Politica agraria del fascismo italiano

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Voce principale: Storia dell'Italia fascista.

La politica agraria del fascismo italiano indica la politica e la legislazione ed il complesso dei provvedimenti progettati e/o messi in atto in Italia nel campo agrario durante il fascismo.

Benito Mussolini in una foto propagandistica per sostenere la Battaglia del grano.

Storia modifica

Politiche prefasciste modifica

 
Un podere dell'ONC nei pressi di Latina.
 
Nazzareno Strampelli con Benito Mussolini e Vittorio Emanuele III alle coltivazioni sperimentali di Rieti.

Durante l'età giolittiana gli agricoltori erano riuniti in due associazioni:

Nel primo dopoguerra avvennero nelle campagne numerosi sommovimenti, causati dal ritorno dei reduci dalla Grande guerra che videro deluse le promesse loro fatte sulla requisizione e la distribuzione di terre incolte (secondo il disegno di legge Luzzatti sulla piccola proprietà). L'agricoltura italiana era infatti notevolmente arretrata e caratterizzata da un cospicuo impoverimento, insito nella struttura latifondizia e nell'incolto (spesso derivante dall'esistenza dei latifondi stessi).

In questo periodo vennero create le leghe sindacali bianche e rosse, protagoniste degli scontri del biennio rosso, insieme ai grandi proprietari terrieri, che sostenevano la bracciantizzazione "per selezionare i contadini in base alle capacità professionali personali" ed attaccando sia le leghe bianche, che sostenevano la trasformazione della mezzadria in locazione, che le rosse per l'attività sovversiva. In ogni caso i contadini ottennero in questo periodo miglioramenti salariali e l'approvazione del decreto Viscocchi (2 settembre 1919), che prevedeva l'assegnazione di terre ai contadini reduci della Grande guerra. Questa però si risolse in un insuccesso, in quanto le assegnazioni vere e proprie furono di poco conto.[2]

Nel 1920 a Roma le due associazioni si riunirono in Confagricoltura (Confederazione Generale dell'Agricoltura), che riuniva quindi sia le finalità economiche, di sviluppo e sindacali.[1]

Descrizione modifica

Principi fondamentali modifica

Principio fondamentale della politica agraria fascista fu l'applicazione anche in questo settore dei principi di compartecipazione e di collaborazione di classe, contrapposti al regime di scontro continuo insiti nelle visioni marxista e capitalista.

Oltre a questa direzione ideologica, nella politica agraria fascista si realizza il progetto di dittatura proletaria contadina perseguito da Mussolini. Il Duce mirò a realizzare una nuova classe sociale nazionale grazie all'espropriazione dei latifondi e alla trasformazione dei mezzadri in coloni proprietari.[3][4]

Provvedimenti modifica

 
Bonifica Parmigiana Moglia - Collettori per le idrovore dell'impianto di sollevamento

Con la conquista del potere da parte del fascismo vennero annullati i precedenti provvedimenti (11 gennaio 1923) e venne intrapresa una nuova politica agricola, basata sui concetti di indipendenza e sovranità nazionale (come del resto la politica fascista perseguiva in ogni settore) nei confronti dei mercati stranieri, dai quali venivano importati al tempo ingenti quantità di cereali, pari ad un terzo dell'intero fabbisogno nazionale. Nel 1925 venivano importati in Italia 25 milioni di tonnellate di cereali a fronte di 75 milioni di tonnellate di fabbisogno annuo[5]. Anche all'interno della politica agricola fascista venne ricercata l'autarchia nazionale, che coinvolse tutte le attività produttive nazionali.

