Nicola Giolfino

pittore italiano
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Nicola Giolfino, noto anche con le grafie del nome Nicolò o Niccolò (Verona, 1476Verona, 1555), è stato un pittore italiano.

Il busto di Nicola Giolfino presso la protomoteca della biblioteca civica di Verona

Allievo di Liberale da Verona, Giolfino ereditò da quest'ultimo un approccio anticlassico che lo distinse nell'ambiente artistico veronese. Sebbene in passato la critica abbia inizialmente sottovalutato il suo lavoro, oggi è considerato una delle figure più eccentriche della scena artistica della città, caratterizzato da un «temperamento inquieto ed estroso».[1]

La sua arte fu fortemente influenzata da Lorenzo Lotto, maestro veneziano con cui condivise non solo lo stile pittorico, ma anche una simile personalità. Oltre alle influenze di Lotto, nelle opere più mature di Giolfino si possono rintracciare elementi di maniera raffaellesca e richiami alle correnti provenienti dal nord Europa.

Giolfino ricevette numerose commissioni per opere destinate alle chiese di Verona, molte delle quali sono ancora presenti oggi. Tra queste, spiccano due pale d'altare realizzate per la basilica di Santa Anastasia, un ciclo di affreschi rappresentanti Storie del Vecchio Testamento per la chiesa di Santa Maria in Organo e la decorazione della cappella dei terziari nella chiesa di San Bernardino, dove dipinse Episodi della vita di San Francesco.

Altre sue tele sono oggi conservate in diverse collezioni, tra cui il museo cittadino di Castelvecchio, dove sono esposti capolavori come la Madonna dei Gelsomini, la Madonna de' Caliari e la serie delle Allegorie, oltre che in altre pinacoteche in tutto il mondo. Inoltre, probabilmente in età avanzata, si dedicò anche alla cartografia.

Voce modifica

Nascita e origini famigliari modifica

 
Casa natale di Nicola Giolfino a Verona. Sulla lapide è scritto: «Casa di Niccolò Giofino. Tra i pittori veronesi del secolo decimo sesto celebre nelli affreschi per la gagliarda espressione dei volti e la vivacità delle tinte».

Niccolò Giolfino nacque a Verona nel 1476 nella contrada Falsorgo, situata vicino a porta Borsari. Proveniva da una famiglia di artisti di origine piacentina che si era trasferita sulle rive dell'Adige all'inizio del Quattrocento e che vantava nove scultori distribuiti in cinque generazioni. La sua presenza è documentata per la prima volta in un censimento del 1490, nel quale risultava vivere con i genitori, la sorella Maddalena e lo zio Girolamo.[2][3][4]

Si sposò con Ginevra Barbarossa, dalla quale ebbe sette figli: Camilla, Elisabetta, Lucrezia, Andrea, Nicolò junior (che si presume sia stato l'unico a seguire le orme paterne nell'arte), Giovanni Paolo e Agostino (Treccani).[4]

Formazione modifica

La formazione artistica di Nicola Giolfino è oggetto di discussione tra gli storici dell'arte. In passato, Giovanni Battista Da Persico, Diego Zannandreis e altri hanno ipotizzato che fosse stato allievo e amico di Mantegna, ma questa teoria è stata successivamente ridimensionata per mancanza di prove concrete.[2][1] È più probabile che abbia acquisito i primi rudimenti dell'arte all'interno della sua famiglia, la quale seguiva «una tradizione di scultura artigiana e decorativa fedele ancora al linearismo gotico e quasi interamente insensibile alla lezione padovana di Donatello».[3] Fu, quindi, dall'esperienza famigliare che Nicola imparò a «definire i volumi intaccandoli quasi a colpo di scalpello e isolandoli di qualsiasi vibrazione atmosferica».[3]

Le influenze artistiche del nord Europa, introdotte in Italia dal viaggio di Albrecht Dürer, probabilmente ebbero un ruolo formativo importante sul giovane Nicola; ciò è riscontrabile nei suoi rari disegni autografi, come il San Giorgio e il drago conservato presso la Staatliche Graphische Sammlung di Monaco di Baviera e il "San Sebastiano" del British Museum di Londra.[3][4]

