Il Passatore

brigante italiano
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Il Passatore, pseudonimo di Stefano Pelloni (Boncellino di Bagnacavallo, 4 agosto 1824Russi, 23 marzo 1851), è stato un brigante italiano, attivo nella Romagna di metà Ottocento. Fu ucciso nel marzo 1851, nei pressi di Russi, dal sussidiario della Gendarmeria pontificia Apollinare Fantini. Il soprannome gli venne dal mestiere di traghettatore (o "passatore") sul fiume Lamone esercitato dal padre Girolamo; viene chiamato anche Malandri, dal cognome della donna che sposò un suo bisavolo.

Ritratto del Passatore (Marchio del Consorzio Vini di Romagna); rappresenta in realtà lo stereotipo di un brigante dell'Ottocento, ben lontano da come doveva apparire il Passatore (quasi senza barba, con fronte alta e una cicatrice sulfurea sotto lo zigomo, procuratasi in giovane età)

Biografia modifica

 
Pagina del «Giornale di Roma» del 22 marzo 1851 che riporta la cronaca delle azioni di Stefano Pelloni e dei paesi da costui depredati

Stefano Pelloni nacque nel 1824 a Boncellino di Bagnacavallo, paese nella Bassa Romagna, a una decina di chilometri da Ravenna. Frequentò in gioventù una scuola privata, che tuttavia abbandonò alla terza elementare, dopo alcune bocciature.

Evaso durante un trasferimento ad Ancona, dove avrebbe dovuto scontare una condanna a quattro anni di lavori forzati nella risistemazione della nuova darsena per il furto di due fucili da caccia, più altri tre anni di detenzione per la fuga dal carcere di Bagnacavallo, e datosi alla macchia, entrò a far parte di un gruppo assai variabile come consistenza e zone d'azione, del quale (come uso tra i briganti dell'epoca) egli non divenne il vero capo, ma un'importantissima figura di riferimento.

Il gruppo divenne in breve una banda sempre più numerosa, audace, agguerrita e capace di efferatissime violenze, che operò per tre anni nelle Legazioni Pontificie, tenendo in scacco la gendarmeria grazie a una vasta rete di spie, informatori, protettori, ricettatori e addirittura uomini delle forze dell'ordine. Utili anche le connivenze con la popolazione più povera, ricompensata, come sempre fanno i banditi che si comprano appoggi, con i proventi dei suoi furti e rapine. Furono queste elargizioni che contribuirono a creare la sua fama di "Robin Hood" romagnolo.

In realtà i comportamenti del Passatore sono da considerarsi quelli tipici di un criminale che gratuitamente seminava violenza e uccideva con sadismo: è stato, ad esempio, l'unico brigante dell'Ottocento ad aver sezionato alcune vittime.[1] In un caso il Pelloni sparò a sangue freddo a un uomo semplicemente perché uno dei suoi aveva insinuato che si trattasse di una spia.

Un modus operandi caratteristico della banda, inizialmente attiva nei boschi di Brisighella, era la "firma" dei propri delitti: a suggello del misfatto compiuto il Pelloni dichiarava a voce alta il proprio nome e soprannome: «Stuvanèn d'ê Pasadôr» (Stefano (figlio) del passatore), come caratteristico era anche lo scherno verso il potere con cui spesso erano concepite le azioni.

Delle sue gesta, quelle che seminarono il terrore furono le vere e proprie occupazioni militari di interi paesi – Bagnara di Romagna (16 febbraio 1849), Cotignola (17 gennaio 1850), Castel Guelfo (27 gennaio 1850), Brisighella (7 febbraio 1850), Longiano (28 maggio 1850), Consandolo (9 gennaio 1851) e Forlimpopoli (sabato, 25 gennaio 1851) - durante le quali metteva a sacco le abitazioni dei più ricchi, che venivano torturati e seviziati (e in alcuni casi assassinati) per farsi rivelare i nascondigli degli scudi e delle gioie.

Tra tutte, rimase tristemente famosa l'occupazione di Forlimpopoli, avvenuta nella notte del 25 gennaio 1851. Durante l'intervallo di una rappresentazione, i briganti penetrarono nel Teatro Comunale (oggi teatro Verdi): saliti sul palcoscenico, puntarono le armi contro gli spettatori terrorizzati e, facendo l'appello, rapinarono a uno a uno gli spettatori presenti in sala. Fra le famiglie rapinate vi fu anche quella di Pellegrino Artusi. A raccolto concluso, gli efferati banditi stuprarono alcune donne, e tra queste Gertrude, sorella dell'Artusi, la quale impazzì per lo choc. La vicenda al Teatro di Forlimpopoli divenne talmente popolare da essere cantata per decenni dai cantastorie.[2]