Le principali metodologie e campagne d'intervento furono:

Anche le aree montane furono oggetto di provvedimenti e trasformazioni che segnarono profondamente il territorio italiano. Con il Regio Decreto Legge n. 3267 (Riordinamento e riforma della legislazione in materia di boschi e di terreni montani) il governo fascista decise di incentivare il rimboschimento delle zone montane, praticamente a spese dello Stato. Questa normativa prevedeva sanzioni molto severe per i proprietari dei fondi "vincolati" che non si fossero adeguati alle nuove disposizioni: l'occupazione temporanea dei loro terreni e addirittura l'espropriazione (art. 76).[6]. In questi anni, un po' in tutta Italia, nacquero pinete che permangono fino ai nostri giorni, come a Pietragavina, Le Cesine, Gualdo Tadino e Morgongiori.

La sbracciantizzazione modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Sbracciantizzazione.

La sbracciantizzazione apportò la tendenza di eliminare il lavoro "a giornata", soppiantandolo con contratti di lavoro e con l'incentivo alla piccola proprietà sia dei braccianti che dei mezzadri, a sfavore dei grandi latifondi.[7]

La bonifica integrale modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Bonifiche agrarie in Italia e Consorzi di bonifica.
 
Foto di campagna di Eraclea, da cui si nota l'impronta della bonifica.

Per quanto riguarda la bonifica integrale, la legge fondamentale fu la Legge Serpieri, n. 3256 del 30 dicembre 1923. Furono fondati i consorzi di bonifica gestiti e finanziati dallo Stato, attivi sia nella bonifica di aree paludose e malariche che per la gestione del patrimonio silvo-pastorale.

Nel 1924 cominciarono i primi lavori di bonifica nell'Agro Pontino, con l'istituzione del Consorzio di Bonifica di Piscinara che avviò la canalizzazione delle acque del bacino del fiume Astura. Nel 1926 fu varato un regio decreto che istituì due consorzi: il preesistente Consorzio di Piscinara, che venne esteso su tutti i terreni a destra della linea Ninfa-Sisto, su un'area di 48.762 ettari e a sinistra della linea; ed il Consorzio di Bonificazione dell'Agro Pontino (26.567 ettari), un'area relativamente inferiore, ma costituita dai territori siti sotto il livello del mare e quindi dove la bonifica fu maggiormente complessa.

Ma in questo periodo la forza del fascismo è ancora relativa: Mussolini non poteva inimicarsi il ceto proprietario, né ha le risorse per agire da solo, si appoggia quindi ad esso per portare avanti i primi lavori di bonifica erogando sovvenzioni dello Stato. Negli stessi anni vengono creati consorzi di bonifica e dato il via ai lavori anche in Emilia, Romagna, Veneto e Friuli.

È alla fine degli anni venti che la situazione cambia: il controllo dei Consorzi da parte dei latifondisti venne superato grazie alla legge Mussolini del 1928 (n. 3134 legge sulla bonifica integrale) con la quale tutti i terreni improduttivi o abbandonati furono espropriati di circa due terzi, permettendo il passaggio di gran parte delle aree bonificate sotto il controllo diretto dello Stato, che lo delegò all'Opera Nazionale Combattenti (ONC) insieme alla gestione di tutti i progetti e lavori di bonifica. Lo Stato, per il progetto mussoliniano di ruralizzazione del Paese, prendeva l'impegno di finanziare massicciamente non solo gli interventi idraulici ma anche opere di trasformazione agraria. A causa della crisi del 1929, a partire dal 1932 i finanziamenti però diminuirono"[8].

Viene nominato responsabile unico dell'ONC il conte Valentino Orsolini Cencelli, a cui viene data carta libera e pieni poteri d'intervento con l'obbiettivo di espropriare i terreni improduttivi e consegnarli, in lotti, a piccoli proprietari. Egli si trova quindi a dover combattere i grandi possidenti, con buoni agganci al Ministero dell'agricoltura e delle foreste, trovando un pesante clima di scontro. In quel periodo nasce la legge n. 215 del 1933 ancora ad opera di Serpieri insieme al ministro Giacomo Acerbo che definì ogni tipo di intervento statale nella bonifica.