Un'apprendistato fondamentale per Nicola iniziò nel 1492 presso la bottega del pittore e miniatore Liberale da Verona, con cui aveva già lavorato lo zio Antonio, e in quel momento frequentata anche da Francesco Torbido, Antonio da Vendri e Giovanni Francesco Caroto. Qui, Giolfino, assimilò tendenze gotiche, «il gusto per la narrazione aneddotica, la forza espressiva dei colori, la sensibilità del miniatore per la linea decorativa; qui oltretutto maturò la vocazione per un anticlassicismo acceso e tormentato che segnerà radicalmente il suo personale linguaggio figurativo».[2][3][4]

In questi anni, Giolfino già manifestava il suo «temperamento inquieto ed estroso» che caratterizzerà la sua produzione futura.[1] L'ipotesi avanzata da alcuni studiosi circa un suo possibile viaggio a Venezia insieme a Paolo Farinati non trova prove; a meno di future scoperte, si ritiene che non abbia mai lasciato nel corso della vita l'ambito della città natale.[1]

I primi lavori modifica

 
Madonna dei Gelsomini, museo di Castelvecchio, Verona

Un'anagrafe del 1501 riporta che fosse orfano di padre e che già esercitasse l'attività di pictor in proprio, presumibilmente con successo se si guarda un estimo dell'anno successivo in cui viene allibrato per 12 soldi, una somma superiore a quella guadagnata nello stesso periodo da pittori della generazione precedente come Domenico Morone e lo stesso Liberale. Nonostante ciò, poco o nulla si sa delle sue prime opere, molte delle quali potrebbero essere andate perdute nel corso del tempo. Secondo la storica dell'arte Marina Repetto Contaldo, Giolfino potrebbe essere l'autore di alcuni affreschi commissionati dopo il 1497 da Benassuto Montanari per la facciata di una casa in piazza delle Erbe a Verona, tra cui Ercole che uccide l'idra e dei tondi raffiguranti Teste di imperatori romani. Un dipinto attribuito a lui potrebbe essere anche il San Rocco dipinto nei primi anni del XVI secolo, oggi di proprietà della Cassa di Risparmio di Firenze e presumibilmente all'origine parte di una pala d'altare realizzata per la chiesa, ormai scomparsa, di San Silvestro a Verona.[N 1] Si ritiene, inoltrem che Giolfino abbia decorato con affreschi la sua casa natale nei pressi di porta Borsari, dove «dove l'enigmatico Trionfo di un condottiero è inserito in una cornice con fregio a grottesche, i cui motivi romaneggianti manifestano il debito verso l'arte di Andrea Mantegna».[4]

Verso il 1510, Giolfino dipinge la sua prima opera certa, Madonna dei Gelsomini, attualmente conservata nel museo di Castelvecchio a Verona. Con questa tela, Nicola, mostra già di aver acquisito una certa maturità artistica, sebbene nel complesso ancora influenzata dal suo maestro Liberale è visibile una crescente autonomia nella scelta compositiva e cromatica «che lo porta a usare un segno profondo e ombre insistite sulle carnagioni scure, con un prevalere complessivo dei toni bruni, su cui si staccano pochi stridenti colori», probabilmente il risultato della sua formazione nella bottega scultorea di famiglia o di un personale adattamento delle correnti artistiche lombarde influenzate da artisti come Andrea Solario o Giovanni Antonio Boltraffio.[4][5]

Produzione giovanile modifica

 
Cappella Miniscalchi, basilica di Santa Anastasia, la pala d'altare e la predella sono di Nicola Giolfino (il catino è di Francesco Morone e Paolo Morando)

