Pellicola cinematografica

Disambiguazione – Se stai cercando informazioni sulla pellicola a colori, vedi Pellicola cinematografica a colori.

Una pellicola cinematografica o film[1] è un nastro perforato su uno o due lati (oppure al centro, tra i fotogrammi, nel caso del formato francese 9,5mm Pathé Baby).

Il [[Black kodak Maria]], il primo studio cinematografico statunitense in cui Edison girava i primi cortometraggi e probabilmente sviluppava le prime pellicole

Composizione modifica

La parte sensibile alla luce è sempre un composto a base d'argento, mentre il supporto era inizialmente in celluloide (nitrocellulosa) altamente infiammabile. Per risolvere i problemi legati agli incendi che si potevano sviluppare da questo supporto, fu introdotto prima il triacetato di cellulosa, un po' meno trasparente, ma di fatto il più diffuso a livello mondiale, e successivamente in poliestere, più flessibile e resistente, ma anche più sottile, con il vantaggio di contenere circa il 20% di film in più a parità di diametro della bobina. La pellicola cinematografica contiene una serie di immagini fotografiche orizzontali (fotogrammi), che vengono proiettate in successione tramite un apposito proiettore cinematografico. Un otturatore interrompe il flusso luminoso (sia in ripresa, sia in proiezione) nell'istante in cui avviene il passaggio tra un fotogramma e il successivo. Poi il fotogramma si ferma nella finestrella per una frazione di secondo (nel cinema delle origini, mediamente 16 fotogrammi al secondo, nel cinema attuale, standardizzato dal 1928 con la proiezione sonora, 24 fotogrammi al secondo).

Ogni fotogramma nei formati più comuni 8, 16, 35mm è fiancheggiato da una o più perforazioni, necessarie affinché il rocchetto dentato collegato a una croce di malta (o una griffa) possa agganciare la pellicola e farla scorrere con moto intermittente davanti al fascio di luce necessario alla proiezione.
Sui bordi della pellicola sono poi collocate le tracce audio. Tali tracce possono essere magnetiche (pasta magnetica stesa su un lato per il sonoro monofonico, o due lati per lo standard stereo) per tutti gli usi di sonorizzazione diretta casalinga o semi-professionale, adatta soprattutto alla sonorizzazione di singole copie o piccole tirature. La maggior parte delle pellicole commerciali ad alta tiratura, a partire dal 1928, ha incisa una colonna sonora ottica, mono o stereo, la cui più creativa rappresentazione si trova nel film animato Fantasia di Disney. Ampia varietà di colonne sonore sono oggi codificate secondo vari standard presenti negli attuali film 35mm (Dolby Digital, Sony Dynamic Digital Sound, Digital Theater System, uno standard particolare la cui traccia consente la proiezione in sincrono con un CD-ROM sul quale è registrata la vera e propria colonna sonora).

Storia modifica

La pellicola flessibile è una invenzione del reverendo Hannibal Goodwin, sacerdote episcopale di Newark, nel New Jersey, databile attorno al 1885, di cui depositò il brevetto nel 1887 e gli fu riconosciuto solo nel 13 settembre 1888. Ma fu George Eastman, a produrre la pellicola in bianco/nero Kodak a base di celluloide come supporto per gli alogenuri di argento fotosensibili, impossessandosi illegalmente dell'idea di Goodwin. La pellicola fu usata inizialmente nelle macchine fotografiche Kodak e poi come film per il Kinetoscopio di Edison. Con il XX secolo, l'avvento delle macchine dei fratelli Lumière, che producevano pellicola in proprio e l'esplosione commerciale del cinema nacquero altri formati e altre possibilità, come quella del colore.

Per mettere ordine in un mercato caotico, dove circolavano film "pirata" e macchine contraffatte, fu indetto nel 1909 a Parigi il Congresso degli editori di film, ove si stabilì in via definitiva che la pellicola 35 mm, la più usata, avrebbe avuto quattro perforazioni per fotogramma secondo il progetto di Thomas Edison, che l'aveva usata per primo (in luogo delle due circolari come invece adottato dai Lumière).

Il 35 mm modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: 35 millimetri (pellicola cinematografica).
 
Esempio di 35 millimetri (pellicola cinematografica)

Si arrivò così a definire il formato 35 mm standard usato ancora oggi, che a partire dal 1928 venne modificato per accogliere anche le piste per il sonoro. In seguito vennero introdotte migliorie, nuovi formati ridotti (16 mm; 8 mm; 9,5 mm, super 8 mm, nonché molti altri formati oggi abbandonati, per es. 17,5 e 28 mm), ma la striscia di pellicola che passa oggi attraverso il proiettore dei cinema non è molto diversa da quella dei film di cent'anni fa.