Intanto Mussolini sostituisce Cencelli nel 1935 con Araldo di Crollalanza, più diplomatico ma più intransigentemente socialista del predecessore. Dal 1926 al 1937 la bonifica dell'Agro Pontino furono impiegate ben 18.548.000 giornate-operaio, ai quali vanno aggiunti il prosciugamento delle paludi, la costruzione dei canali e l'azione di disboscamento delle foreste.[3][4]

Tra il 1938 ed il 1942 ha luogo la seconda fase della bonifica integrale: luoghi interessati in questo periodo furono la Sicilia, la Puglia e la Campania, regioni nelle quali le opere di bonifica andranno avanti anche durante l'arco della guerra.

Nel complesso le opere di bonifica integrale realizzate dal fascismo riguarderanno in totale circa sei milioni di ettari di terreno[9].

L'espropriazione dei latifondi modifica

Parallelamente alle operazioni di bonifica, il fascismo portò avanti quelle di espropriazione dei terreni di latifondisti e grandi proprietari, possessori di migliaia di ettari di terra perlopiù lasciata incolta ed improduttiva, coltivata a grano o lasciata a pascolo dando luogo a sole rendite parassitarie. Le operazioni di esproprio portarono buoni risultati nel centro Italia ed in Puglia, minor successo nei confronti della Sicilia, in cui le operazioni di esproprio dell'enorme estensione dei latifondi (500.000 ettari), avvennero troppo in prossimità della guerra per essere portate positivamente a compimento.[3]

La colonizzazione modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Nuovi borghi rurali nel periodo fascista.
 
Borgo Bonsignore, in Sicilia, oggi

La politica agraria fascista non si fermò qui ma, una volta terminati i lavori di bonifica e "ristrutturazione" del territorio, dette il via alla colonizzazione delle terre vergini e incolte, con la creazione dei borghi rurali. Di rilievo il caso siciliano: nel 1925 ci fu la nascita dell'"Istituto Vittorio Emanuele III per il bonificamento della Sicilia"[10], per la realizzazione del programma di bonifica per tutta l'Isola.

Intorno al 1939 la politica di sostegno alla mezzadria e di attenzione alla questione rurale ed al riassetto complessivo dell'agricoltura siciliana ebbe un'accelerazione che la propaganda di regime denominò "assalto al latifondo" e che portò alla legge 2 gennaio 1940, che rafforzava precedenti disposizioni di riforma agraria, alla nascita dell'Ente di Colonizzazione del Latifondo Siciliano, al fine di realizzare nella campagna siciliana "una serie di opere infrastrutturali di bonifica, ma soprattutto tendente a coinvolgere la vecchia rendita in un processo di trasformazione della struttura dell'agricoltura siciliana in senso imprenditoriale e produttivistico, a frantumare la realtà economica e sociale del latifondo, con l'appoderamento dello stesso"[11].

I borghi rurali della colonizzazione che nacquero in quel periodo, non solo in Sicilia, non ospitavano contadini ma quanto era indispensabile e funzionale per loro: dagli artigiani, ai negozi di derrate, al medico, alla chiesa, alla stazione dei carabinieri, agli uffici dell'ente colonico. Carlo Emilio Gadda ne La Nuova Antologia lo descrive efficacemente: "piccola capitale funzionalistica senza stento e senza gravezza di plebe"[12].

La battaglia del grano modifica

 
Nazzareno Strampelli e sua moglie - nonché sua assistente - Carlotta Parisani lavorano ad un'ibridazione.
  Lo stesso argomento in dettaglio: Nazzareno Strampelli e Battaglia del grano.

La battaglia del grano fu invece una campagna (proclamata il 20 giugno 1925, inserita all'interno dell'autarchia nazionale) volta a perseguire l'autosufficienza produttiva di frumento. Essa portò alla costituzione del Comitato permanente del grano e, d'accordo con Mussolini, decise che l'intervento sulla produzione agricola doveva rivolgersi principalmente all'aumento del rendimento medio di grano per ettaro, in quanto un aumento medio anche modesto può dare risultati globali notevoli.