È comunque solo dal 1515 che è possibile tracciare con sicurezza la cronologia delle opere di Giolfino. In quell'anno, il pittore veronese realizzò due frammenti di predella, uno raffigurante Le guarigioni miracolose di San Nicola da Tolentino e l'altro La morte di San Filippo Benizi, oggi conservati rispettivamente al museo della Slesia di Opava e al Philadelphia Museum of Art. In origine, la predella era parte di un dipinto più grande realizzato per la cappella di Arnolfo de Arcolis nella Chiesa di Santa Maria della Scala a Verona, un'opera ormai scomparsa. Questi due dipinti mostrano figure espressive, volutamente piccole e sproporzionate, che richiamano lo stile dei pittori ferraresi come, ad esempio, Amico Aspertini. Nello stesso anno, Giolfino si trasferì nella contrada di San Michele ad Portas, vicino alla sua famiglia, dove visse per il resto della sua vita.[3][4]

Nel 1518, completò e firmò una pala intitolata Discesa dello Spirito Santo, commissionata per l'altare della famiglia Miniscalchi nella Basilica di Santa Anastasia a Verona. La commissione, affidata al pittore dal nobile Alvise Miniscalchi il 19 marzo 1516, prevedeva un compenso di 57 ducati d'oro e doveva essere completata entro Natale dello stesso anno. Tuttavia, la realizzazione della tela richiese più tempo del previsto. Nell'opera, che comprende anche una predella dello stesso Giolfino, vi è raffigurata una Predicazione di San Vincenzo Ferrer, nella quale l'autore descrive la scena principale con elementi insoliti armonizzati con il paesaggio circostante.[4][6][7] In questa tela, Giolfino utilizza nuovamente figure dalle proporzioni irrealistiche e volti dettagliati, seguendo le influenze delle innovazioni grafiche provenienti dal nord Europa, in particolare da artisti come Hans Burgkmair e Jörg Breu il Vecchio. Questa scelta stilistica si discosta dalle tendenze veronesi dell'epoca, dominate da pittori come Francesco Morone, Girolamo dai Libri e i fratelli Giovanni e Giovan Francesco Caroto, confermando l'unicità di Giolfino nel panorama artistico locale.[3][4]

 
Madonna in gloria col Bambino, san Matteo, san Girolamo e il committente, museo di Castelvecchio, Verona

Un altro lavoro attribuibile a Giolfino e collocabile tra il 1515 e il 1520 è la pala Madonna in gloria col Bambino, san Matteo, san Girolamo e il committente, commissionata da Girolamo de' Caliari per l'altare maggiore della scomparsa Chiesa di San Matteo a Verona, di cui fu rettore. L'opera, oggi conservata al Museo di Castelvecchio, mostra un ritratto del committente tra i due santi, ma il suo cattivo stato di conservazione, dovuto ad un restauro ottocentesco mal eseguito, impedisce una lettura precisa che possa dare elementi utili alla ricostruzione dell'evoluzione stilistica dell'autore. Altre opere ritenute parte a questo periodo includono Madonna col Bambino, esposta all'Accademia Carrara di Bergamo, e Tre angeli con i simboli della Passione, conservata nei Musei civici agli Eremitani di Padova.[4]

Gli anni 1520: raffellisimo e influssi del Lotto modifica

Durante il decennio successivo, Giolfino abbandonò gradualmente «la tensione emotiva e il colore cupo della Pala Miniscalchi», preferenso uno stile più influenzato dalle correnti raffaellesche, che si diffusero a Verona grazie alle stampe di Marcantonio Raimondi. Queste nuove influenze modificarono il ritmo compositivo del pittore, portandolo a una maggiore distensione. Fondamentale anche l'incontro con il pittore veneziano Lorenzo Lotto, «artista spiritualmente assai vicino a lui, che lo porta a schiarire la tavolozza originaria in toni più acidi e squillanti, immelanconisce gli umori e fa più intimi i sentimenti, suggerisce al racconto spunti fantastici e trovate di un'arguzia felicissima e sempre rinnovata».[5]

