (Maximinus Thrax), è stato imperatore romano dal 235 alla sua morte, avvenuta nel 238.[14]

Massimino il Trace
Imperatore romano
Busto di Massimino ai Musei Capitolini di Roma.
Nome originaleGaius Iulius Verus Maximinus
Regno20 marzo 235
10 maggio 238
Tribunicia potestas4 anni: la prima il 20 marzo del 235, poi rinnovata ogni anno al 10 dicembre
Cognomina ex virtuteGermanicus Maximus[1][2][3] nel 235,[4][5] Dacicus Maximus[1][2][4] nel 236/7[6] e Sarmaticus maximus[2][4] nel 237.[7]
TitoliPater Patriae,[8] Pius e Felix[9] nel 235.[8]
Salutatio imperatoria6 volte:[10] la prima al momento della assunzione del potere imperiale, il 20 marzo del 235, poi ancora nel 235 (II[11]) e nel 237 (III-IV-V[12]-VI[10])
Nascita173 circa
Tracia[13]
Morte10 maggio 238
Aquileia[14]
PredecessoreAlessandro Severo
SuccessoreBalbino e Pupieno, Gordiano III
ConsorteCecilia Paolina[15][16]
FigliGaio Giulio Vero Massimo, nato nel 217[17]
PadreMicca[18]
MadreAbaba[18]
Consolato1 volta: nel 236.[19]
Legatus Augusti pro praetoresotto Alessandro Severo sul Limes renano
Prefettosotto Settimio Severo divenne prima praefectus alae,[20] poi praefectus civitatium Moesiae et Treballiae[21]
Pontificato maxPontifex Maximus dal 235[8][12]

Fu il primo barbaro a raggiungere la porpora imperiale, grazie al solo consenso delle legioni,[22] essendo nato senza la cittadinanza romana,[13][23] e senza essere neppure senatore.[24] Fu anche il primo imperatore a non aver mai messo piede a Roma, in quanto trascorse i suoi tre anni di regno[25] impegnato in vittoriose campagne militari.[24] Egli fu anche il primo imperatore-soldato del III secolo.

Il suo governo viene ritenuto dagli storici un fondamentale momento di svolta della storia imperiale (anarchia militare). Massimino ottenne successi militari sia lungo il fronte renano sia danubiano, dove sconfisse prima gli Alemanni e poi i Sarmati della piana del Tibisco.

Massimino impose un durissimo prelievo fiscale per finanziare l'esercito e s'inimicò sia il Senato sia le élite delle città. La rivolta contro di lui partì dall'Africa, dove proprietari e coloni si ribellarono e venne acclamato Augusto il proconsole d'Africa Gordiano I, che associò al potere il figlio (Gordiano II), venendo quindi riconosciuto dal senato. La rivolta fu domata dalle truppe di Massimino e i due Gordiani furono eliminati. Nel 238, però, Massimino venne infine ucciso dai suoi stessi soldati mentre assediava Aquileia nel tentativo di raggiungere Roma.[14][24]

Massimino fu anche uno degli uomini più alti della storia, misurando tra i 239 e i 248 cm circa[26].

Biografia

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Origini e carriera militare

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Massimino nacque intorno al 173 in un villaggio della Tracia[13], in prossimità del confine con la Mesia inferiore. Secondo la Historia Augusta, il padre era un goto, mentre la madre un'alana.[13] Erodiano descrive Massimino come un pastore trace di origini semi-barbare,[27][28] che intraprese la carriera militare al tempo di Settimio Severo,[29] arruolandosi in un'unità ausiliaria (un reparto di cavalleria[30]) in virtù della propria forza fisica.[28] Che sia stato un pastore durante gli anni della fanciullezza è confermato anche nella Historia Augusta, secondo cui Massimino (mettendosi a capo dei propri compagni), affrontò in più di un'occasione i briganti, difendendo i genitori e le greggi.[31]

Dalle fonti storiche si ricava che l'aspetto dell'imperatore fosse spaventoso, dotato di una forza sovrumana,[26][32] e di un'altezza fuori del comune: un dito sopra gli otto piedi romani (due metri e quaranta):[33]

«Era infatti imponente nella corporatura per la grande prestanza, famoso per il suo valore tra tutti i suoi commilitoni, bello e virile, fiero nel suo comportamento, duro, superbo, notevole ed allo stesso tempo giusto.»

«[…] era in grado di trascinare un carro a quattro ruote a forza di braccia, muovere da solo un carro carico di gente, buttar giù i denti di un cavallo con un pugno, spezzargli i garretti con un suo calcio, frantumare pietre di tufo, spaccare alcune piante in due, tanto da essere chiamato da alcuni Milone di Crotone, da altri Ercole da altri ancora il gigante Anteo

e ancora,

«Risulta che spesso bevesse in un solo giorno un'anfora capitolina di vino, che mangiasse fino a quaranta libbre di carne, o anche sessanta […] egli non assaggiò mai i legumi e quasi mai bevande fredde se non quando ne aveva necessità. A volte raccoglieva le gocce del suo sudore, mettendole in calici o in un contenitore, tanto da mostrare due o tre sestarii

 
Possibile busto di un giovane Massimino il Trace, dal Musée Saint-Raymond di Tolosa.

Sembra che abbia nascosto le proprie umili origini semi-barbare (contrapposte a quelle nobili della maggior parte degli imperatori precedenti) perché "non apparisse che l'imperatore fosse nato da genitori, entrambi di stirpe barbarica".[23] La sua scalata sociale sarebbe incominciata grazie alla carriera militare che gli consentì, infine, l'accesso nei ranghi dell'ordine equestre.[34] L'occasione per l'arruolamento gli si presentò al tempo dell'imperatore Settimio Severo, quando:

«Nel giorno natale del figlio minore [dell'imperatore], Geta, Severo aveva indetto dei giochi militari, mettendo in palio come premi degli oggetti d'argento, tra cui bracciali (armillae), collane (torques) e ornamenti (falerae). Massimino, giovane e semibarbaro, all'epoca ancora inesperto della lingua latina, rivolse in pubblico all'imperatore - parlando in lingua tracia - la richiesta di poter combattere con uomini di grado militare elevato. Severo, colpito dalla grandezza del suo fisico, lo fece combattere con i più forti tra i vivandieri, non volendo andare contro la disciplina militare. Massimino ne batté sedici, guadagnando altrettanti premi minori riservati a quelli che non appartenevano all'esercito, e così fu arruolato.»

Sempre secondo la Historia Augusta due giorni dopo l'aneddoto appena narrato, avendo Severo udito degli schiamazzi nel campo, e accortosi che si trattava di Massimino, ordinò al tribuno di punirlo e insegnargli la disciplina romana. Ma Massimino, accortosi che l'imperatore aveva parlato di lui, si accostò a Severo, che era a cavallo. Allora Severo che intendeva provarne la resistenza e la forza, dapprima lo sfidò a seguirlo a piedi, lanciando il cavallo al galoppo, e poi a combattere con numerosi soldati, tra i più forti e valorosi.[35]

 
Busto di Settimio Severo, l'imperatore che fece arruolare Massimino nell'esercito.