Di conseguenza il Comitato permanente del grano dovette affrontare tre problemi principali: la selezione dei semi; il problema dei concimi e dei perfezionamenti tecnici ed il problema dei prezzi. Con una serie di provvedimenti di legge volti a modernizzare le tecniche agricole (fertilizzanti naturali e chimici, meccanizzazione dell'agricoltura, ecc), proteggere il lavoro nazionale dalla concorrenza esterna e sviluppare le strutture dello Stato (ad esempio le cattedre ambulanti di agricoltura ed i Consorzi agrari) rivestirono un ruolo fondamentale per la diffusione dei mezzi e della cultura agricola) a supporto del settore primario, vennero ottenuti risultati eccellenti.[13][14]

Si ebbe infatti l'aumento della superficie coltivata (grazie alle bonifiche precedentemente ricordate, alla distribuzione delle terre incolte ed all'espropriazione dei latifondi scarsamente utilizzati a favore della creazione di piccole proprietà più efficienti) e della produttività per ettaro. Quest'ultima soprattutto grazie al ruolo svolto dall'Istituto di Granicoltura di Rieti, diretto da Nazzareno Strampelli ed allo sviluppo del concetto delle sementi elette.

I consorzi agrari modifica

 
Il Consorzio agrario provinciale di Grosseto.

Dal 1926 i vari Consorzi agrari e la Federconsorzi divennero un importante strumento[15] del fascismo per abbattere l'usura bancaria e la speculazione realizzata dai grandi distributori privati: a differenza di questi ultimi, i Consorzi agrari offrivano infatti un credito agrario senza interessi per gli acquisti di sementi, concimi, macchine agricole, antiparassitari, bestiame e tutto ciò che era necessario all'attività produttiva agricola.

I Consorzi agrari organizzarono anche la gestione ammassi. Si trattava in questo caso di raccogliere tutti i prodotti primari per l'alimentazione nelle strutture d'immagazzinamento dei Consorzi agrari per favorire una maggiore razionalizzazione ed efficienza nel settore e mantenere la nazione pronta in caso di necessità, trasformando più facilmente l'economia civile in economia di guerra. Inoltre, in quanto strumento di concentrazione delle produzioni, i Consorzi agrari garantivano agli agricoltori, in specie ai piccoli proprietari, una maggiore forza contrattuale nei rapporti con i trasformatori e i distributori: la struttura dei Consorzi, rappresentante infatti allo stesso tempo lo Stato, la comunità degli agricoltori nel suo complesso e l'intera riserva di prodotti primari, garantiva una posizione di preminenza dei soggetti produttivi (gli agricoltori) svolgendo un ruolo di deterrente nei confronti di intermediari e speculatori.
Nel 1935 si verificò il primo ammasso volontario del grano: in questa occasione i Consorzi agrari raccolsero 12 milioni di quintali di grano, mentre nel 1938 ne vennero ammassati 40 milioni di quintali per le esigenze autarchiche.[2][16]

Il 30 maggio 1932, con legge n.752, venne costituito l'Ente Finanziario dei Consorzi Agrari, per agevolare l'assetto finanziario dei Consorzi stessi; mentre con il regio decreto legge del 5 settembre 1938 e la legge del 2 febbraio 1939 vennero costituiti di Consorzi Agrari Provinciali, che univano i compiti e le funzioni di Consorzi agrari e della Federazione, subendo una razionalizzazione che li riduceva da 196 a 94 (uno a provincia).[17]

Il corporativismo in agricoltura modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Carta del Lavoro e Corporativismo.