Nel 1522,[N 2] Giolfino lavorò con Paolo Morando, noto come "il Cavazzola", nella cappella dei terziari della Chiesa di San Bernardino a Verona. In questa collaborazione, Giolfino dipinse un ciclo di affreschi in cui raffigurò Eepisodi della vita di San Francesco, ispirandosi alla Legenda maior di San Bonaventura.[4][8][9][10] Le pitture includono didascalie in cui si evidenziano parallelismi tra San Francesco e Cristo, mentre lo sfondo presenta paesaggi veronesi riconoscibili, come i portoni della Bra, la torre dei Lamberti, ponte Pietra e Castel San Pietro.[3][11]

 
Incoronazione di Dario, Palazzo Maffei Casa Museo
 
Uccisione del falso Smerdi, Palazzo Maffei Casa Museo

Alla produzione di tele a affreschi di matrice raffaellesca, Giolfino alternò la realizzazione di una serie di dipinti di piccole dimensioni, pregi di richiami alle correnti nordiche e lombarde, da utilizzare come frontali per cassoni e spalliere di letti, oggi sparsi in diversi musei e collezioni private. Tra questi si possono citare Storie di Santa Barbara e Sacrificio di Muzio Scevola (il primo conservato a Castelvecchio, il secondo in una collezione privata) il cui autore colloca i protagonisti nell'«arioso scenario» di piazza dei Signori. Altre opere simili sono ad esempio il Deucalione e Pirra dell'Indiana University Museum of Art e l'Achille riconosciuto da Ulisse (Verona, Museo di Castelvecchio) caratterizzato da un «equilibrio della composizione sostenuto da eleganti rapporti cromatici giocati sui toni del giallo, del rosso e del verde». Degne di nota anche le tavole, seppur di non facile collocazione temporale, Incoronazione di Dario e Uccisione del falso Smerdi, oggi in mostra a Palazzo Maffei Casa Museo, la cui critica ha evidenziato l'«inimitabile verve narrativa e una cultura complessa che tanto deve all’ambito nordico – a Dürer, come a Cranach –, oltre che a quello lombardo di Bramantino, Romanino e Altobello Melone, e a quello emiliano di Dosso Dossi e Amico Aspertini».[3][4][12]

Un'altra opera significativa del periodo è la grande tela centinata Pentecoste realizzata per la chiesa di Santa Maria della Scala a Verona, caratterizzata da accese suggestioni spirituali in uno stile che mostra evidenti influenze raffaellesche.[4][5]

Di questi anni abbiamo anche notizie documentali del Giolfino; infatti, nel 1520, appare nel testamento dello zio Giovanni in cui viene nominato erede della metà suo del patrimonio nel caso che fosse terminata la linea maschile del fratello Girolamo, suo erede universale.[4]

 
Allegoria della musica, museo di Castelvecchio

Nel 1525 circa, Giolfino realizzò alcuni affreschi frammentari raffiguranti le Arti liberali, che furono staccati nel 1873 e trasferiti al museo di Castelvecchio. Questi affreschi facevano probabilmente parte della decorazione di alcune case che, successivamente, furono inglobate nel convento dei teatini a San Nicolò, la cui costruzione ebbe inizio nel 1627. In essi sono rappresentate sette figure femminili allegoriche che rispecchiano «un ulteriore avvicinamento dell'autore alla moda armoniosa del raffaellismo». Tra queste, la più significativa è l'allegoria della Musica, rappresentata da Giolfino come una giovane donna che canta, accompagnandosi con un salterio, la prima frase della frottola Ecco che per amarte composta nel 1507 dal veronese Bartolomeo Tromboncino come si evince dalla partitura appesa ad un ramo di alloro.[4]

L'influenza del manierismo romano ispirato da Raffaello è ben riscontrabile anche nella pala d'altare intitolata Madonna con Bambino in gloria con la Speranza, la Fede, la Carità, san Giacomo Maggiore, san Giovanni Evangelista e donatore. Questa opera, databile tra il 1525 e il 1530, è attualmente conservata presso la Staatliche Museen di Berlino, ma fu originariamente realizzata per la chiesa di San Giacomo Ospitale.[13]

