Pieve di San Giorgio di Valpolicella

pieve romanica nel comune di Sant'Ambrogio di Valpolicella

La pieve di San Giorgio di Valpolicella, detta anche pieve di San Giorgio Ingannapoltron,[N 1] è un antico luogo di culto cattolico situato a San Giorgio di Valpolicella, frazione di Sant'Ambrogio di Valpolicella, in provincia e diocesi di Verona; inoltre, è sede dell'omonima parrocchia compresa nel vicariato della Valpolicella.

Pieve di San Giorgio di Valpolicella
Vista della facciata occidentale
StatoBandiera dell'Italia Italia
RegioneVeneto
LocalitàSant'Ambrogio di Valpolicella
Coordinate45°32′07″N 10°51′00″E / 45.535278°N 10.85°E45.535278; 10.85
ReligioneCattolica
TitolareGiorgio
Diocesi Verona
Stile architettonicoLongobardo e Romanico
Inizio costruzioneVII - VIII secolo
CompletamentoXI secolo

Costruita probabilmente su un luogo adibito in precedenza al culto pagano intorno all'VIII secolo (secondo alcuni storici forse addirittura al VII),[1] l'attuale edificio religioso rappresenta uno dei più interessanti e antichi esempi di architettura romanica presenti nella provincia di Verona.[N 2]

Ricostruita in gran parte attorno all'XI secolo, la pieve di San Giorgio era a capo di uno dei tre "piovadeghi" in cui era divisa amministrativamente la Valpolicella; insieme a essa ricoprivano questo ruolo anche la pieve di San Floriano e quella di Negrar.[N 3][2] Era inoltre una chiesa collegiata, sede di un capitolo di canonici che gestivano anche una schola iuniorum (cioè una scuola in cui si impartivano le prime nozioni di grammatica latina ai ragazzi del luogo, tra i quali poi spesso venivano scelti anche i nuovi chierici).[3][4]

Oltre all'interessante struttura architettonica, al chiostro adiacente e agli affreschi presenti all'interno, di grande pregio è un antico ciborio che presenta delle scritte che lo collocano in piena epoca longobarda e precisamente nel periodo del regno di Liutprando.

Storia modifica

Prime tracce di insediamenti modifica

Scavi archeologici, effettuati sulla collina di San Giorgio tra il 1985 e il 1989, hanno portato alla luce reperti che attestano la presenza di insediamenti umani sin da tempi antichi. In particolare sono state rinvenute, oltre ad una capanna rettangolare appartenente all'età del bronzo, altre strutture successive risalenti al IV secolo a.C.; tutti questi edifici sono a forma di "casa retica", tipica dei territori alpino e subalpino. Gli abitanti di questo villaggio praticavano essenzialmente l'agricoltura e l'allevamento e sono considerati gli antenati degli Arusnati, popolazione che si sarebbe insediata in Valpolicella durante il periodo romano.[5]

Nel chiostro sono esposti alcuni reperti dell'età romana, databili tra il I secolo a.C. e il I secolo, quali un sarcofago costituito da un monolite in marmo rosso veronese, un pozzo, dei resti di colonna e un capitello decorato con fregi vegetali e altri conci non meglio identificabili. I reperti più piccoli, come ex voto a dèi pagani, steli, statuine in terracotta e iscrizioni romane, sono conservati nel piccolo museo annesso alla pieve oppure nel lapidario maffeiano a Verona. Questi manufatti, essendo per lo più dedicati a divinità come Fortuna, Vesta, Sol e Luna, testimoniano l'importanza che San Giorgio ebbe, come luogo di culto, sin dall'epoca degli Arusnati. Sulla parte posteriore della chiesa è stato murato un frammento di una lapide recante l'iscrizione "LVALDE", nome della dea Lualda, che richiamerebbe quello della divinità Lua, associata, nel pantheon romano, a Saturno e considerata protettrice dell'agricoltura.