Anche in agricoltura venne introdotta la legislazione fascista sul lavoro:

  • Legge sindacale n. 563 del 3 aprile 1926, sulla disciplina giuridica dei rapporti di lavoro;
  • la Carta del Lavoro;
  • la legge sindacale n. 100 del 30 aprile 1927, relativa allo Stato corporativo;
  • la legge n. 163 del 5 febbraio 1934, riguardante costituzione e funzioni delle Corporazioni.[18]

Nel 1922 a fianco di Confagricoltura venne creata la fascista FISA (Federazione Italiana dei Sindacati Agricoli), mentre nel 1926, a seguito della nuova legislazione sindacale e del lavoro, venne creato l'Ente Nazionale Fascista per la Cooperazione, con il quale le cooperative vennero inquadrate dell'ordinamento corporativo: le due associazioni vennero riunite nella Confederazione Nazionale Fascista degli Agricoltori (CNFA) (alla quale aderiva anche la Federazione Italiana dei Consorzi Agrari)[1], organizzando quindi il comparto agricolo secondo questo schema:

  • Confederazione nazionale dei Sindacati fascisti dell'agricoltura, composta da:
    • Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei tecnici agricoli (laureati, periti, diplomati ecc.)
    • Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei piccoli coltivatori diretti, a sua volta suddivisa in:
      • Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei coloni e mezzadri;
      • Federazione nazionale dei sindacati fascisti degli impiegati delle aziende agricole e forestali;
      • Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei salariati e braccianti;
      • Federazione nazionale dei sindacati fascisti dei pastori;
      • Federazione nazionale sindacati fascisti delle maestranze boschive e forestali.
  • Confederazione nazionale fascista degli agricoltori, formato da:
    • Sindacato fascista dei conduttori;
    • Sindacato fascista dei coltivatori diretti;
    • Sindacato fascista dei proprietari di terre affittate.[2]

Nel 1934, con la costituzione dello Stato corporativo, la CNFA venne sostituita dalla CFA (Confederazione Fascista degli Agricoltori), appunto inserita nello schema corporativo delle attività produttive italiane.[1]

La modernizzazione tecnologica modifica

Accanto ai provvedimenti legislativi e all'impulso dato al miglioramento della produttività per ettaro, l'azione del Fascismo in campo agricolo si articolò anche nella meccanizzazione delle produzioni. Sono infatti degli anni '20 e degli anni '30 le trattrici agricole "testa calda" prodotte dalla storica azienda Landini, che si assicurò il primato nazionale nel settore.

È del 1934 il Superlandini, che si rivela un grande successo commerciale; con 48 cavalli è il più potente trattore dell'epoca di produzione nazionale, e tale resterà fino al primo dopoguerra. Gli unici a produrre modelli di potenza pari o leggermente superiore erano di fabbricazione americana, ma i loro prodotti erano più pesanti e afflitti da scarsa affidabilità e, in particolare, avevano la tendenza a spegnersi.

Solo un anno più tardi, nel 1935 viene messo in produzione il Vélite: più piccolo, versatile e meno impegnativo del Superlandini, incontra anch'esso un successo di vendite.

Risultati modifica

Nel 1931, solo sei anni dopo i primi provvedimenti della nuova politica agricola nazionale (il lancio della Battaglia del grano), l'Italia riuscì ad eliminare un deficit sulla bilancia commerciale di 5 miliardi di lire ed a soddisfare quasi a pieno il suo fabbisogno di frumento, arrivando ad una produzione di 81 milioni di quintali (nel frattempo si era reso necessario un piccolo quantitativo di frumento in più, grazie all'aumento della popolazione).

Nello stesso anno per l'Italia si registra anche il primato per la produzione di frumento per ettaro: la produzione statunitense, fino ad allora considerata la prima, raggiungeva infatti 8,9 quintali di frumento per ettaro, mentre quella italiana era quasi doppia, contando 16,1 quintali per ettaro.[2]

