Gli Pteroclidi (pron. /pteˈrɔklidi/;[1][2][3] Pteroclidae Bonaparte, 1831) costituiscono una famiglia di uccelli, unica famiglia appartenente all'ordine Pterocliformes,[4] diffusa in Asia, in Africa e, più che altro accidentalmente, in Europa.[4]

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Pteroclidi
Raffigurazione in disegno di Syrrhaptes paradoxus
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Sottoregno Eumetazoa
Superphylum Deuterostomia
Phylum Chordata
Subphylum Vertebrata
Superclasse Tetrapoda
Classe Aves
Sottoclasse Neornithes
Superordine Neognathae
Ordine Pterocliformes
Huxley, 1868
Famiglia Pteroclidae
Bonaparte, 1831
Sinonimi

Pteroclidiformes, Pterocleiformes (a livello di ordine); Pteroclididae, Pterocleidae (a livello di famiglia)

Nomi comuni

Pernici del deserto, pernici delle sabbie

Generi

Nome modifica

Etimologia modifica

Pteroclidi è l'italianizzazione della denominazione scientifica Pteroclidae,[1][2] termine del latino scientifico ottenuto dall'unione di quello che designa uno dei due generi subordinati, cioè Pterocles (da cui la voce dotta pteròcle per denotare il genere in italiano),[5] con il tipico suffisso latino, ma di derivazione greca, previsto dalla relativa nomenclatura per la famiglia tassonomica di un animale, cioè -idae;[1][2] nello specifico, la base pterocl-(es) deriva dall'assemblamento di due parole greche: πτερόν pterón (qui nella forma prefissale ptero-), ossia "ala", e κλείς kleís, ossia "chiavistello" (in riferimento alla forma delle ali e alla loro disposizione a riposo);[5][6] oppure, secondo un'altra lettura della segmentazione, πτερόν e il suffissoide -κλῆς -klês, ossia "gloria, fama" (col significato complessivo di "nobile ala").[7]

Nomi comuni modifica

Gli pteroclidi sono conosciuti comunemente, ma impropriamente, con alcuni nomi popolari, spesso designanti approssimativamente un genere o una specie in particolare ed estesi, successivamente, per comprendere l'intero ordine biologico sotto un unico termine ombrello. Relativamente a ciò, sono attestati nomi come ganga (dallo spagnolo ganga, con medesimo significato), indicante Pterocles orientalis;[8] gràndule (o gràndula, di etimo incerto ma forse dalla stessa fonte del francese grandoul), indicante originariamente Pterocles alchata, ossia la grandule mediterranea;[9] sirratte (dal verbo greco συρράπτω syrrháptō, cioè "cucire insieme"), usato specialmente in riferimento a Syrrhaptes paradoxus;[10] infine, vi sono locuzioni generiche, probabilmente traduzioni del vocabolo inglese sandgrouse (o sandgrouses), come pernici del deserto (o delle sabbie) e quaglie del deserto,[6] anche se, per la precisione, questi uccelli sono sistematicamente più affini ai Caradriformi che ai Galliformi, cui appartengono, giustappunto, pernici e quaglie.

L'enigmatico nome bargelach (e le sue varianti) modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Bugherlac.

Esisteva anche un altro termine, di origine straniera e noto esclusivamente nella fase antica dell'italiano, che poteva arrivare ad indicare complessivamente gli pteroclidi: bargelach (con numerose varianti tràdite a seconda dei testimoni e delle traduzioni: bugherlac, barghelac, bargherlach, bagerlach ed altre ancora).[11] Tale lemma, non adattato, viene riportato per la prima volta da Marco Polo nella narrazione contenuta al capitolo LXX del suo Milione,[12] ove compare nella grafia <bugherlac> e si riferisce a un uccello la cui identificazione è alquanto controversa:

«In quel luogo non ci sono esseri viventi né uomini né donne né animali né uccelli, salvo certi uccelli che si chiamano bugherlac dei quali i falconi si nutrono. Sono grandi come pernici, hanno i piedi simili a quelli dei pappagalli, la coda sembra una coda di rondine ed il loro volo è velocissimo.[12]»