Gli anni 1530 modifica

 
Redentore tra i Santi Giorgio ed Erasmo per l'altare Faella della basilica di Santa Anastasia a Verona

Nella seconda metà degli anni 1520, Giolfino lavorò alla pala per l'altare maggiore della Chiesa dei Santi Biagio, Fermo e Rustico di Bovolone, all'epoca la parrocchiale del paese. In quest'opera rappresentò una Madonna col Bambino in gloria, san Biagio, san Fermo e san Rustico. Nello stesso periodo, realizzò un'altra pala, questa volta raffigurante San Prosdocimo e san Rocco, per la Chiesa di San Prosdocimo a Gazzo Veronese. Sempre in questi anni si può collocare anche la pala d'altare Redentore tra i santi Giorgio ed Erasmo, commissionata da Bonsignorio Faella e dal nipote Giorgio per la cappella di famiglia nella basilica di Santa Anastasia a Verona, dopo la morte di Bonsignorio. Questa pala, di notevole pregio, è uno degli esempi significativi dell'opera di Giolfino in questo periodo.[14][4]

I registri del convento della chiesa di Santa Maria in Organo a Verona mostrano diversi pagamenti effettuati a favore di Giolfino tra giugno e ottobre del 1532. Secondo Rognini, questi potrebbero essere collegati alla realizzazione degli affreschi rappresentanti Pasqua ebraica, Raccolta della manna e Ascensione di Cristo per la cappella del Sacramento. Alessandro Serafino osserva che in queste opere Giolfino «mostra una calibrata sintassi compositiva, un disegno sicuro, unito a un colore dal timbro luminoso che si libera, al solito, nelle distese paesistiche degli sfondi».[4]

Nel 1529, Giolfino probabilmente ricevette l'incarico dalla Società del Santissimo Sepolcro e di San Rocco di lavorare alla cappella ex Calcasola presso il Duomo di Verona. Qui realizzò due tavole: in quella a sinistra dell'altare raffigurò i Santi Rocco e Sebastiano, mentre in quella a destra i Santi Antonio e Bartolomeo. Inoltre, decorò la lunetta sopra l'altare con una Deposizione. La scelta dei quattro santi apotropaici rifletteva la difficile situazione in cui si trovava Verona a causa della guerra della Lega di Cognac, che interessò l'Italia tra il 1526 e il 1529. Negli stessi anni, dipinse Tre angeli musicanti, oggi conservata nella Gemäldegalerie del Kunsthistorisches Museum di Vienna, e una Lucrezia, attualmente esposta presso l'Allen Memorial Art Museum di Oberlin, Ohio, negli Stati Uniti. Inoltre, tra il 1530 e il 1543, dipinse una Madonna col Bambino in gloria e santi per il primo altare a sinistra della chiesa di San Briccio a Lavagno, il cui stile ricorda la maniera di Alessandro Bonvicino.[15][4]

Entro il 1543, Giolfino dipinse anche il Ritratto del Conte Provolo Giust, che rappresenta l'unico esempio conosciuto di ritrattistica nella sua produzione. Nella tela, il conte è raffigurato seduto di fronte a una finestra aperta, attraverso la quale si può vederepiazza dei Signori a Verona. In lontananza, è visibile un uomo condannato all'arco della tortura.[4]

Ultimi anni modifica

 
Madonna col Bambino tra i santi Giovannino, Girolamo, Francesco, Placida, Mauro e Simplicio, museo di Castelvecchio, Verona

Tra gli anni 1530 e il 1540, l'anticlassicismo era diventato sempre più comune anche nel panorama artistico veronese, tanto da essersi inflazionato. Non era più visto come una «ribellione istintiva» contro i modelli tradizionali, ma piuttosto come una scelta consapevole da parte dei pittori. Questo contesto spinse Giolfino a estremizzare ulteriormente il suo stile pittorico, portandolo spesso «all'esasperazione e alla caricatura di se stesso».[16] Un esempio di questa tendenza si può osservare nelle Storie della Passione, realizzate da Giolfino per la chiesa di San Bernardino e ora esposte al museo di Castelvecchio. In quest'opera, è stato notato di come «il colore diventi opaco e infelice, le figure si ammassino e i volumi si allarghino e si appiattiscano».[17]

