Preterintenzione
La preterintenzione (dal latino " praeter intentionem ") è una forma di colpevolezza in cui l'agente agisce dolosamente per commettere un reato, ma da questa sua condotta finisce per prodursi involontariamente un reato diverso e più grave di quello voluto.[1]
Questa progressione criminosa "preterintenzionale", casisticamente cosmopolita,[2] viene genericamente ricondotta alla dottrina del versari in re illicita,[3] ed ha una storicità sia nel diritto penale romano[4] che in quello canonico.[5]
Nell'ordinamento italiano, il Codice penale all'art. 43, 1° comma, definisce un reato come preterintenzionale, o alternativamente oltre l'intenzione, "quando dall'azione od omissione deriva un evento dannoso o pericoloso più grave di quello voluto dall'agente".[6]
Il codice penale italiano – al pari di altri codici penali[7][8] – non dà la definizione del concetto di "preterintenzione", ma la indica nel descrivere lo schema del "delitto preterintenzionale": a testimonianza del fatto che non esiste un atteggiamento psicologico diverso dal volere (dolo) e dal non volere (colpa).[9]
L'ordinamento italiano riconosce rubricativamente il solo omicidio preterintenzionale all'art. 584 c.p.:[10] tecnicamente una "uccisione preterintenzionale";[11] la dottrina, tuttavia, ritiene che ulteriori fattispecie preterintenzionali in senso lato, possano rinvenirsi pacificamente nell'art. 593-ter c.p.[12] e opinabilmente nella categoria dei "reati aggravati dall'evento".[13]
Il criterio di imputazione
modificaL'art. 42 c.p. individua i criteri di imputazione: il comma 2 di tale articolo recita che "nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come delitto, se non l'ha commesso con dolo, salvi i casi di delitto preterintenzionale o delitto colposo espressamente preveduti dalla legge".[14]
Al vertice dei criteri imputativi sta il dolo, criterio soggettivo per eccellenza, la cui sussistenza importa la punibilità per ogni reato, cui seguono gli ulteriori e distinti criteri della preterintenzione e della colpa, la cui punibilità è possibile per reati che siano tipizzati come punibili in presenza di tali coefficienti soggettivi.[15]
In via residuale l'art. 42 c.p. prevede il modello della responsabilità oggettiva spuria: "La legge determina i casi nei quali l'evento è posto altrimenti a carico dell'agente, come conseguenza della sua azione od omissione";[16] si tratta di una responsabilità oggettiva impura perché l'art. 45 c.p.[17] elimina ogni forma di responsabilità penale per caso fortuito o forza maggiore.[18]
Struttura e giurisprudenza
modificaL'enunciazione normativa offerta dall'art. 43, comma 2 c.p. pone in evidenza il rapporto sussistente fra una condotta umana tipica, un evento voluto ed un evento non voluto lesivo (o di messa in pericolo).[19]
Si tratta dunque di una fattispecie complessa, che la dottrina sceglie di ricostruire come la sovrapposizione di un reato di base, caratterizzato da dolo, ed un successivo evento non voluto, causalmente riconducibile all'azione o all'omissione dell'agente, e di cui si stabilisce la rimproverabilità a quest'ultimo.[20]
Il titolo in base al quale tale evento ulteriore è ritenuto rimproverabile all'agente è il problema centrale che caratterizza l'analisi dogmatica[21] del fenomeno – casisticamente planetario[22] – del reato a progressione "preterintenzionale",[23] ed esistono quattro principali linee di pensiero:[24]
La prima, facendo riferimento alla irreversibile natura ontologica dell'istituto,[25] identifica la preterintenzione come un’ipotesi di dolo misto a responsabilità oggettiva: l’evento voluto è considerato doloso, quello non voluto (causalmente collegato alla condotta dolosa) è imputabile a responsabilità oggettiva.[26]
La seconda – dopo la giurisprudenza costituzionale del 1988[27] sull'art. 27 della Costituzione ("L'art. 27, comma primo, Cost., non contiene un tassativo divieto di responsabilita' oggettiva, ma postula la colpevolezza dell'agente in ordine agli elementi - da individuarsi di volta in volta - "piu' significativi" della fattispecie."[28]),[29] e quella delle Sezioni Unite n. 22676/2009[30] – la ricostruisce come dolo misto a colpa: l’evento minore si ritiene commesso con dolo, quello più grave e involontario sarebbe imputabile a colpa.[31]
La terza teoria[20] – sostenendo l'utilità della "fattispecie a schema preterintenzionale" nella pratica giudiziaria,[32] eretta a criterio imputativo "jolly" nelle speculari "fattispecie ricettacolo"[33] in caso di difficoltà probatorie per la soluzione dei casi concreti,[34] e condividendone la conciliabilita' con i principi dello stato dei diritti ("Se il diritto penale avvisa Tizio che questa sarà la conseguenza, i requisiti dello stato di diritto sono soddisfatti.")[35] – ritiene la preterintenzione compatibile con l’art. 27 Cost. italiana, e senza bisogno di esporsi alle critiche del “delinquere con cautela” sofferte dal modello del "dolo misto a colpa".
Questo orientamento, infatti, sostiene che il rischio del più grave evento involontario (o preterintenzionale) prodottosi risulta assorbito nel danno (o pericolo di danno) che si arreca alla vittima con la condotta dolosa, così che in tal modo non rivelerebbe la possibile violazione dei parametri di prudenza, diligenza e perizia relativamente all’evento preterintenzionale.[36]
Quest’ultima teoria è ormai dominante nella giurisprudenza in tema di omicidio preterintenzionale: la prevedibilità dell’evento morte non voluto verrebbe assorbita nell’intenzione di risultato della condotta base tesa a ledere o percuotere.[37]
Infine, la quarta tesi ritiene inevitabile abrogare il criterio imputativo della preterintenzione, in quanto inutile e complicatorio,[38] disciplinando i fatti concreti a progressione criminosa "preterintenzionale" tramite il concorso formale di reati: condannare l'agente per un reato doloso in concorso con il reato involontario prodottosi "preterintenzionalmente" e causalmente collegato.[39]
Bibliografia essenziale
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Note
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Collegamenti
modifica- Preterintenzione, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
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