«Allora Massimino come al solito abbatté sette dei più forti, uno dopo l'altro, e ricevette da Severo, oltre ai premi in argento, un torques d'oro e venne arruolato tra le guardie del corpo dell'imperatore. Fu così che divenne una persona importante, famosa tra i soldati, benvoluto dai tribuni e guardato con rispetto dai commilitoni.»

Entrato così a far parte dell'esercito romano, inizialmente come cavaliere per la sua altezza,[27] ebbe nel corso degli anni successivi l'appoggio di Severo nel ricoprire i vari gradi della carriera militare (prima come praefectus alae,[20] poi praefectus civitatium Moesiae et Treballiae[21]), distinguendosi tra tutti sia per l'altezza e l'imponenza, sia per la grandezza degli occhi e il candore della pelle.[36] Ricoprì, quindi, sotto Caracalla il ruolo di centurione. All'avvento di Macrino abbandonò l'esercito romano momentaneamente (evidentemente dopo aver raggiunto il numero necessario di anni di servizio militare), a causa dell'odio che nutriva nei confronti di chi aveva ucciso il suo imperatore. Per un certo periodo, dopo aver acquistato dei possedimenti nel villaggio della Tracia dove era nato, esercitò il commercio con i vicini Goti, essendo da loro benvoluto e apprezzato,[37] e con gli Alani che si erano stabiliti lungo le sponde del Danubio.[38]

Nel 218, non appena apprese che Macrino era stato ucciso, si recò dal nuovo imperatore Eliogabalo (che si diceva fosse figlio di Caracalla), allo scopo di vedersi riconfermata la considerazione già manifestata nei suoi confronti da Settimio Severo, nonno dell'imperatore. Ma Eliogabalo, ne deluse le aspettative rendendolo oggetto di scherno, tanto da scoraggiarne il ritorno alla vita militare: «Dicono, o Massimino, che tu abbia lottato vittoriosamente con 16, 20 e 30 soldati. Potresti farcela per trenta volte con una donna?».[39] Gli amici dell'imperatore, al contrario, fecero di tutto per trattenerlo (evidentemente come evocatus) proprio perché la sua fama era così grande, da suscitare discredito la rinuncia a un uomo che era considerato al pari degli eroi greci come Ercole, Achille, Ettore o Aiace.[40] Pertanto, negli anni successivi Massimino ricoprì il ruolo di tribuno angusticlavio, evitando tuttavia di incontrare o ossequiare Eliogabalo, che detestava.[41]

Quando apprese dell'assassinio di Eliogabalo e della salita al potere di Alessandro Severo, si recò a Roma per conoscere il nuovo imperatore. Quest'ultimo lo accolse con grande gioia e manifestazioni di affetto, nominandolo tribuno laticlavio della legio IV Flavia Felix (di stanza a Singidunum) con queste parole:[42]

«Non ti ho affidato, o Massimino mio carissimo e affezionato, il comando di soldati veterani, perché ho temuto che tu non potessi ormai più correggere i loro vizi, che si erano formati sotto il comando di altri. Hai ora sotto il tuo comando delle reclute. Fai in modo che apprendano la vita militare secondo i tuoi insegnamenti, il tuo valore, il tuo impegno, in modo che tu possa procurarmi molti Massimini, tanto importanti allo Stato.»

A conferma della nomina da parte di Alessandro Severo vi sarebbe, un'iscrizione rinvenuta nel castrum di Brigetio, secondo la quale un certo Gaio Giulio Massimino, forse il futuro imperatore, era a quel tempo custos armorum della legio I Adiutrix.[43] Massimino assolse al proprio incarico con grande coscienziosità e zelo,[44] addestrando i legionari affidatigli in manovre sul campo, ispezionando le loro armi, il loro abbigliamento militare, dando esempio di coraggio,[44] assumendo l'aspetto più di un padre che di un comandante.[45] A dei tribuni poi, che gli chiedevano come mai si affaticasse tanto, rispose:[46]

«Ma io più farò carriera e più mi darò da fare.»

Dal fatto che avesse lo stesso nome di Gaio Giulio Massimino, governatore della Dacia nel 208, si suppone che abbia prestato servizio sotto di lui ricevendone come ricompensa la cittadinanza romana.[47] A ogni modo, a partire dal IV secolo le fonti incominciano a soprannominarlo "il Trace".[48]

All'epoca di Caracalla, risalirebbe il matrimonio con una certa Cecilia Paolina,[16] da cui ebbe almeno un figlio, Gaio Giulio Vero Massimo, nato nel 217.[17]

Ascesa al potere: morte di Alessandro Severo (febbraio/marzo 235)

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Gaio Giulio Vero Massimo: denario[49]
 
IVL VERVS MAXIMVS CAES, testa verso destra, drappeggio sulle spalle; PIETAS AVG, un lituo, un coltello, una brocca, un simpulum e uno spruzzatore.
Coniato nel 235/238 (3,06 g, 12 h, zecca di Roma)

A Massimino fu affidato il comando delle legioni renane, quando Alessandro Severo stabilì di accamparsi in Gallia (a Mogontiacum). La scelta del giovane princeps risultò fatale e determinante per gli eventi successivi:[50]

«[…] Alessandro fu ucciso da alcuni soldati, inviati repentinamente, come sostengono alcuni, dallo stesso Massimino, o secondo altri da ufficiali delle truppe barbare, mentre cercava rifugio presso la madre, dopo che Massimino era stato già proclamato Imperator. Secondo alcuni i motivi sarebbero da ricercarsi nel fatto che la madre Giulia Mamea, avesse indotto il figlio ad abbandonare la guerra intrapresa [contro gli Alemanni], per tornare in Oriente,[51] generando malcontento tra le truppe, sfociato poi in aperta sedizione; secondo altri Alessandro si stava apprestando a sciogliere le legioni in Gallia, come aveva già fatto in Oriente.»

«Molti dicono che ad ucciderlo furono le reclute inviate da Massimino, che erano state affidate a quest'ultimo per essere addestrate. Molti ancora sostengono altre versioni. È certo che furono comunque dei soldati, i quali non gli risparmiarono neppure gli insulti, chiamandolo «bambino», e rinfacciando alla madre di essere avara ed avida di potere.[52]»

«[…] cresceva l'odio contro Alessandro, il quale, incerto nel trovare soluzioni ai problemi che gli si presentavano, preferì dare pieno sfogo all'avidità ammassando ricchezze con la complicità della madre.»