Luogo di culto longobardo modifica

 
Rilievo del ciborio effettuato da Raffaele Cattaneo

Anche se caratterizzata da insediamenti di modesta entità (lo testimoniano i pochi reperti trovati), nel Medioevo la zona di San Giorgio fu certamente un importante centro religioso. In quell'epoca fu elevato, infatti, al rango di "pieve" ottenendo così diverse prerogative come il diritto di battezzare, di formare chierici e di riscuotere le decime.[6]

L'attuale orientamento verso levante della facciata e soprattutto le iscrizioni sulle due colonnine del ciborio, conservato all'interno della chiesa, fanno presupporre che l'edificio cattolico sia sorto su di un preesistente luogo di culto costruito in età longobarda. Si fa infatti risalire la costruzione di questi al regno di Liutprando (712-744), anche se alcuni storici collocano la sua fondazione nel VII secolo.[7] In quest'ultimo caso, si potrebbe ritenere che San Giorgio fosse un luogo di culto pagano, dato che i Longobardi si convertirono al Cristianesimo solamente verso la fine del VII secolo.[N 4]

 
Facciata occidentale della chiesa, probabilmente risalente all'epoca longobarda

A testimoniare il periodo longobardo, oltre al già citato ciborio, si ipotizza che rimanga anche il muro di facciata. L'analisi di quest'ultimo ha fatto ritenere che a quel tempo la pianta dell'edificio dovesse avere una forma pressoché quadrata rivolta verso oriente.[N 5]

Oltre al sacello, a San Giorgio era presente un castello longobardo, posto a capo di una sculdascia, ovvero una circoscrizione minore nell'ambito dei ducati, che disponeva di ampi poteri amministrativi, militari e giurisdizionali.[8]

La pieve cristiana nell'alto medioevo modifica

Le prime testimonianze di San Giorgio come edificio cristiano risalgono al XII secolo e più precisamente se ne trova traccia in una bolla pontificia di papa Eugenio III datata 1145.[3] È però molto probabile che già a seguito del terremoto del 1117 possa essere stato oggetto di lavori e restauri che portarono alla trasformazione da edificio pagano a luogo di culto della cristianità in stile romanico. La caratteristica pianta a tre absidi è inoltre simile ad altri edifici di culto italiani sorti tra il X secolo e il XII secolo.[9]

 
Il colonnato del chiostro, risalente al periodo cristiano

Una leggenda vuole che la pieve di San Giorgio, insieme a quella di San Martino a Negrar e di San Floriano, sia stata commissionata dalla regina Matilde Cristina Malaspina nel 1101,[10] ma non c'è alcun elemento storico a sostegno di questa tesi.

Fin dai primi anni dopo la costruzione dell'odierno edificio, la pieve di San Giorgio fu sede di una parrocchia a cui era annessa una collegiata di preti, come testimonia la piccola canonica presente. Questi avevano qui aperto una schola iuniorum per la prima istruzione dei ragazzi. Sempre Papa Eugenio III, nella già citata bolla pontificia, ricorda: «Plebem S. Georgii cum capellis et decimis et familiis et dimidia curte».[3]

Il fonte battesimale, posto sul lato sinistro della costruzione, risale agli inizi del XII secolo. Gli affreschi della chiesa, consumati dal tempo, sono posteriori e databili alla fine dello stesso secolo. Il campanile è più recente, forse edificato sulla base di uno già esistente.

Tra il XV ed il XVI secolo venne forata l'antica abside presente lungo il prospetto occidentale, dove venne aperto un nuovo portale d'ingresso con arco a sesto acuto.[11]

Durante tutto il basso Medioevo la pieve di San Giorgio fu a capo di uno dei piovadeghi in cui era divisa la Valpolicella. Ognuna di queste circoscrizioni orbitava attorno a una pieve che ne rappresentava il centro. Di epoca leggermente posteriore a San Giorgio, sono la pieve di San Floriano e la pieve di Negrar.

Studi e restauri modifica

 
Il chiostro della pieve in una fotografia d'epoca

La pieve di San Giorgio ha destato interesse negli studiosi fin dal XVII secolo[N 6] e in particolare in Scipione Maffei che prelevò le due colonnine del ciborio e alcune iscrizioni romane per arricchire il suo museo lapidario veronese.

Nell'Ottocento furono intrapresi da Girolamo Orti Manara numerosi e accurati studi circa la planimetria di San Giorgio;[12][13] egli ebbe, tra l'altro, il merito di trovare la colonnina del ciborio recante la scritta «In nomine Domini...».