La notizia causò apprensione nelle località della Romagna toscana prossime alla frontiera, perché i briganti sfuggivano all'inseguimento delle truppe pontificie nascondendosi sulle montagne toscane dove il governo granducale, nonostante gli accordi di collaborazione presi con le autorità pontificie, era più tollerante nei confronti di questi soggetti, che classificava come "facinorosi pontifici".[3]

Lo stesso Artusi riconobbe fra gli aggressori don Pietro Valgimigli detto "don Stiffelone", parroco di San Valentino presso Tredozio, loro fiancheggiatore e manutengolo; presenza confermata da altre testimonianze che lo davano "in intelligenza colla banda fino da quando era capeggiata dal Passatore, essendo stato al fatto a Forlimpopoli".[4]

Nella sua biografia è ricordata anche l'incursione che fece nel settembre 1849 a Cascina Mandriole, ove nell'agosto era morta Anita Garibaldi. Il brigante vi fu attirato dalle dicerie locali, secondo le quali Stefano Ravaglia, che aveva ospitato Garibaldi e consorte, e seppellito Anita alla sua morte, fosse in possesso di una somma di denaro, in oro e carta valute, ricevuta dallo stesso generale. La famiglia del Ravaglia fu torturata per estorcere la confessione sul presunto nascondiglio del tesoro. Giuseppe, fratello di Stefano, fu ucciso.[5]

L'attività del Pelloni terminò tragicamente nel marzo 1851. Grazie a una segnalazione, "Stuvanèn d'ê Pasadôr" fu individuato dalla gendarmeria pontificia in un capanno di caccia del podere Molesa, nei pressi di Russi, rimanendo ucciso nello scontro a fuoco che ne seguì. Il suo cadavere fu messo su un carretto ed esibito per tutte le strade della Romagna, a dimostrazione dell'effettiva fine del brigante e per evitare l'insorgere di eventuali future leggende sulla sua morte.

Il cadavere venne poi seppellito presso la Certosa di Bologna in un ossario sconsacrato, nell'ex campo dei condannati a morte che si trovava a fianco del Chiostro degli Evangelici.[6]

Il mito modifica

Le sue imprese, in una Romagna interessata dalla lotta di classe, ispirarono la musa popolare della rievocazione orale (che enfatizzò la sua generosità, divenuta leggendaria) e quella colta, da Arnaldo Fusinato a Giovanni Pascoli (che nella poesia Romagna idealizzò la sua figura evocandolo, appunto, come il Passator Cortese).

Il luogo della Bassa Imolese dove il bandito effettuò una rapina prese il nome La Sterlina in memoria dell'avvenimento[7].

I veri connotati del Passatore differiscono notevolmente dall'iconografia che lo ha reso famoso. Essa fu diffusa nel secondo dopoguerra a seguito del lancio del marchio dell'Ente Tutela Vini Romagnoli, che lo raffigurava somigliante a un brigante-pastore lucano (i connotati sono praticamente identici a quelli del celebre Carmine Crocco) e armato di arcaico "trombone", mentre in realtà egli utilizzava le migliori armi disponibili all'epoca. Stefano Pelloni era molto diverso anche in volto e nel vestire: alto intorno al metro e settanta, una statura media per la metà del XIX secolo in Romagna, aveva i capelli neri, gli occhi castani e la fronte spaziosa. In particolare sul viso, di forma oblunga e di colorito pallido, non cresceva la barba. All'epoca, alla voce segni particolari del Passatore, veniva indicato "sguardo truce": ciò è possibile poiché Stefano Pelloni presentava una bruciatura da polvere da sparo sotto l'occhio sinistro.

Alla figura del Pelloni è intitolata la 100 km del Passatore, una competizione podistica con partenza da Firenze e arrivo a Faenza che si svolge annualmente dal 1973.

Opere ispirate al Passatore modifica

Cinema, teatro e televisione modifica

Musica modifica

  • Nel dopoguerra i romagnoli Raoul e Secondo Casadei scrissero la Canzone del Passatore, di ispirazione popolare, nota per l'incipit "Questa è la triste storia di Stefano Pelloni / in tutta la Romagna chiamato il Passatore";
  • il Quartetto Cetra incise nel 1966 la canzone intitolata Al teatro di Forlimpopoli, che canta le gesta del Passatore;
  • il cantautore romagnolo Max Arduini ha scritto La rivalona, storia di Marianna Marangoni, amante del Passatore e Notte romagnola incluse nell'album Né comune né volgare (2009), e La presa di Forlimpopoli tratta dall'album La scienza di stare in fila del (2019); e nel (2022) incide l'album Max Arduini inCANTA il Passatore, interamente dedicato al brigante romagnolo;
  • il cantautore Massimo Bubola ha scritto la canzone Son Passator Cortese, inclusa nell'album Chupadero (2009), in cui racconta le gesta del celebre bandito;
  • la folk band romagnola Jumboreel ha scritto la canzone Stuvanè ("Stefanino"), presente nell'album Terramare (2017 ), in cui viene ripercorsa la vita del bandito.
  • la band folk rock & rural punk Lennon Kelly, ha dedicato a lui la canzone "Il passatore"