Secondo la versione di Erodiano, la rivolta dei soldati che portò alla morte di Alessandro Severo fu dovuta principalmente al fatto che molti dei soldati di origine pannonica e mesica,[20] assai devoti a Massimino,[53] ritenevano che Alessandro dipendesse troppo dal potere della madre e si stesse comportando con codardia nel condurre la guerra contro gli Alemanni.[54] A rinfocolare gli animi contribuiva il ricordo dei recenti disastri in Oriente, causati a loro giudizio dalle esitazioni dell'imperatore.[53] Pertanto, stabilirono di uccidere Alessandro e di elevare alla porpora imperiale Massimino,[20][55] al quale sembra gettarono sulle spalle il mantello di porpora (prima ancora di assassinare Alessandro), mentre passava in rassegna un reparto per un'ispezione.[56] Inizialmente Massimino rifiutò ma poi decise di accettare a patto che l'acclamazione fosse seguita dall'immediata uccisione di Alessandro, prima che questi avesse il tempo di organizzare le legioni poste sotto il suo diretto comando.[57] E così dopo aver promesso di raddoppiare il loro stipendium di soldato, nuovi donativa e di cancellare tutte le punizioni, marciò con decisione contro l'accampamento di Alessandro (che si trovava a Mogontiacum).[20][58] Quest'ultimo venuto a conoscenza della situazione, preso dal panico, promise a sua volta ai soldati qualunque cosa desiderassero.[59] Poco dopo, però, Alessandro, abbandonato dai suoi, fu assassinato nella propria tenda, assieme alla madre Giulia Mamea, da un tribuno e da alcuni centurioni mandati a ucciderlo da Massimino (fine di febbraio/inizi di marzo 235[34]).[60] Secondo invece la versione di Zosimo, la morte di Alessandro avvenne a Roma:

«Quando Alessandro venne a sapere della rivolta, mentre si trovava nelle province del Reno, tornò rapidamente a Roma, promise ai soldati ed allo stesso Massimiano il perdono, nel caso rinunciassero all'impresa. E poiché non fu in grado di convincerli, abbandonò ogni speranza e si uccise. Anche la madre, Mamea, giunta dal pretorio con i due prefetti per porre fine alla rivolta, si uccise insieme a loro.»

Massimino fu acclamato Imperator (secondo invece la versione della Historia Augusta), solo dopo l'uccisione di Alessandro. Era un caso senza precedenti visto che si verificava per un militare, non ancora senatore, oltretutto senza alcun decreto del senato. Gli fu anche dato come collega nell'Impero, il figlio Gaio Giulio Vero Massimo.[22][61] La scelta dei legionari venne successivamente condivisa anche dalla guardia pretoriana e ratificata dal Senato romano, che però mal tollerava un imperatore di origine barbara.

Fu il primo soldato a divenire imperatore romano, pochi decenni dopo che Settimio Severo avesse stabilito la possibilità di avanzamento tra i ranghi degli ufficiali per i sottufficiali e soldati di rilievo, e che suo figlio Caracalla avesse concesso la cittadinanza romana a quasi tutti i nati liberi nel territorio dell'Impero.[62]

Regno (235-238)

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Il periodo di governo di Massimino fu reso difficile dai problemi principali che concorsero a causare l'anarchia militare o crisi del III secolo: pressione delle popolazioni barbare dall'esterno,[63] guerre civili all'interno, collasso economico.

Consolidamento del potere

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Massimino si rendeva conto dell'opposizione che incontrava presso l'aristocrazia senatoriale. Per tale motivo rimosse i consiglieri più vicini ad Alessandro Severo facenti parte del seguito di quest'ultimo,[64][65] inviandoli a Roma,[65] o mettendoli a morte, ove ritenesse stessero organizzando un complotto ai suoi danni,[66] mantenendo comunque nei posti di potere, molti degli uomini designati dal precedente imperatore. Tra gli "esiliati" rientra Timesiteo che fu allontanato con l'incarico di un comando provinciale.[62] Secondo Erodiano, essendo cosciente delle proprie umili origini, Massimino non voleva che vi fossero intorno a lui persone di nobile nascita,[67] preferendo circondarsi dei soli militari a lui fedeli.[65] La Historia Augusta aggiunge:

«[Massimino] non voleva avere vicino a sé alcun nobile, governando come avrebbe fatto uno Spartaco o un Atenione. […] Cercò di sospendere le leggi emanate da Alessandro Severo. E nel sospettare amici e collaboratori divenne sempre più crudele.»

L'opposizione senatoriale tentò in due occasioni di sbarazzarsi di Massimino. Il primo tentativo si ebbe quando l'imperatore, a dimostrazione delle proprie capacità militari,[63] decise di intraprendere una campagna militare oltre il Reno. In tale circostanza, il nobile consolare Magno[68] corruppe alcuni soldati e centurioni,[69] posti a guardia del ponte in costruzione sul fiume, affinché ne provocassero il crollo dopo il passaggio dell'imperatore,[70] lasciandolo isolato sull'altra sponda in balìa dei Germani (non esistevano, infatti, imbarcazioni in territorio nemico), e quindi di acclamare imperatore al suo posto Magno stesso.[71][72] Massimino, venuto a conoscenza del complotto, mise a morte tutti coloro che ritenne coinvolti nella congiura senza sottoporli a un regolare processo e confiscandone il patrimonio: si ebbero 4.000 vittime.[73] La celerità della repressione senza che fosse preceduta da indagini volte a far luce sulla vicenda, induce Erodiano ad avanzare il sospetto che la violenta reazione repressiva fosse il frutto di un falso pretesto ideato da Massimino per liberarsi di scomodi oppositori,[74] dando al contempo pieno sfogo alla propria indole crudele.[75] A quello di Magno (vero o presunto che fosse) fece seguito il tentativo di usurpazione di un certo Quartino, detto Tito (ex-console e amico di Alessandro Severo), il quale fu acclamato imperatore contro la propria volontà dalle unità di arcieri osroeni, fedeli ad Alessandro Severo, della cui morte ritenevano responsabile Massimino.[76] Tuttavia, un ex-comandante di questa unità, Macedonio, ritenendo di guadagnarsi il favore di Massimino, inviò a quest'ultimo la testa di Quartino dopo averlo assassinato durante il sonno con l'aiuto di alcuni fedelissimi.[77] L'imperatore, pur comprendendo il pericolo scampato, fece uccidere Macedonio.[78]

Campagne militari lungo la frontiera settentrionale (235-237)

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Il limes germanico-retico, lungo il quale Massimino combatté nel 235 contro gli Alemanni
Massimino Trace: sesterzio[79]
 
MAXIMINVS PIVS AVG GERM, testa verso destra con alloro, drappeggio sulle spalle; VICTO-RIA GERMANICA, S(enatus) C(consultum) ai lati, la Vittoria in piedi verso sinistra, tiene una corona e una palma; un prigioniero sulla sinistra ai suoi piedi.
Coniato nel 236 (28 mm, 18,44 g)
 
Probabile itinerario di marcia del contingente romano nel territorio germanico, che portò alla battaglia di Harzhorn

L'ascesa al potere di Massimino corrispose a un periodo (che trae origine dal tempo di Marco Aurelio), caratterizzato dall'intensificazione della pressione dei Barbari lungo le frontiere settentrionali e dei Persiani Sassanidi in Oriente. Questa duplice minaccia stava poco a poco diffondendo la sensazione che l'Impero fosse irrimediabilmente accerchiato dai nemici e in procinto di collassare.[80] Ad accrescere i timori contribuiva la consapevolezza dell'inefficacia degli strumenti della diplomazia tradizionale, usati fin dai tempi di Augusto e consistenti innanzitutto in un'accorta politica di dissuasione basata su un solido e credibile deterrente militare idoneo sia sul piano difensivo sia su quello offensivo. Altro pilastro tradizionale della politica estera romana era stato il ricorso al cosiddetto principio del divide et impera, attraverso la fomentazione e strumentalizzazione a proprio vantaggio dei dissidi interni sia alle diverse tribù barbariche ostili, sia tra le svariate componenti etnico-tribali e tra le correnti politiche interne all'impero partico prima e a quello persiano poi, il tutto allo scopo di mantenere i nemici o potenziali tali gli uni contro gli altri, evitando a Roma il ricorso diretto alle armi (con i rischi e i costi umani e materiali che ciò avrebbe comportato).

Si rendeva necessario ricorrere immediatamente alla forza, schierando eserciti tatticamente superiori e capaci di intercettare il più rapidamente possibile ogni possibile via di invasione dei barbari; la strategia era però resa difficoltosa dal dover presidiare immensi tratti di frontiera con contingenti militari per lo più scarsi.[81] Molti degli imperatori che vennero via via proclamati dalle legioni nell'arco di venticinque anni non riuscirono neppure a metter piede a Roma, né tanto meno, durante i loro brevissimi regni, a intraprendere riforme interne, poiché permanentemente occupati a difendere il trono imperiale dagli altri pretendenti e il territorio dai nemici esterni. Tuttavia in Massimino l'impero seppe trovare un abile capo militare capace di guidarlo in una difesa energica dei confini.[63]

«C'è da ricordare che Massimino, appena divenuto imperatore, intraprese ogni tipo di campagna militare, conducendole con grande forza e sfruttando le sue capacità belliche, volendo che gli altri lo stimassero e volendo superare in fama Alessandro Severo, che lui aveva ucciso.»

A tale scopo tra il 235 e il 236 l'imperatore condusse la sua prima campagna contro la federazione germanica degli Alemanni,[82] utilizzando come quartier generale Mogontiacum e oltrepassando i confini imperiali nella zona del Taunus presso Saalburg-Zugmantel.[83]

«Questa grande armata era stata assemblata inizialmente da Alessandro Severo, poi aumentata e addestrata da Massimino. Le truppe, poi, che avevano un maggior impatto contro la tattica dei Germani erano sia i lanciarii, sia gli arcieri per la loro "sorpresa", oltre alle incursioni delle truppe leggere romane, che poi si ritiravano con rapidità.»

Massimino riteneva che fosse una priorità dell'Impero la guerra antigermanica,[84] continuò a combattere gli Alemanni, riuscendo non solo a respingere le loro incursioni lungo il limes germanico-retico, ma anche a penetrare profondamente in Germania[85] per circa 300-400 miglia romane (450-600 chilometri) e a battere sul loro terreno gli Alemanni, nella regione del Württemberg e Baden (cfr. battaglia di Harzhorn).[86] Campagne archeologiche di scavo, condotte dal 2008 al 2011, hanno rivelato tracce di uno scontro militare tra l'armata romana (composta anche dalla legio IV Flavia Felix) e i Germani presso l'Harzhorn, nell'area boschiva nei pressi di Kalefeld (in Bassa Sassonia), databile al 235.[87]

«[Massimino] passò in Germania con tutto l'esercito e le truppe di Mauri, Osroeni e Parti,[82] nonché tutte le altre che Alessandro aveva condotto con sé per la campagna militare. Ed il motivo principale per cui portava con sé le truppe ausiliarie orientali era che nessuno valeva di più nel combattimento contro i Germani, degli arcieri armati alla leggera.[82] Alessandro aveva inoltre un apparato bellico mirabile, a cui si dice Massimino aggiunse molti nuovi accorgimenti. Entrato nella Germania transrenana per trenta o quaranta miglia del territorio barbarico, incendiò villaggi, razziò bestiame, saccheggiò, uccise molti dei barbari, generò notevole bottino ai suoi soldati, prese numerosi prigionieri, e se i Germani non si fossero ritirati nelle paludi e nelle selve, avrebbe sottomesso a Roma tutta la Germania.»

«Massimino, una volta raggiunti i confini dei territori nemici, avanzò in profondità, non incontrando alcuna resistenza, poiché i Germani si erano ritirati di fronte allo stesso. Devastò i loro territori, in particolare i campi di grano maturo, dando fuoco a villaggi, e permettendo al suo esercito di compiere razzie.»

 
Le operazioni militari di Massimino in Sarmatia, contro Iazigi e Daci liberi del 236 e 237

Sembra che le foreste e le paludi della Germania Magna, bloccarono i Romani, costringendo Massimino a far ritorno in territorio romano.[88] Prima però, lo stesso Imperatore si rese protagonista di alcune battaglie, quando affrontò in persona il nemico con grande coraggio, lanciandosi nella mischia e uccidendone numerosi.[89]

«[Massimino] si rese direttamente protagonista di molte azioni, come quando, addentratosi in una palude, si trovò circondato dai Germani se i suoi non fossero venuti a liberarlo quando era rimasto impantananto con il suo cavallo. Era convinto, con la solita spavalderia dei barbari, che l'imperatore dovesse essere in prima linea. Condusse così una specie di combattimento navale nella palude, dove uccise un gran numero di nemici.[90]»

A questa campagna apparterrebbero alcune vestigia archeologiche, che testimoniano le devastazioni compiute anche lungo il limes del Norico[91] Per questi motivi ricevette dal Senato l'appellativo di "Germanicus maximus",[1][2][4] mentre sulle monete appare la dicitura "Victoria".

«[Massimino] dispose che fossero dipinti dei quadri raffiguranti le fasi in cui era stata condotta la guerra stessa, e che venissero esposti davanti alla Curia, perché fosse la pittura a raccontare le sue res gestae. Ma dopo la sua morte il Senato, ne dispose la loro rimozione e distruzione.[92]»

Elevò il figlio Gaio Giulio Vero Massimo al rango di cesare[22] e princeps iuventutis ("principe dei giovani"), mentre la moglie defunta, Cecilia Paolina, fu divinizzata.

