Pinguinus impennis

specie estinta di uccello

L'alca impenne (Pinguinus impennis Linnaeus, 1758) era un uccello incapace di volare della famiglia degli Alcidi, scomparso attorno alla metà del XIX secolo. Era l'unica specie giunta fino all'epoca storica del genere Pinguinus Bonnaterre, 1791, un gruppo di uccelli che comprendeva originariamente anche un'altra specie di alca gigante incapace di volare stanziata nella regione dell'oceano Atlantico. Nidificava su isole rocciose e remote che offrivano un facile accesso all'oceano e una ricca disponibilità di cibo, cose piuttosto difficili da trovare in natura e che spinsero questo animale a riprodursi unicamente in poche località. Al di fuori della stagione riproduttiva, le alche trascorrevano il tempo nutrendosi nelle acque del Nordatlantico, spingendosi a sud fino alle coste settentrionali della Spagna e anche nei pressi delle coste di Canada, Groenlandia, Islanda, Fær Øer, Norvegia, Irlanda e Gran Bretagna.

Come leggere il tassoboxProgetto:Forme di vita/Come leggere il tassobox
Come leggere il tassobox
Alca impenne
L'esemplare numero 8 e replica dell'uovo al Kelvingrove di Glasgow
Stato di conservazione
Estinto (1852)[1]
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Aves
Ordine Charadriiformes
Famiglia Alcidae
Genere Pinguinus
Bonnaterre, 1791
Specie P. impennis
Nomenclatura binomiale
Pinguinus impennis
(Linnaeus, 1758)
Sinonimi

Alca impennis Linnaeus, 1758
Plautus impennis Brünnich, 1772
Pingouin impennis Buffon, 1817
Alca borealis Forster, 1817
Chenalopex impennis Vieillot, 1818
Alca major Boie, 1822
Mataeoptera impennis Gloger, 1842

Areale

Areale approssimativo (in azzurro), con i siti di nidificazione noti indicati da puntini gialli[2][3]

L'alca impenne raggiungeva i 75–85 cm di altezza e pesava circa 5 kg; era quindi la specie più grande della famiglia degli Alcidi. Aveva il dorso nero e il ventre bianco. Il becco, anch'esso di colore nero, era robusto e ricurvo, con scanalature sulla superficie. Durante l'estate, il piumaggio dell'alca impenne presentava una macchia bianca sopra ad ogni occhio. Durante l'inverno, l'alca perdeva queste macchie, ma sviluppava una fascia bianca che si estendeva attraverso gli occhi. Le ali erano lunghe solo 15 cm, e non consentivano all'uccello di volare. Al contrario, l'alca era un'ottima nuotatrice, caratteristica che impiegava durante la caccia. Le sue prede preferite erano pesci, come alose dell'Atlantico e capelani, e crostacei. Nonostante fosse agile in acqua, sulla terra era piuttosto goffa. Le coppie di alca impenne rimanevano unite per tutta la vita. Nidificavano in colonie fitte e numerose, deponendo un unico uovo sulla nuda roccia. L'uovo era bianco con marezzature brune. Entrambi i genitori covavano l'uovo per circa sei settimane prima che si schiudesse. La piccola alca lasciava il nido dopo due o tre settimane, nonostante i genitori continuassero a prendersene cura.

L'alca impenne aveva un ruolo importante presso molte tribù di nativi americani, sia come fonte di cibo che come creatura simbolica. Molti uomini appartenenti alla cosiddetta cultura arcaica marittima venivano seppelliti assieme ad ossa di alca impenne, e uno è stato addirittura trovato ricoperto da più di 200 becchi di alca, che si presume facessero parte di un mantello fatto con le loro spoglie. I primi esploratori europei giunti nelle Americhe utilizzarono le alche come una fonte conveniente di cibo o come esche per la pesca, riducendo di gran lunga il loro numero. Il fatto che il piumino di questo uccello fosse molto richiesto in Europa fece sì che quasi tutte le sue popolazioni europee fossero già scomparse attorno alla metà del XVI secolo. Gli scienziati richiamarono l'attenzione sul fatto che questi comportamenti avrebbero potuto portare alla scomparsa dell'alca impenne, che divenne beneficiaria delle prime leggi ambientali volte alla conservazione delle specie a rischio, ma ciò non fu abbastanza. La rarità crescente della specie ne fece aumentare notevolmente l'interesse presso musei e collezionisti privati europei, che fecero di tutto per ottenere sue spoglie e uova. Il 3 giugno 1844, gli ultimi due esemplari confermati vennero abbattuti a Eldey, al largo delle coste dell'Islanda, e con essi andò distrutto anche l'ultimo tentativo noto di riproduzione. Successivamente vi sono state voci riguardanti avvistamenti o catture di esemplari sopravvissuti. L'avvistamento di un esemplare nel 1852 è considerato da alcuni l'ultimo mai effettuato di un individuo appartenente alla specie. L'alca impenne è citata in un certo numero di racconti e la rivista scientifica dell'Unione americana di ornitologia è chiamata The Auk in onore di questo uccello.

Tassonomia ed evoluzione modifica

 
L'esemplare numero 44 a Lipsia.

L'analisi delle sequenze di DNA mitocondriale ha confermato ciò che gli studiosi avevano già da tempo ipotizzato con i loro studi morfologici e biogeografici, cioè che il parente attuale più stretto dell'alca impenne è la gazza marina[4]. L'alca impenne era anche strettamente imparentata con la gazza marina minore, che ha intrapreso un'evoluzione completamente differente rispetto a Pinguinus. A causa della sua somiglianza esteriore con la gazza marina (fatta eccezione per l'inattidudine al volo e le dimensioni), l'alca impenne è stata talvolta classificata nel genere Alca, come fece anche lo stesso Linneo.

I resti fossili (in particolare quelli della specie sorella Pinguinus alfrednewtoni) e le caratteristiche molecolari dimostrano che i tre generi suddetti, seppur strettamente imparentati, si separarono ben presto dopo essersi separati a loro volta dal loro antenato comune, un uccello probabilmente simile a una tozza urietta di Xantus, e si diffusero lungo le coste dell'Atlantico. A quei tempi le urie si erano già separate dagli altri Alcidi dell'Atlantico. Durante il Pliocene uccelli simili alle gazze marine erano comuni nell'Atlantico, ma l'evoluzione della gazza marina minore è scarsamente documentata[4]. I dati molecolari sono compatibili con entrambi i punti di vista, ma il peso dell'evidenza suggerisce di classificare l'alca impenne in un genere distinto[4]. Alcuni ornitologi, tuttavia, ritengono sia più appropriato continuare a considerare la specie come appartenente al genere Alca[5]. L'alca impenne non è strettamente imparentata con gli altri generi estinti di Alcidi incapaci di volare, Mancalla, Praemancalla e Alcodes[6].