Tra 1923 e il 1924, la pieve è stata oggetto di restauri ad opera dell'architetto Alessandro Da Lisca. Questi lavori portarono, oltre alla ricostruzione del ciborio, anche al rifacimento del tetto e alla modifica di alcune finestre sulle pareti.[5] Negli anni sessanta furono rinvenuti ulteriori manufatti in pietra risalenti all'epoca romana, dissotterrati nei pressi della canonica.[14]

Tra il 1985 e il 1994 furono realizzati alcuni scavi archeologici all'esterno della chiesa, in prossimità della facciata triabsidata: qui furono rinvenute alcune abitazioni a capanna dell'età del ferro e un laboratorio per la lavorazione dei metalli. Ciò costituì l'occasione per la realizzazione di un percorso di visita e del museo archeologico, progettati dall'architetto Libero Cecchini. Lo stesso architetto disegnò, tra 2006 e 2007, un nuovo portale in pietra la cui apertura avviene con automazione elettrica e che sostituì il precedente portale in legno della facciata occidentale.[11]

Descrizione modifica

Fasi costruttive modifica

 
Wart Arslan, uno dei principali studiosi dell'architettura romanica veronese

Le numerose indagini eseguite sulla struttura della pieve hanno portato a formulare diverse teorie riguardo alla datazione del complesso. In particolare, il probabile mescolarsi di elementi dell'edificio originale longobardo con quelli dell'edificio più moderno cristiano ha creato un certo grado di incertezza nella ricostruzione delle fasi costruttive che si sono susseguite nel corso dei secoli.

Secondo quanto esposto dallo studioso Wart Arslan[15] e dallo storico Pietro Toesca,[16] considerando l'altezza, perfettamente uguale, di tutte le arcate interne e l'uniformità delle murature perimetrali, si può pensare che questo edificio derivi (come molti altri sorti in Italia tra il X secolo e il XI secolo) dalle chiese biabsidate ottoniane e carolinge dell'VIII e IX secolo, come l'abbazia di Saint-Riquier in Normandia, l'abbazia di Fulda, l'abbazia di Obermünster a Ratisbona, la cattedrale di Worms e molte altre. Questa teoria ha contribuito in modo determinante alla datazione della pieve cristiana.[N 7]

Di diversa opinione gli storici Cipolla, Cattaneo, Mothes e Simeoni che ipotizzano due differenti fasi costruttive. Della prima rimarrebbe come unica rimanenza la parte posta sul lato occidentale del complesso, che rappresenterebbe così un raro esempio di basilica longobarda, mentre la parte orientale triabsidata verrebbe ritenuta più recente (tra il IX e il XII secolo).[17] In questo caso, inoltre, viene ipotizzato che la chiesa fosse inizialmente orientata in senso inverso rispetto ad oggi. L'edificio si sarebbe poi esteso fino all'attuale gradino interno, dove sarebbe successivamente edificato il campanile. Più tardi la chiesa sarebbe stata ampliata con la facciata a tre absidi, e di conseguenza avrebbe inglobato il campanile.[17]

Tuttavia non è possibile stabilire con precisione quale parte dell'edificio sia di origine longobarda e quale invece posteriore. L'impiego dell'identico materiale e i rudimentali metodi di costruzione rendono complicati i tentativi d'identificazione delle differenze tra le due parti. Le dissomiglianze, comunque, più visibili tra l'area occidentale e quella orientale sono due: la sostituzione delle colonne ai pilastri e la sopraelevazione del pavimento, in corrispondenza dell'inizio della parte con le colonne.[18] Importante a tal proposito è anche il fatto che il maggior numero di lapidi romane sia distribuito lungo la parete orientale della chiesa.[19]

Esterno modifica

 
Pianta della chiesa e del campanile

La chiesa presenta una caratteristica pianta con lo spazio suddiviso in tre navate, con quella centrale di larghezza doppia rispetto alle laterali. Le dimensioni della pianta evidenziano un notevole equilibrio dell'edificio, la facciata della chiesa è infatti larga circa la metà (16 metri) rispetto ai due lati (32,5 metri). Il lato orientale, edificato probabilmente nell'XI secolo e in chiaro stile romanico, è costituito da tre absidi, una maggiore al centro e due minori ai lati; l'abside centrale presenta tre monofore strombate ad arco a tutto sesto, mentre le due laterali ne hanno una sola, di simile costruzione, ma con archetti realizzati in tufo. Il muro è formato da conci di pietra bianca assemblati con malta e disposti orizzontalmente. Nel lato occidentale, secondo alcuni studiosi appartenente all'edificio originario longobardo, si trova un'ulteriore abside, dove è stata ricavata, già prima del 1840, la porta principale d'ingresso in stile gotico e realizzata in calcare bianco e rosso.[19] Sopra l'abside, in corrispondenza della navata centrale, sono inserite due semplici monofore.

