Ponte delle Chianche

ponte lungo la via Traiana

Il ponte delle Chianche è il ponte romano conservato per la maggior parte[2] fra quelli situati lungo il percorso della via Traiana, che in questo tratto risale la valle del Miscano. Il ponte si trova nel territorio comunale di Buonalbergo, a 316 m s.l.m. in un fondovalle attraversato dal torrente Santo Spirito, affluente del fiume Miscano[3].

Ponte delle Chianche
Le arcate superstiti, viste da sud-est
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
CittàBuonalbergo
Attraversatorrente S. Spirito
Coordinate41°12′42.27″N 14°58′52.96″E / 41.211742°N 14.981377°E41.211742; 14.981377
Dati tecnici
Tipoponte ad arco
Materialecalcare, laterizi
Lunghezza120[1] m
Luce max.11,60 m
Larghezza7,20 m
Altezzacirca 7,50 m
Realizzazione
Costruzioneattorno al 108 d.C.-...
Mappa di localizzazione
Map

Era un ponte a sei archi, di cui tre sono ancora esistenti ed uno è ricostruito. Deve il suo nome alla corruzione nel dialetto locale del termine plancae, che denota i basoli del piano stradale[4].

Storia modifica

 
Il basolato
 
L'arcata ricostruita; in fondo, il muro sud-est di spalla, con i suoi contrafforti

Quasi sicuramente il ponte fu costruito sotto l'impero di Traiano assieme al resto della strada (denominata appunto via Traiana) che da Benevento conduceva a Brindisi seguendo forse il preesistente tracciato della via Minucia[5]. L'opera fu inaugurata nell'anno 109 o poco dopo[6].

Accanto al ponte era eretta una lapide che commemorava gli interventi strutturali sulla via Traiana eseguiti da Settimio Severo e Caracalla nel 210[1], ma non è dato sapere in che misura fu manomesso il ponte delle Chianche, il quale per la verità non mostra segni di restauri riferibili a tale epoca[7]. Nel 1713 la lapide fu tagliata: una parte di essa fu trasportata all'osteria delle Tavernole, l'altra alla taverna di Monte Chiodo.[8]

Anche nei secoli successivi al medioevo, nonostante la via Traiana fosse caduta progressivamente in disuso e rovina, il ponte delle Chianche continuò ad essere usato, soprattutto da parte dei contadini locali: faceva parte di una mulattiera, chiamata vermechera[9]. Ciò non impedì, però, che la popolazione saltuariamente staccasse alcune delle lastre di argilla che lo componevano, e le riutilizzasse per costruire forni[10].

Successivamente al crollo del primo arco da ovest, la sua luce fu otturata in modo che il ponte potesse continuare ad essere attraversato[11]. Nel 1913 il ponte fu esaminato da Thomas Ashby e Robert Gardner, archeologi, durante il loro viaggio allo scopo di rintracciare la via Traiana. Gli studiosi, fra l'altro, segnalavano che le due arcate più ad est, le più deboli, presentavano riparazioni avvenute nel corso del tempo[1].

Nel 1978 fu avviato un controverso intervento di restauro del ponte: le fondamenta furono rinforzate e, fra il 1986 e il 1992, le due arcate più ad est furono interamente demolite, allo scopo di ricostruirle adoperando anche materiali moderni. Le proteste della popolazione interruppero i lavori, cosicché solo l'arcata più ad est fu ricostruita. Questo segnò la fine definitiva dell'utilizzo agricolo del ponte[12].

Il monumento da allora è parzialmente abbandonato, e giace in uno stato di conservazione precario. Ha destato particolare preoccupazione l'alluvione del 15 ottobre 2015 che ha colpito la zona: il ponte ha subito danni secondari a causa delle pietre trasportate dal torrente in piena[13].