Personaggi principali modifica

Note modifica

  1. ^ a b c d Confagricoltura - Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana, su Confagricoltura - Confederazione Generale dell'Agricoltura Italiana. URL consultato l'11 marzo 2022.
  2. ^ a b c d P. A. Faita, La politica agraria del fascismo: i rapporti fra le classi rurali, le scelte produttive, IRRSAE Piemonte Progetto storia, Chivasso ,1995.
  3. ^ a b c Antonio Pennacchi, Fascio e martello. Viaggio nelle città del Duce, Laterza, 2008.
  4. ^ a b Pietrangelo Buttafuoco, da Il Foglio del 27 settembre 2008
  5. ^ dal Museo della Scienza del Grano Nazzareno Strampelli Copia archiviata, su retescat.com. URL consultato l'8 giugno 2012 (archiviato dall'url originale il 26 gennaio 2012).
  6. ^ testo della legge 3267
  7. ^ Renzo de Felice Autobiografia del fascismo, Bergamo, Minerva Italica, 1978.
  8. ^ Renzo De Felice, Mussolini il duce. Gli anni del consenso, Einaudi, 1974, pagina 142
  9. ^ BONIFICA in “Enciclopedia Italiana - II Appendice” – Treccani
  10. ^ Credito e Latifondo Siciliano. Dai Monti Frumentari all'Istituto Vittorio Emanuele III per il Bonificamento della Sicilia - Indice - Pagina 2 di 2
  11. ^ Giuseppe Tricoli – Maurizio Scaglione, Bonifica integrale e colonizzazione del latifondo in Sicilia, Palermo, ISSPE, 1983
  12. ^ Borghi rurali fascisti il patrimonio ritrovato - la Repubblica.it
  13. ^ Osvaldo Failla e Gianpiero Fumi Gli agronomi in Lombardia: dalle cattedre ambulanti ad oggi, Franco Angeli.
  14. ^ P. A. Faita, La politica agraria del fascismo: i rapporti fra le classi rurali, le scelte produttive, IRRSAE Piemonte Progetto storia, Chivasso ,1995
  15. ^ "l'organo commerciale della Federazione Provinciale degli Agricoltori"
  16. ^ Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
  17. ^ Serracapriola - l'economia, su serracapriola.net. URL consultato il 17 settembre 2010 (archiviato dall'url originale il 15 gennaio 2010).
  18. ^ Edoardo e Duilio Susmel Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze

Bibliografia modifica

  • Arrigo Serpieri, La bonifica nella storia e nella dottrina, Bologna, 1948 (nuova edizione 1991, ISBN 8820634066)
  • Antonio Pennacchi, Fascio e martello. Viaggio nelle città del Duce, Laterza, 2008.
  • S. Rossini, La tutela dell'economia risiera nella politica corporativa, Milano, 1936.
  • D. Brianta, Risicoltura e Fascismo negli anni della crisi: alle origini dell'Ente Nazionale Risi, Milano, 1983.
  • P. A. Faita, La politica agraria del fascismo: i rapporti fra le classi rurali, le scelte produttive, IRRSAE Piemonte Progetto storia, Chivasso ,1995.
  • Edoardo e Duilio Susmel, Opera Omnia di Benito Mussolini, La Fenice, Firenze.
  • Renzo De Felice, Autobiografia del fascismo, Bergamo, Minerva Italica, 1978.
  • Renzo de Felice, Mussolini il fascista, I, Torino, Einaudi, 1966.
  • L' organizzazione sindacale fascista dei lavoratori dell'agricoltura, 1934-1937, Confederazione fascista dei lavoratori dell'agricoltura, Roma, 1937.
  • Fabio Bertini, La confederazione degli agricoltori dal 1930 alla repubblica di Salo', in Storia della Confagricoltura, a cura di S. Rogari, Bologna, il Mulino, 1999.
  • Edmondo Rossoni, Direttive fasciste all'agricoltura, Roma, 1939.
  • Ampia bibliografia sull'argomento, su retescat.com. URL consultato il 17 settembre 2010 (archiviato dall'url originale l'8 giugno 2010).
  • Ferdinando Cordova, Verso lo Stato totalitario: sindacati, società e fascismo, Rubbettino.

Voci correlate modifica

Collegamenti esterni modifica