Il resoconto poliano, oltre a questo passaggio, non fornisce ulteriori indizi, limitandosi ad aggiungere che il bargelach suole vivere e volare nell'immensa «pianura di Bangu» (vale a dire la valle del fiume chiamato oggi Barguzin, a est del lago Bajkal, difatti il nome viene tramandato anche come Bargu;[12] non è da escludere che, usando questo coronimo autoctono, Polo volesse riferirsi per sineddoche all'intera Siberia).[12] Vari sono i tentativi fatti per ricollegare una specie ornitica nota al bargelach, come quello di Henry Yule: l'orientalista scozzese, infatti, ritiene che si tratti quasi certamente del sirratte di Pallas, cioè di Syrrhaptes paradoxus, osservando, in aggiunta, che né il sirratte né tutte le altre specie del genere Pterocles hanno zampe «da pappagallo» e che questo particolare paragone potrebbe essere spiegato da una certa similitudine nell'andatura, più che da una correlazione nella morfologia in sé.[13] C'è da sottolineare, inoltre, come vengano designate in turco moderno con un nome piuttosto simile, ossia boghurtlak (o baghurtlak),[11][13] anche altre due specie di pteroclidi, la grandule mediterranea e la ganga, nessuna delle quali abitante nella regione corrispondente alla pianura di Bargu[13] ma con un sicuro nesso etimologico con bargelach.[11][14] Il collegamento effettuato da Yule è, ad ogni modo, ormai accettato come quello corretto.[14]

Per quanto riguarda, infine, l'etimologia di bargelach, la spiegazione più convincente e condivisa prevede che tale parola sia di origine turcica[15] (si pensi, a titolo di esempio, al termine turcomanno bağırlak o a quello uiguro baγitaq, col medesimo significato)[14][16] e non influenzata, a differenza di certi prestiti del racconto poliano, dal mongolo medio, che al tempo del mercante veneziano costituiva una sorta di lingua franca all'interno dello sconfinato impero asiatico.[15] Il lemma bargelach, così riportato anche nell'opera di Ramusio intitolata Delle navigationi et viaggi,[11] è scomponibile in una base nominale baγïr "fegato, pancia" e in un suffisso nominale denominale -lak (suffisso antico turco formativo di nomi zoologici perlopiù aviari),[17] che, agglutinato al lessema, fa assumere a questo il significato attualizzante-relazionale di "quello (caratterizzato dalla) pancia, che usa l'addome":[11][17] tale accezione è spiegabile alla luce del comportamento del maschio pteroclide, che ha la singolare abitudine di immergersi in acqua per intridere le piume del prezioso liquido, usando quindi il piumaggio come una spugna, e portarlo successivamente ai suoi cuccioli nel nido.[11]

Descrizione modifica

Si tratta di uccelli prevalentemente terricoli, ottimamente rivestiti e protetti dal piumaggio mimetico di colore generalmente marrone.[18][19] Hanno la testa piccola e il collo abbastanza snello ma robusto, richiamando morfologicamente i colombi comuni, mentre il corpo, di forma squadrata, è muscoloso e compatto e i tarsi sono talvolta rivestiti di piume. Per quanto riguarda le zampe, anch'esse simili a quelle dei piccioni, queste si presentano alquanto corte, con i membri del genere Syrrhaptes che hanno piume che crescono sia sugli arti inferiori che sulle dita dei piedi e non sono muniti di dita posteriori, mentre i membri del genere Pterocles hanno zampe piumate solo nella parte anteriore, sono senza piume sulle dita dei piedi e sono dotati di dita posteriori semplici, appena accennate, e sollevate dal terreno quando il volatile si trova in posizione eretta.[20] Le undici penne remiganti primarie che posseggono sono molto forti, inoltre le lunghe ali appuntite danno loro un volo veloce e preciso. I muscoli delle ali sono potenti e gli uccelli sono capaci di decolli rapidi e improvvisi e di resistere a voli lunghi e sostenuti. In alcune specie del genere Pterocles, le penne centrali della coda sono oblunghe ed affilate, terminando in lunghe punte.

Gli adulti presentano dimorfismo sessuale: i maschi sono leggermente più grandi e sono dotati di una livrea dai colori un po' più brillanti e vistosi rispetto alle femmine.[19]

Misure modifica

Le dimensioni di uno pteroclide comune variano dai 24 ai 40 centimetri di lunghezza e dai 150 ai 500 grammi di peso, mentre l'altezza, poco diversa da specie a specie, si aggira tra i 15 e i 25 centimetri.[21]