 
Lapide che sormonta la porta principale

La porta principale è sormontata da una lapide che reca quanto segue: «Esultante l'intera popolazione di S. Giorgio Valpolicella vuole che questo marmo ricordi ai più tardi nipoti le centenarie solenni onoranze all'inclito celeste patrono celebrate nel 23, 24, 25, 26 aprile 1903». Il muro laterale a sud presenta due porte (di cui una murata) che comunicano col sagrato, mentre al di sopra di queste si ha una serie di sette monofore. All'esterno del medesimo settore, a ricalcare il puro stile romanico dell'edificio, si trovano la torre campanaria e un chiostrino di cui è andata perduta la parte perimetrale occidentale. Il lato nord della chiesa invece non presenta alcuna apertura.

La copertura dell'edificio è composta da una teoria di dieci capriate lignee a vista che sorreggono un manto a due falde composto di coppi in laterizio.[11]

Chiostro modifica

 
Il chiostro situato lungo il lato orientale della pieve

Il chiostro, adiacente al lato est della chiesa, viene datato ai primi del XII secolo[18][N 8] e sarebbe coevo con quello della chiesa di San Giovanni in Valle di Verona. Dei quattro lati perimetrali formati da dei colonnati ne rimangono soltanto tre; il lato occidentale è stato infatti sostituito, in epoca recente, da una cancellata. I colonnati posti a nord e a est sono coperti da un tetto, formato da coppi e grosse tegole in pietra. Al centro è posto un rustico pozzo.

Le arcate, a tutto sesto, sono sostenute da colonnine che poggiano, a loro volta, su un muretto continuo, discontinuo in altezza. Le murature presentano delle caratteristiche costruttive similari all'intero complesso. Le colonnine sono ornate da alcuni capitelli, in discreto stato di conservazione, con raffigurazioni di animali e fiori.

 
Uno dei lati chiusi del chiostro, caratterizzato da catene e copertura lignee

Il lato perimetrale più interessante del chiostro è sicuramente quello posto più ad est: qui il colonnato presenta quattordici archi suddivisi da un pilastro monolitico, costituito da una pietra chiara e squadrata. I pilastrini, edificati in diversi materiali, sono sormontati da dei capitelli privi di decorazioni. A differenze dei pilastrini, le colonnine presentano capitelli scolpiti che raffigurano diversi soggetti come piante, animali e una testa umana presente solo su uno di questi. Sempre su questo lato, nel muro interno del chiostro, restano alcune tracce di un affresco raffigurante i tratti di un leone.

Nella stessa sezione orientale, il chiostro comunica con l'antica e ormai abbandonata canonica. Questa è costruita con calcare, anneritosi nel corso degli anni, materiale utilizzato per gran parte delle antiche architetture di San Giorgio.[20] All'interno della canonica sono presenti alcuni affreschi del XIV secolo con motivi floreali, stelle, scudi e versetti tratti dal Vangelo.[21]

Torre campanaria modifica

 
Torre campanaria

Gli storici concordano con Arthur Kingsley Porter nel considerare il campanile non posteriore alla chiesa.[22] Lo studioso di architettura veronese Arslan evidenzia le somiglianze delle decorazioni, seppure realizzate con diversi materiali, a quelle di altre torri campanarie dell'epoca come quella della cittadina basilica di San Zeno (risalente al 1120 circa) e delle pievi San Martino a Negrar e di San Floriano e dunque ipotizza che quella di San Giorgio possa essere una rozza imitazione di queste ultime.[23]

Il campanile è edificato in pianta quadrata e la sua composizione, in pietre calcaree di diversa misura appena sbozzate poste in filari orizzontali, richiama la costruzione dei muri perimetrali della chiesa. Emergono da circa 4-5 metri da terra delle lesene angolari larghe un metro. La pianta del campanile penetra nel perimetro della chiesa per alcuni centimetri avvalorando così la tesi che esso non possa essere stato edificato posteriormente alla chiesa.

