Roccaranieri

frazione del comune italiano di Longone Sabino, provincia di Rieti

Roccaranieri è una frazione del comune di Longone Sabino, in provincia di Rieti.

Roccaranieri
frazione
Roccaranieri
Roccaranieri – Bandiera
Roccaranieri – Veduta
Roccaranieri – Veduta
Panorama di Roccaranieri dal versante nord
Localizzazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
Regione Lazio
Provincia Rieti
Comune Longone Sabino
Territorio
Coordinate42°20′01.037″N 12°57′56.681″E / 42.333621°N 12.965745°E42.333621; 12.965745 (Roccaranieri)
Altitudine721 m s.l.m.
Abitanti154 (2019)
Altre informazioni
Cod. postale02020
Prefisso0765
Fuso orarioUTC+1
Cod. catastaleE681
Nome abitantiRocchiciani
PatronoSan Giovanni Battista[1]
Giorno festivo24 Giugno[1]
Cartografia
Mappa di localizzazione: Italia
Roccaranieri
Roccaranieri

Il paese nacque in seguito all'incastellamento di un abitato nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, nel luogo indicato nelle fonti alto medioevali come "Pretorio nel territorio reatino", probabile insediamento di epoca romana. Roccaranieri deve il suo nome ad un nobile Ranieri dei conti di Cunio proveniente dalla Romagna che, all'epoca dell'imperatore Federico I Barbarossa nell'XI secolo[2] o dell'imperatore Federico II nel XIII secolo[3], fortificò il borgo rendendolo una possente roccaforte dominante una strettoia nella sottostante Valle del fiume Salto. Il paese rimase quindi sotto la giurisdizione dell'abbazia imperiale di San Salvatore Maggiore come uno dei castelli della Signoria di San Salvatore Maggiore[4].

«Sul ciglio della catena di solenni montagne ammantate di boschi che dividono la valle del Turano da quella del Salto, un'altura dai fianchi scoscesi, che strapiombano fin quasi sul greto sassoso del secondo corso d'acqua, s'incorona di una terra incastellata. È questa Rocca Ranieri le cui origini risalgono al primo medioevo e le cui vicende sono legate «ab antiquo» a quelle della insigne e potente Abbazia imperiale benedettina di San Salvatore Maggiore

Geografia fisica modifica

Territorio modifica

Roccaranieri è un paese collinare dell'Alta Sabina che sorge a 721 m s.l.m. nel territorio del comune di Longone Sabino, a cavallo tra il fiume Salto ed il fiume Turano.

Il suo territorio fa parte di un'exclave del comune di Longone Sabino, a nord dell'abitato di Longone Sabino, da cui è separato dal territorio del comune di Concerviano. L'exclave include anche le altre frazioni longonesi di Fassinoro e San Silvestro ed è compresa fra i territori comunali di Rieti, Concerviano, Rocca Sinibalda, Cittaducale e Petrella Salto.

In particolare il territorio di Roccaranieri è limitato:

  • a nord-est e ad est dal fiume Salto che lo divide dal territorio di Grotti e Ville Grotti, frazioni del comune di Cittaducale.
  • a sud-est dal Rio Piombarolo, torrente che lo separa dal [comune di Concerviano.
  • a sud dal Rio della Fonte che lo separa del territorio di Vaccareccia e da quello di Pratoianni, frazioni del comune di Concerviano.
  • ad sud-ovest e ad ovest ed a dalla SP30 che lo separa dal territorio di San Silvestro, altra frazione del comune di Longone Sabino.
  • a nord-ovest dalla strada per Cenciara, frazione del comune di Concerviano, che la separa dal territorio di Fassinoro, frazione del comune di Longone Sabino.
  • a nord dalla Piana di San Nicola che lo separa dal territorio di Cenciara, frazione del comune di Concerviano e dalla contigua selva sopra alla SS578 Salto Cicolana che lo separa dal territorio del comune di Rieti.

Storia modifica

Età Romana modifica

 
Capitello ionico di età romana conservato nella Chiesa dei Santi Pietro e Paolo di Roccaranieri (RI)

Il territorio di Roccaranieri era già abitato in epoca romana come testimoniano i reperti, probabilmente resti di una villa romana, emersi dagli scavi effettuati negli anni ottanta del secolo scorso per la realizzazione del campo sportivo in località Valle San Giovanni. Venne allora messo in luce un muro di sostegno in opus reticolatum sull'alveo del contiguo torrente, detto Fosso della Fonte dei Colli, a monte del ponte lungo la strada che dal paese di Roccaranieri raggiunge il cimitero e l'annessa chiesa di San Giovanni Battista. Venne anche recuperato all'epoca un capitello di colonna ionica oggi conservato nell'abside della chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Roccaranieri.

Nel luglio del 1998, sempre nella Valle San Giovanni nei pressi della Chiesa di San Giovanni Battista, durante gli scavi per l'ampliamento del cimitero, venne ritrovata una fistula acquaria[5] in piombo recante l'iscrizione:

(LA)

«M(arcus) Ma[riu]s Crescentianus f(ecit)»

(IT)

«M(arco) Ma[rio] Crescenziano (mi fece)»

L'iscrizione sulla fistula, del tutto simile a quella di un'altra fistula, conservata a Rieti ed oggi scomparsa[6][7], già nota all'Holstenius nel 1649[8], riportata dal Lanciani nel 1880[9], dal Mommsen nel 1883[10][11] come CIL IX, 06354 , non sembrerebbe fornire indicazioni utili circa il proprietario della probabile villa romana di Roccaranieri[12][13].

È però possibile indicare in un periodo tra il I secolo a.C e il II secolo d.C. le evidenze romane rinvenute nei pressi della chiesa di San Giovanni a Roccaranieri.

Medioevo modifica

Il nucleo originale di Roccaranieri modifica

È probabile che il nucleo primitivo di quel che successivamente sarebbe divenuto l'abitato di Roccaranieri fosse costituito da alcune abitazioni nei pressi della chiesa di San Giovanni Battista, edificio sorto proprio sui resti della suddetta villa romana in epoca protocristiana o addirittura originale edificio di epoca romana adibito al culto cristiano dopo l'editto di Costantino nel IV secolo. Come avvenuto per altri centri in Sabina, nuovi centri abitati si costituivano proprio intorno ad una chiesa isolata o grangia, partendo da un casale annesso alle stessa per il rimessaggio del foraggio e degli attrezzi da lavoro, vi si raccoglievano poi più abitanti formando quelle che, nei documenti altomedioevali, vengono definite, a seconda dei casi, celle, cellulle, plebi, ville o villule. L'ipotesi è sostenuta dal fatto che le più antiche menzioni nelle fonti documentarie alto medioevali[14] riguardanti il territorio nei dintorni dell'odierno abitato di Roccaranieri indicano proprio la chiesa di San Giovanni Battista come termine fisso.

Età longobarda e franca modifica

La chiesa di San Giovanni in Pretorio in Plage nel territorio reatino modifica
  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Giovanni (Roccaranieri).
 
Chiesa di San Giovanni Battista a Roccaranieri - Facciata

La chiesa di San Giovanni compare per la prima volta nelle fonti in un documento negli Archivi del Capitolo di Rieti del 948[15][16][17]. Il documento è un atto[18] ove un tale Aldo del fu Tachiprando[19][20] della città di Rieti (lat. Aldus quondam Takeprandi de Civitate Reatina) concede al vescovo di Rieti Anastasio alcuni suoi beni in territorio falagrinense (odierna Cittareale) e riceve da questi, a terza generazione, alcune terre in "Plage"[21] più precisamente:

(LA)

«Hoc est res ipsa in territorio Reatino locu qui nominatur Plage, ubi dicitur ad Sanctum Johannem in pretoriu.»

(IT)

«Questi beni sono nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, dove è detto San Giovanni in Pretorio

Il toponimo "San Giovanni in Pretorio" del documento del 948 è confermato da un altro documento dell'archivio reatino del 982[22], ove si legge:

(LA)

«...in territorio Reatino in locus ubi dicitur Plage ipsa plebe que est edificata in honore S. Iohannis Baptiste in logo ubi dicitur Pretoriu .»

(IT)

«...nel territorio Reatino, in luogo chiamato Plage, la stessa chiesa che è edificata in onore di S. Giovanni nel luogo detto Pretorio

I due documenti dell'archivio capitolare reatino del 948 e del 982 permettono di affermare, con sufficiente certezza, che il luogo ove sorgeva la chiesa di San Giovanni, fosse noto, nell'alto medioevo, come "Pretorio nel territorio reatino", ovvero nel territorio del gastaldato di Rieti, originariamente facente parte della diocesi reatina, più precisamente nel luogo detto "Plage"[23][24] ovvero nella zona dell'interfiume Salto-Turano[25].

Massa Pretorii in territorio reatino modifica
 
Il documento del 783, trascritto da Gregorio da Catino (1060-1132) nel Regesto Farfense (1076-1125), Codice Vaticano 8487 (foglio 45, verso), ove si trova la prima menzione del territorio di Roccaranieri: massa pretorii in territorio reatino - in alto a destra, sottolineato, tra le settima e l'ottava riga.

Cercando poi nel regesto farfense, fonte ricchissima di informazioni per la storia altomedioevale, specie di natura locale, il toponimo "Pretorio" nell'ambito dei documenti che si riferiscono al territorio reatino, ci si imbatte in un documento del 783 in cui è menzionato il toponimo "Massa Pretorii territori Reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino). Ipotizzando si tratti dello stesso territorio descritto nei documenti del 948 e del 985 dell'Archivio Capitolare di Rieti, è possibile allora affermare che la prima menzione documentale del territorio dell'odierna Roccaranieri è in un documento del 783[26][27][28], all'epoca del regno di Carlo Magno, re dei Franchi e dei Longobardi, quando Ildeprando era duca di Spoleto e Rimone gastaldo di Rieti. Come detto ivi il territorio dell'odierna Roccaranieri è indicato come "Massa[29] Pretorii territori reatini" (it. Fondo Pretorio nel territorio reatino):

(LA)

«In Nomine Domini Dei Salvatoris Nostri Ihesu Christi. Regnante dom[i]no nostro Carolo et Pipino filio excellentissimis regibus francorum atque langobardorum, et patricio romanorum, anno regni eorum in Italia, deo propizio, X° et II°.

Ego in Dei nomine Hildeprandus gloriosus et summus dux ducatus Spoletani, pro mercede dom[i]norum nostrorum regum, etiam et pro nostra, donamus atque concedimus in monasterio sanctae dei genitricis semperque virginis mariae quod situm est in loco qui nominatur Acutianus, territorii sabinensis et tibi viro venerabili Ragambalde abbas casales duos qui vocitatur Sibianus et Sucilianus, territori Reatini in Massa Praetorii qui pertinerunt ad curtem nostram Reatinam cum terris, vineis, silvis, pascuils et casis XII cum colonis suis qui in ipsis casis residere videntur, cum uxoribus et filiis ac filiabus suis, qualiter singuli cum familiis suis post unum focum residere cum omnibus ad eos pertinetibus quae iusto ordine ad manus suas tenuerunt et a publico possessum est, in ipso sancto monasterio, et tibi, dom[i]ne Ragambalde abbas , posterisque tuis, in integrum concedimus possidendum. [....]

Datum iussionis Spoleti in palatio, mense aprilis per indictionem vi, anno in Dei Nomine ducatus nostri X. Sub Rimoni castaldio, et Adeodato actionario. Quod vero praeceptum ex iussione suprasciptae potestatis ego Alefridus diaconus scripsi. (†) .»

(IT)

«Nel nome del Signore Dio nostro Salvatore Gesù Cristo. Durante il regno del nostro signore Carlo e del figlio Pipino, re eccellenti dei Franchi e dei Longobardi e patrizio dei Romani, nell'anno del loro regno in Italia, con la benevolenza di Dio, dodicesimo.

Io, Ildeprando, glorioso e supremo duca del ducato di Spoleto, per merito dei nostri signori re e anche per il mio, dono e concedo al monastero della Santa Madre di Dio sempre vergine Maria, situato nel luogo che si chiama Acuziano, nel territorio sabino, e a te, venerabile signor abate Ragambaldo, due casali chiamati Sibiano e Suciliano, nel territorio Reatino nella Massa Praetorii, che appartenevano alla nostra corte Reatina, con le terre, vigneti, boschi, pascoli e dodici case con i loro coloni che sembrano risiedere in questi case, con le loro mogli e figli e figlie, in modo che ognuno con le loro famiglie risieda dietro un unico focolare con tutte le cose che appartengono a loro che hanno tenuto in mano con ordine giusto e che sono state possedute pubblicamente, in questo santo monastero, e a te, signor abate Ragambaldo, e ai tuoi successori, lo concediamo per intero da possedere [...].

Data dell'ordine a Spoleto nel palazzo, nel mese di aprile, per la sesta indizione, nell'anno decimo del nostro ducato nel Nome di Dio. Sotto Rimone gastaldo e Adeodato notaio. Io, Alefrido diacono, ho messo per iscritto il comando su ordine della potestà sovrascritta. (†) (Effige del Duca Ildeprando)»

Massa Pretorii nei domini dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore modifica

Come visto nei documenti circa la chiesa di San Giovanni Battista, la proprietà dei territori nelle Plage nell'Italia dell'VIII secolo (fino al X secolo) era divisa, come nel resto della penisola, tra i discendenti dei romani e quelli dei longobardi[30] che si andavano via via integrando.

 
Abbazia di San Salvatore Maggiore, panorama.

Dopo la fondazione, in epoca longobarda sotto il regno di Liutprando, da parte di monaci franchi, delle abbazie di Farfa (720) e di San Salvatore Maggiore (735), alcune terre delle Plage vennero donate dai proprietari alle due comunità monastiche entrando così sotto il controllo delle abbazie che ne registravano le donazioni amministrandole direttamente o affidandole a terzi (per periodi più o meno lunghi). Le due abbazie, poi, tendevano a scambiarsi le donazioni per facilitare il controllo e la gestione dei propri territori[31]. I territori delle Plage cominciarono sin da subito ad entrare sotto il controllo delle due abbazie ed il territorio di Roccaranieri ovvero Massa Pretorii non fece eccezione: è quindi probabile che fin dall'VIII secolo e nei tre secoli successivi, anche il territorio della Massa Pretorii entrasse a far parte dei possedimenti sotto il controllo della vicine abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore[32].

È bene ricordare che le due Abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore, sotto il dominio longobardo godettero di un particolare status[33] che ne favorì l'espansione e con la conquista dell'Italia da parte dei Franchi, assunsero, sotto Carlo Magno, il titolo di abbazie imperiali[34], divenendo capisaldi del potere imperiale nel centro Italia. È durante questo periodo, tra l'VII secolo e la prima metà del IX secolo, che la abbazie raggiunsero l'apice della loro potenza garantendo ai territori sotto la loro giurisdizione una relativa tranquillità in un periodo, altrove, di grande incertezza.

L'abitato di Roccaranieri, il primo incastellamento modifica

 
Panorama di Roccaranieri dalla SP30a

Al finire del IX secolo, la tranquillità dei territori sabini, così come quelli di gran parte della penisola, fu, però, scossa dalle scorrerie dei saraceni che nell'891 incendiarono l'abbazia di San Salvatore Maggiore la cui chiesa fu riconsacrata solo 90 anni più tardi dando un'idea del perdurante pericolo offerto dai mori tra la fine del IX e l'inizio del X secolo. Come per molti altri insediamenti dell'Italia centrale anche per Roccaranieri il fenomeno dell'incastellamento potrebbe essersi avviato proprio in concomitanza con le invasioni dei saraceni tra il IX e il X secolo[35] allorché, "dopo un periodo che seguiva un forte decremento demografico, le popolazioni rurali, in crescente aumento, scelsero di lasciare le abitazioni sparse nelle pianure per rifugiarsi in nuove forme insediative accentrate ed adeguatamente difese"[36]: dal nucleo originario nella Valle San Giovanni gli abitanti si traferirono sul colle prospiciente la chiesa di San Giovanni, su una rupe rocciosa alta più di 40 metri dal lato che affaccia sulla Valle del Salto[37].

È però possibile che già ben prima dell'arrivo dei saraceni la popolazione del territorio di Massa Pretorii avesse posto le basi di quel che poi sarebbe diventato il nucleo di Roccaranieri, forse già all'epoca delle guerre gotiche o dell'invasione dei longobardi nel VI secolo, come era avvenuto per altri insediamenti lungo le vie di comunicazione che da Roma si diramavano per la penisola[38][39]. Le fonti non offrono certezze e nessuna evidenza in proposito appare come risolutiva.

Il secondo incastellamento e le origini del castello di Roccaranieri modifica

 
Panorama di Roccaranieri dal Colle delle Prata, rara foto di inizio novecento: si vede bene l'impianto medioevale del castello ancora intatto con la torre campanaria della chiesa di San Pietro dentro le mura (demolita in seguito al terremoto di Avezzano del 1915).

Al primo incastellamento seguì probabilmente un secondo incastellamento ovvero un rafforzamento della difese del paese, la definitiva forma di castello e la denominazione attuale, forse a seguito delle invasioni da parte dei normanni all'inizio dell'XI secolo durante la definizione della linea di confine tra il regno normanno e le terre del ducato di Spoleto contese tra papato e l'impero ai tempi del Barbarossa o forse all'epoca delle lotte tra Federico II e papa Gregorio IX. Di questo secondo incastellamento ovvero della fondazione del castello di Roccaranieri non si hanno notizie precise e non si hanno, nelle fonti documentali, citazioni del nome Roccaranieri, Rocca Ranieri ovvero di una Arx Rainerii o Castrum Arcis Rainerii, prima del XIII secolo[40] anche se è lecito supporre che il castello fosse già esistente prima di allora[41] come rivelano anche indagini condotte sulla struttura delle fortificazioni dei castelli della Sabina[42]. Quel che è certo è che, sin dall'antichità, gli abitanti di Roccaranieri tramandassero, di generazione in generazione, della fondazione del loro castello ad opera di un conte Ranieri di Ravenna[43].

La lapide di Roccaranieri modifica

L'unica fonte documentale che aiuta a fare un po' di luce sulla fondazione del castello di Roccaranieri è quella proveniente dagli archivi del notaio Giovanni Cesidio da Gavignano, ritrovata a Calvi dell'Umbria sul finire nel secolo scorso e pubblicata per la prima volta dal Benucci nel 1896[44], circa una lite sorta tra gli abitanti di Roccaranieri e quelli del vicino paese di Concerviano[45] sul finire del XV secolo:

«Si trova negli atti di Giovanni Cesidio la sentenza emanata dal commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni in data 27 luglio 1486 sopra la questione sorta tra il comune di Rocca Ranieri e quello di Concerviano intorno ai confini del tenimento del diruto castello di Antignano, già incorporato a Rocca Ranieri. Gli abitanti di questo castello volevano avere assoluta giurisdizione fino al Rio di Fonte Pasquale che mette nel Salto, mentre quelli di Concerviano affacciavano il diritto di pascolo oltre a questo confine e verso il Rio di Monte Piombarolo. A sostegno dei suoi diritti Rocca Ranieri adduce:

  • l'istromento (ndr. l'atto) di incorporazione di Antignano per mano di ser Nizio da Contigliano, «antiquitate fere consumptus» (it. piuttosto consunto dall'età) e di cui l'anno, consunto del tutto, «infertur ab antecedentibus annis quibus alia instrumenta fuerunt stipulata» (it. si intuisce dagli anni nei quali altri atti furono stipulati), e cioè gli anni 1285, 1286 e 1287;
  • una vendita di pascolo dal Rio di Fonte Pasquale al Piombarolo fatta dal comune di Rocca Ranieri ad uno di Concerviano;
  • la tradizione conservata «ab eorum maioribus et a senioribus in seniores» (it. da quanti più in vista tra loro e di generazione in generazione) che il loro castello fosse edificato «a comite Raynerio nobilissimo viro de Ravenna» (it.da un conte Ranieri nobilissimo uomo di Ravenna) e da lui appellato. In prova di ciò «ostendunt supra ianuam turris ipsorum vetustissimam tabulam marmoris albi huiusmodi tenoris sex versiculorum, videlicet (it. mostrano una antica lapide di marmo bianco sulla porta della lore torre con sei versi di questo tenore): Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem / vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis Resistit pugnans forti manu imperatori / Germani fratres Raynerius atque Iohannes / Imperio diviso amplectuntur ubique /Semper et Arx hec deinde intacta remansit»

Mancano, aggiunge l'istromento (ndr. l'atto) di Giovanni Cesidio, i documenti per stabilire il tempo di questo avvenimento, ma resta memoria della guerra, nè si nega dalla parte contraria che esiste nel monte contermino di detta Rocca un luogo chiamato ancora «platea imperatoris» (it. piano dell'imperatore).»

 
I territori di Antignano contesi tra Roccaranieri e Concerviano

Gli abitanti di Roccaranieri, quindi, nel difendere i loro diritti contro quelli di Concerviano, citano, tra le altre cose, una lapide affissa, ancora nel 1486, sulla porta della torre del castello del paese che recitava, in esametri:

(LA)

«Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem/ Vincens destruit Antignanum et castra Iohannis/ Resistit pugnans forti manu Imperatori/ Germani fratres Rainerius atque Iohannes/ Imperio diviso amplectuntur ubique/ Semper et Arx hec denique intacta remansit.»

(IT)

«Ranieri di Cunio eresse questa roccaforte/ Vincendo distrusse Antignano e i castelli di Giovanni/ Combattendo in un'aspra contesa resistette all'Imperatore/ I fratelli Ranieri e Giovanni/ una volta diviso il potere si riconciliarono/e questa Rocca rimase finalmente sempre intatta.»

È dalle informazioni contenute nel testo della lapide di Roccaranieri che gli storici moderni hanno provato a circoscrivere l'origine del paese di Roccaranieri. Dai sei versi della lapide si deduce infatti, in ordine, che:

  1. La Rocca venne eretta da un Ranieri Cuniario (ovvero originario di Cunio in Romagna, nel territorio di Faenza sotto il controllo di Ravenna, a dire degli abitanti di Rocca Ranieri del XV secolo, un conte di Ravenna che diede al paese il suo nome).
  2. Questi combatté e distrusse Antignano ed un altro abitato chiamato Castra Iohannis.
  3. Questi combatté per/resistette a un imperatore (a seconda dell'interpretazione del lat. "Resistit.....Imperatori").
  4. Questi si riappacificò con il fratello Giovanni (forse lo stesso Giovanni che aveva dato il nome al paese di Castra Iohannis che Ranieri aveva distrutto precedentemente).
  5. Non vi furono più guerre (tra la fondazione e l'affissione della lapide).

Il primo esametro è fondamentale nella ricerca delle origini della Rocca, fornendo il nome e la provenienza del fondatore del paese così come il terzo esametro che pone il fondatore del paese in relazione alla figura di un imperatore, identificato il quale, sarebbe immediatamente possibile fissare l'epoca e, quindi, più facile chiarire l'orizzonte degli eventi, di carattere più locale, descritti negli altri tre versi.

I conti di Cunio in Romagna modifica

È fuor di dubbio che Ranieri di Cunio (lat. Cuniarius Rainerius) riportato nella lapide di Roccaranieri citata dal notaio Giovanni Cesidio Da Gavignano, fosse uno dei conti di Cunio, castello nel territorio di Faenza (più tardi nella provincia di Ravenna)[46], nobili romagnoli noti in ambito ghibellino intorno al XIII secolo tanto che Dante[47] ne scrisse nella Divina Commedia, nel Canto XIV del Purgatorio, includendoli nella cornice degli invidiosi[48]:

«Ben fa Bagnacaval, che non rifiglia;
e mal fa Castrocaro, e peggio Conio
che di figliar tai conti più s'impiglia.»

I conti di Cunio erano un importante tassello nel campo svevo all'epoca di Federico II nel XIII secolo e lo erano già dai tempi dell'imperatore Federico Barbarossa nell'XI secolo[49] come confermano vicende di ordine patrimoniale per le quali il nome dei conti di Cunio si ritrova, lontano dai loro possedimenti di Romagna, in Sabina e in particolare nel Reatino[50][51].

I conti di Cunio in Sabina modifica
La vicenda del falsario Serafini da Catino (1762) modifica

La presenza dei conti di Cunio in Sabina venne ignorata dagli storici fino al XVII secolo ed addirittura ricusata come mera fantasia alla fine del XVIII secolo a seguito di una celebre vicenda giudiziaria nella Roma del 1762[52] passata alla storia come la "causa Serafini-Olgiati". Nicolò Serafini, figlio di un agiato contadino di Catino in Sabina, probabilmente a seguito di accurate ricerche storiche negli archivi notarili delle comunità dei paesi sabini di Catino e Poggio Catino, intentò causa contro alcuni nobili romani titolari di possedimenti nelle terre della Sabina. Il Serafini, sulla base di alcuni documenti da lui rinvenuti, infatti, pretendeva di essere riconosciuto come erede degli antichi conti di Cunio, provenienti dalla diocesi di Imola, supponendoli imparentati con le famiglie romane dei Frangipane, dei Colonna e con quella reatina dei Mareri, reclamando dei diritti sui beni dei suoi supposti antenati in virtù, in particolare, di un atto testamentario del 1426 in cui un conte Giorgio di Cunio istituiva un fidecommesso sui suoi beni invocando il quale il Serafini pretendeva la restituzione di tali beni dalle famiglie nobili alle quali, all'epoca dei fatti, era riconosciuta la proprietà dei beni stessi. Fu così che diversi nobili romani tra cui il marchese Alessandro Olgiati[53] e le comunità stesse di Catino e Poggio Catino, per i possedimenti nelle terre di Catino e Poggio Catino e il cardinale Simonetti per i possedimenti in Gavignano furono trascinati in giudizio dal Serafini. La causa, sostenuta dal Serafini con il patrocinio della famiglia sabina dei Cicalotti che per mezzo del Serafini stesso pretendeva di dimostrarsi discendente dall'antica famiglia romana di origine sabina dei Curtabraca, si risolse nel 1762 nella curia di Monte Citorio sotto il giudizio del giudice Cardinale Pirelli il quale si affido alla perizia di due celebri studiosi dell'epoca: l'abate Conti e monsignor Pierluigi Galletti (in seguito abate di Montecassino). A seguito della dell'accesso agli archivi sabini e all'esame dei documenti ivi custoditi, indicati dal Serafini, i periti si risolsero a dichiarare tali documenti come falsi o interpolati per cui con solenne sentenza del giudice Cardinale Pirelli il Serafini fu dichiarato fraudolento impostore e come tale condannato inoltre fu dichiarato nella stessa perizia del Galletti che la presenza in Sabina dei conti di Cunio, come i loro supposti rapporti di parentela con le famiglie locali, fosse una pura invenzione del Serafini. La sentenza ebbe eco negli ambienti della curia romana e successivamente nella cerchia degli storici ed archivisti italiani grazie alla pubblicazione della perizia da parte del Galletti[54].

Nel 1790 Francesco Paolo Sperandio, arciprete della cattedrale di Sabina, diede alle stampe un libro storico celebrativo intitolato "Sabina sagra e profana, antica e moderna" in cui l'autore raccolse numerosi documenti da lui raccolti negli archivi della Sabina, alcuni dei quali, riguardanti i conti di Cunio, dei quali però, in seguito, si persero le tracce. Secondo lo Sperandio, i conti di Cunio sarebbero discesi da imperatori romani o almeno da re longobardo Desiderio. Gli storici ottocenteschi, che presero in considerazione lo scritto dello Sperandio sperando di trovarvi risorse utili per i loro studi, in particolare circa la storia tra il IX e XI secolo, non potendo verificare le fonti e temendo che si trattasse degli stessi documenti indicati nella sue rivendicazioni dal Serafini (dal momento che lo Sperandio diceva di averli attinti dagli stessi archivi visitati dal Serafini) quindi già dichiarati dal giudizio del Galletti falsi o interpolati, smisero ben presto di prestarvi fede quando non presero ad insinuare che lo Sperandio fosse particolarmente poco critico o, peggio, colluso con il Serafini[55].

È del 1896 la pubblicazione, da parte del Benucci, del testo della lapide di Roccaranieri che dichiarava la presenza di un conte di Cunio come fondatore di Roccaranieri, in territorio sabino, più precisamente reatino, negli archivi di Calvi dell'Umbria quindi non uno dei luoghi interessati dalla ricerche del Serafini un secolo prima. Nonostante questo il Benucci nel suo scritto, cercando di indagare l'identità del Ranieri fondatore di Roccaranieri, invocò i documenti presentati un secolo prima dallo Sperandio e forse per questo i suoi studi non ottennero troppa considerazione da parte dei suoi contemporanei.

Nel 1912 Ildefonso Schuster, allora monaco benedettino di San Paolo fuori le mura, rinvenne negli Archivi dell'Abbazia di Farfa, un protocollo notarile del XIV secolo, in cui si prospettava la presenza in Sabina di personaggi che si qualificarono nei documenti come "comites....quondam domini comitis Alberici de citate Faventie". Lo Schuster non giunse ad identificarli come i discendenti in Sabina dei conti di Cunio[56].

Solo le ricerche congiunte da parte di Tersilio Leggio negli archivi di Farfa e di Rieti e di Mauro Banzola negli archivi di Romagna, culminate in una pubblicazione del 1990[2], hanno permesso di accertare la verità storica circa la presenza in Sabina dei conti di Cunio e i loro rapporti di parentela con le famiglie nobili locali, smentendo di fatto quanto dichiarato dal Galletti al margine della sentenza del 1762: le conferme vicendevoli tra le fonti Sabine da una parte e Romagnole dall'altre, distinte geograficamente ma convergenti nei contenuti e nelle indicazioni cronologiche, hanno permesso di fornire una nuova genealogia per la famiglia comitale di Cunio coerente con le fonti documentali.

Paolo Maglioni si è spinto oltre citando un documento farfense dell'803[57] che attesta la presenza dei conti di Cunio in Sabina anche prima dell'epoca del Barbarossa (1125-1190), addirittura avallando alcuni dei documenti dello Sperandio in particolare un atto testamentario del 950 siglato ad Aspra in Sabina (odierna Casperia), tra quelli sospetti di interpolazione da parte del Serafini, mentre nell'Alta Sabina, sia Leggio che Maglioni sono concordi nell'indicare la prima traccia documentale della presenza dei conti di Cunio in un documento papale del 1157[25][58], V anno del regno del Barbarossa[59], rintracciato per la prima volta dallo Schuster in relazione al Castrum Plagiarum (it.Castello delle Plage)[60] e quindi, nella stessa area delle Plage, nell'interflumine Salto-Turano, nell'Alta Sabina, in un documento del 1185.

Per quanto la presenza in Sabina dei conti di Cunio prima dell'avvento del Barbarossa sia ancora da indagare, l'ipotesi degli studiosi moderni[61] circa la presenza dei conti di Cunio in Sabina all'epoca del Barbarossa è concorde: l'imperatore Federico I, volle servirsi di nobili a lui fedeli per assicurarsi un appoggio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica[62]. Nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle rivendicazioni territoriali del Papato mentre nel caso del Reatino si trattava di tenere a bada le mire espansionistiche del vicino regno normanno[63] in forte espansione all'epoca dell'assedio e della distruzione di Rieti, da parte dei figli di Ruggero II, nel 1149[64][65].

In entrambi i casi l'imperatore Barbarossa si servì delle due Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, recuperando all'obbedienza due tradizionali baluardi dell'impero nel territorio sotto l'influenza papale dopo il loro precedente passaggio, con il concordato di Worms, dall'autorità imperiale all'autorità pontificia[66]. Federico I, nel suo passaggio a Roma del 1155, segnando una nuova fiammata filoimperiale, volle trattare Farfa e San Salvatore Maggiore come sempre gli imperatori avevano trattato le due abbazie: offrendo protezione[67] e domandando in cambio fedeltà. È possibile, dunque, che l'Imperatore si sia rivolto all'abbazia di Farfa e a quella di San Salvatore Maggiore perché concedessero delle terre loro sottoposte a membri di famiglie nobili a lui fedeli, tra cui la numerosa famiglia dei conti di Cunio. Questi sarebbero quindi divenuti feudatari o almeno concessionari delle abbazie con lo scopo di militarizzare il territorio limitrofo alle abbazie, edificando tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est[63].

I conti di Cunio nelle Plage modifica
 
Panorama di Roccaranieri dal Casale Falcetti: la torre del castello del Conte Ranieri domina il paese. Sullo sfondo il Monte Nuria

Accertata la veridicità storica della presenza in Sabina dei conti di Cunio è bene ricostruirne l'orizzonte delle terre loro associate nei territori a cavallo dei fiumi Salto e Turano ovvero nei territori delle Plage.

Il documento papale del 1157, sopra menzionato, è un atto di concordia tra l'abbazia di Farfa e il Conte Lamberto di Faenza ovvero dei conti di Cunio circa dei possedimenti associati alle terre del Castrum Plagiarum[68] per i quali, nel documento, vengono precisati i confini: “da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S. Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano”. Il fatto che si tratti di un atto di concordia ci spinge a pensare che le terre in oggetto fossero in origine state affidate all'abbazia di Farfa e che successivamente fossero state concesse dalla stessa abbazia, probabilmente sotto richiesta imperiale, forse proprio dell'imperatore Barbarossa, tra il 1152, anno dell'elezione ad imperatore, ed il 1157 stesso, ai conti di Cunio. Sorta una qualche disputa tra questi ultimi e l'abbazia di Farfa, la lite venne risolta dall'atto di concordia.

Esiste un ulteriore documento del 1185[69], questa volta dell'Archivio Capitolare Reatino, un contratto di enfiteusi tra l'abate di San Salvatore Maggiore Gentile e Teodino, figlio di Rinaldo e un altro Rinaldo, figlio di Sinibaldo, fratello di Rinaldo (pertanto cugino di Teodino) per la terra conosciuta con il nome “Plaie” un tempo amministrata da un certo Uguicio di San Martino avente i seguenti confini: ”Dal primo lato il fiume Salto, dal secondo lato il territorio della Chiesa o ciò che tenete in Porcigliano concessovi dalla chiesa, dal terzo lato il fiume Turano e dal quarto la torre [ndr. forse, meglio, la terra] che fin dai tempi antichi fu “in Pectorina”, discende fino al fiume Velino e tende verso il Salto”.

Se il territorio oggetto di questo secondo documento, denominato le Plaie, ovvero con lo stesso nome del territorio del primo documento (le Plage), sia lo stesso del primo documento, potrebbe essere avvenuto che il territorio in questione sia passato, nel frattempo, tra il 1157 e il 1185, dai domini di Farfa a quelli di San Salvatore Maggiore. Diversamente potrebbe trattarsi di un’area territoriale con lo stesso nome e adiacente alla precedente[70].

Se quest'ultimo fosse il caso si potrebbe pensare che nell’anno 1157, presso le Plage, esisteva già un castello, il Castrum Plagiarum, che il Conte Lamberto di Faenza utilizzava per il suo dominio, costruito in precedenza da lui stesso o da altri su terre rivendicate da Farfa, e per il quale fu stipulato con l’abbazia di Farfa l’atto di concordia. Successivamente, quasi dopo trenta anni, nel 1185, i cugini Teodino e Rinaldo (probabilmente della stessa famiglia di Lamberto, ovvero dei conti di Cunio, come lascia intendere il documento del 1185 nell'ipotesi che i territori in oggetto nei due documenti siano distinti ad adiacenti) presero in enfiteusi la terra delle Plage da Gentile abate di San Salvatore Maggiore ampliando il dominio dei conti di Cunio.

In tal caso, in questa seconda fase, si prospetta la fondazione dal parte di un conte Ranieri di Cunio di un secondo maniero, l'odierna Roccaranieri, diverso dal primo Castrum Plagiarum, in quella porzione del territorio delle Plage, ottenuto in secondo momento, dopo il 1185, dai conti di Cunio dall'abbazia di San Salvatore Maggiore[71].

Un documento del 27 Maggio 1191[72] in cui papa Celestino IV prende l'abbazia di San Salvatore Maggiore sotto la sua protezione, ricordandone i confini che comprendono il territorio: "[....] tra il Salto e il Turano...dal ruscello di Paganico (ndr. fosso dell'Obito)....fino al Ponte di Rieti", lascia intendere che nel 1191 tutto il territorio tra i fiumi Salto e Turano, dal fosso di Paganico alla Chiesa di San Michele Arcangelo a Rieti, fosse finalmente nella proprietà dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore sebbene i conti di Cunio godessero, come visto, del territorio della Plage in enfiteusi.

La fondazione di Roccaranieri modifica

Dai documenti sopra citati del 1157, 1185 e 1191, sembrerebbe quindi chiaro, come il testo della lapide di Roccaranieri già faceva supporre, che anche l'attuale

 
Panorama della Valle del Salto dalla Piazza dei Casarini. Dirimpetto il Castello di Calcariola sorto a difesa del confine settentrionale del regno normanno.

territorio di Rocca Ranieri ovvero il territorio identificato dal documento del 783 come Massa Pretorii nelle Plage, fosse toccato in feudo o meglio, fosse stato concesso da una delle abbazie imperiali, in enfiteusi, ad un conte Ranieri di Cunio e che questi, come riportato dal Vescovo di Rieti nel 1844[43], provvide ad edificare o a fortificare, a proprie spese e quindi ottenendo il privilegio di dargli il proprio nome, un centro già preesistente[41], a difesa del confine sulla sottostante Valle del Salto.

Dire però, con certezza, quando sia avvenuta esattamente la fondazione di Roccaranieri, quale tra i molti conti Ranieri di Cunio riportati nei documenti sia il fondatore di Roccaranieri e se il terzo verso della lapide di Roccaranieri alludesse o meno all'imperatore Federico Barbarossa, non è questione di facile soluzione né esistono documenti che siano dirimenti a proposito.

Esistono due teorie che interpretano ciascuna in modo diverso il testo della lapide di Roccaranieri cercando di darne un senso compiuto ai versi:

(LA)

«1) Cuniarius Rainerius hanc fortem erigit arcem| 2) vincens destruit Antignanum et Castra Iohannis| 3) Resistit pugnans forti manu imperatori | 4) Germani fratres Raynerius atque Iohannes | 5) Imperio diviso amplectuntur ubique| 6) Semper et Arx hec deinde intacta remansit»

La versione di Leggio-Banzola: fondazione sotto il regno del Barbarossa (1155-1190) modifica

Tersilio Leggio[62] che indica nell’anno 1157 la data certa della presenza in Sabina dei conti di Cunio, attribuisce ad un Ranierius Cuniarius la fondazione di Roccaranieri, nel periodo tra il 1159 ed il 1180, all'epoca del vescovo Dodone di Rieti (1137-1181) il quale, durante il suo ministero, dedicò un altare nella Chiesa di San Pietro a Roccaranieri[73] che, quindi, doveva già esistere quando il vescovo Dodone era ancora in vita . Per fare luce sull'identità del Rainerius Cuniarius di Roccaranieri, le ricerche di Leggio si affiancano a quelle dello storico romagnolo Mauro Banzola. Secondo Banzola[74] il Rainerius, conte di Cunio, che in una disputa riportata in documento romagnolo del 1185 tra il conte di Königsberg, rappresentante dell'imperatore Enrico IV (figlio del Barbarossa), e i rappresentanti della Chiesa di Imola, si schiera dalla parte dell'imperatore, è il fondatore di Roccaranieri nel territorio Reatino ed è lo stesso Ranieri[75] riportato in una carta ravennate del 1166 concernente una donazione di terre in plebe Barbiani (nei pressi di Barbiano), vel in curte Cunii. Riccardo Pallotti, un altro storico di Romagna, in studi più recenti[76][77], così riassume[58] la vicenda:

«Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i Conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell'Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un'area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Il Barbarossa da un lato recuperò all'obbedienza imperiale Farfa, tradizionale baluardo dell'Impero verso Roma; dall'altro militarizzò il territorio limitrofo, facendo edificare tutta una serie di castra che dovevano contrastare eventuali incursioni normanne da sud e da est. È in questo contesto, secondo Leggio, che si colloca l'arrivo dei conti romagnoli in Sabina, con la fondazione di Roccaranieri, nella valle del Salto, da parte di un fidelis dellImpero quale era il conte Ranieri di Cunio. Ma chi era costui?

La suddetta lettera papale del 1157 ci menziona un conte Ranieri figlio del conte Lamberto presente, con altri tre fratelli, nei territori limitrofi all'abbazia di Farfa. Si tratta con ogni probabilità di due personaggi diversi.

L'ipotesi di Banzola è che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato nel rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l'anno seguente, durante il passaggio del sovrano in Romagna nella primavera del 1167, probabilmente a Imola o a Faenza, oppure presso il castello guidingo di Modigliana. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri, una fondazione che rientrava nel programma di militarizzazione del territorio sabino voluto dall'imperatore. Secondo Banzola, il conte Ranieri sarebbe rientrato nei suoi domini della Romagna nord-occidentale vari anni più tardi, a seguito dell'unione matrimoniale di Enrico VI con Costanza d'Altavilla (1185) (ndr.il matrimonio avvenne, per procura, proprio a Rieti), che vide un significativo mutamento dei rapporti tra Impero e regno normanno, con il venir meno delle precedenti tensioni nei territori di confine dell'Appennino centro-meridionale. I lunghi anni spesi al servizio degli Staufer, le terre ricevute nel Lazio ed il forte legame personale instaurato con la Casa di Svevia giustificherebbero dunque la sua vicinanza alle posizioni del Königsberg nella disputa con la Chiesa imolese tra 1185 e 1186. Si tratta indubbiamente di un'ipotesi suggestiva e non certo priva di fondamento.»

Il Pallotti aggiunge poi una sua personale ipotesi:

«Si potrebbe però proporre anche una lettura alternativa, indotta da alcuni interrogativi rimasti senza risposta. Posto che il conte Ranieri di Sabina del 1157 (figlio di Lamberto) e il conte Ranieri di Romagna del 1166 fossero due persone distinte, ci si chiede per quale ragione Federico I nella sua spedizione romana del 1167 avrebbe dovuto avvalersi di un giovane conte di Cunio residente in Romagna e non piuttosto di altri esponenti della stessa famiglia già inseriti da tempo nel mondo laziale, come attestato dalla fonte papale del 1157, edita dal Kehr e ritenuta a tutti gli effetti autentica.

Come si spiega allora la presenza di conti di Cunio in Sabina già nel 1157? Verrebbe spontaneo rispondere che il conte Lamberto, probabilmente fratello dei conti Roberto e Archiepiscopus protagonisti del giuramento faentino del 1128, si fosse stabilito nel Lazio prima del 1157, forse nel corso della prima spedizione romana del Barbarossa, nel 1155, se non addirittura in precedenza, magari nell'ambito di una delle due spedizioni di Lotario III di Supplimburgo. Del resto la lettera di Adriano IV non ci presenta certo questi conti vicini al Papato. In tal modo, si potrebbe identificare il fondatore di Roccaranieri con Ranieri figlio di Lamberto, già residente in Sabina, piuttosto che con un conte romagnolo disceso dal nord nel 1167. Più che ad un interscambio e a collegamenti diretti tra i Cunio di Romagna e quelli di Sabina verrebbe da pensare piuttosto al trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo laziale della famiglia comitale di Cunio verso la metà del XII secolo. I documenti però non forniscono alcun aiuto in tal senso, per cui non è opportuno in tale sede spingersi oltre con le supposizioni.

Al di là delle esatte dinamiche di certi avvenimenti o della corretta identificazione di taluni personaggi, quello che comunque emerge anche da queste vicende laziali è il forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»

La versione di Leggio-Banzola del 1990, al pari della variante proposta dal Pallotti nel 2014, tradurrebbe, quindi, il "resistit ........imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = rimase al suo posto per l'imperatore ovvero Ranieri combatté per l'imperatore Federico I Barbarossa, il che sarebbe assolutamente concorde con la cornice definita da Leggio, chiarendo il primo ed il terso verso della lapide:

(LA)

«1 Cuniarius Raynerius hanc fortem erigit arcem |.....3 Resistit pugnans forti manu imperatori»

tralasciando, però, gli altri eventi citati nella lapide ai versi 2, 4, 5 e 6 ovvero gli eventi bellicosi di Antignano e Castra Iohannis e la disputa tra i due fratelli Ranieri e Giovanni.

La versione di Maglioni: fondazione sotto il regno di Federico II (1220-1250) modifica
 
Torre di Leonardo, vista da via della Chiesa Vecchia.

Paolo Maglioni[78], integrando le informazioni provenienti dalla lapide con altre riguardo la vicina abbazia di San Salvatore Maggiore, posticipa gli eventi descritti sulla lapide al regno dell'imperatore Federico II (1220-1250), così come fatto dal Benucci nel 1896[79], tentando una spiegazione degli altri versi della lapide di Roccaranieri. All'epoca di Federico II, infatti[80], il territorio reatino non era più sulla linea di confine tra il regno normanno a sud e le terre al centro della disputa tra papato ed impero al nord dal momento che Federico II aveva raccolto in eredità il regno di Sicilia ed era quindi padrone tanto delle terre a sud che del titolo imperiale che gli avrebbe permesso il controllo dei territori nel resto della penisola a nord. Il territorio reatino si trovò allora, nel XIII secolo, proprio al centro della rivendicazioni di Federico II, in una posizione di frontiera che ne permise la fioritura economica. Dopo la distruzione operata dai normanni nel 1149, la città di Rieti, ormai roccaforte guelfa, sotto la protezione papale, fu spesso eletta a sede papale[81]: nell'arco di un secolo vi risiedettero i papi Innocenzo III (1198), Onorio III (nel 1219 e nel 1225)[82], Gregorio IX (nel 1227, nel 1232 e nel 1234) poi Niccolò IV (tra il 1288 ed il 1289) e Papa Bonifacio VIII (nel 1298). Rieti godette, così, nel duecento, di un ampio sviluppo urbanistico e la città fu al centro di episodi storici significativi come l’incontro tra San Francesco d'Assisi ed Onorio III (1219), l’atto di sottomissione di Federico II dopo la pace di San Germano[83] (1232) e la canonizzazione di San Domenico decretata da Gregorio IX (1234). L'imperatore Federico II visitò Rieti in altre due occasioni: nel 1233 fu a Rieti per riprendersi dei territori sottratti dai reatini[84] e nel 1241 quando, ai ferri corti con il papa Gregorio IX, chiamato dal cardinale Giovanni Colonna a Roma, entrò nei territori papali e assediò Rieti senza conquistarla[85][86]. In questo contesto si configurerebbero gli eventi della lapide di Roccaranieri per il Bellucci e per il Maglioni.

 
La torre di Leonardo, vista dal via del Borgo.

Maglioni cita un documento del 1253 relativo al periodo in cui Federico II, in lotta con papa Gregorio IX, al tempo dei vescovi di Rieti Rinaldo di Labro (1215-1233) e del suo successore Giovanni di Ninfa (1236-1240)[87], si impossessò dei territori dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, probabilmente all'epoca in cui l'esercito di Federico II, agli ordini di Andrea Cicala, aveva cinto d'assedio la città di Rieti, ovvero nel 1241. La manovra di potere avvenne "...con il beneplacito dell'allora abate di San Salvatore Maggiore Giacomo che per tale motivo venne deposto (ndr. dagli altri monaci dell'abbazia o dal papa o proprio dal conte Ranieri).... I nunzi di Federico si impadronirono di tutto, persino il nuovo abate, che forse voleva opporsi alle prepotenze imperiali, dovette fuggire ma i monaci rimasero e continuarono a ricevere gli affitti dalle mani dei fattori dell'imperatore che nel frattempo occupavano l'abbazia[88]. Maglioni suppone, quindi, che i fratelli Ranieri e Giovanni, dei conti di Cunio, enfiteuti dell'abate di San Salvatore Maggiore (dal momento che le terre di Massa Pretorii erano state concesse, come visto, alla loro famiglia sin dai tempi del Barbarossa[89]), si siano trovati al centro della contesa tra impero e papato e abbiano scelto campi differenti: l'uno (Giovanni) appoggiò l'imperatore, l'altro (Ranieri), deposto l'abate Giacomo, parteggiò per il papa. Vi fu, quindi, tra i due una guerra e qui, seguendo i versi della lapide di Roccaranieri si può suppore che:

  • Ranieri, in vista della guerra, avesse rifondato ovvero fortificato, a sue spese, una rocca esistente[41] e gli avesse dato perciò il suo nome.
  • Ranieri avesse distrutto Antignano e Castra Iohannis, appartenente al fratello e vinto la contesa tra i due fratelli prima di resistere, in armi, all'imperatore Federico II.
  • I due fratelli Ranieri e Giovanni, dopo il passaggio, o la morte dell'imperatore Federico II (1251), si fossero riconciliati.

La versione di Maglioni tradurrebbe, quindi, il "resistit ........imperatori" al terzo verso nella lapide di Roccaranieri come resistit = resistette (combattendo) all'imperatore ovvero Ranieri si schierò contro l'imperatore Federico II[90].

Non esistono documenti al riguardo e quindi nessuna delle ipotesi sopra proposte è risolutiva per la precisa datazione della fondazione di Roccaranieri e per la caratterizzazione degli eventi descritti dalla lapide.

Dai conti di Cunio all'abbazia di San Salvatore Maggiore modifica

 
Abbazia di San Salvatore Maggiore, Tavola dei domini abbaziali contenuta nel Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ordo S. Benedicti del 1685.

Al di fuori della Lapide di Roccaranieri, nelle fonti documentali, esistono solo associazioni sporadiche, nei secoli successivi, dei conti di Cunio a Roccaranieri[91]. Si può supporre che i conti di Cunio fin dall’inizio della loro presenza nel Lazio, forse su suggerimento dell’imperatore, di cui erano fedeli sostenitori e rappresentanti, avviarono una politica di imparentamento con le più importanti famiglie nobili romane: i Sant’Eustachio, gli Iaquinti, gli Orsini, i Frangipane e, a Rieti, i Mareri. È probabile che il loro prestigio sociale si accrebbe per il ruolo svolto da personaggi accorti e capaci, nel campo religioso, come il fratello Ignazio, visitatore generale dei Gerosolimitani, cavalieri di San Giovanni e nel campo militare, come il celebre Alberico da Barbiano, appartenente ad un ramo della famiglia dei conti di Cunio[74], i da Barbiano[92], capitano di ventura che imperversò con la sua Compagnia di San Giorgio su tutta la penisola al servizio di tutti i più potenti principi italiani nel XIV secolo[93]. Tuttavia con il tempo i loro obiettivi e i loro interessi presero direzioni diverse e così abbandonarono le proprietà reatine[94] per dirigersi altrove.

Roccaranieri tornò così, presumibilmente già intorno al XIV secolo, sotto il controllo diretto dell'abbazia di San Salvatore Maggiore e rimase da allora nella signoria di San Salvatore Maggiore citato tra i possedimenti dell'abbazia come Castrum Arcis Rainerii[95].

XV - XVIII secolo modifica

Sotto il governo dell'abbazia di San Salvatore Maggiore modifica

Come gli altri castelli dell'abbazia, Roccaranieri fu, fino al XV secolo, direttamente soggetta all'autorità dell'abate e del capitolo abbaziale. Erano gli abati ed il capitolo di San Salvatore Maggiore che governavano, secondo i principi stabiliti negli statuti abbaziali, tutti gli aspetti della vita degli abitanti dei territori dell'abbazia.

Il territorio e l'economia modifica

L'economia del territorio dei paesi dell'abbazia, era basata principalmente sull'agricoltura e sulla pastorizia. L'estensione territoriale di ogni paese dell'abbazia era un assetto fondamentale per la vita dei suoi abitanti.

La disputa ultracentenaria Roccaranieri-Concerviano sui terreni del castello di Antignano modifica
 
I territori contesi del diruto castello di Antignano, particolare del Catasto gregoriano (1834).
Come visto precedentemente per ricostruire le vicende circa la fondazione di Roccaranieri, nel 1486 il notaio Giovanni Cesidio da Gavignano fu al seguito del commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni che il 27 luglio 1486 emanò una sentenza sulla lite sorta tra il comune di Roccaranieri e quello di Concerviano intorno alla proprietà dei territori di Antignano, paese ormai diruto tra Concerviano e Roccaranieri, i cui territori erano, all'epoca, già stati incorporati da Roccaranieri. Gli abitanti di Roccaranieri volevano avere assoluta giurisdizione fino al Rio di Fonte Pasquale che immette nel Salto, mentre quelli di Concerviano reclamavano il diritto di pascolo oltre a questo confine e verso il Rio di Monte Piombarolo. La sentenza del giudice[96], nel 1486, fu favorevole a Roccaranieri che continuò ad usufruire dei territori di Antignano[97].
Nel 1743[98] gli abitanti di Roccaranieri furono costretti, di nuovo, ad intentare causa contro Concerviano sempre per i diritti di pascipascolo nel territorio del castello diruto di Antignano. Il consiglio di Roccaranieri si riunì nel 1794 a Roccaranieri nell'aula consiliare e fu indirizzato dal Conte di Cunio, intervenuto di persona[99], ad una copia dell'antica sentenza del 1486 pronunciata del giudice Lorenzo de' Cerroni che si trovava nell'archivio di Bocchignano[100]. La causa terminò nel 1797, dopo più di cinquanta anni e la sentenza, ricalcando quella del 1486, confermò i diritti di Roccaranieri sui territori di Antignano[101].
Nel frattempo, parte dei terreni di Antignano, di proprietà dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, erano stati venduti alla nobile famiglia dei Severi di Rieti che provvide a limitare i diritti di pascipascolo e di legnatico agli abitanti di Roccaranieri trasferendo parte di quei terreni al catasto di Concerviano che così provvedeva a collezionarne le tasse. Gli abitanti di Roccaranieri ne ricevevano un duplice danno: non incassando le tasse dei terreni per cui erano ancora vessati dal governo centrale e vedendosi ridotto, di fatto, il proprio territorio, non potendo più usufruire del pascolo in quei terreni. I Severi, in seguito alle proteste degli abitanti di Roccaranieri, ritrascrissero così nel 1809 i terreni di loro proprietà, una volta nel territorio di Antignano, nel catasto di Roccaranieri[102]. Tuttavia, nel catasto gregoriano del 1834, nel foglio relativo al territorio di Roccaranieri, si trova ancora, lungo lo spartiacque segnato dal Rio Piombarolo, un confine tratteggiato in cui compare la dicitura "Linea [della] Pretesa della Comunità di Concerviano" segno che, ancora nel 1834, la comunità di Concerviano non era rassegnata a perdere la titolarità di quei territori. Oggi i territori di Antignano, oggetto della contesa durata quasi quattro secoli, dal Rio Piombarolo verso il Rio di Fonte Pasquale, nonostante le due cause del 1486 e del 1797, favorevoli alla comunità di Roccaranieri, fanno parte del territorio del Comune di Concerviano[103].

Sotto il governo degli abati commendatari (1434-1589) modifica

A partire dal XV secolo e per i due secoli a seguire, l'abbazia di San Salvatore Maggiore, e quindi i paesi del suo territorio, divennero, di fatto, proprietà degli abati commendatari, nominati direttamente dal pontefice e nelle loro mani passò il potere spirituale, che essi esercitavano con il titolo di abate di San Salvatore Maggiore, così come il potere temporale, una volta amministrato nei territori dell'abbazia dal capitolo abbaziale. Fino al XVI si succedettero nel controllo dell'abbazia e del suo territorio nomi influenti delle famiglie protagoniste nel teatro della Curia Romana quali i Della Rovere e gli Orsini e i Farnese. Il Cinquecento deve essere stato un periodo particolarmente florido per il paese: ne è testimonianza il restauro della chiesa di San Giovanni del 1519 e la coeva commissione, nella stessa chiesa, del ciclo di affreschi absidali. Inoltre è del 1543 una tolleranza quinquennale del camerlengo papale per poter fenerare, ovvero prestare denaro, in loco a Moyse di Elia da Roccaranieri[104].

Formalmente sotto il governo della Camera Apostolica (1589-1809) modifica

A partire dal XVII secolo subentrò alla commenda abbaziale la famiglia Barberini che fu responsabile della soppressione dell'abbazia nel 1629. Il patrimonio territoriale dell'abbazia rimase tuttavia intatto e l'amministrazione passò sotto il diretto controllo della Sacra Congregazione del Buon Governo. Il territorio dell'abbazia divenne un governatorato e Longone divenne la sede del governatore che si occupava per conto del governo centrale, dell'amministrazione civile.

Ottocento modifica

Governo napoleonico (1809-1814) modifica

Dopo la nuova entrata dei francesi a Roma nel febbraio del 1809 e l'annessione di Lazio e Umbria all'Impero francese nel maggio del 1809, sotto il governo napoleonico, le terre dell'abbazia, come il resto dell'Alta Sabina, furono incluse nel Dipartimento di Roma - Arrondissment di Rieti. Nel 1809 Roccaranieri faceva parte del Dipartimento del Tevere - Circondario di Rieti - Cantone di Monteleone[105][106]. Dopo l'annessione all'Impero francese, anche gli abitanti di Roccaranieri abili alle armi, vennero coscritti nella Grande Armée partecipando alle campagne napoleoniche[107]. Nel 1812 la Comune di Roccaranieri apparteneva alla Prefettura di Rieti - Percezione di Longone[108].

Governo della Camera Apostolica (1814-1861) modifica

Al termine del periodo napoleonico, già nel 1814 le terre abbaziali tornarono sotto il governo della Camera Apostolica. Nel 1816 il governo dei domini papali fu tuttavia riorganizzato e i territori dell'abbazia confluirono nell'allora creata Delegazione Apostolica di Rieti . Nel 1817 Roccaranieri divenne appodiato (frazione) di Belmonte. Dal 1853 Roccaranieri divenne quindi appodiato[109] (frazione) di Longone insieme ai paesi di Porcigliano e San Silvestro.

Il confine dello Stato Pontificio nei pressi di Roccaranieri nel 1837 modifica
Il paese rimase fino all'annessione della Legazione dell'Umbria al Regno d'Italia, nel 1860, sotto lo Stato Pontificio nella delegazione di Rieti. Il suo territorio segnava il limite, ad est, per un tratto, del confine con il Regno di Napoli. Il confine tra lo Stato pontificio e il Regno di Napoli nel 1837, prima degli accordi del 1840 che segnarono lo spostamento del confine, in quel tratto di frontiera, lungo il corso del fiume Salto e l'apposizione dei cippi di confine nel resto della frontiera, correva, nel territorio tra Grotti e Roccaranieri: dalla mola di Cenciara, alla Selva di San Nicola, alla Cesa di Salvati, ai Casali delle Cerase[110], a Peschiorescino[111] (località ad est di Roccaranieri, sotto l'abitato), alla Roccia di Francia (dall'altra parte del fiume Salto)[112]. È probabile, quindi che il confine coincidesse, fino al 1840, nel territorio di Roccaranieri, dalla località Lu Cerèciu, alla località Peschiorescino, proprio con il sentiero di accesso a Roccaranieri dalla Valle del Salto.
Epidemie di Colera (1837-1855) modifica
Rilevanti, durante il XIX secolo, furono le ripetute epidemie di colera che colpirono più volte l'Europa a cui non sfuggirono nemmeno i centri più isolati.
La seconda pandemia di colera giunse nei territori dello Stato Pontificio nel 1837 e fu causa di una vera e propria epidemia passata alla storia come l'epidemia di colera del 1837. Nei paesi al confine tra Regno di Napoli e lo Stato Pontificio vennero istituite numerose barriere sanitarie. Nei territori dell'abbazia si istituirono, dal 1 gennaio al 31 dicembre 1837, due barriere sanitarie: la Barriera Sanitaria di Longone, Porcigliano, Roccaranieri e San Silvestro e la Barriera Sanitaria di Concerviano, Cenciara, Magnalardo, Pratoianni e Vaccareccia[113].
La terza pandemia di colera coincise poi, nei territori dello Stato Pontificio, con l'epidemia di colera del 1854-1855. Tra il 31 luglio ed il 18 settembre del 1855 a Roccaranieri il morbo fu particolarmente violento: dei 459 abitanti del paese 67 furono colpiti e di questi 35 morirono facendo registrare, in poco più di un mese e mezzo, la mortalità più alta di tutta la delegazione di Rieti (nel paese di Roccaranieri la mortalità fu' del 76‰ contro un 10‰ del Comune di Rieti e un 20‰ dell'intero Stato Pontificio)[114].

Unità d'Italia: Provincia dell'Umbria - Circondario di Rieti (1861-1927) modifica

Dopo l'Unità d'Italia, con l'annessione delle legazioni di Umbria e Marche al Regno d'Italia, il governatorato di Longone si trasformò nel Comune di Longone e Roccaranieri divenne una delle sue tre frazioni entrando nella Provincia dell'Umbria sotto il Circondario di Rieti.

I beni della Chiesa, ovvero a Roccaranieri i beni appartenenti al beneficio della Parrocchia di San Pietro, vennero requisiti dallo Stato che ne passò l'amministrazione al Subeconomato dei Benefici Vacanti di Rieti sotto l'amministrazione diretta di Perugia capoluogo dell'Umbria[115].

Il delitto di San Giovanni del 1884 modifica

Durante la festa di San Giovanni del 24 giugno 1884, il paese di Roccaranieri fu teatro di un delitto[116], un omicidio per accoltellamento. Vincenzo Tolomei di Cenciara venne accoltellato al cuore ed in seguito gettato dai 42 metri dalla rupe dei Casarini da due giovani contadini di Roccaranieri, Francesco Panetti e Luigi Giuliani, in seguito ad una lite per futili motivi (causata, pare, da una partita alla morra). Il Panetti che si ritenne l'autore materiale del delitto, avvenuto alle 21:30, ed il Giuliani, suo complice, vennero assicurati alla giustizia la notte stessa del delitto, dai carabinieri di Rocca Sinibalda, in luogo per lo svolgimento della festa.

Novecento modifica

Il fenomeno dell'emigrazione modifica

Come altri paesi del centro Italia, specie degli Abruzzi, anche Roccaranieri, fu interessata, durante la fine dell'Ottocento e l'inizio del novecento, dal fenomeno dell'emigrazione verso il continente americano, specialmente verso gli Stati Uniti, nel Nord America e il Brasile nel Sudamerica. Dai registri di sbarco ad Ellis Island risulta come molti abitanti di Roccaranieri riferissero come primo domicilio la città di Filadelfia, dove sorse, molto probabilmente, agli inizi del secolo, una piccola comunità di emigrati provenienti dallo stesso paese[117].

Terremoto di Avezzano (1915) modifica

Il 13 gennaio 1915 tutto il territorio del Centro Italia venne funestato dal terremoto della Marsica. Trovandosi a 68,4km dall'epicentro di Avezzano, anche Roccaranieri subì danni del VII grado della scala Mercalli: la scossa, preceduta da un rombo, di tipo ondulatorio, propagandosi da est ad ovest, venne avvertita per 15 secondi causando il crollo di una casa e rendendo inabitabili altre 50 abitazioni delle circa 150 allora nel territorio di Roccaranieri. Il paese riportò i danni più cospicui tra quelli di tutte le frazioni del Comune di Longone Sabino[118]. Ancora nel 1924, nel territorio di Roccaranieri, lo stato italiano elargiva contributi diretti alla ricostruzione e al restauro degli stabili colpiti dal terremoto del 1915[119].

Prima Guerra Mondiale (1915-1918) modifica

Anche Roccaranieri pagò il suo tributo in vite umane durante la prima guerra mondiale. I soldati caduti sono ricordati sul Monumento ai Caduti nella Piazza del Popolo[120][121].

Provincia di Rieti (1927-Presente) modifica

Alla creazione della Provincia di Rieti, sotto il governo fascista, il comune di Longone, e con esso le sue frazioni, passò dalla provincia dell'Umbria a quella di Rieti. Anche a Longone e nelle sue frazioni al sindaco fu, così, sostituito un podestà di nomina regia, uomo di fiducia del PNF, assistito da consultori municipali, nominati dal prefetto [122][123].

I Patti Lateranensi (1929) ed i loro effetti modifica

Con la sigla dei Patti Lateranesi, nel 1929, i beni del beneficio della Parrocchia di San Pietro di Roccaranieri, tornarono sotto l'amministrazione della Diocesi Reatina e quindi della Parrocchia stessa inoltre non era più necessario l'exequatur del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti alle bolle pontificie per la nomina dei sacerdoti[124]. Nel 1932 le "Confraternite riunite di Roccaranieri" tornarono sotto il controllo dell'autorità ecclesiastica[125] e nel 1934, sotto la guida del Vescovo di Rieti Massimo Rinaldi, venne completata la costruzione della nuova Chiesa di San Pietro fuori le mura[126].

Seconda Guerra Mondiale (1940-1945) modifica

I nomi[127] dei soldati di Roccaranieri, deceduti durante la seconda guerra mondiale, sono ricordati, insieme a quelli del primo conflitto, sul Monumento ai Caduti nella Piazza del Popolo.

Eccidio di Roccaranieri (6 giugno 1944) modifica

Il 6 giugno 1944 (lo stesso giorno dello sbarco in Normandia e del bombardamento del borgo di Rieti da parte della RAF) 12[128] civili vennero uccisi da un reparto tedesco della Wermacht in rappresaglia per l'uccisione di un soldato tedesco. I fatti raccolti da Antonio Cipolloni[129], come riportato da Tommaso Rossi, dell'Istituto per la storia dell'Umbria contemporanea[130]:

«Nelle ore mattutine due militari tedeschi, in transito lungo l'allora provinciale “Salto-Cicolano”, blocca tre fratelli, già militari negli Alpini, all'altezza del casale Cattani, lungo il corso del fiume Salto, e cerca di sequestrare la bicicletta di uno di loro, allontanandolo brutalmente con il calcio del fucile. La reazione è immediata perché i tre fratelli considerano i militari tedeschi responsabili di numerosi furti di bestiame e generi vari compiuti in quei giorni in tutta la zona, l'ultimo dei quali la mattina stessa in un casolare vicino al luogo della colluttazione. Uno dei due soldati muore sul colpo, l'altro è gravemente ferito, ma mentre i tre fratelli occultano il cadavere del commilitone riesce a dileguarsi e raggiungere il comando locale. La rappresaglia scatta immediatamente e in maniera scriteriata, colpendo in particolare le frazioni Roccaranieri del comune di Longone Sabino e Villa Grotti del comune di Cittaducale. Chiunque viene incontrato lungo la provinciale viene catturato. Sei uomini sono rinchiusi nel casale Petrangeli, all'imbocco del sentiero che dalla strada principale conduce a Roccaranieri. Giunti nei pressi dell'abitato, i tedeschi colpiscono a morte senza alcuna ragione Mario Novelli, mentre nella piazzetta del paese vengono messi al muro e fucilati quattro anziani che non erano riusciti a fuggire. Sempre in quelle circostanze il giovane studente Bruno Vaccarezza, che conosceva un po' di tedesco, cerca di parlare con il comandante del plotone per spiegare l'innocenza della gente del paese, ma viene ucciso prima che possa aprire bocca. Nel riscendere a valle, il plotone si divide in due tronconi per proseguire le ricerche. Parte si muove verso sud in direzione della provinciale Rieti-Avezzano, parte verso nord in direzione di Cittaducale. Il secondo gruppo si ferma di nuovo nel casolare di Petrangeli, dove fucila i sei ostaggi (due di questi sono Panetti e Miluzzi, di Villa Grotti di Cittaducale). Il pomeriggio si conclude con l'uccisione proprio a Villa Grotti dell'anziano contadino Antonio Gentile e la scampata fucilazione della cinquantina di ostaggi presi e detenuti proprio in questa località.»

Dopoguerra modifica

Molti degli abitanti di Roccaranieri, attratti da nuove prospettive economiche, si trasferirono nei centri urbani del Lazio. Roma raccolse la maggior parte di quanti cercavano nelle città nuove possibilità.

 
Una cartolina in bianco e nero di Roccaranieri negli anni '50.

Dapprima erano i capi famiglia a trasferirsi, provvedendo da lontano, con il loro lavoro in città, al sostentamento della famiglia. Per lungo tempo l'impiego principale degli abitanti di Roccaranieri trasferitisi a Roma fu quello di fuochisti ovvero di operai specializzati nell'accensione delle caldaie prima a carbone e poi a gasolio degli innumerevoli stabili della capitale[131][132].

Grazie ai proventi del lavoro nella capitale, molte famiglie poterono trovare le risorse per ammodernare le vecchie case dentro il paese o costruire delle nuove case fuori dalle mura. Il risultato fu l'ampliamento del paese lungo le vie di accesso verso Rieti e verso Longone Sabino (via dell'Immagine) e il definitivo trasferimento di interi gruppi familiari nella capitale.

I viaggi verso Roma e il vicino capoluogo di Rieti si fecero per gli abitanti del comune di Longone Sabino più frequenti a partire dagli anni '50 tanto da rendere necessaria la costruzione di una strada che collegasse più velocemente Roccaranieri alla valle del Salto e quindi alla città di Rieti. Si cominciò, così, all'inizio degli anni sessanta, la costruzione dei 4,2km della SP30a che dall'abitato di Roccaranieri si innesta sulla SS 578 Salto-Cicolana.

Monumenti e luoghi d'interesse modifica

Architetture Civili modifica

Il centro storico di Roccaranieri modifica

 
La torre di Leonardo vista da Via del Borgo.

Il borgo di Rocca Ranieri sorge su un'altura tra la valle del Turano quella del Salto e conserva ancora l'aspetto del castello. Le sue case svettano, con delle mura imponenti, su una rupe, formando una possente cinta, ben riconoscibile da lontano, intorno al centro del paese dove si trova l'antica chiesa di San Pietro. Il castello del Conte Ranieri, riconoscibile dalla più alta delle torri che sovrasta l'abitato, ne costituisce il limite dell'originale cinta muraria verso sud-est. Al paese si accede dalla Porta di Roccaranieri, sopra la quale è affissa la copia della Lapide di Roccaranieri[133] il cui testo proviene dagli archivi del notaio Giovanni Cesidio di Gavignano ritrovati, alla fine dell'Ottocento, a Calvi dell'Umbria. La porta è ricavata sulla seconda cinta muraria del castello, quella formata da un'ulteriore cinta di case a ridosso dell'originale cinta muraria, dette "il borgo"[134]: queste case erano costruite con l'accesso verso il castello, per ovvi motivi difensivi, lungo la via oggi detta via del Borgo, nota tra gli abitanti del paese come "u' Viculu", percorrendo la quale è possibile ammirare, a monte della stessa via, una delle cinque originali torri della prima cinta muraria, la cosiddetta torre di Leonardo, dal nome di uno degli ultimi proprietari.

Le case più antiche nel centro storico del paese, che si affacciano sulla Valle del Salto, vengono dette "i Casarini", come ricorda il nome della piazza da cui si gode del panorama della valle sottostante e del prospiciente castello di Calcariola, fortezza a difesa del confine settentrionale del regno normanno-svevo prima e angioino-borbone poi. Un'altra piazza offre una vista panoramica verso nord-ovest, in direzione della chiesa di San Giovanni e della valle omonima; tra questa piazza e quella dei Casarini sorge un complesso residenziale, restaurato negli anni novanta del secolo scorso, che propone, a chi accede al paese dalla valle del Salto tramite la SP30a, l'immagine più autentica dell'originaria Rocca del Conte Ranieri di Cunio ossia del Castrum Arcis Rainerii.

Dinanzi alla porta del paese una via scalinata, via Rieti, attraversa le case note col nome de "i Raili", in direzione della chiesa di San Giovanni e della Fonte Vecchia. Sulla via un imponente arco sostiene un passaggio di attraversamento tra due abitazioni.

Sempre davanti alla porta principale del paese, separata da via Rieti tramite un muro in sassi, si trova la Piazza del Popolo, su cui si affaccia il palazzo delle Scuole, così detto perché adibito negli anni sessanta a scuola elementare e più recentemente ad ambulatorio medico e centro per la comunità. Dinanzi al palazzo si trova un palco rialzato in muratura usato nelle cerimonie civili e realizzato durante il recente restauro della piazza. Sulla piazza il monumento ai Caduti delle Guerre e sul muro retrostante la lapide dell'eccidio di Roccaranieri del 6 giugno 1944. Sopra alla piazza il castello del conte Ranieri domina l'area nota tra gli abitanti con il nome di "Callarina".

Ponti sul Fosso della Mola modifica

Due ponti di antica fattura, probabilmente romana, si trovano sul territorio di Roccaranieri. Entrambi facilitano l'attraversamento dello stesso corso d'acqua, il Fosso della Mola di Roccaranieri, in due diversi punti del torrente:

Ponte di San Giovanni modifica

Il primo, detto ponte di San Giovanni, indicato più recentemente come ponte vecchio del cimitero, si trova lungo la strada che dal paese raggiunge la chiesa di San Giovanni. Era attraversato dai cortei funebri allorché si accompagnavano i defunti in processione alla chiesa di San Giovanni Battista per i riti funebri e la tumulazione o da quanti si recavano alla chiesa di San Giovanni nel giorno della Pasquarella.

Ponte della Mola modifica

Il secondo, con arco maggiore, detto ponte della Mola, perché sorge nei pressi del mulino a retracine azionato dalle acque del fosso detto della Mola. Questo secondo ponte si trova sul sentiero che congiungeva il paese di Roccaranieri con la sottostante Valle del Salto in direzione Rieti a poco meno di un chilometro dalla porta del paese. Il Ponte della Mola si trova oggi, ricoperto di edera, completamente immerso nel bosco in un ambiente davvero suggestivo, spesso ritratto nelle foto dagli escursionisti che percorrono il sentiero che porta a Roccaranieri dalla Valle del Salto o da quanti si recano al Fosso della Mola di Roccaranieri per la pratica del canyoning o torrentismo.

Architetture Religiose modifica

Come visto a proposito delle parrocchie del paese, a Roccaranieri ci furono sempre due chiese: quella di San Giovanni Battista fuori le mura, adibita al culto cimiteriale e alla sepoltura dei morti e quella di San Pietro Apostolo dentro le mura.

Chiesa di San Giovanni Battista fuori le mura modifica

  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa di San Giovanni (Roccaranieri).

La chiesa di San Giovanni compare nei documenti altomedievali per la prima volta nel 948[15], prima della fondazione del castello di Roccaranieri, ed era nota all'epoca come San Giovanni in Pretorio. Il primo documento in cui si parli di una Chiesa di San Giovanni di Roccaranieri (lat. S. Ioannes de Rocca Rainerii) è un elenco, fatto dal Vescovo di Rieti nel 1398[135], che documentava le chiese appartenenti, all'epoca, alla giurisdizione ecclesiastica dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore.

L'edificio venne restaurato nel 1519 da un tale Pietro Caprioli[136] come recita l'iscrizione sul portale:

(LA)

«INSTAURATA DEDIT DIVO PROLAPSA IOANNI CAPREOLI PETRUS TEMPLA: COEGIT AMOR»

(IT)

«PIETRO CAPRIOLI OFFRI' A SAN GIOVANNI, DOPO AVERLO RESTAURATO, IL TEMPIO CADUTO IN ROVINA: LA DEVOZIONE LO SPINSE»

La chiesa venne quindi descritta nella visita pastorale del 1681[137] dall'incaricato del cardinale commendatario di San Salvatore Maggiore Carlo Barberini:

«L'edificio era di forma quadrata oblunga, con un altare staccato dal muro e sopra l'altare diverse immagini: quella della Vergine incoronata dal Salvatore, quella di San Giovanni mentre battezza il Salvatore, quella della attività ed, infine, quella della decollazione di San Giovanni. Il pavimento non era mattonato ed i cadaveri degli abitanti del paese venivano seppelliti davanti all'altare mentre quelli dei sacerdoti erano tumulati dietro all'altare.»

Circa la struttura della chiesa, come scrisse Cesare Verani[138] nel 1959:

«Si tratta di un'aula a pianta rettangolare absidata, con tetto a capanna sorretto da travature, quattro nicchioni nelle pareti laterali e semplicissime finestre centinate: a metà dell'aula un arcone a tutto sesto, interrompe le travature posando su cornicette aggettanti, collocate alla sommità di due lesene. L'arco sovrastante l'abside, la conca e il tamburo di questa sono decorati di affreschi.»

Nel dopoguerra l'area cimiteriale della Chiesa di San Giovanni venne adeguata alle leggi vigenti in materia di sepoltura tramite l'edificazione di loculi e la delimitazione tramite mura.

Gli affreschi della Chiesa di S. Giovanni Battista a Roccaranieri modifica

All'interno della chiesa è presente, sulle pareti dell'abside, della conca e del tamburo absidali, una maestosa decorazione. È un ciclo di affreschi probabilmente realizzato nel XVI secolo all'epoca dei restauri dell'edificio del 1519.

Dalla descrizione contenuta nel libro a cura di Claudio Lo Monaco, edito della Regione Lazio, nel 2016[139]:

«Sull'arco absidale è rappresentata un'annunciazione, con le due figure principali sui lati: l'Arcangelo Gabriele sulla sinistra e la Vergine sulla destra.

Sul catino absidale è affrescata l'incoronazione della Vergine tra otto angeli e i Santi Giovanni Evangelista, Rocco e Sebastiano.

Sul tamburo absidale sono dipinte scene della vita del Battista: la nascita, l'imposizione del nome, il battesimo di Cristo, il convito di Erode e la danza di Salomè.

Lo stile delle pitture richiama i dipinti di Filippo Lippi e Giovanni Tamagni. Il tratto saliente dell'anonimo pittore umbro di Roccaranieri è il superamento di alcune rappresentazioni goticheggianti dello stesso Lippi, che distingue nettamente, e in maniera gerarchica, le due figure principali dell'incoronazione della Vergine, come nel duomo di Spoleto. Al contrario il pittore di Roccaranieri sembra avvicinarsi alla iconografia medievale, ripresa anche nel tardo Rinascimento, nella quale il Cristo, o più raramente Dio Onnipotente, e Maria siedono l'uno accanto all'altro, sullo stesso trono e a livello o su livelli abbassati. Proprio il modo di dipingere i volti dei santi e della Vergine rimanda indubbiamente ai pittori dell'Italia Centrale del primo scorcio del XVI secolo.»

Chiesa di San Pietro Apostolo dentro le mura (Chiesa Vecchia) modifica

 
Chiesa di San Pietro dentro le mura. Sconsacrata negli anni trenta è divenuta una cantina (foto anni '80).

La notizia più antica circa la chiesa di San Pietro Apostolo di Roccaranieri è in un documento del 1253 riguardante la controversia tra il Vescovo di Rieti e l'abbate di San Salvatore Maggiore. Durante il processo a Rieti, Don Raniero, parroco di San Giovanni di Pratoianni, testimoniò che a consacrare un altare nella chiesa di San Pietro a Roccaranieri fu Dodone, vescovo di Rieti (1137-1181), pertanto se ne deduce che la chiesa, all'epoca del vescovo Dodone, fosse già esistente[138]. La chiesa venne modificata dopo il 29 dicembre 1576 quando gli abitanti di Roccaranieri, riuniti in consiglio deciso di ampliarla e migliorarla[140]. Dalla descrizione che ne fece il visitatore durante la visita pastorale del 1681[138]:

«L'edificio era di forma quadrata, di una sola nave, con una cappella a parte dell'epistola che conduceva in sagrestia ed un campanile con due campane dal peso rispettivamente di libbre 300 e 200 (ndr. equivalenti, rispettivamente, a circa 100 kg e 65 Kg.). Vi erano cinque altari: l'altare maggiore, in cui era il Santissimo Sacramento con il quadro della purificazione della Madonna, aveva ai lati i quadri degli apostoli Pietro e Paolo; tra l'altare maggiore e il pulpito, che era sormontato da un crocefisso molto antico, vi era il confessionale con sopra la statua della Madonna Santissima di Loreto con il figliolo in braccio; gli altari di San Fabiano e San Sebastiano e, vicino alla porta, quello della Beata Vergine del Rosario e quello di San Francesco e Sant'Antonio. Vi era il fonte battesimale e, sopra il fonte, il dipinto del Redentore con San Giovanni Battista mentre battezza al Giordano

Nel 1754 gli altari di San Fabiano e San Sebastiano si trovano dedicati l'uno alla cappella della S.ma Misericordia e l'altro a Sant'Erasmo[141]. Nel 1844, durante la visita pastorale del Vescovo di Rieti mons. Filippo dei conti di Curioli, si trovavano solo tre dei cinque altari originari: l'altare maggiore con un quadro grande della Presentazione di Gesù e altri due quadri più piccoli dei SS. Apostoli Pietro e Paolo, un altare a destra dedicato a San Giovanni Battista con un quadro del Crocefisso con a sinistra la figura di Sant'Antonio Abate e con una nicchia in cui si conservava la statua del protettore e un altro altare a sinistra dedicato alla Madonna Santissima del Rosario con un quadro della stessa e una nicchia che conteneva la statuina della Vergine[138]. Dopo la costruzione della nuova chiesa di San Pietro Apostolo fuori le mura, avvenuta dopo i patti lateranensi del 1929, l'antica chiesa di San Pietro dentro le mura venne sconsacrata[142] e divenne proprietà privata.

La croce processionale di Roccaranieri modifica

La croce processionale di Roccaranieri è una croce in argento conservata presso la Sala delle Oreficerie del Museo Diocesano di Rieti, presso la Cattedrale di Rieti e originariamente appartenente alla chiesa di San Pietro Apostolo di Roccaranieri ove fu custodita fino agli anni settanta. È una piccola croce che misura 28x29cm,[143] di fattura quattrocentesca in lega metallica ed argento, lavorata a fusione e a cesello su supporto ligneo, con le estremità dei bracci quadrilobate. Al centro è il crocefisso, a tutto rilievo, in argento con dorature[144].

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo fuori le mura (Chiesa Nuova) modifica

Fu inaugurata nel 1934.[126]. È una delle prime costruzioni in cemento armato della zona. La navata è suddivisa da quattro alte colonne che sorreggono un ampio tetto a capriate. La struttura è facilmente riconoscibile da lontano per via della sua imponenza. A completare la chiesa una casa parrocchiale sul retro dell'edificio ed un campanile di poco più alto delle pareti laterali della chiesa. All'interno della chiesa, nell'abside, si conserva il capitello di epoca romana recuperato durante gli scavi per la realizzazione del campo sportivo del paese negli anni ottanta del secolo scorso.

Altre chiese nel territorio di Roccaranieri modifica

Cappella del Castello di Roccaranieri (diruta) modifica

Nelle pertinenze del castello di Roccaranieri, ricoperta da un'edera, è ridotta ad un cumulo di pietre. Vi si riconosce la forma dell'abside.

Chiesa di San Lorenzo dei Cerquiti (diruta) modifica
Citata spesso nei testamenti del 1400 e del 1500 come in località Piano di San Lorenzo (oggi località i San Lorenzi). Nei testamenti è chiamata San Lorenzo de' Cerrito. Forse si trattava di una specie di Santuario o della vecchia chiesa fuori le mura del territorio di Antignano, castello diruto nel territorio di Roccaranieri. Non venne descritta tra le chiese di Roccaranieri nella visita pastorale del 1681, segno che, probabilmente, all'epoca era già stata abbandonata: ne rimaneva solo il nome nell'amministrazione dei beni ad essa associata, il cosiddetto beneficio di San Lorenzo.
Chiesa della Madonna dei Cignali modifica
  Lo stesso argomento in dettaglio: Chiesa della Madonna dei Cignali (Fassinoro).

Pur non trovandosi nel territorio della comunità di Roccaranieri, la chiesa di Santa Maria dei Cignali è da secoli legata al paese di Roccaranieri i cui abitanti vi si recano in processione tutti i lunedì di Pasqua come riporta la visita pastorale del 1681[145]. Gli abitanti di Porcigliano[146] vi si recavano in processione il giorno di San Marco (25 aprile) e il primo giorno delle Rogazioni e quelli di San Silvestro solo il giorno di San Marco.

Edicole ed immagini votive modifica

Edicola della Madonna di Fatima modifica

La cappella o immagine con la statua della Madonna di Fatima si trova all'incrocio tra via dell'Immagine e Via di Fonte Eternina. Già presente nel Catasto gregoriano del 1834, da il nome alla via di accesso al paese da Longone Sabino (Via dell'Immagine). L'attuale forma si deve al restauro operato nel 1947 da Don Elia Cattani. Ai nostri giorni vi si recano le processioni durante la Festa di San Giovanni e della Madonna del Rosario.

Edicola di Sant'Antonio di Padova modifica

Si trova sulla strada di accesso al paese da Longone Sabino, in località Le tre Vie al bivio tra la via d'acceso al paese e il sentiero Le Tre Vie - Fonte Rabelli - Strada de' Le Valli.

Aree Naturali modifica

Fauna e flora selvatica modifica

Esclusi i terreni coltivati in prossimità del paese e delle sue strade d'accesso, il territorio di Roccaranieri si presenta, per la maggior parte, come ricoperto da boschi, specie dove le pendenze sono più accentuate e la lavorazione del terreno risulta più ostica se non addirittura impossibile. La fitta vegetazione boschiva, resa più abbondante negli ultimi decenni a causa dell'abbandono delle campagne, ospita una grande varietà di essenze arboree nonché di specie animali. Non mancano nel sottobosco il pungitopo e il bosso. Notevoli le fioriture dal ciclamino, alle primule, al bucaneve, all'anemone e alle orchidee selvatiche. La presenza di luoghi difficilmente accessibili ha permesso alla fauna di mantenere presenze caratteristiche e altrove decisamente più rare dando la possibilità di imbattersi sul territorio di Roccaranieri in cinghiali, volpi, lepri, caprioli, scoiattoli, ricci, istrici, tassi e faine. Si registra anche la presenza di invertebrati come sauri, biacchi, vipere, rospi nei dintorni delle zone umide e ranocchie nelle fonti. La presenza di gamberi di fiume, una volta abbondanti nei torrenti intorno al paese, è ormai cosa rara. Rimangono invece, nei torrenti, le salamandrine dagli occhiali. Sporadica la presenza del lupo. Si registrano avvistamenti dell'orso marsicano, proveniente dal Parco nazionale d'Abbruzzo, nel contiguo territorio del comune di Concerviano[147]. Popolano i boschi di Roccaranieri anche uccelli di macchia come il picchio verde e il picchio rosso maggiore, la cincia, la civetta, l'allocco e il barbagianni. Presenti anche rapaci quali la poiana, il gheppio, lo sparviero e il nibbio bruno.

La caccia è un'attività tradizionale per gli abitanti di Roccaranieri.

Torrenti modifica

Tra le attrazioni naturali, oltre agli abbondanti boschi ed all'aria particolarmente salubre, tra i corsi d'acqua, nel territorio di Roccaranieri si ricordano:

 
Cascata della Mola, nel Fosso della Mola a monte del Ponte della Mola.
  • Fosso della Mola: è il torrente sotto il paese, con portata perenne, le cui acque muovevano un tempo la Mola di Roccaranieri[148] ovvero il mulino a retrecine, anticamente di proprietà dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, che si trova nei pressi del Ponte della Mola. Le grandi macine in pietra sono ancora visibili nei ruderi dell'edificio a valle del ponte. Valida meta per la pratica del torrentismo[149] per cui gli appassionati, giunti al Ponte della Mola possono calarsi nelle acque del torrente, tra le pareti in marna e conglomerato della forra affrontando con corde, lungo poco più di 500 m di sviluppo, il dislivello di 262 m, con un salto massimo di 27 m[150]. Il torrente Confluisce nel fiume Salto all'altezza del Casale Cattani da cui è possibile raggiungere il paese per via del sentiero La Mola - Il Piano che riporta al Ponte della Mola.
  • Fosso della Fonte dei Colli: alimentato dalla Fonte dei Colli, confluisce nel Fosso della Mola.
  • Fosso di Fonte Eternina (già Fosso Ariano): alimentato dalla Fonte Eternina, confluisce nel fiume Salto.
  • Fosso del Dannato (già Rio di Monte Piombarolo, Piumarolo o Pummarolo):[151] alimentato dalla Fonte Ramauri, confluisce nel fiume Salto.
  • Fosso delle Scendelle (già Fosso Ceca Lupi):[152] confluisce nel Fosso di Fonte.
  • Fosso di Fonte (Rio di Fonte Pasquale o Fosso di Vaccareccia[153] sotto Vaccareccia o Fosso del Diavolo[154] sotto Concerviano): è il Rigu Latu del documento reatino del 948[23]. Alimentato dalle fonti di Vaccareccia è uno dei pochi torrenti della zona, insieme al Fosso della Mola di Roccaranieri, con portata perenne. Confluisce nel fiume Salto.
  • Fosso di San Lorenzo (già fosso di Fonte Sponga):[155] alimentato dalle acque di Fonte Sponga, confluisce nel Fosso di Fonte.

Fonti modifica

Numerosa la presenza di fonti e sorgenti storiche nel territorio del paese, alcune fornite di fontane ed abbeveratoi:

  • la Fonte Vecchia è la principale fonte del paese[156] che per secoli ha rifornito di acqua i suoi abitanti: ricavata su un muraglione ad di sotto delle ultime abitazioni del paese, tramite tre cannule riversa abbondante acqua in una vasca lunga più di cinque metri. La Fonte Vecchia si trova sul sentiero che dal paese raggiunge il Ponte della Mola, a poco meno di 400 metri dalla porta principale del paese. Le donne, preposte nei secoli passati, quando non era presente acqua corrente nelle case, al rifornimento d'acqua, vi si recavano riportando al paese l'acqua servendosi di conche, recipienti in rame dalla forma caratteristica, che usavano appoggiare sul capo per limitare lo sforzo. Le sue acque si disperdono nel Fosso della Mola.
  • Fonte Eternina è un'altra fonte storica: subito fuori dal paese in località detta la Fossa sulla strada che da Roccaranieri portava a Ponte San Martino e da lì a Concerviano o al Santuario della Madonna della Quercia passando per i casali in località detta Piantignano (it. