«Vedi Napoli e poi muori!»

Con il termine napolitudine si suole indicare una sensazione di malinconia descritta dai turisti e dagli stessi napoletani nel momento in cui si allontanano dal golfo di Napoli e dalla stessa città, tradizionalmente stigmatizzata dalla frase "Vedi Napoli e poi muori". Viene più volte descritta da poeti e scrittori, nonché rappresentata in film e cantata in canzoni classiche napoletane (tra cui la nota Munasterio 'e Santa Chiara), italiane e americane; ne parlano, tra gli altri, gli scrittori Erri De Luca e Luciano De Crescenzo nel celebre film "FF.SS.". In napoletano è detta anche smania 'e turnà ("smania di tornare").

Napoli adagiata sul golfo omonimo. In primo piano il pino di Napoli

La napolitudine viene evocata anche in un poema napoletano, Munasterio 'e Santa Chiara:[1]

(NAP)

«No... nun è overo!
No... nun ce credo.
E moro pe 'sta smania 'e turnà a Napule...»

(IT)

«No... non è vero!
No... non ci credo.
E muoio per questa smania di tornare a Napoli...»

Il termine è spesso confuso con napoletanità ma ha significato completamente differente. Lo stesso accade con napoletanismo, che descrive invece una tipica inflessione dialettale o l'attaccamento alla cultura e alle tradizioni tipiche di Napoli.

A Gilda Mignonette è legato un modo di dire napoletano che ha fatto il giro del mondo e cioè: "vedi Napoli e poi muori". Gravemente ammalata, in fin di vita, a bordo del transatlantico Homeland che la rimpatriava dall'America, resasi conto della prossima e certa morte, a chi le chiedeva dove trovasse la forza di volere sempre guardare il mare, lei rispondeva di volere vedere le coste di Napoli prima di lasciarsi morire in pace. Riscontrato l'aggravamento inevitabile e soprattutto l'impossibilità di esaudire quel desiderio, il comandante, in una notte stellata, diede ordine di portare Gilda sul ponte di comando, seduta su di una poltrona. Giunti dinanzi alle coste illuminate del Portogallo, le disse: "Signora ecco Napoli, siamo arrivati". Gilda guardò ed il suo viso s'illuminò, perché convinta di vedere Napoli. La guardò intensamente... piena di pace e di soddisfazione, per morire serenamente poco dopo.[senza fonte]

Interpretazioni sociologiche modifica

Lo scrittore e giornalista Ruggero Guarini[2] distingue due napolitudini: quella piccolo-borghese, patetica, moralistica, servile e afflittuosa, da quella più vera, tragica e festevole, signorilmente plebea, dionisiaca e ironica. Da una parte Napoli milionaria o Filumena Marturano di Eduardo De Filippo, dall'altra La Gatta Cenerentola di Roberto De Simone.

In questa accezione la napolitudine è un'espressione della vivacità e ingegnosità popolare, dell'arte di sopravvivere frutto del millennio di ininterrotto feudalesimo che ha segnato il carattere di Napoli.[3]

La Napolitudine nell'arte modifica

Note modifica

  1. ^ Luigi Parente, Fabio Gentile e Rosa Maria Grillo, Giovanni Preziosi e la questione della razza in Italia: atti del convegno di studi, Avellino-Torella dei Lombardi, 30 novembre-2 dicembre 2000, Rubbettino Editore, 2005, ISBN 978-88-498-1364-7. URL consultato il 20 marzo 2024.
  2. ^ Ruggero Guarini, Punto e a capo, Garzanti, 1977
  3. ^ Giuseppe Galasso, L'ultimo feudalesimo meridionale nell'analisi di Giuseppe Maria Galanti, Guida, 1984
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