Negli stessi anni in cui Giolfino mostrava questa eccessiva esasperazione nello stile, riuscì comunque a raggiungere i livelli dei decenni precedenti realizzando pregevoli affreschi. Un esempio è rappresentato dalle Storie del Vecchio Testamento dipinte per il fianco destro della navata centrale della chiesa di Santa Maria in Organo a Verona, che si distinguono per la loro originalità cromatica e una fantasia pervasiva. Un altro esempio è la decorazione con figure astrologiche, ormai quasi del tutto scomparsa al 2023, realizzata per la casa Parma Lavazzola a Verona.[18][2]

Giolfino continuò a lavorare anche in tarda età, cimentandosi persino nella cartografia, come racconta lui stesso: «havendogli il nostro Signore Dio concesso un pocco darte de dissegnar terre et paesi». Esistono tre esempi della sua attività in questo campo. Nel 1545, disegnò una mappa del territorio veronese per il governo della Repubblica di Venezia. Il 3 maggio 1555, su richiesta dei proprietari di una segheria coinvolti in una disputa civile contro la famiglia Sommacampagna a proposito di uno scarico di acque piovane, realizzò un rilievo della zona di Valverde a Verona. L'11 giugno dello stesso anno, consegnò ai Rettori di Terraferma un secondo disegno, questa volta su richiesta dei Sommacampagna sempre inerente allo stesso procedimento giudiziario.[19][20] I documenti indicano che quest'ultimo rilevo fu consegnato dal genero Girolamo De Sanctis, poiché Giolfino era già deceduto («generum dicti magistri Nicolae iam praedefuncti»). Questo suggerisce che la morte lo colse tra la realizzazione delle due mappe.[4][21]

Stile modifica

 
Storie di santa Barbara, museo di Castelvecchio, Verona

Nicola Giolfino è considerato unanimemente uno dei pittori più singolari nel panorama veronese, tanto che ai suoi stesso contemporanei talvolta apparve persino bizzarro e di difficile comprensione. Questo potrebbe spiegare perché è l'unico tra gli artisti veronesi della sua generazione a non essere descritto nel celebre Le vite di Giorgio Vasari, comparendo solo brevemente come uno dei maestri di Paolo Farinati. In tempi più recenti, il suo lavoro è stato fortemente criticato da storici dell'arte specializzati in pittura veronese, come il Cavalcaselle, il Berenson e il Venturi, che lo definì addirittura un «pittoruccio».[22]

Tuttavia, verso la fine del XX secolo, la critica lo ha rivalutato, riconoscendolo come un pittore dal «temperamento inquieto ed estroso, sostanzialmente permeato di anticlassicismo e ancora spiritualmente legato, come il suo maestro, al mondo del gotico. Egli fonde e rielabora gli elementi figurativi della locale cultura quattrocentesca con i suggerimenti più vitali della grafica tedesca contemporanea, creando un linguaggio originalissimo, senza riscontro nella coeva pittura veronese».[20]

Le difficoltà nel datare le opere di Giolfino rende complicato ricostruire l'evoluzione del suo stile, ma è comunque possibile individuare alcune caratteristiche distintive. Innanzitutto, è interessante notare che Nicola, diversamente dalla tradizione rinascimentale in cui l'attenzione si concentrava su volume e prospettiva, si focalizzava maggiormente sulla linea che definisce le figure, privandole di qualsiasi effetto di vibrazione proveniente dall'ambiente circostante.[20]