Sul fianco occidentale la cella campanaria è formata da una trifora (caratteristica del romanico veronese maturo), sotto la quale è posto un orologio, con archi compositi in pietra che si sorreggono su due colonnine monolitiche con semplici capitelli. Sugli altri fianchi troviamo invece, come apertura, delle bifore ad archetti costruiti in laterizio e dotati di una singola colonna con capitelli senza alcuna decorazione.

Il campanile ha una lunghezza di circa 5,5 metri e sporge dal lato nord della chiesa di 3,5 metri.

Interno modifica

 
La navata centrale della pieve, terminante nell'abside in cui si trova il ciborio longobardo

Pilastri e colonne determinano la suddivisione interna della chiesa in tre navate; a destra si trovano quattro pilastri e tre colonne, mentre l'altro lato presenta cinque pilastri, di cui uno inserito tra due colonne. I pilastri sono tutti a pianta rettangolare, quelli a sinistra sono privi di decorazioni, mentre quelli che dividono la navata destra presentano pitture datate al XIV secolo.[19] Su queste possiamo distinguere le raffigurazioni di: Santa Caterina (sul primo pilastro dall'ingresso); un Vescovo con mitra e pastorale (sul secondo pilastro); una Madonna con bambino e Sant'Antonio Abate (sul terzo); un'altra Madonna e San Bartolomeo (sul quarto); e infine Maria Maddalena sull'ultimo pilastro. Su entrambi i lati le colonne e i pilastri sostengono otto archi longitudinali, a intradossi decorati con cerchi, motivi floreali, stelle e calici, dipinti di rosso. Le colonne poggiano su dei basi realizzate reimpiegando delle are romane. Su tre di esse si possono ancora leggere delle incisioni in lingua latina.[N 9]

 
Una pittura raffigurante probabilmente San Bartolomeo,[24] sul quarto pilastro che divide la navata di destra

Sul muro longitudinale, che divide la navata centrale dalla navatella, a destra sono presenti sette monofore, mentre nel lato contrapposto non è presente alcuna apertura. Sempre nella navata laterale destra si trovano due porte squadrate che portano verso il sagrato (una di queste murata) e un'altra che conduce al chiostro; quest'ultima è sormontata da un arco a tutto sesto intonacato.[25]

Nell'abside posta ad occidente vi è ora un'apertura neogotica,[2] che costituisce l'ingresso principale alla pieve di San Giorgio ed è, all'interno, contornata da affreschi. Questa parte, molto probabilmente, apparteneva alla chiesa cristiana antecedente, assieme al grande fonte battesimale per immersione, realizzato da un unico blocco di pietra, attualmente posizionato a sinistra dell'ingresso.[3]

Nel muro orientale, sono presenti tre absidi, una centrale maggiore, dove è oggi collocato l'altare e due minori ai lati. L'area occidentale è illuminata dalle tre monofore presenti nell'abside maggiore e dalle due inserite in ognuna di quelle minori. Accanto al muro rivolto verso nord si trova una scultura raffigurante la Madonna circondata da quattro santi, in stile gotico e realizzata in stucco. Nell'abside maggiore, al centro, si trova una porticina che conduce alla nicchia ove è custodito il crisma per i battesimi, mentre nella sua sinistra è presente un piccolo tabernacolo tardo gotico.[21]

La mensa, che funge da altare maggiore, sorregge il ciborio, ed è costituita da una lastra di pietra recante un'iscrizione relativa alla sua consacrazione, avvenuta presumibilmente nell'agosto del 1412.[N 10]

Il pavimento è rivestito da mattonelle di calcare chiaro. Davanti all'ingresso, sempre sul pavimento, è presente un lastrone circolare (diametro di 2.60 m) che indicava, secondo un'ipotesi, il punto in cui vi era il seggio di un funzionario pubblico, mentre secondo un'altra teoria, era il luogo ove era posto il fonte battesimale (ora collocato nella navata di sinistra).[19] Questo (del tipo ad immersione) è realizzato in pietra locale e ha forma ottagonale, un tempo doveva essere provvisto anche di un coperchio bronzeo.