Pinguinus alfrednewtoni era un'altra specie del genere Pinguinus, più grande e anch'essa incapace di volare, vissuta durante il Pliocene inferiore[7]. Noto a partire da ossa rinvenute nella formazione di Yorktown della miniera di Lee Creek nel North Carolina, si ritiene si sia separato assieme all'alca impenne da un antenato comune. Pinguinus alfrednewtoni viveva nell'Atlantico occidentale e l'alca impenne in quello orientale, ma dopo la scomparsa del primo dopo il Pliocene, l'alca impenne estese il suo areale fino a comprendere quello del suo simile[7].

Etimologia modifica

L'alca impenne è una delle 4400 specie animali descritte originariamente da Carlo Linneo nella sua opera del XVIII secolo, il Systema Naturae, dove compare con il nome di Alca impennis[8]. Il nome Alca è una latinizzazione derivata dal termine scandinavo che veniva usato per indicare le gazze marine e i loro simili[9]. La specie venne inserita nel suo genere attuale, Pinguinus, solamente nel 1791[10]. Il nome del genere deriva dal termine con il quale la specie veniva chiamata da spagnoli e portoghesi, e l'epiteto specifico impennis deriva dal latino e si riferisce alla mancanza di penne remiganti, o pennae[9].

 
L'unica raffigurazione nota di un'alca impenne in vita, l'esemplare che Ole Worm ricevette dalle Fær Øer (1655)

Il nome irlandese dell'alca impenne, falcóg mhór, significa «grande uccello di mare/alca». Il nome basco, arponaz, significa «becco a lancia». Il nome francese primitivo era apponatz. I Normanni chiamavano l'alca impenne geirfugl, che significa «uccello-lancia». È proprio da quest'ultimo che deriva uno dei nomi alternativi con cui la specie è nota in inglese, garefowl o gairfowl[11]. Il nome inuit dell'alca impenne era isarukitsok, che significa «piccola ala»[12]. La parola «pinguino» (Penguin) comparve per la prima volta nel XVI secolo come sinonimo di «alca impenne»[13]. Forse essa deriva dal gallese pen gwyn, «testa bianca», o dal latino pinguis, «pingue, grassoccio», ma la sua etimologia è ancora in discussione. Quando gli esploratori europei scoprirono quegli uccelli che oggi chiamiamo pinguini nell'emisfero australe, notarono il loro aspetto simile a quello dell'alca impenne e li chiamarono con questo nome, malgrado non fossero affatto imparentati con esso[14].

Descrizione modifica

 
Piumaggio estivo (a sinistra) e invernale (a destra). Da John Gerrard Keulemans.

Con un'altezza di 75–85 cm e un peso negli esemplari adulti di circa 5 kg[15], l'alca impenne, incapace di volare, era la specie più grande sia della sua famiglia che dell'intero ordine dei Caradriiformi. Le alche che vivevano più a nord avevano generalmente dimensioni maggiori di quelle stanziate più a sud[6]. Maschi e femmine avevano piumaggio simile, ma differivano tra loro per le dimensioni, in particolare del becco e della lunghezza del femore[16][17][18]. Il dorso era prevalentemente di colore nero lucido, mentre il ventre era bianco. Il collo e le zampe erano brevi, e la testa e le ali piccole[19]. L'alca sembrava avere un aspetto un po' pienotto a causa di uno spesso strato di grasso necessario per la termoregolazione[20]. Durante l'estate, l'alca impenne sviluppava una larga macchia bianca sopra ad ogni occhio, la cui iride poteva essere di colore nocciola o castano[21][22]. Durante l'inverno l'alca effettuava la muta e perdeva queste macchie oculari, che venivano rimpiazzate da una larga fascia bianca e da una linea grigia di piume che andavano dall'occhio all'orecchio[16]. Durante l'estate, il mento e la gola dell'alca erano bruno-nerastri, mentre l'interno della bocca era giallo[17]. Durante l'inverno, la gola diveniva bianca[16]. Alcuni esemplari avevano del piumaggio grigio sui fianchi, ma il motivo di questa caratteristica è sconosciuto[23]. Il grosso becco era lungo 11 cm e si incurvava verso il basso all'estremità[20]; inoltre presentava delle profonde scanalature bianche su entrambi i suoi rami, fino a sette sulla mascella e dodici sulla mandibola in estate, che diminuivano di numero in inverno[24][25]. Le ali misuravano solamente 15 cm di lunghezza e le remiganti più lunghe appena 10 cm[20]. I piedi e i brevi artigli erano neri, mentre le membrane interdigitali erano di colore nero-brunastro[25]. Le zampe erano poste parecchio indietro sul corpo, e consentivano all'animale di nuotare e immergersi molto efficacemente[26].

I nidiacei erano grigi e ricoperti di piumino, ma il loro esatto aspetto è sconosciuto, dal momento che non ne sono giunte spoglie[25]. Gli esemplari giovani avevano scanalature sul becco meno evidenti e il collo ricoperto da macchie bianche e nere[27], e non presentavano la macchia oculare tipica degli adulti; al contrario, avevano una linea grigia che correva dagli occhi (che erano ancora cerchiati da un anello perioculare bianco) fin sotto alle orecchie[17].

I richiami dell'alca includevano bassi gracidii e grida rauche. Un esemplare in cattività venne visto emettere una sorta di gorgoglio quando era nervoso. Non sappiamo di che tipo fossero le altre vocalizzazioni, ma si presume che fossero simili a quelle della gazza marina, seppur più potenti e profonde[28].

Distribuzione e habitat modifica

 
Stac an Armin, a St. Kilda, uno dei luoghi dove nidificava l'alca impenne.