Descrizione modifica

 
Vista da sud

Complessivamente il ponte aveva 6 campate, raccordate con due spalle laterali al declivio naturale delle colline ai due lati del fondovalle; la spalla orientale è molto più poderosa dell'altra. Procedendo da ovest verso est, le campate conservate sono la seconda, la terza e la quarta, mentre la sesta si presenta ricostruita. Le campate hanno ampiezze e piani d'imposta disuguali, secondo l'uso traianeo di adattarli alla morfologia del luogo. Le loro ampiezze in successione sono 3,30 m; 6,15 m; 8,90 m; 11,65 m; 11,75 m; 8,90 m: sotto la quarta e la quinta, le più ampie, passa il torrente. Il ponte presenta un rialzo centrale, in corrispondenza della quarta campata.[14]

Il ponte delle Chianche ha una struttura simile a quella di ponti vicini sullo stesso asse stradale, almeno in base a quanto è leggibile dai resti di questi ultimi. Alla base della quarta e della quinta pila, le più esposte all'azione del torrente, sono due filari in opera quadrata, costituiti da blocchi di pietra calcarea, e riempiti in opera cementizia, per un'altezza totale di 80 cm. I blocchi erano congiunti tramite graffe metalliche, oggi perdute. Sul lato nord il basamento della quarta pila ha un'avanstruttura che la protegge dalla corrente fluviale, la quale in questo punto arriva quasi di taglio. Le altre pile poggiano solo su uno strato in calce.[15]

Le arcate erano costituite da due armille concentriche in laterizi bipedali di dimensioni 60 cm × 60 cm × 5 cm, saldati in malta. La terza campata le conserva entrambe, la seconda conserva l'armilla più interna e parti di quella esterna, mentre la quarta solo quella interna.[16]

 
Dettaglio delle armille di un'arcata, con il paese di Buonalbergo sullo sfondo

I timpani fra le arcate sono costruiti in opera cementizia con «ciottoli e scaglie calcaree residue della lavoratura dei massi lapidei[7]», e rivestiti di un paramento in laterizio; il paramento del lato meridionale sopra il terzo pilone fu costruito in due parti saldate lungo una linea verticale, forse perché era il punto in cui si congiungevano le zone di pertinenza di due diverse squadre di operai[17].

Le spalle ai lati del ponte presentano una tecnica costruttiva simile: un interno in opera cementizia sostenuto da due muri di contenimento, ancora in laterizi, spessi 90 cm. Mentre i muri della faccia nord del ponte sono modesti e quasi completamente coperti dal terreno in dislivello, quelli a sud sono più alti e rinforzati da robusti contrafforti (due a ovest e cinque o sei a est, a distanza regolare). Il muro sud-est, lungo circa 40 m, è quello dalle dimensioni più importanti. È rilevabile la sua fondazione, che asseconda l'andamento naturale del terreno, e sulla quale esso si erge formando una risega.[18]

Il piano stradale del ponte conserva parte del basolato in conci calcarei poligonali posati su un sottile strato di malta, in parte ricostruito con i restauri conclusi nel 1992[19]. Una leggenda popolare vuole che la Madonna sia passata su questo ponte ed abbia lasciato l'impronta del suo ginocchio su una pietra del lastricato[20]. Ai lati della strada vi erano dei parapetti, andati persi. Probabilmente essi poggiavano su un filare di lastre calcaree ed erano costruiti in laterizi, con una sommità di nuovo in pietra. Ai suoi fianchi dovevano anche esserci dei marciapiedi.[21]

Ad est del ponte è ancora possibile riconoscere, per alcune decine di metri, le sostruzioni e un tratto di basolato della via Traiana. Un tratto più ampio della strada attorno al ponte è distinguibile tramite ricognizione aerea.[22]

L'otturazione del primo arco da ovest, la cui sommità è crollata, fu probabilmente operata in età moderna. I due piloni dell'arco furono usati come cassaforma, insieme a due mura realizzate per l'occasione in pietre calcaree e tufacee di piccole dimensioni, e successivamente riempiti in calcestruzzo[23]. Il muro meridionale è crollato in buona parte.