Divenne, quindi, console agli inizi del 236, insieme con Marco Pupieno Africano.[19] Poi, avendo reso sicure le frontiere della Germania lungo l'alto Danubio, Massimino si recò in Pannonia a Sirmium per l'inverno (del 235/236)[93] e condusse nuove campagne contro i sarmati Iazigi della piana del Tibisco, che avevano provato ad attraversare il Danubio dopo circa un cinquantennio di pace lungo le loro frontiere, e i vicini Quadi (come sembra testimonino alcune iscrizioni rinvenute in zona Brigetio[94]). Egli aveva un sogno: quello di emulare il grande Marco Aurelio e conquistare la libera Germania Magna.[95] Il suo quartier generale, posto a Sirmium,[93] era al centro del fronte pannonico inferiore e dacico. Così infatti riporta la Historia Augusta:

«Portate a termine le campagne in Germania [contro gli Alemanni], Massimino si recò a Sirmio, per preparare una spedizione contro i Sarmati, e programmando di sottomettere a Roma le regioni settentrionali fino all'Oceano.[93]»

 
Il limes pannonicus, lungo il quale Massimino combatté nel biennio 236-237.

Numerose appaiono, infine, le iscrizioni lungo il tratto di limes pannonicus che univa nell'ordine i castra di: Ulcisia Castra,[96] Aquincum,[97] Matrica,[98] Intercisa,[99] Annamatia,[100] Lussonium,[101] Alta Ripa,[102] Ad Statuas,[103] Sopianae[104] e Mursa,[105] a testimonianza delle campagne militari nell'area sarmatica. In numero inferiore sono invece le iscrizioni lungo il tratto di limes dacicus, come ad esempio nella fortezza legionaria di Apulum.[106]

Grazie ai successi ottenuti sul Danubio, l'imperatore poté ottenere i titoli di Dacicus (fine del 236-inizi del 237)[1][2][4][6] e Sarmaticus (nel 237).[2][4][7]

Contemporaneamente nel corso del 236, fu respinta un'incursione di Carpi e Goti, culminata con una battaglia vittoriosa per i Romani di fronte a Histropolis. Ciò potrebbe significare che, attorno a questa data, i Goti avevano già occupato la zona della Dacia libera a nord dei Carpazi, fino alla foce del Danubio e alle coste del Mar Nero, incluse le città di Olbia e Tyras.[107]

Impegnato nelle guerre sulle frontiere, Massimino non andò mai a Roma per rafforzare il proprio potere: invece di cercare il sostegno del Senato romano, decise di fondare il proprio potere sull'esercito;[108] raddoppiò la paga dei soldati e ciò, in coerenza con le continue guerre, richiese un aumento delle tasse. Gli esattori ricorsero a metodi violenti e sequestri illegali, che gli alienarono ancora di più la classe dirigente,[47] portando alcune famiglie al disastro economico.[109]

«Dopo che Massimino ebbe ridotto la maggior parte delle famiglie più facoltose alla povertà, egli cominciò a ritenere che ciò fosse insignificante o poco importante, e non sufficiente a soddisfare i suoi desideri. Così si rivolse al tesoro pubblico e cominciò ad espropriare denaro cittadino, che era stato raccolto per essere distribuito al popolo romano attraverso i congiaria (distribuzioni alimentari e in denaro), oltre a fondi messi da parte per rappresentazioni teatrali e spettacoli.»

I costi crescenti delle guerre condotte prima lungo il limes renano e poi danubiano, costrinsero Massimino a confiscare nuovi beni anche ai provinciali, come le offerte nei templi, le statue degli dèi, gli ornamenti in pubblici edifici, e a fonderli in nuove monete al fine di "mantenere" la fedeltà dei suoi soldati (con stipendia e donativa).[110] Ciò portò a un'aperta rivolta, anche da parte di provinciali e della stessa plebe locale. I cittadini arrivarono a farsi uccidere, piuttosto che permettere che i propri templi venissero profanati. Gli stessi soldati di Massimino, cominciarono a mostrare dissenso, poiché sapevano che loro famigliari rischiavano di essere uccisi dai loro stessi commilitoni, in caso di opposizione al nuovo regime imperiale.[111] Nessuno ebbe, però, il coraggio di ribellarsi apertamente fino alla fine del suo terzo anno di regno (marzo del 238).[112]

Offensiva sasanide in Oriente (237-238)

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagne mesopotamiche di Ardashir I.

Frattanto lungo il fronte orientale, negli anni 237-238[113] le città della provincia romana di Mesopotamia, Nisibi e Carrhae, furono assediate e occupate dai Sasanidi.[113][114][115] Non a caso anche Erodiano suggerisce che i Sasanidi rimasero tranquilli per tre o quattro anni dopo le campagne di Alessandro Severo del 232, il cui esito finale fu assai incerto per le due parti.[116]

Rivolte interne: i Gordiani

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Battaglia di Cartagine (238).
 
Busto di Gordiano I (Musei Capitolini-Roma).

All'inizio del 238 (attorno a marzo),[112] nella provincia d'Africa, una estorsione di un funzionario del fisco (il procurator Augusti del distretto di Cartagine[117]), che per mostrarsi zelante a Massimino,[117][118] attraverso una sentenza comprata in una corte corrotta contro proprietari terrieri locali, accese una rivolta generale nell'intera provincia. I proprietari terrieri armarono i loro "clienti" e contadini,[119] oltre ad alcuni militari, e, prima uccisero il funzionario corrotto,[118][120] poi presero Tisdrus (l'odierna El Djem) e proclamarono imperatore il governatore della provincia africana, Gordiano I (all'epoca ottantenne).[85][121][122] Quest'ultimo, se inizialmente non voleva la porpora imperiale, tanto da essere stato minacciato con le armi nel caso non avesse accettato,[123] in seguito accettò il titolo di Augusto insieme con il figlio, Gordiano II, nella città di Tisdrus.[124] Poi decise di inviare alcuni ambasciatori a Roma per trovare consensi (tra cui il futuro imperatore Valeriano),[125] e dispose di occupare la stessa Cartagine.[125][126][127]