L'alca impenne era diffusa nelle fredde acque litoranee del Nordatlantico lungo le coste di Canada, Stati Uniti nord-orientali, Norvegia, Groenlandia, Islanda, Fær Øer, Irlanda, Gran Bretagna, Francia e Spagna settentrionale[29]. L'alca impenne lasciava le acque del Nordatlantico e si spingeva a terra solamente per nidificare, e al di fuori della stagione riproduttiva si riposava addirittura in mare[24][30]. Colonie di alca impenne si trovavano dalla baia di Baffin fino al golfo di San Lorenzo e, attraverso l'estremità settentrionale dell'Atlantico, in Islanda, Norvegia e isole britanniche in Europa[24][31][32]. Per nidificare l'alca impenne necessitava di isole rocciose con scogliere digradanti che fornivano un facile accesso alla linea costiera[26]. Questi erano requisiti molto limitanti e si ritiene che in tutto l'alca impenne occupasse non più di 20 colonie riproduttive[26]. Inoltre, i siti di nidificazione dovevano essere situati in prossimità di acque ricche di cibo e dovevano essere abbastanza distanti dall'entroterra per scoraggiare visite da parte di esseri umani e orsi polari[33]. Sono note solamente sei località dove erano presenti colonie riproduttive: Papa Westray nelle isole Orcadi, l'isola di St. Kilda al largo della Scozia, le isole di Grimsey ed Eldey nei pressi dell'Islanda, l'isola di Funk[34] vicino a Terranova, e le Bird Rocks (Rochers-aux-Oiseaux) nel golfo di San Lorenzo[26]. I ritrovamenti indicano che questa specie potrebbe aver nidificato anche a capo Cod, in Massachusetts[26]. A partire dalla fine del XVIII e dagli inizi del XIX secolo, l'areale riproduttivo dell'alca impenne si ridusse alle isole di Funk, di Grimsey, di Eldey, al golfo di San Lorenzo e a St. Kilda[31]. L'isola di Funk ospitava la più vasta colonia riproduttiva conosciuta[35].

L'alca impenne si spostava a nord o a sud lontano dalle colonie riproduttive dopo che i pulcini avevano messo le penne e tendeva a dirigersi verso sud durante il tardo autunno e l'inverno[36]. Era comune nei Grandi Banchi[33]. Sue ossa sono state trovate a sud fino in Florida, dove la specie è risultata presente in quattro periodi di tempo distanti tra loro: attorno al 1000 a.C., al 1000 d.C., al XV secolo e al XVII secolo[37][38] (è stato ipotizzato, tuttavia, che alcune delle ossa scoperte in Florida possano essere il risultato di commercio tra gli aborigeni).[36] In inverno generalmente l'alca impenne non si spingeva più a sud della baia del Massachusetts[36].

Ecologia e comportamento modifica

 
Alche impenni da The Birds of America di John James Audubon.

L'alca impenne non è mai stata osservata e descritta da scienziati moderni durante la sua esistenza; tutto ciò che sappiamo su di essa lo dobbiamo ai resoconti di osservatori profani, come i marinai, così il suo comportamento non è ben conosciuto ed è difficile da ricostruire. Tuttavia, possiamo dedurre abbastanza notizie su di essa da una sua parente stretta ancora esistente, la gazza marina, e dall'analisi dei tessuti molli giunti fino a noi[5].

Le alche impenni camminavano lentamente e talvolta utilizzavano le ali per aiutarsi ad attraversare i terreni irregolari[27]. Quando era costretta a correre, lo faceva goffamente e con brevi passi in linea retta[30]. Aveva pochi nemici naturali, in particolare grandi mammiferi marini, come l'orca, e le aquile di mare codabianca[30]. Gli orsi polari compivano razzie nei siti di nidificazione[39]. Questa specie non aveva una paura innata degli esseri umani, e la sua incapacità di volare e la goffaggine a terra aggravavano di molto la sua vulnerabilità. Veniva cacciata per la carne, le penne e per ottenere esemplari impagliati per musei e collezioni private[1]. Le alche impenni reagivano ai rumori, ma raramente si impaurivano alla vista di qualcosa[40]. Le alche usavano in modo aggressivo i loro becchi sia contro i conspecifici nelle colonie di nidificazione che quando si sentivano minacciate o venivano catturate dagli uomini[30]. Si ritiene che questi uccelli vivessero in media circa 20-25 anni[41]. Durante l'inverno, l'alca impenne migrava a sud in coppie o in piccoli gruppi, e mai in compagnia dell'intera colonia di nidificazione[42].

L'alca impenne era generalmente un'eccellente nuotatrice, che usava le ali per darsi la spinta sott'acqua[27]. Durante il nuoto, teneva la testa eretta ma teneva in acqua il collo[30]. Stando immersa era in grado di piegarsi, virare e girare su se stessa[42]. È noto che poteva immergersi fino a 76 m di profondità, ma taluni hanno addirittura azzardato che avesse potuto raggiungere il chilometro di profondità[43]. Poteva trattenere il respiro anche per 15 minuti, più a lungo di una foca[42]. Era in grado di prendere velocità sott'acqua per poi schizzarne fuori e approdare su una sporgenza rocciosa sopra la superficie dell'oceano[42].

Alimentazione modifica

 
Alca impenne che ingoia un pesce in un disegno di John Gould.

Questo alcide generalmente andava in cerca di cibo in acque costiere meno profonde di quelle frequentate da altri Alcidi[44], nonostante dopo la stagione riproduttiva sia stato avvistato anche a 500 km di distanza dalla terraferma[44]. Si ritiene che catturasse le prede lavorando cooperatamente in stormi[44]. Si nutriva generalmente di pesci, specialmente di quelli lunghi 12–20 cm e del peso di 40-50 g, ma occasionalmente poteva catturare anche prede della metà della sua lunghezza. In media l'uccello poteva immergersi in cerca di prede fino a 75 m, ed è stato stimato che avesse potuto raggiungere profondità massime di 130 m; tuttavia, allo scopo di conservare energie, la maggior parte delle immersioni erano poco profonde[44]. La sua abilità di immergersi così in profondità riduceva la competizione con altre specie di Alcidi. In base ai resti associati ad ossa di alca impenne rinvenute sull'isola di Funk e ad alcune considerazioni ecologiche e morfologiche, sembra probabile che le sue prede preferite fossero le alose dell'Atlantico e i capelani[45]. Altre possibili prede suggerite dagli studiosi sono ciclotteri, scorpioni di mare, merluzzi, crostacei e ammoditi[43][44]. Si ritiene che i giovani di alca impenne si siano nutriti di plancton e, forse, di pesci e crostacei rigurgitati dagli adulti[35][41].

Riproduzione modifica

 
Colonia con giovani e uova, da Keulemans.