Affreschi modifica

 
Particolare delle decorazioni dei sottarchi e dell'abside occidentale

Gli affreschi qui conservati, nonostante siano alquanto deteriorati, rappresentano un interessante esempio di pittura datata all'XI secolo.[N 11] Nell'abside occidentale si trova, posto nel semicatino, un Cristo giudice con un mantello rosso sulla spalla e attorniato da simboli degli evangelisti. Sotto il giro dell'abside si possono vedere tre serafini mentre sulle pareti a fianco della zona absidea sono raffigurati, sulla destra, un santo barbuto con una tunica corta e striata di verde, sulla sinistra invece un santo soldato di aspetto più giovanile e con una clamide orlata di gemme.[9]

Nel lato opposto, nella zona dell'attuale altare, si trova un arco trionfale orlato da greche, in cui si intravedono delle figure che ricordano un angelo, un battesimo di Cristo e tre vecchi in vesti rossastre con fondo verde. L'analisi di queste pitture rileva una certa somiglianza con gli affreschi realizzati da Fratel Bonizzo, nel 1011, presso la chiesa di Sant'Urbano alla Caffarella a Roma.[9]

Sul lato destro della chiesa sono presenti alcuni affreschi di epoca più tarda, una rappresentazione di un'Ultima Cena e di un Adamo nell'atto di cibarsi della mela proibita.[N 12] Anche il lato sinistro è affrescato ma le pitture sono ormai irrimediabilmente staccate e quasi illeggibili.[26]

Le tele appese alle pareti delle navate minori sono per lo più opera di Giovanni Battista Lanceni (tra cui un Martirio di San Giorgio, del XVIII secolo).[27] Vicino alla fonte battesimale è collocata, dal 1840 e proveniente da Venezia, una Resurrezione di Cristo attribuita a Palma il Giovane (XVI secolo).[5]

L'ultima Cena modifica
 
L'affresco raffigurante l'Ultima Cena

Sulla parete meridionale della chiesa, lungo la navata destra, è presente un affresco, datato al XIV secolo o XV secolo, raffigurante un'Ultima Cena caratterizzata dai membri del convito che dialogano tra di loro e intenti a versarsi e a bere del vino rosso e a tagliare e mangiare del pane e della frutta. Purtroppo l'affresco ha risentito gravemente degli interventi che la pieve ha subito nel corso dei secoli: nel Quattrocento vi venne steso sopra dell'intonaco durante i lavori di tamponamento di una delle porte, ma danni ben più gravi subì tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento, quando venne realizzata una nuova apertura laterale; durante i lavori, infatti, venne asportata una parte dell'affresco, sulla sinistra. Successive infiltrazioni di umidità, infine, hanno causato alcune cadute di intonaco e l'aggravamento delle condizioni di conservazione del film pittorico. Il recente restauro ha consentito tuttavia di consolidare l'affresco e di migliorarne la leggibilità, permettendo così una sua valutazione dal punto di vista iconografico e stilistico.[27][28]

Cristo, come di consueto, è posto al centro della scena e attorniato dai suoi apostoli; nonostante egli sia mutilo della parte inferiore e buona parte del centro del dipinto sia andato perduto, la presenza di parte della veste di Giuda dinnanzi a Gesù fa presupporre che sia stato raffigurato il momento della predizione del tradimento, come suggerito anche dall'aspetto inquieto di uno degli apostoli che allontana lo sguardo e alza la mano. Gli altri sono invece vivacemente in dialogo tra di loro ed estranei a questo evento; vi è chi è intento a bere del vino rosso e chi a versarlo nel bicchiere, chi a tagliare del pane o della frutta e chi a mangiare. Peculiare di quest'opera è soprattutto l'aver raffigurato una ricca apparecchiatura con oggetti tipici del tempo: sul tavolo è presente una tovaglia bianca e orlata di verde, scodelle, piatti in ceramica, boccali in maiolica, bottiglie e bicchieri in vetro, coltelli dal manico di legno.[29]

Una tavola così riccamente apparecchiata e imbandita di cibo è tipica dell'iconografia diffusa al tempo nell'Italia settentrionale e centrale; il banchetto, seppur meno legato alla classica raffigurazione della scena sacra, consentiva di coinvolgere maggiormente lo spettatore in quanto, oltre al significato religioso, poteva cogliere il clima di abbondanza tipico dei giorni festivi.[30]

Il ciborio modifica

 
Il celebre ciborio

Il ciborio, ora utilizzato come altare maggiore, rappresenta una delle parti più interessanti della pieve, sia per la testimonianza storica che riporta (grazie alle precise iscrizioni qui incise, caso raro per opere del periodo longobardo-altomedievale) sia per il suo pregevole valore artistico.