Le iscrizioni sui bipedali modifica

 
I laterizi di un'arcata

I laterizi bipedali usati per le arcate, di ottima fattura[1], sono stati essi stessi oggetto di studi. Cinque esemplari provenienti dalle arcate perdute sono conservati nell'Antiquarium di Casalbore. Alcuni di essi riportano semplicemente il nome dell'operaio, dell'artigiano supervisore o del proprietario della bottega ceramista, secondo l'uso più frequente (NERAEVS, LVLPI, P·OPICI/ANTHIMI).[24]

Risulta però atipica una buona parte dei mattoni esaminati, recanti l'iscrizione PONTV·TRA in un cartiglio rettangolare. Theodor Mommsen la interpretò come Pontes Viae Traianae: questo significherebbe che tali mattoni erano prodotti su commissione per tale opera pubblica, ed erano vincolati a quell'utilizzo; ed il nome dell'imperatore Traiano su di essi era segno di garanzia. È stato supposto anche che a produrli fosse un'officina apposita, ma questo non è un dato accertato. Sono comunque pochi altri gli esempi di mattoni vincolati al nome di un'opera edile, o di un imperatore, e nessuno antecedente l'impero di Traiano.[25]

Il miliario XIIII modifica

 
La colonna miliaria nel cortile di palazzo Coscia-Spinelli, ora municipio di Buonalbergo

Una colonna miliaria della via Traiana era segnalata, già alla fine del XVIII secolo, come reimpiegata nei pressi del santuario della Madonna della Macchia, in una masseria che sorge a meno di 150 m dal probabile tracciato della strada romana, 500 m a ovest del ponte delle Chianche. Negli anni 1950 essa fu trasferita davanti al palazzo municipale di Buonalbergo, ed attualmente è posta nel suo cortile.[26]

La colonna, in pietra bianca, è alta circa 1,60 m. Tradizionalmente il numero del miglio che essa reca inciso in cima viene letto come il XIII della strada; una valutazione recente ritiene che sia invece il XIIII. Ci sarebbe cioè un ulteriore tratto verticale a destra, più logoro degli altri: con esso risulta corretta la centratura del numero rispetto al resto dell'iscrizione; inoltre la sua presenza è suggerita dal fatto che la colonna si trovava quasi esattamente a 2 miglia dal XVI miliario, trovato negli anni 1970.[27]

Il resto dell'iscrizione recita:

IMP.     CAESAR
DIVI . NERVAE . F.
NERVA . TRAIANVS
AVG . GERM . DACIC
PONT . MAX . TRI . PO . · .
XIII . IMP . VI . COS . V.
         P . P
VIA . A . BENEVENTO
    BRVNDISIVM
P . · . S . · . A . · . F
[28]

Note modifica

  1. ^ a b c d Ashby-Gardner, p. 132.
  2. ^ Galliazzo, pp. 114-115.
  3. ^ Istituto Geografico Militare, Carta d'Italia, 1ª ed., Firenze, foglio n. 174 "Montecalvo Irpino".
  4. ^ Busino, p. 129; Meomartini, p. 304 menziona anche che i mattoni del ponte venivano chiamati chiance
  5. ^ Aldo Mario Tazzi, Le strade dell'antica Roma: dal IV secolo a.C. al V secolo d.C. in Europa, Asia e Africa, Librerie Dedalo, 1998, pp. 122-123, ISBN 9788886599160.
  6. ^ Ashby-Gardner, p.113.
  7. ^ a b Meomartini, p. 304.
  8. ^ Vitale, p. 9.
  9. ^ Busino, pp. 131, 137-139.
  10. ^ Meomartini, p. 303 in nota.
  11. ^ Busino, p. 131.
  12. ^ Galliazzo, 115; Busino, p. 131; Monaco, p. 44
  13. ^ NTR24.
  14. ^ Galliazzo, p. 115; Monaco, p. 204
  15. ^ Galliazzo, p. 115; Ashby-Gardner, p. 132
  16. ^ Busino, p. 129; Meomartini, p. 303
  17. ^ Ashby-Gardner, p. 132; Galliazzo, p. 115
  18. ^ Ashby-Gardner, p. 132; Galliazzo, p. 117; Busino, p. 129 e Figg. 100, 101
  19. ^ Busino, pp. 129, 131, Ashby-Gardner, p. 132
  20. ^ Archemail.
  21. ^ Galliazzo, p. 117.
  22. ^ Busino, p. 131 e Fig. 96.
  23. ^ Busino, p. 131 e Figg. 104-106.
  24. ^ Ferrari, pp. 91-97.
  25. ^ Ferrari, pp. 91, 93-95; Galliazzo, p. 117
  26. ^ Vitale, p. 7; Ceraudo, pp. 38-39
  27. ^ Ceraudo, p. 40.
  28. ^ Vitale, p. 8.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

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