La formazione delle coppie presso le alche impenni iniziava ai primi di maggio o a metà del mese[46]. Si ritiene che i partner rimanessero uniti per tutta la vita, ma alcuni hanno ipotizzato che potessero avere anche rapporti al di fuori della coppia, proprio come è stato osservato nelle gazze marine[30][41]. Una volta costituita la coppia, gli uccelli nidificavano alla base delle scogliere in colonie, dove probabilmente si accoppiavano[20][30]. Le coppie riproduttive si impegnavano in parate sociali nel corso delle quali dondolavano su e giù le teste, mettendo in evidenza la macchia oculare bianca, i disegni sul becco, e l'interno giallo della bocca[30]. Queste colonie erano estremamente affollate e popolose; alcuni studiosi hanno stimato che vi fosse un nido ogni metro quadrato di terreno disponibile[30]. Le colonie erano molto gregarie[30]. Nel caso una di queste comprendesse anche altre specie di Alcidi, l'alca impenne dominava le altre grazie alle sue dimensioni[30].

 
Raffigurazione dell'uovo numero 17, tratta da un libro del 1896.

Le femmine di alca impenne deponevano solo un unico uovo all'anno, tra la fine di maggio e i primi di giugno, sebbene potessero deporre un uovo sostitutivo nel caso il primo fosse andato perduto[42][46]. Negli anni in cui vi era scarsità di cibo, l'alca non si riproduceva[47]. L'unico uovo veniva deposto sul terreno nudo entro 100 m dalla costa[27][48]. L'uovo era di forma ovoidale e allungata, e misurava in media 12,4 cm di lunghezza e 7,6 cm di larghezza nel punto più largo[10][39]. L'uovo era di colore variabile dal bianco-giallastro all'ocra chiaro e presentava una serie di macchie e linee nere, marroni o verdastre che spesso si raggruppavano attorno al polo maggiore[27][49]. Si ritiene che le variazioni dei disegni sulle uova facilitassero i genitori nel riconoscerle all'interno della colonia[46]. I genitori covavano l'uovo a turno rimanendo in posizione eretta per 39-44 giorni prima che si schiudesse, generalmente in giugno, nonostante nelle colonie si potessero trovare uova anche in agosto[39][46].

I genitori si occupavano a turno anche dell'alimentazione del pulcino. Secondo una testimonianza, il pulcino era ricoperto di piumino grigio[41]. Al piccolo bastavano solo due o tre settimane per crescere abbastanza da abbandonare il nido e la terraferma per dirigersi in acqua, generalmente verso la metà di luglio[39][46]. I genitori si occupavano di lui anche dopo che questi aveva messo le penne, e degli adulti sono stati visti nuotare con il piccolo appollaiato sul dorso[46]. Le alche impenni raggiungevano la maturità sessuale all'età di quattro-sette anni[47].

Rapporti con l'uomo modifica

 
Due omeri (1) e due tibie (2) di alca impenne rinvenute dagli archeologi tra gli scarti di un'antica cucina nel Caithness.

L'alca impenne costituiva una fonte di cibo per i Neanderthal più di 100.000 anni fa, così come testimoniano le ossa ben ripulite rinvenute presso i resti dei loro fuochi da campo[29]. Immagini che si ritiene ritraggano delle alche impenni sono state inoltre incise sulle pareti della grotta di El Pinto in Spagna più di 35.000 anni fa[50], mentre pitture rupestri vecchie di 20.000 anni sono state rinvenute in Francia nella grotta Cosquer[12].

Per i nativi americani l'alca impenne era una fonte di cibo durante i mesi invernali e un importante simbolo. Immagini raffiguranti alche impenni sono state trovate in collane in osso[51]. I resti di un uomo appartenente alla cosiddetta cultura arcaica marittima seppellito nel sito di Port au Choix, a Terranova, risalenti al 2000 a.C. circa, sono stati ritrovati circondati da più di 200 becchi di alca impenne, che si ritiene siano stati parte di un mantello confezionato con le loro spoglie, con le teste lasciate attaccate come ornamento[52]. Quasi metà delle ossa di uccelli ritrovate nelle tombe di questo sito appartengono ad alche impenni, il che lascia ipotizzare che questa specie giocasse un importante ruolo culturale presso i popoli della cultura arcaica marittima[53]. Con le uova dell'alca gli scomparsi Beothuk di Terranova preparavano una sorta di pasticcio[41]. Anche gli eschimesi Dorset catturavano questi uccelli, e in Groenlandia i Saqqaq sfruttarono così intensamente la specie da causarne una riduzione locale dell'areale[53].

Successivamente, i marinai europei considerarono le alche come dei fari per la navigazione, dal momento che la presenza di questi uccelli segnalava che i Grandi Banchi di Terranova erano vicini[12].

Si ritiene che questa specie fosse costituita da qualche milione di esemplari[41]. L'alca impenne iniziò a essere cacciata su scala maggiore per la carne, le uova e il piumino almeno a partire dall'VIII secolo. Prima di allora, cacce da parte degli indigeni locali sono state documentate dalla tarda età della pietra in Scandinavia e nel Nordamerica orientale[54], e dagli inizi del V secolo nel Labrador, dove sembra che l'uccello sia stato presente unicamente come visitatore occasionale[55]. I primi esploratori, come Jacques Cartier e gli equipaggi di numerose navi che si spinsero in cerca di oro sull'isola di Baffin, non portavano con sé provviste per il viaggio di ritorno, e di conseguenza utilizzavano questa specie sia come una conveniente fonte di cibo che come esca per i pesci[56]. Successivamente alcune imbarcazioni iniziarono a sostare nei pressi delle colonie di questi uccelli e a gettare delle passerelle fino a terra. I marinai allora spingevano centinaia di alche sulle navi, dove poi venivano massacrate[57]. Alcuni autori si sono chiesti se questo metodo di caccia avesse davvero successo[53]. Anche le uova costituivano un'importante fonte di cibo, dal momento che erano tre volte più grandi di quelle di un'uria e avevano un grosso tuorlo[53]. I marinai introdussero inoltre ratti sulle isole popolate dalle alche[49].

Estinzione modifica

 
L'esemplare numero 3 a Bruxelles, che potrebbe appartenere a uno degli ultimi due uccelli uccisi ad Eldey nel 1844.