Poco dopo il prefetto del pretorio di Massimino, Vitaliano, veniva ucciso a Roma da alcuni sicari inviati a Roma da Gordiano;[128] molti amici di Massimino furono messi a morte (tra procuratori e magistrati), compresi gli innocenti,[129] come pure il praefectus urbi Sabino fu ucciso dalla folla in una sommossa.[130][131] Il Senato di Roma riconobbe, quindi, i due nuovi imperatori come Augusti[132] (addirittura promettendo al nipote tredicenne Gordiano la pretura, il consolato e il titolo di Cesare[133]), dichiarando Massimino hostis (nemico dello stato), chiedendo infine l'aiuto di tutte le province, affinché combattessero per la comune salvezza e libertà, ricevendone la quasi totale adesione (poche rimasero fedeli al "tiranno") con la messa a morte di numerosi funzionari, amici, generali e militari fedeli a Massimino.[134] Le onorificenze militari di quest'ultimo vennero, inoltre, revocate, il suo nome e quello di suo figlio furono cancellati dalle iscrizioni e dai papiri, le sue statue abbattute[135] e i dipinti celebranti le sue vittorie sui Germani, che adornavano la Curia, furono staccati e bruciati.[92] Massimino, venuto a sapere di questi eventi, preferì riflettere per un paio di giorni con i suoi consiglieri, piuttosto che reagire in modo irrazionale, seppure provasse grande rabbia per quanto accaduto.[136] Poi decise di marciare verso l'Italia con l'intero suo esercito e alcuni contingenti di Mauri,[137] Galli[137] e alleati Germani appena sottomessi,[138] dopo aver fatto alle truppe un nuovo donativum.[139] E prima di partire pronunciò questo discorso alle truppe schierate (adlocutio):

«Sono sicuro che ciò che vi sto dicendo sarà per Voi [soldati] incredibile ed inaspettato. Secondo me ha dell'incredibile, come pure appare ridicolo. Qualcuno sta levando le armi proprio contro di Voi ed il vostro coraggio. Ma non i Germani, che avete sconfitto in molte occasioni, neppure i Sarmati, che regolarmente hanno chiesto la pace. I Persiani dopo la loro recente invasione della Mesopotamia, sono ora calmi e contenti dei loro possedimenti. Il fatto che stiano in queste condizioni, è dovuto alla vostra reputazione per il coraggio con cui combattete, oltre all'esperienza del mio comando, quando fui comandante delle legioni che si trovano lungo il fiume [Eufrate]. Non sono quindi loro, ma i Cartaginesi che sono impazziti. Essi hanno persuaso o forzato un uomo debole e vecchio, che è uscito di senno per la vecchiaia, a diventare imperatore, quasi fosse un gioco in una processione. Ma che sorta di armata hanno messo insieme, quando i littori sono sufficienti a mala pena a servire il loro governatore? Quale sorta di armi utilizzano, non avendo nulla o forse solo le lance utilizzate negli scontri tra gladiatori e bestie? La loro sola esperienza di combattimento è nei cori o nelle battute spiritose o nelle danze. […] Queste sono le persone contro cui noi dobbiamo combattere una guerra, se "guerra" è la parola corretta per definire ciò. Sono convinto che dovremo marciare verso l'Italia, fino a quando ciascuno di loro non si presenti a noi con un ramo d'ulivo e ci porti i propri figli, chiedendo il perdono e inginocchiandosi ai nostri piedi. Gli altri invece scapperanno, perché sono dei poveri codardi. Io allora distribuirò a tutti Voi le loro proprietà, e voi potrete prenderle e rallegrarvi senza alcuna riserva.»

Dopo questo discorso alle truppe, Massimino si mise in marcia per l'Italia, portando con sé anche numerose macchine d'assedio, che però rallentarono non poco la marcia.[138] Ciò lo convinse a inviare, come avanguardia, le legioni pannoniche, affinché cominciassero a occupare le prime postazioni in Italia, mentre la grande armata stava sopraggiungendo. Le unità pannoniche, non solo negli anni si erano dimostrate a lui estremamente fedeli, ma per prime si erano dichiarate favorevoli alla sua elezione a Imperatore.[140] Frattanto a Roma il Senato si esprimeva in questi termini, secondo la Historia Augusta:

«Il Senato ed il Popolo romano, grazie ai principi Gordiani, avendo deciso di liberarsi da quella belva ferocissima [di Massimino], augurano ai proconsoli, governatori, legati, generali tribuni, magistrati, singole città, municipi, fortezze, villaggi, castelli quella prosperità che ora stanno cominciando a godere. Grazie al favore degli dei, abbiamo avuto quale imperatore il proconsolare Gordiano, uomo integerrimo e senatore di grandi principi morali, a cui abbiamo conferito il titolo di Augusto, non solo a lui ma anche al figlio, nobile e giovane Gordiano, ad ulteriore protezione della Repubblica. Ora a voi sta dare il vostro assenso alla lotta per la salvezza della Repubblica, per impedire ogni scelleratezza e difenderla da quella belva e dai suoi amici, ovunque essi siano. Noi abbiamo dichiarato Massimino e suo figlio nemici pubblici (hostis).»

La rivolta in Africa fu il risultato di un episodio non programmato. Il comandante di una parte della Mauretania, chiamata Numidia, il senatore Capelliano, fedele a Massimino,[141] sbaragliò prima le milizie di Gordiano II che morì nel corso della battaglia di Cartagine,[142] poi indusse il padre, Gordiano I, a togliersi la vita impiccandosi, ponendo così fine alla loro rivolta.[143][144] Allora Capelliano, risultato vincitore in nome di Massimino, mise a morte tutti coloro che avevano appoggiato Gordiano in Africa,[145] distrusse città, saccheggiò templi, distribuì ai suoi soldati i dona votiva, fece quindi strage tra la plebe cittadina e la nobilitas delle città.[146] Si preparava, infine, ad assumere il potere imperiale, nel caso in cui Massimino fosse morto.[147]

Intanto Massimino, preso da una terribile collera contro il suo stesso figlio, il quale, a suo tempo, si era rifiutato di recarsi a Roma, lasciando così ai senatori mano libera nella capitale,[148] decise di marciare con le sue legioni pannoniche sulla "città eterna", dopo aver distribuito un nuovo e ricco donativum ai suoi soldati.[149]

Caduta e morte

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L'antica città romana di Aquileia nel suo sviluppo: dal primo periodo repubblicano (con le mura del castrum legionario quadrangolare in rosa più scuro); a quello successivo dopo la vittoria sui Cimbri con le mura costruite nel 100 a.C.; fino alla città alto imperiale (con le mura costruite nel periodo compreso tra l'imperatore Marco Aurelio e Massimino Trace); il periodo tetrarchico, in rosa più chiaro.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Assedio di Aquileia (238).