Ovviamente vi sono stati molti progressi sia rispetto alle emulsioni, sia rispetto al supporto. In ordine alle prime il potere risolvente e la sensibilità sono aumentati in misura tale da rendere impossibile ogni paragone. Per quanto riguarda il supporto, la pericolosa ed infiammabile celluloide è stata abbandonata a favore del triacetato di cellulosa (usato soprattutto per i negativi) ed infine, allo scadere del brevetto, del poliestere (PET, tereftalato di polietilene, polietilentereftalato), destinato alla stampa delle copie lavoro, nonché di quelle finali da proiezione giusta la sua eccezionale resistenza alla trazione ed alla usura.

Negli anni cinquanta l'avvento della televisione e la crisi del cinema spinsero le case cinematografiche a sperimentare nuovi formati cinematografici della pellicola di proiezione, per ottenere uno spettacolo ancora più coinvolgente e riconquistare gli spettatori: da questi esperimenti nacquero in pochi anni una serie di formati di proiezione diversi, di cui però oggi sopravvive soltanto l'anamorfico, che attualmente è il formato cinematografico più diffuso e (in una piccola nicchia) il Todd-AO da 70 mm.

L'implementazione del colore modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Pellicola cinematografica a colori.

Le pellicole cinematografiche a colori arrivarono ufficialmente negli anni trenta (anche se nel 1908 venne girato A Visit to the Seaside, cortometraggio di 8 minuti a colori).

I primi sistemi d'inizio secolo furono il Kinemacolor ed il Chronochromes, poi vennero ideati il Kodachrome, il Kodacolor, ed in Italia, alla fine degli anni quaranta, il Ferraniacolor. Inoltre vi furono anche l'Ektachrome e l'Eastmancolor. Quest'ultimo è stato il primo sistema a fare uso di un negativo a colori con maschera incorporata. I negativi Eastmancolor sono anche stati usati nel Technicolor, il più famoso sistema (in realtà si tratta di una famiglia di sistemi) di cinematografia a colori, basato sulla ripresa (nella versione più matura e diffusa) con tre pellicole in bianco/nero, ognuna filtrata con uno dei tre colori primari. In fase di stampa poi avveniva il processo inverso, con un complesso trasferimento dei colori su pellicola unica, ottenendo colori vivi, fedeli e stabili nel tempo.

Altri metodi di colore meno conosciuti furono il Dufaycolor, il Gasparcolor, il Dynachrome, il Keller-Dorian, ed il Trucolor.

Si è utilizzato il Kodachrome per le diapositive ed il cinema a passo ridotto super 8 e 16 mm, l'Ektachrome prevalentemente per le diapositive e l'Eastmancolor (anch'esso Kodak) per il cinema professionale. All'Ektachrome si affiancavano anche altre pellicole simili come il Fujichrome e l'Agfachrome. Il Kodachrome aveva una qualità di colori elevata, perché è una pellicola bianco e nero, alla quale vengono aggiunti i copulanti cromogeni, cioè le sostanze formatrici dei colori, durante lo sviluppo, che è piuttosto lungo e complicato. Per questo è stato abbandonato, anche se il Kodachrome ha colori particolarmente resistenti nel tempo.

Ad oggi rimane solo l'Ektachrome, diapositiva a colori, direttamente proiettabile dopo il suo sviluppo.

Il sonoro modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sonoro cinematografico.

Interesse culturale modifica

A livello nazionale, il Codice dei beni culturali e del paesaggio definisce le pellicole cinematografiche aventi carattere di rarità e di pregio come beni culturali. In tale definizione rientrano anche i relativi negativi e le sale cinematografiche[2]. In riferimento a queste ultime, il legislatore definisce di importanza culturale il cinema d'essai, dove per legge il 70% della programmazione (o il 50% se in città inferiori ai 40.000 abitanti) è riservata appunto ai film d'essai, riconosciuti in quanto tali da una commissione del MIBACT. All'interno di questa quota almeno metà della programmazione deve però essere italiana o dell'UE[3].

Note modifica

  1. ^ Francesco Sabatini e Vittorio Coletti, film, in Il Sabatini Coletti - Dizionario della Lingua Italiana, Corriere della Sera, 2011, ISBN 88-09-21007-7.
  2. ^ art.10 d.lgs 22/2004
  3. ^ art. 2 comma 9 d.lgs 28/2004

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

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