La piccola era glaciale potrebbe aver causato la riduzione della popolazione delle alche impenni, lasciando esposte molte delle isole su cui nidificavano alle predazioni degli orsi polari, ma fu il massiccio sfruttamento per il loro piumino a ridurre la specie sull'orlo dell'estinzione[47]. Attorno alla metà del XVI secolo, le colonie riproduttive poste lungo il lato europeo dell'Atlantico erano state quasi tutte eliminate dagli uomini, che uccidevano questi uccelli per il loro piumino, che veniva utilizzato per fabbricare i cuscini[58]. Nel 1553, l'alca godé per la prima volta di una protezione ufficiale, e nel 1794 la Gran Bretagna mise al bando l'uccisione di questa specie per le sue piume[59]. A St. John's, degli uomini che avevano violato una legge del 1775 che proibiva la caccia all'alca per le piume o le uova vennero frustati pubblicamente, ma la caccia per utilizzare questo uccello come esca per i pesci veniva ancora permessa[53]. Sul lato nordamericano, in un primo momento venne preferito il piumino di edredone, ma dopo la quasi totale scomparsa di quest'ultimo, negli anni '70 del XVIII secolo, i raccoglitori di piumino iniziarono a rivolgere le proprie attenzioni all'alca, proprio quando iniziava a venire meno la richiesta di carne, esche per i pesci e olio[53][60]. L'alca impenne scomparve dall'isola di Funk nel 1800, e una testimonianza di Aaron Thomas della HMS Boston risalente al 1794 descrive come questo uccello era stato sistematicamente massacrato fino ad allora:

«Se venite qua per le loro piume non datevi la pena di ucciderli, ma afferratene uno e strappategli le piume migliori. Poi lasciate libero il povero pinguino, con la pelle mezza nuda e strappata, a morire con comodo. Questo non è un metodo molto umano ma è la pratica comune. Finché rimarrete su quest'isola farete pratica costante di orribili crudeltà, perché non solo vengono spellati vivi, ma anche bruciati vivi per poterne cuocere i corpi. Si prende un bollitore e ci si infila un pinguino o due, si accende un fuoco al di sotto, e questo fuoco viene completamente alimentato con gli stessi sfortunati pinguini. Il loro corpo, essendo oleoso, produce ben presto una fiamma; sull'isola non vi è legname.[5]»

Data la loro crescente rarità, gli esemplari di alca impenne e le loro uova divennero pezzi da collezione di grande valore per gli europei più facoltosi, e la perdita del gran numero di uova che venivano raccolte contribuì alla scomparsa della specie. I raccoglitori, uomini che visitavano i siti di nidificazione delle alche impenni per impadronirsi delle uova, compresero ben presto che gli uccelli non deponevano le loro uova nello stesso giorno, così iniziarono a visitare più volte la stessa colonia. Essi raccoglievano solamente le uova prive di embrione e generalmente scartavano quelle in cui questo era presente[39].

Fu sull'isoletta di Stac an Armin, a St. Kilda, nel luglio del 1840, che l'ultima alca impenne vista sulle isole britanniche venne catturata e uccisa[61]. Tre uomini di St. Kilda catturarono un singolo garefowl, notandone le piccole ali e la grande macchia bianca sulla testa. Lo legarono e lo tennero in vita per tre giorni, fino a quando scoppiò una forte tempesta. Credendo che l'alca fosse una strega e la causa della tempesta, la uccisero colpendola con un bastone[62][63]. L'alca impenne è l'unico uccello britannico ad essersi estinto in epoca storica[64].

 
Eldey, l'ultimo rifugio dell'alca impenne.

L'ultima colonia di alche impenni visse su Geirfuglasker (la «Roccia dell'Alca Impenne») al largo dell'Islanda. Questa isoletta era uno scoglio vulcanico circondato da falesie che lo rendevano inaccessibile agli esseri umani, ma nel 1830 venne inghiottita dal mare dopo un'eruzione vulcanica, e gli uccelli si trasferirono sulla vicina isola di Eldey, accessibile solamente da un unico lato. Quando la colonia venne scoperta per la prima volta nel 1835, era costituita da quasi cinquanta esemplari. I musei, desiderando le spoglie dell'alca per conservarle e metterle in mostra, iniziarono ben presto a collezionare gli uccelli della colonia[65]. L'ultima coppia, scorta mentre stava covando un uovo, venne uccisa là il 3 giugno 1844, su richiesta di un mercante in cerca di esemplari da museo: Jón Brandsson e Sigurður Ísleifsson strangolarono gli adulti e Ketill Ketilsson schiacciò l'uovo sotto i suoi stivali[66]. L'esperto di alche impenni John Wolley intervistò i due uomini che avevano ucciso gli ultimi uccelli[67], e Ísleifsson descrisse il fatto con le seguenti parole:

«Le rocce erano ricoperte da uccelli neri [le urie] e c'erano i Geirfugles ... Camminavano lentamente. Jón Brandsson avanzò verso di loro con le braccia aperte. L'uccello che Jón inseguiva venne spinto in un angolo ma [il mio] stava dirigendosi verso il margine della scogliera. [Io] lo catturai in prossimità del margine – un precipizio profondo molte braccia. Gli uccelli neri volarono via. Lo agguantai per il collo e iniziò a sbattere le ali. Non emise un grido. Lo strangolai.[5]»

L'Unione Internazionale per la Conservazione della Natura e delle Risorse Naturali (IUCN) considera valide le testimonianze riguardanti l'avvistamento di un esemplare in vita nel 1852 sui Grandi Banchi di Terranova[1].

Esemplari conservati modifica

 
Esemplare numero 39, scheletro e replica di uovo al Museo Senckenberg.

Oggi, tutto ciò che rimane dell'alca impenne sono 78 esemplari impagliati conservati per lo più in vari musei,[68] oltre a circa 75 uova e 24 scheletri completi. Fatta eccezione per quattro esemplari, tutti gli uccelli impagliati indossano il piumaggio estivo, e solamente due di questi sono esemplari immaturi. Non esistono resti di nessun pulcino. Ad ogni uovo ed esemplare gli specialisti hanno assegnato un numero di riconoscimento[5]. Malgrado siano state rinvenute migliaia di ossa isolate, dall'isola di Funk del XIX secolo ai tumuli neolitici, esiste solamente uno scarso numero di scheletri completi[69]. Sull'isola di Funk sono state rinvenute anche delle mummie naturali, mentre al Museo di Zoologia di Copenaghen sono conservati gli occhi e gli organi interni degli ultimi due uccelli catturati nel 1844. Dove siano conservate oggi le loro spoglie, tuttavia, non è chiaro, ma secondo Errol Fuller sono tre i candidati sospetti a causa della loro connessione con uno specifico commerciante di Copenaghen: gli esemplari conservati al Museo di Storia Naturale della Contea di Los Angeles, al Regio Istituto di Scienze Naturali del Belgio e al Museo d'Oltremare di Brema[5].