Piumaggio modifica

Come ricordato sopra, il piumaggio di questi uccelli ha un carattere marcatamente mimetico e, dal punto di vista cromatico, spazia generalmente nei toni del marrone sabbia, del grigio e del color cuoio (una specie di giallo sporco o marroncino), con frequenti motivi screziati e strisce, il che consente loro di confondersi nel paesaggio brullo, secco e polveroso. Sotto lo strato superficiale, gli pteroclidi posseggono una densa coltre di piumino e lanugine che li aiuta ad isolarsi termicamente e ad affrontare al meglio picchi di caldo e freddo. La particolarità più nota è propria delle piume del ventre, le quali, essendo straordinariamente capaci di assorbire l'acqua e di trattenerla, consentono agli adulti, specialmente ai maschi, di portare l'acqua ai pulcini che, bloccati nei nidi costruiti a terra, possono trovarsi a molte miglia di distanza dalle pozze d'acqua fondamentali per l'abbeveramento. Si è calcolato che ogni passaggio ha la capacità di portare dai 15 ai 20 millilitri d'acqua.[22]

Biologia modifica

Voce modifica

Alimentazione modifica

Riproduzione modifica

Spostamenti modifica

Relazioni con l'uomo modifica

Distribuzione e habitat modifica

Tassonomia modifica

La famiglia comprende 16 specie raggruppate in 2 generi:[4]

Conservazione modifica

Note modifica

  1. ^ a b c Pteròclidi, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  2. ^ a b c Pteròclidi, in Sapere.it, De Agostini. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  3. ^ Pteròclidi, su Dizionario Italiano Olivetti. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  4. ^ a b c (EN) F. Gill e D. Donsker (a cura di), Family Pteroclidae, in IOC World Bird Names (ver 9.2), International Ornithologists’ Union, 2019. URL consultato il 10 febbraio 2018.
  5. ^ a b Pteròcle, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  6. ^ a b Pteròclidi (PDF), su Grande Dizionario della lingua italiana, vol. XIV, UTET, p. 871. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  7. ^ (EN) James A. Jobling, Helm Dictionary of Scientific Bird Names (PDF), London, Helm, 2010, p. 322, ISBN 978-1-4081-2501-4.
  8. ^ Ganga, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  9. ^ Gràndule, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  10. ^ Sirratte, in Treccani.it – Vocabolario Treccani on line, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  11. ^ a b c d e f Bargelach, su virgo.unive.it, Università Ca' Foscari Venezia. URL consultato il 23 febbraio 2023.
  12. ^ a b c d Marco Polo e Rustichello da Pisa, Capitolo 70 - Del piano di Bangu, in Il Milione, edizione originale circa 1298.
  13. ^ a b c (EN) Henry Yule (a cura di), The book of Ser Marco Polo, the Venetian, concerning the kingdoms and marvels of the East (PDF), traduzione di Henry Yule, prefazione di Henri Cordier, con un memoir di Amy Frances Yule, vol. 1, 3ª ed., London, Murray, 1903 [prima edizione 1871], pp. 272-273, nota 3, ISBN non esistente.
  14. ^ a b c (EN) Stephen George Haw, Marco Polo's China. A Venetian in the Realm of Khubilai Khan, in Routledge Studies in the Early History of Asia, London, Routledge, 2006, p. 129, ISBN 0-415-54600-1.
  15. ^ a b (EN) Stephen George Haw, The Persian Language in Yuan-Dynasty China: A Reappraisal, su East Asian History, 24 dicembre 2014. URL consultato il 23 febbraio 2023.
    «Marco also uses some other Turkic vocabulary in his book. One example is bagherlac, sandgrouse. Pelliot correctly notes that the form seen in most manuscripts, which puts an r after the first a, is erroneous. Clauson gives bağırlak, which is extremely close to Marco’s version of the word. The particular bird that the word is applied to is almost certainly Pallas’s Sandgrouse.»
  16. ^ (EN) Gerard Clauson, An Etymological Dictionary of Pre-Thirteenth-Century Turkish, prefazione di Gerard Clauson, Oxford, Oxford University Press, 1972, p. 319, ISBN 0-19-864112-5.
  17. ^ a b (EN) Marcel Erdal, A Grammar of Old Turkic (PDF), in Handbook of Oriental Studies. Section 8: Uralic & Central Asian Studies, Leiden, Brill, 2004, pp. 89-90, ISBN 90-04-10294-9.
  18. ^ Svensson 2015, p. 200.
  19. ^ a b Hancock, Weiersbye 2016, p. 170.
  20. ^ Campbell, Lack 1985, p. 520.
  21. ^ de Juana 1997, p. 35.
  22. ^ de Juana 1997, p. 40.

Bibliografia modifica

Fonti in italiano
Fonti in altre lingue

Voci correlate modifica

Altri progetti modifica

Collegamenti esterni modifica

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