Note modifica

  1. ^ Oltre a un caso di sevizie nei confronti di una presunta spia (letteralmente fatta a pezzi), in almeno altre tre occasioni il Passatore infierì sulle sue vittime, o tagliandone la testa e prendendola a calci, o esponendola in mezzo alla strada come monito alle potenziali spie della gendarmeria.
  2. ^ Stefano Pelloni detto il Passatore al Teatro di Forlimpopoli Archiviato il 31 ottobre 2013 in Internet Archive.
  3. ^ P. L. Farolfi, p. 16.
  4. ^ P. L. Farolfi, p. 85.
  5. ^ v. pag 36-37, Giovanni Mini, Il trafugamento di Giuseppe Garibaldi, Luigi Fabris Editore, Vicenza, 1907
  6. ^ Storia e Memoria di Bologna.
  7. ^ Enrico Agnessi, Dal Passatore a Schumacher. Ecco la storia della Sterlina, in Il Resto del Carlino, 30 novembre 2013. URL consultato il 12 febbraio 2023.
    «Attorno al 1850, in quella che era una misera costruzione disabitata, detta "Casone", all'incrocio tra via Correcchio e via Nuova, arrivò dall'antica Pieve di Cantalupo un gruppetto di invitati a un matrimonio con in testa gli sposi in biroccino. Il Passatore, fermata la compagnia per derubarla, si accorse che tutti erano talmente poveri da non avere con loro nemmeno un soldo. Solo lo sposo calzava un paio di scarpe nuove. A quel punto il brigante se le fece consegnare (giusto per tenere fede alla sua fama) ma in cambio, tra lo stupore generale, regalò alla sposa una sterlina d'oro. Quel gesto fece parlare per molto tempo gli abitanti della zona e il vecchio "Casone" venne chiamato "Il posto della sterlina".»
  8. ^ Il Passator Cortese, su teche.rai.it. URL consultato il 28 agosto 2023.

Bibliografia modifica

  • Francesco Serantini, Fatti memorabili della banda del Passatore in terra di Romagna, Lega, Faenza, 1929
  • Massimo Dursi, Stefano Pelloni detto il passatore: cronache popolari, Giulio Einaudi Editore, 1963.
  • Leonida Costa, Il rovescio della medaglia: storia inedita del brigante Stefano Pelloni detto il Passatore, Fratelli Lega, 1976.
  • Giovanni Manzoni, Briganti in Romagna. 1849-1850 (Vol.1) - 1851-1853 (Vol.2), Grafiche Galeati, Imola, 1976.
  • Roberto Balzani, Il brigantaggio nella Romagna napoleonica e pontificia. Un'ipotesi d'interpretazione, in Daniele Angelini – Dino Mengozzi (a cura di), Una società violenta. Morte pubblica e brigantaggio, Piero Lacaita, Manduria–Roma–Bari, 1996.
  • Agide Vandini, I briganti della palude. Cronaca, storia, miti e curiosità sui masnadieri di Romagna, Longo, Ravenna, 1996.
  • Ragazzini Remo – Casalini Roberto – Casalini Marzio, Il Passatore. Le imprese brigantesche di Stefano Pelloni nella Romagna ottocentesca, Il Ponte Vecchio, Cesena, 1998.
  • Dino Mengozzi, Gli Artusi, il Passatore e la follia. Il bisogno di sicurezza e la crisi del 1849-51, in Id., Sicurezza e criminalità. Rivolte e comportamenti irregolari nell'Italia centrale, 1796-1861, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 152–188.
  • Dino Mengozzi, Geltrude Artusi in manicomio, in Id., Sicurezza e criminalità. Rivolte e comportamenti irregolari nell'Italia centrale, 1796-1861, Milano, Franco Angeli, 1999, pp. 189–192.
  • Attilio Milandri, Romagna (1849-1874). Leggende, fatti e misfatti, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2002, ISBN 88-8312-221-6.
  • Fabio Lombardi, Briganti in Romagna. Secoli XVI-XIX., Vicus. Testi e documenti di storia locale, Bologna, Il ponte vecchio, 2009, ISBN 978-88-8312-935-3.
  • Pier Luigi Farolfi, Facinorosi Pontifici. Storie di briganti e manutengoli (per tacer del prete) fra Legazioni e Granducato di Toscana, Firenze, Gruppo Editoriale L'Espresso, 2015, ISBN 978-88-923-0259-4.
  • Dino Mengozzi, La Romagna dei briganti e dei sovversivi. Stereotipi e rappresentazioni in età moderna e contemporanea, a cura di Dante Bolognesi, in "Romagna arte e storia", n. 111 (settembre-dicembre 2017-2018), pp. 5-14.

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