In seguito all'estinzione della specie, i resti di alca impenne sono notevolmente aumentati di valore, e le vendite all'asta di esemplari impagliati crearono un notevole interesse nella Gran Bretagna vittoriana, tanto che in questo Paese sono attualmente conservati 15 esemplari, più che in ogni altro luogo del mondo[5]. Un esemplare acquistato nel 1971 dal Museo di Storia Naturale Islandese per la somma di 9000 sterline è entrato nel Guinness dei primati come l'uccello impagliato più costoso che sia mai stato venduto[70]. Il prezzo delle uova di alca talvolta ha raggiunto fino a 11 volte l'importo guadagnato da un operaio specializzato in un anno[71]. La sorte attuale di sei delle uova conservate non è nota, mentre altre sono andate accidentalmente distrutte. Nel corso del XX secolo sono andati distrutti due esemplari impagliati, uno al Museo di Magonza durante la seconda guerra mondiale, e uno al Museo Bocage di Lisbona, distrutto da un incendio nel 1978[5].

In Italia nella collezione di Zoologia dell'Università di Bologna è presente una testa mummificata, mentre esemplari impagliati sono conservati presso il Museo di storia naturale dell'Università di Firenze[72], il Museo di storia naturale dell'Università di Pisa[73], il Museo civico di zoologia di Roma[74] e il Museo regionale di scienze naturali di Torino[75].

L'alca nella cultura di massa modifica

L'alca impenne è uno degli uccelli estinti citati con più frequenza in letteratura. Essa compare infatti in molte opere di letteratura per bambini.

  • In Bambini acquatici. La magica avventura di un bambino terrestre di Charles Kingsley un'alca impenne racconta la storia dell'estinzione della specie[76]. (In questa immagine, il disegnatore di Kingsley finse di non comprendere, o non comprese affatto, il significato delle parole «grosso paio di occhiali bianchi», dove l'autore intendeva le macchie bianche naturali sulla faccia dell'uccello.)
  • Anche in Avventura nell'isola[77] di Enid Blyton si parla dell'estinzione dell'uccello, in quanto il protagonista parte alla fallimentare ricerca di quella che ritiene essere l'ultima colonia della specie.
 
Statua di un'alca impenne.

L'alca impenne è presente anche in una vasta gamma di altre opere di fantasia.

  • Al centro della trama (che presenta anche elementi di suspense proto-lovecraftiani) del racconto breve The Harbor Master di Robert W. Chambers (pubblicato nella collezione In Search of the Unknown, Harper and Brothers Publishers, New York, 1904), vi è la scoperta e il tentativo di salvataggio dell'ultima coppia conosciuta di alche impenni.
  • Nel romanzo Ulisse, James Joyce cita l'uccello mentre il personaggio principale si sta addormentando. Lo scrittore associa l'alca impenne con il mitico uccello roc mentre il protagonista scivola verso una terra sonnolenta di fantasia e memoria[78].
  • Ne L'isola dei pinguini, un romanzo satirico del 1908 del premio Nobel Anatole France, viene narrata la storia fantastica di una popolazione di alche impenni che viene battezzata per sbaglio da un missionario miope[79].
  • Un'alca impenne viene catturata dal naturalista immaginario Stephen Maturin nel romanzo storico di Patrick O'Brian Missione sul Baltico. Nel libro sono narrati anche dettagli sullo sfruttamento di una colonia di alche[80].
  • L'alca impenne è la protagonista di un romanzo, The Last Great Auk, di Allen Eckert, nel quale sono raccontati gli eventi che hanno portato alla scomparsa della specie visti dalla prospettiva dell'ultimo esemplare sopravvissuto.
  • L'uccello compare anche in Mar dei massacri di Farley Mowat[81].
  • È protagonista di un balletto, Still Life at the Penguin Café[82], e di una canzone, A Dream Too Far, del musical ecologico Rockford's Rock Opera[83].
  • Un'alca impenne compare come uno dei beni preziosi di Baba la Turca nell'opera di Igor' Fëdorovič Stravinskij La carriera di un libertino (libretto di W. H. Auden e Chester Kallman).
  • L'alca impenne è la mascotte della Archmere Academy di Claymont (Delaware), del Sir Sandford Fleming College nell'Ontario e della Società Corale dell'Università di Adelaide (AUCS) in Australia[84][85][86].
  • È anche la mascotte della competizione educativa Knowledge Masters[87][88].
  • La rivista scientifica dell'Unione degli Ornitologi Americani si chiama The Auk in onore di questo uccello[71].
  • Secondo le memorie di Homer Hickam, Rocket Boys, dalle quali è stato tratto il film Cielo d'ottobre, i primi razzi che lo scrittore costruì assieme ai suoi amici vennero chiamati ironicamente Auk[89].
  • Una compagnia di sigarette, la British Great Auk Cigarettes, prendeva il nome da questo uccello[71].
  • Walton Ford, il pittore americano, ha rappresentato delle alche impenni in due dipinti: The Witch of St. Kilda e Funk Island[90].
  • Il pittore e scrittore inglese Errol Fuller ha dipinto il quadro Last Stand per illustrare la sua monografia sulla specie[5].
  • L'alca impenne compariva anche su un francobollo di una serie di cinque, raffiguranti uccelli estinti, emessi a Cuba nel 1974[91].
  • Nel videogioco Assassin's Creed: Rogue, ambientato durante la guerra dei Sette Anni, è possibile osservare stormi di alche impenni.