Sull'antico ciborio si trovano delle iscrizioni,[31][32] in caratteri rustici, incise su due colonnine. Grazie ad esse si è riusciti a collocare il manufatto con precisione nella storia. Sulla prima si può leggere:

(LA)

«In nomine Domini Jesu Christi. De donis sancti Juhannes Bapteste edificatus est hanc civorius sub tempore domno nostro Lioprando rege et viro beatissimo pater nostro Domnico epescopo et costodes eius venerabilibus Vidaliano et Tancol presbiteris et Refol gastaldio Gondelme indignus diaconus scripsi»

(IT)

«Nel nome di Nostro Signore Gesù Cristo. Dai doni di San Giovanni Battista fu edificato questo ciborio, al tempo del sovrano nostro signore Liutprando e del venerabile nostro padre vescovo Domenico, e dei suoi custodi venerabili sacerdoti Vidaliano e Tancol, e del gastaldo Refol. Io Godelmo, indegno diacono, scrissi.»

Il resto segue sull'altra colonnina:

(LA)

«Ursus magester cum discepolis suis Juvintino et Juviano edificavet hane civorium, Vergondus, Teodoalfo scari»

(IT)

«Maestro Orso con i suoi discepoli Iuvintino e Iuviano edificò questo ciborio. Scari Vergondo e Teodoalfo»

Dall'iscrizione ivi incisa si sa che esso fu eretto sotto il regno di Liutprando (che regnò tra il 712 e il 744) mentre la diocesi di Verona era governata dal vescovo Domenico.[33] Sempre grazie alle iscrizioni si possono conoscere i nomi dei rettori della chiesa (Vidaliano e Tancol) e di quelli di altri amministratori (Vergondo e Teodoalfo) indicati, questi ultimi, come scari, ovvero amministratori di beni a livello locale.[25][34] L'iscrizione è stata commissionata da un certo Refol, gastaldo dell'epoca e probabilmente mecenate di artisti. Sono inoltre incisi i nomi dei costruttori: un certo Orso, capomastro, con i suoi allievi o discepoli Iuvintino e Iuviano, nomi che rivelano la loro origine latina e dunque possono essere considerati i precursori della scuola lombarda di scultori che, in quegli anni, realizzò tanti capolavori per le basiliche dell'alta Italia.[33][N 13]

Il ciborio rimase all'interno della chiesa longobarda, probabilmente, fino alla sua trasformazione in romanica, quando fu scomposto in vari elementi, utilizzati per altri scopi.[33] Sembra, ad esempio, che le quattro colonnine che lo compongono siano state usate, fin dal 1412, per sostenere l'altare maggiore (consacrato appunto quell'anno). Nel 1738 l'altare, dichiarato sospeso a seguito di una visita vescovile, fu abbandonato nel chiostro ove rimase fino al 1923.[33]

L'attuale ciborio è così il risultato di ricostruzioni basate sulle iscrizioni. Il suo ripristino lo si deve ad Alessandro Da Lisca, ispettore ai monumenti di Verona,[35] che però rileva che con ogni probabilità, come testimonia il ritrovamento di ben sette archivolti, dovesse essere in origine ben più fastoso e completo.[N 14][36]

Sul ciborio le decorazioni a nastri intrecciati rappresentano una caratteristica presente anche in altre opere longobarde, ad esempio nelle crocette votive, nell'altare del duca Rachis e nella fonte battesimale del patriarca Callisto a Cividale del Friuli.

Museo modifica

Di fianco all'edificio religioso è sito un museo. Esso compendia sia di un museo etnografico, istituito negli anni settanta, che documenta le attività e le tradizioni locali e al cui interno è allestita una cucina tipica della Valpolicella, sia di un museo archeologico, inaugurato nel 1992, in cui sono esposti manufatti ritrovati in loco come are e iscrizioni romane, sculture e rilievi longobardi e carolingi e oggetti d'arte di svariate epoche.[37]