La maniera di Giolfino fu profondamente influenzata dallo stile del pittore Lorenzo Lotto, con cui condivise anche una certa affinità caratteriale. A partire dagli anni 1530, i suoi lavori si arricchirono degli esempi di Raffaello arrivati a Verona attraverso le stampe di Marcantonio Raimondi. Tuttavia, negli ultimi anni, con la diffusione del manierismo nell'Italia settentrionale, Giolfino iniziò a spingere il suo anticlassicismo a livelli estremi, diventando «la caricatura di se stesso». Nonostante questa tendenza, riuscì comunque a creare opere di grande valore anche negli ultimi anni della sua vita.[20]

Opere principali modifica

 
Allegoria della geometria
 
Lucrezia, Allen Memorial Art Museum, Oberlin
 
Storie di santa Barbara

Di seguito un elenco non esaustivo delle principali opere attribuite a Nicola Giolfino:[23]

Note modifica

Esplicative
  1. ^ La chiesa non esiste più dalla prima metà del settecento.
  2. ^ La data del 1522 è ricavabile dall'iscrizione nella pala d'altare, detta pala Sacco, del Cavazzola oggi al museo di Castelvecchio. In Nicola Giolfino, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Bibliografiche
  1. ^ a b c d Repetto, 1974, p. 153.
  2. ^ a b c d Le Muse, 1965, p. 260-261.
  3. ^ a b c d e f g h i Repetto, 1990, p. 13.
  4. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t Nicola Giolfino, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
  5. ^ a b c Repetto, 1974, p. 156.
  6. ^ Marini e Campanella, 2011, p. 176.
  7. ^ Benini, 1988, pp. 76-77.
  8. ^ Dianin, 1985.
  9. ^ Bisognin, p. 14.
  10. ^ Notizia storica, p. 7.
  11. ^ Frati minori.
  12. ^ Enrico Maria Guzzo, Ritratti e dipinti nella Verona di primo Cinquecento tra Giolfino, Torbido e Antonio da Vendri, in Studi Veronesi, VI, 2021.
  13. ^ Fondazione Zeri, Giolfino Nicolò, Madonna con Bambino in gloria con la Speranza, la Fede, la Carità, san Giacomo Maggiore, san Giovanni Evangelista e donatore, su catalogo.fondazionezeri.unibo.it, Università di Bologna. URL consultato il 3 gennaio 2023.
  14. ^ Benini, 1988, p. 77.
  15. ^ A San Briccio il paese s intreccia con la sua chiesa, su veronafedele.it. URL consultato il 2 febbraio 2023.
  16. ^ Repetto, 1974, p. 156.
  17. ^ Repetto, 1974, pp. 156-158.
  18. ^ Repetto, 1974, p. 158.
  19. ^ Repetto, 1990, p. 14,
  20. ^ a b c d Repetto, 1974, p. 153.
  21. ^ Biadego, 1892, p. 9.
  22. ^ Repetto, 1990, p. 13.
  23. ^ Repetto, 1974.

Bibliografia modifica

  • AA.VV., Le Muse, a cura di Achille Boroli, volume 5, Novara, Editore Istituto Geografico de Agostini, 1965, ISBN non esistente.
  • Giuseppe Biadego, I Giolfino pittori e una scrittura inedita di Michele Sanmicheli, Venezia, Visentini, 1892, ISBN non esistente.
  • Gianfranco Benini, Le chiese di Verona: guida storico-artistica, Arte e natura libri, 1988, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\PUV\0856596.
  • Gian Maria Dianin, San Bernardino, Verona: guida storico-artistica, Verona, Banca Popolare di Verona, 1985, ISBN non esistente.
  • Marina Repetto, Nicola Giolfino, in Pierpaolo Brugnoli (a cura di), Maestri della pittura veronese, Verona, Banca Mutua Popolare, 1974, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\RAV\0052942.
  • Marina Repetto, Nicola Giolfino, Banca popolare di Verona, 1990, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\UBO\0049910.
  • La chiesa di San Bernardino, Verona, Frati minori di San Bernardino, ISBN non esistente.
  • Breve notizia storica della chiesa di S. Bernardino di Verona dei P.P. minori osservanti di San Francesco, Verona, Tommasi, 1845, ISBN non esistente, SBN IT\ICCU\VEA\0186849.

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