Note modifica

  1. ^ a b c (EN) BirdLife International 2012, Pinguinus impennis, su IUCN Red List of Threatened Species, Versione 2020.2, IUCN, 2020.
  2. ^ Grieve, Symington, The Great Auk, or Garefowl: Its history, archaeology, and remains, Thomas C. Jack, London, 1885.
  3. ^ Parkin, Thomas, The Great Auk, or Garefowl, J.E. Budd, Printer, 1894. URL consultato il 14 maggio 2010.
  4. ^ a b c Truls Moum, Arnason, Ulfur & Árnason, Einar, Mitochondrial DNA sequence evolution and phylogeny of the Atlantic Alcidae, including the extinct Great Auk (Pinguinus impennis) (PDF), in Molecular Biology and Evolution, vol. 19, Oxford, Oxford University Press, 2002, pp. 1434–1439, DOI:10.1093/oxfordjournals.molbev.a004206, PMID 12200471. URL consultato l'8 maggio 2009.
  5. ^ a b c d e f g h i Errol Fuller, The Great Auk, illustratedª ed., Southborough, Kent, UK, Privately Published, 1999, p. 401, ISBN 0-9533553-0-6.
  6. ^ a b William A. Montevecchi, David A. Kirk, Systematics-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010.
  7. ^ a b Storrs L. Olson, Pamela C. Rasmussen, Miocene and Pliocene Birds from the Lee Creek Mine, North Carolina, a cura di Clayton E. Ray, vol. 90, Washington DC, Smithsonian Institution Press, 2001, p. 279. URL consultato il 16 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 27 febbraio 2012).
  8. ^ (LA) C. Linnaeus, Systema naturae per regna tria naturae, secundum classes, ordines, genera, species, cum characteribus, differentiis, synonymis, locis. Tomus I. Editio decima, reformata., Holmiae, Laurentii Salvii, 1758, p. 130.
  9. ^ a b Paul A. Johnsgard, Diving Birds of North America, Lincoln, University of Nebraska Press, 1987, pp. 265–266, ISBN 0-8032-2566-0. URL consultato l'11 maggio 2010.
  10. ^ a b Jeremy Gaskell, Who Killed the Great Auk?, Oxford University Press (USA), 2000, p. 152, ISBN 0-19-856478-3.
  11. ^ Cokinos 2000, p. 333
  12. ^ a b c Cokinos 2000, p. 314
  13. ^ PINGOUIN: Etymologie de PINGOUIN, su cnrtl.fr, Centre National de Ressources Textuelles et Lexicales. URL consultato il 25 gennaio 2010.
  14. ^ Crofford 1989, p. 10
  15. ^ Bradley C. Livezey, Morphometrics of flightlessness in the Alcidae (PDF), in The Auk, vol. 105, Berkeley, CA, University of California Press, 1988, pp. 681–698. URL consultato l'8 maggio 2009.
  16. ^ a b c Crofford 1989, p. 8
  17. ^ a b c William A. Montevecchi, David A. Kirk, Characteristics-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010. (subscription required)
  18. ^ William A. Montevecchi, David A. Kirk, Measurements-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010.
  19. ^ Crofford 1989, p. 15
  20. ^ a b c d Crofford 1989, p. 28
  21. ^ Crofford 1989, p. 9
  22. ^ Cokinos 2000, p. 310
  23. ^ Walter Rothschild, Extinct Birds (PDF), London, Hutchinson & Co, 1907.
  24. ^ a b c Crofford 1989, p. 29
  25. ^ a b c William A. Montevecchi, David A. Kirk, Appearance-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010. (subscription required)
  26. ^ a b c d e Cokinos 2000, p. 312
  27. ^ a b c d e Morris, Reverend Francis O., A History of British Birds, vol. 6, Groombridge and Sons, Paternoster Way, London, 1864, pp. 56–58.
  28. ^ William A. Montevecchi, David A. Kirk, Sounds-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 28 aprile 2010.
  29. ^ a b Crofford 1989, p. 5
  30. ^ a b c d e f g h i j k William A. Montevecchi, David A. Kirk, Behavior-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 28 aprile 2010. (subscription required)
  31. ^ a b Crofford 1989, p. 30
  32. ^ Morten Meldegaard, The Great Auk, Pinguinus impennis (L.) in Greenland (PDF), in Historical Biology, vol. 1, 1988, pp. 145–178, DOI:10.1080/08912968809386472. URL consultato l'11 maggio 2010 (archiviato dall'url originale il 12 dicembre 2005).
  33. ^ a b William A. Montevecchi, David A. Kirk, Habitat-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010.
  34. ^ Milne, John. "Relics of the Great Auk on Funk Island," The Field, 27 marzo 3 10 aprile 1875.
  35. ^ a b William A. Montevecchi, David A. Kirk, Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 28 aprile 2010.
  36. ^ a b c William A. Montevecchi, David A. Kirk, Migration-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010.
  37. ^ Penelope Hermes Weigel, Great Auk Remains from a Florida Shell Midden (PDF), in The Auk, vol. 75, Berkeley, CA, University of California Press, 1958, pp. 215–216, DOI:10.2307/4081895. URL consultato l'8 maggio 2009.
  38. ^ Pierce Brodkorb, Great Auk and Common Murre from a Florida Midden (PDF), in The Auk, vol. 77, Berkeley, CA, University of California Press, 1960, pp. 342–343, DOI:10.2307/4082490. URL consultato l'8 maggio 2009.
  39. ^ a b c d e Crofford 1989, p. 35
  40. ^ Cokinos 2000, p. 315
  41. ^ a b c d e f Cokinos 2000, p. 313
  42. ^ a b c d e Crofford 1989, p. 32
  43. ^ a b Cokinos 2000, p. 311
  44. ^ a b c d e William A. Montevecchi, David A. Kirk, Food Habits-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010. (subscription required)
  45. ^ Storrs L. Olson, Swift, Camm C. & Mokhiber, Carmine, An attempt to determine the prey of the Great Auk (Pinguinus impennis), in The Auk, vol. 96, 1979, pp. 790–792, JSTOR 4085666.
  46. ^ a b c d e f William A. Montevecchi, David A. Kirk, Breeding-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010. (subscription required)
  47. ^ a b c William A. Montevecchi, David A. Kirk, Demography-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010.
  48. ^ Crofford 1989, p. 33
  49. ^ a b Great Auk egg, su museums.norfolk.gov.uk, Norfolk Museums & Archaeology Service. URL consultato l'8 maggio 2009 (archiviato dall'url originale il 9 febbraio 2009).
  50. ^ Crofford 1989, p. 6
  51. ^ Crofford 1989, p. 36