Note modifica

Esplicative modifica

  1. ^ Il soprannome "Ingannapoltron", nato probabilmente a partire dal XV secolo, deriva dalla lunga salita necessaria per arrivare al paese e dalla sua collocazione in un'area ricca di cave, chiamate ganna. In Bolla, p. 15.
  2. ^ Luigi Simeoni afferma che sia la chiesa più antica del veronese, sia per la presenza di un ciborio datato 712 che per la sua primitiva orientazione con la facciata rivolta verso oriente. In Simeoni, p. 381
  3. ^ Era presente una pieve anche a Arbizzano ma non aveva un ruolo così importante da poter disporre di un proprio piovadego.
  4. ^ L'intero popolo divenne, almeno nominalmente, cattolico sul finire del regno di Cuniperto (morto nel 700), e i suoi successori (su tutti, Liutprando) fecero coscientemente leva sull'unità religiosa (cattolica) di Longobardi e Romanici per ribadire il loro ruolo di rex totius Italiae. In Rovagnati, p. 64.
  5. ^ Questi rilevamenti sono stati fatti da Alessandro Da Lisca durante il suo restauro. In Silvestri, p. 92.
  6. ^ La colonnina con l'iscrizione che nomina Liutprando è già citata in alcuni scritti di eruditi di questo secolo.
  7. ^ Wart Arslan conclude la sua esposizione con queste parole: «Se la nostra ipotesi è giusta il San Giorgio di Valpolicella attesterebbe dunque un rifluire, punto inverosimile lungo la valle dell'Adige, al cui sbocco è questo borgo, testimonio di antichissima cultura italica, di una vena potente dell'arte tedesca; di quell'arte che, a sua volta, tanto doveva più tardi per la stessa via ricevere. Infatti, anche il vecchio duomo di Bressanone aveva pianta biabsidata. E non si saprebbe collocare San Giorgio altrimenti che nel secolo XI, per quanto in esso è riecheggiato, per quanto esso preannuncia».
  8. ^ Non tutti gli storici concordano con questa datazione, l'Orti Manara e il Mothes lo collocano al X secolo, mentre il Simeoni addirittura al XIII secolo.
  9. ^ In particolare, la base della prima colonna a sud è costituita da un'ara romana realizzata su una pietra monolitica che presenta la seguente scritta, parzialmente rovinata: «SOLI ETIVNA - O SERTORIVS OF - FESTVS FLAMIN». In Opere del romanico minore in Italia, su thais.it. URL consultato il 2 agosto 2010 (archiviato il 20 marzo 2011).
  10. ^ L'iscrizione risulta essere alquanto danneggiata e dunque non c'è certezza sull'anno.
  11. ^ Sia l'Arslan che il Toesca che il Cipolla concordano con questa datazione.
  12. ^ Il dipinto è andato in gran parte perduto, si pensa che inizialmente rappresentasse Dio che scaccia Adamo ed Eva dall'Eden oppure un Adamo redento da una donna posta come simbolo della Chiesa.
  13. ^ Presso la Collegiata di Santa Maria a Ferentillo in Umbria troviamo un'altra opera, coeva del ciborio di San Giorgio, con la firma «Ursus magester fecit», ma non ci sono altri elementi che possano far ritenere con certezza che ambedue appartengano al medesimo autore o che sia semplicemente un caso di omonimia.
  14. ^ Alessandro Da Lisca ebbe a dire in proposito «L'esame diligentissimo dei frammenti nei loro fianchi d'incastro, e il loro numero, e l'esame dei vani degli appoggi superiori nei capitelli delle colonne, escludono che l'opera di maestro Orso e dei suoi discepoli Juventino e Juviano si limitasse ad un semplice baldacchino con quattro archivolti e quattro colonne, anzi induce a ritenere che quegli scultori abbiano eseguita una vera iconostasi dividendo in due piani l'abside barbarica, la quale si presenta ora sproporzionatamente lunga; nel piano inferiore vi doveva essere una specie di cripta, aperta verso la chiesa da una serie di arcatelle poggianti su colonnine; nel piano superiore, cui si accedeva da scalette laterali, l'altare e il ciborio propriamente detto». In Da Lisca.

Bibliografiche modifica

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  10. ^ Biancolini.
  11. ^ a b c Chiesa di San Giorgio Martire <San Giorgio di Valpolicella, Sant'Ambrogio di Valpolicella>, su Le chiese delle diocesi italiane, Conferenza Episcopale Italiana. URL consultato il 5 gennaio 2020.
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  36. ^ Da Lisca.
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