Temendo ora la naturale reazione di Massimino, che si stava preparando per una marcia contro Roma, ora che i due Gordiani erano morti, i senatori decisero di continuare la resistenza eleggendo co-imperatori e Augusti due di loro, Pupieno (che era stato praefectus Urbi) e Balbino[150][151][152] (tardo aprile, inizi di maggio 238).[153] Tuttavia una fazione a Roma preferì il nipote di Gordiano I, Gordiano III, tanto che ci furono duri combattimenti nelle strade di Roma: Balbino e Pupieno accettarono, allora, di proclamare il giovane Gordiano Cesare.[154][155]

I tre avversari di Massimino potevano contare su milizie formate da coscritti e da gruppi di giovani, mentre l'imperatore aveva a propria disposizione un grande esercito che veniva da anni di guerre. Massimino, avendo ormai capito che l'odio che il Senato di Roma aveva nei suoi confronti «non avrebbe avuto più fine»,[156] decise di marciare rapidamente su Roma[157] per spazzare via i suoi oppositori. Giunto in prossimità di Emona,[158] (l'odierna Lubiana) pensava di trovarvi un esercito pronto a combatterlo, e invece, scoprì che tutti gli abitanti della regione si erano ritirati in città, portando via tutto ciò che poteva fornire vettovagliamento per il nemico, in modo che Massimino e il suo esercito si trovassero ridotti alla fame.[159] Ciò generò i primi malcontenti tra i suoi soldati, inizialmente contenuti in silenzio, poi sfociati in odio aperto verso il loro comandante.[160] Molti affermano che Massimino trovò invece Emona vuota e priva di ogni genere alimentare, poiché ogni cosa era stata distrutta preventivamente dagli abitanti, che poi avevano abbandonato la città.[161] Stoltamente Massimino se ne rallegrò, credendo che l'intera popolazione fosse fuggita al suo arrivo. Dopo aver soggiornato una notte, si rimise in marcia e passò le Alpi,[162] senza incontrare alcuna opposizione.[163]

Quando l'esercito di Massimino giunse in vista di Aquileia, posta all'incrocio di importanti vie di comunicazione e deposito dei viveri e dell'equipaggiamento necessari ai soldati, la città chiuse le porte all'imperatore,[137][164] guidata da due senatori incaricati dal Senato, Rutilio Pudente Crispino e Tullio Menofilo, i quali disposero molti uomini armati lungo l'intero percorso delle mura,[165] che nel frattempo erano state rinforzate di nuovo e dotate di nuove torri.[166] Massimino prese allora la decisione a lui fatale: invece di scendere rapidamente sulla capitale con un contingente, mise personalmente sotto assedio la città di Aquileia, permettendo ai suoi avversari di organizzarsi: Pupieno, a cui era stata affidata la conduzione della guerra[167] (mentre Balbino era preposto alla difesa di Roma, dove fronteggiò a una rivolta cittadina, spalleggiata da gruppi armati di gladiatori, sorta dietro istigazione di due senatori, Gallicano e Mecenate, contro la stessa guardia pretoriana, che sfociò alla fine in un grande incendio dell'Urbe[168]), raggiunse infatti Ravenna, da cui diresse la difesa della città assediata.[24][154][169][170]

Sebbene il rapporto di forze fosse ancora a vantaggio di Massimino, il difficile e prolungato assedio che si protraeva senza risultato,[171] malgrado ci fosse stato un segnale di cedimento, poi rientrato, da parte della popolazione della città ad arrendersi,[172] la penuria di viveri[173] e la rigida disciplina imposta dall'imperatore (portando anche all'assassinio di alcuni generali delle legioni pannoniche[174]), causarono l'ostilità delle truppe verso l'imperatore.[175] Si aggiunga il fatto che il Senato di Roma aveva inviato ex-pretori ed ex-questori in tutte le città dell'area intorno ad Aquileia, per predisporre ovunque misure di sicurezza atte a difendere ogni cosa da possibili attacchi di Massimino,[176] tanto che quest'ultimo si trovò nella posizione critica di essere egli stesso assediato,[177] con l'intero mondo romano ostile.[178]

Balbino: sesterzio[179]
 
IMP CAES(ar) D CAEL BALBINUS AVG, testa verso destra con alloro sul capo, corazza e drappeggio sulle spalle; VICTORIA AUGG(ustorum), la Vittoria in piedi verso sinistra, tiene una corona e un ramo di palma.
Coniato nel 238 dopo la morte di Massimino il Trace (30 mm, 22,56 g, 1 h; zecca di Roma antica, prima emissione)

I soldati della Legio II Parthica (solitamente di stanza nei castra Albana), presi dal timore, verso mezzogiorno, durante un momento di pausa del combattimento, strapparono le sue immagini dalle insegne militari, per segnalarne la deposizione, poi lo assassinarono nel suo accampamento, assieme al figlio Massimo, mentre i due erano coricati sotto la tenda (10 maggio 238).[14][24][180] Poi infilate le loro teste in cima a delle picche, ne fecero mostra agli Aquileiensi.[181]

«[...] lo stesso Massimino, quando si trovò abbandonato e vide il figlio ucciso sotto i suoi occhi, si diede la morte con la propria mano, affinché non gli toccasse in sorte una morte indegna di un uomo.»

Secondo, invece la versione Zosimo, una volta che Massimino si accorse di essere in grave pericolo per la sua vita:

«[…] Massimino, condusse il proprio figlio come supplice, davanti ai soldati, pensando che la sua giovane età sarebbe stata sufficiente a cambiare il loro odio in compassione. Ma i soldati assassinarono con grande ferocia sia il ragazzo, sia subito dopo Massimino. Uno di loro si fece avanti e gli staccò la testa [di Massimino] e la portò a Roma, come evidente segno di vittoria.»

A Roma allora vennero subito abbattute le sue statue e i suoi busti, mentre il suo prefetto del pretorio fu assassinato assieme ad altri suoi amici. Poi le teste dei due ex-sovrani, padre e figlio, furono inviate nell'Urbe,[182] mentre i loro corpi furono mutilati e dati in pasto ai cani, una poena post mortem.[183] Il Senato elesse imperatore il tredicenne Gordiano III[184] e ordinò la damnatio memoriae per Massimino.[185][186]

«Questa fu la fine dei Massimini, degna della crudeltà del padre, ma ingiusta nei confronti della bontà del figlio. La loro morte suscitò grande gioia tra i provinciali, e profondo dolore tra i barbari.»

Monetazione imperiale del periodo

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Monetazione da Massimino il Trace a Emiliano.

Massimino nella storiografia

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Testa frammentaria di Massimino, proveniente dalle sale imperiali del Palatino; fu probabilmente distrutta a seguito del contrasto tra l'imperatore e il Senato romano
Cronologia
Vita di Massimino Trace
235 Massimino fu eletto Augusto per volontà delle legioni germaniche.[187] Condusse una campagna militare contro la federazione germanica degli Alemanni, con "quartier generale" a Mogontiacum.
236-237 Massimino condusse nuove campagne militari contro Sarmati (Iazigi) e Daci liberi della piana della Tisza, ponendo il suo "quartier generale" a Sirmium.[188]
238 All'inizio dell'anno prime sollevazioni in Africa, portarono a proclamare imperatori Gordiano I[85][121] e il figlio Gordiano II, dopo aver occupato anche la stessa Cartagine.[126] La rivolta africana fu sedata nel sangue, costringendo poi Massimino a marciare su Roma, dove si era provveduto a eleggere due Augusti, Pupieno e Balbino.[151][152] Massimino fu però ucciso, nella sua marcia di avvicinamento, presso Aquileia dalle sua stesse truppe.[14][24]

Di lui le fonti raccontano che fu amato dei suoi soldati, ma odiato a Roma, dal popolo e dal Senato. La Historia Augusta dice:

«Massimino ebbe sempre l'accortezza di governare i soldati non solo con la disciplina, ma anche guadagnandosi la loro stima ed affetto con premi e ricompense. Non sottrasse mai ad alcuno la sua razione di viveri. Non permise mai che alcun soldato lavorasse nell'esercito come fabbro o come artigiano, come solevano fare gli altri [imperatori romani], al contrario impegnò le legioni in battute di caccia.»

Egli fu anche molto considerato per le sue doti militari di abile generale, avendo condotto oltre le frontiere settentrionali ogni sorta di campagna militare contro i barbari.[63]

«Vi furono sotto il suo regno numerose altre guerre e battaglie, dalle quali uscì sempre vincitore, facendo ritorno con un grande bottino e [...] tanti prigionieri, che il suolo di Roma faticava a contenerli.»

È vero anche che,

«[…] accanto a queste doti egli era di una crudeltà tale che alcuni lo chiamavano Ciclope, altri Busiride, altri Scirone, altri Falaride, altri Tifone o Gigante.[32] Il Senato lo temeva al punto che nei templi si facevano voti, sia privatamente sia pubblicamente, comprese le donne ed i bambini, perché Massimino non venisse mai a Roma

«Si sentiva raccontare di gente messa dallo stesso in croce, rinchiusa viva nelle carogne di animali appena uccisi, gettata in pasto alle belve, o anche massacrata a forza di bastonate, senza alcuna distinzione di grado sociale, essendo evidente che egli voleva amministrare rigidamente la disciplina militare, applicandola anche alle cose civili, ciò che non conviene mai ad un sovrano per farsi amare. Egli credeva, infatti, che l'Impero non si poteva amministrare, se non con la crudeltà.»

E sembra che questa crudeltà fosse soprattutto dettata dal timore di essere trattato con disprezzo dalla nobilitas, a causa delle sue umili origini barbariche. Costui infatti si ricordava che in passato, prima di diventare Imperatore, era stato snobbato persino dai servi dei nobili, tanto che neppure i loro procuratori lo avevano ammesso alla sua presenza.[189]

«[Massimino] si aspettava che una volta divenuto Imperatore, tutti avrebbero mantenuto lo stesso atteggiamento nei suoi confronti. Tanto può il complesso della propria inferiorità, in tale meschinità.»

«[Massimino] per nascondere le sue umili origini fece uccidere tutti quelli che ne erano a conoscenza, molti anche tra gli amici, che in passato, mossi da misericordia per la sua povertà, gli avevano fatto molti doni. Infatti non vi fu mai un essere tanto crudele sulla terra, che poneva nelle sue virtù la forza fisica, quasi da ritenersi immortale, da non poter essere ucciso.»

Erodiano dello stesso aggiungeva che:

«Una volta che Massimino si impadronì dell'Impero, generò grandi cambiamenti, esercitando il suo potere con crudeltà e causando un diffuso terrore. Tentò di operare una completa trasformazione, da una mite autocrazia ad una feroce tirannia, conscio dell'odio contro di lui per essere stato il primo uomo ad aver raggiunto la porpora imperiale dalle più umili origini ad una simile e fortunata posizione. Il suo carattere era naturalmente barbarico, come la sua razza era barbarica. Aveva ereditato la brutalità dei suoi concittadini; rese la sua posizione imperiale sicura con atti di crudeltà, temendo che sarebbe diventato oggetto di disprezzo da parte del Senato e del popolo romano, impressionati più dalle sue umili origini che dalle sue vittorie militari.»

Zosimo racconta che:

«Quando Massimino aveva ormai saldo il potere nelle sue mani, tutti si pentirono di aver sostituito un impero retto con moderazione, ad una dura tirannide. Massimino di origine oscura, quando prese il potere, mostrò tutti i suoi difetti, esercitando la sua autorità in modo assoluto, tanto da diventare insopportabile. Non dava contro solo a quelli che occupavano le magistrature, ma era crudele in ogni situazione, dando retta ai delatori, i quali denunciavano soprattutto le persone tranquille, poiché dovevano del denaro allo Stato romano. Per cupidigia, Massimino mandava molti di loro a morte, anche senza giudizio, e portava via loro ogni loro bene, compresi quelli delle città.»

Sappiamo però che Massimino svolse energicamente il suo impegno nel corso del breve regno in cui esercitò il potere, e che segnò l'inizio del periodo soprannominato dell'anarchia militare. Affrontò, soprattutto le pressioni esterne dei barbari del Nord con grande energia.[190] Aver però raddoppiato gli stipendi dei soldati, fece divenire troppo onerosa la tassazione, iniziando quell'impoverimento dell'impero che ne causerà la fine.

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  8. ^ a b c CIL XV, 2.
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  48. ^ La prima citazione conservatasi dell'appellativo "Trace" è nella Epitome de Caesaribus 25.1; (EN) Jason Moralee, Maximinus Thrax and the Politics of Race in Late Antiquity, in Greece & Rome, vol. 55, 2008, pp. 55-82, DOI:10.1017/S0017383507000319.
  49. ^ Roman Imperial Coinage, Maximinus Trax, IVb, 1; BMCRE 118; RSC 1.
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  80. ^ Rémondon, p. 74.
  81. ^ Williams, p. 23.
  82. ^ a b c Erodiano, VII, 2.1 parla di reparti di "alleati" arcieri osroeni ed armeni, oltre a lancieri mauretani; aggiungendo anche che vi erano reparti di disertori o prigionieri di guerra Parti.
  83. ^ (DE) Emil Ritterling, voce «Legio», in Realencyclopädie of Klassischen Altertumswissenschaft, Stuttgart 1924-1925, pp. 1333 segg.
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  85. ^ a b c Aurelio Vittore, De Caesaribus, 26.1.
  86. ^ Grant, p. 186; al termine delle operazioni militari di Massimino, furono ricostruiti numerosi forti ausiliari come quelli di Echzell, Butzbach, Kapersburg, Saalburg e Kleiner Feldberg (cfr. (EN) H. Shonberger, The Roman Frontier in Germany: an Archaeological Survey, in The Journal of Roman Studies, vol. 59, 1969, p. 175, DOI:10.2307/299853.
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  90. ^ Erodiano, VII, 2.7.
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Bibliografia

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