  52. ^ James A. Tuck, Ancient peoples of Port au Choix: The excavation of an Archaic Indian cemetery in Newfoundland, in Newfoundland Social and Economic Studies, vol. 17, St. John's, Institute of Social and Economic Research, Memorial U of Newfoundland, 1976, p. 261.
  53. ^ a b c d e f William A. Montevecchi, David A. Kirk, Conservation-Great Auk (Pinguinus impennis), su The Birds of North America Online, Cornell Lab of Ornithology, 1996. URL consultato il 29 aprile 2010. (subscription required)
  54. ^ James C. Greenway, Extinct and Vanishing Birds of the World, 2nd Edition, New York, Dover Publications, 1967, pp. 271–291, ISBN 978-0-486-21869-4.
  55. ^ Richard H. Jordan, Storrs L. Olson, First record of the Great Auk (Pinguinus impennis) from Labrador (PDF), in The Auk, vol. 99, University of California Press, 1982, pp. 167–168, DOI:10.2307/4086034. URL consultato il 28 aprile 2010.
  56. ^ Crofford 1989, p. 38
  57. ^ Crofford 1989, p. 39
  58. ^ Crofford 1989, p. 40
  59. ^ Cokinos 2000, p. 330
  60. ^ Cokinos 2000, p. 329
  61. ^ Martin Rackwitz, Travels to Terra Incognita: The Scottish Highlands and Hebrides in Early Modern Travellers' Accounts C. 1600 to 1800, Waxmann Verlag, 2007, p. 347, ISBN 978-3-8309-1699-4.
  62. ^ Jeremy Gaskell, Who Killed the Great Auk?, Oxford UP, 2000, p. 142, ISBN 978-0-19-856478-2.
  63. ^ Errol Fuller, The Great Auk: The Extinction of the Original Penguin, Bunker Hill Publishing, 2003, p. 34, ISBN 978-1-59373-003-1.
  64. ^ Bourne, W. R. P. (1993). "The story of the Great AukPinguinis impennis". Archives of Natural History 20 (2): 257–278. doi:10.3366/anh.1993.20.2.257.
  65. ^ Crofford 1989, p. 43
  66. ^ Richard Ellis, No Turning Back: The Life and Death of Animal Species, New York, Harper Perennial, 2004, p. 160, ISBN 0-06-055804-0.
  67. ^ Newton, Alfred, Abstract of Mr. J. Wolley's Researches in Iceland respecting the Gare-fowl or Great Auk (Alea impennis, Linn.), in Ibis, vol. 3, 1861, pp. 374–399, DOI:10.1111/j.1474-919X.1861.tb08857.x.
  68. ^ Presso il Museo di storia naturale dell'Università di Pisa è esposto un esemplare impagliato.
  69. ^ (DE) Dieter Luther, Die ausgestorbenen Vögel der Welt, Die neue Brehm-Bücherei 424, 4ª ed., Heidelberg, Westarp-Wissenschaften, 1996, pp. 78–84, ISBN 3-89432-213-6.
  70. ^ Guinness Book of Records 1972
  71. ^ a b c Cokinos 2000, p. 331
  72. ^ Paolo Agnelli, Annamaria Nistri e Stefano Vanni, Le collezioni dei Vertebrati (PDF), in Giulio Barsanti e Guido Chelazzi (a cura di), Il Museo di Storia Naturale dell'Università degli Studi di Firenze. Le collezioni della Specola : zoologia e cere anatomiche, Firenze University Press, 2009, p. 198, ISBN 978-88-8453-843-7. URL consultato il 3 giugno 2023.
  73. ^ Collezione ornitologica, su msn.unipi.it, Museo di Storia Naturale di Pisa, Università di Pisa, 2023. URL consultato il 3 giugno 2023.
  74. ^ Un museo civico di zoologia a Roma (PDF), su museiincomuneroma.it. URL consultato il 3 giugno 2023.
  75. ^ Museo regionale di scienze naturali, su beniculturali.it. URL consultato il 3 giugno 2023.
  76. ^ Charles Kingsley, The Water-Babies, A Fairy Tale for a Land Baby, Oxford, Oxford University Press, 1995, ISBN 0-19-282238-1.
  77. ^ Enid Blyton, The Island of Adventure, London, Macmillan, 1944.
  78. ^ James Joyce, Ulysses, Charleston, SC, BiblioLife, 2007, p. 682, ISBN 978-1-4346-0387-6.
  79. ^ Anatole France, Penguin Island, Project Gutenberg. URL consultato il 28 aprile 2010.
  80. ^ Patrick O'Brian, The Surgeon's Mate, New York, W.W. Norton and Company, 1981, pp. 84–85, ISBN 0-393-30820-0.
  81. ^ Farley Mowat, Sea of Slaughter, New York, Bantam Books, 1986, p. 18, ISBN 0-553-34269-X.
  82. ^ Simon Jeffes, 'Still Lifè at the Penguin Cafe, London, Peters Edition Ltd, 2002, ISBN 0-9542720-0-5.
  83. ^ Durka-The Great Auk, su rockfordsrockopera.com, Rockford's Rock Opera, 2010. URL consultato il 10 maggio 2010.
  84. ^ Auk News, su archmereacademy.com, Archmere Academy, 26 aprile 2010. URL consultato il 28 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 5 giugno 2012).
  85. ^ Fleming College Auk's Lodge Student Association, su flemingsa.com, Fleming College Auk's Lodge Student Association, 15 aprile 2010. URL consultato il 28 aprile 2010 (archiviato dall'url originale l'11 luglio 2011).
  86. ^ Karin Holzknecht, O'Sqweek 2005 (PDF), su aucs.org.au, Adelaide University Choral Society, 2005, 1. URL consultato il 28 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 19 luglio 2008).
  87. ^ Knowledge Master Open academic competition, su greatauk.com. URL consultato il 16 gennaio 2014 (archiviato dall'url originale il 18 settembre 2013).
  88. ^ Liz Schettle, Competition summons inner intellect, su the-index.org, The Oshkosh West Index, 17 dicembre 2004. URL consultato il 29 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 2 giugno 2011).
  89. ^ Homer Hickam, Books- Rocket Boys/October Sky, su homerhickam.com, Homer Hickam Online, 2006. URL consultato il 29 aprile 2010 (archiviato dall'url originale il 5 maggio 2010).
  90. ^ Walton Ford, Pancha Tantra, illustratedª ed., Los Angeles, Taschen America LLC, 2009, ISBN 3-8228-5237-6.
  91. ^ Phillip Burns, Dodo Stamps, su Pib's Home on the Web, 6 luglio 2003. URL consultato il 28 aprile 2010.

Bibliografia modifica

  • Cokinos, Christopher (2000). Hope is the Thing with Feathers: A Personal Chronicle of Vanished Birds. New York: Warner Books. ISBN 0-446-67749-3.
  • Crofford, Emily (1989). Gone Forever: The Great Auk. New York: Crestwood House. ISBN 0-89686-459-6.
  • Fuller, Errol (1999). The Great Auk. Southborough, Kent, UK: Privately Published. ISBN 0-9533553-0-6.

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

Controllo di autoritàLCCN (ENsh85056597 · GND (DE4610335-1 · BNF (FRcb15618774h (data) · J9U (ENHE987007538421405171
  Portale Uccelli: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di uccelli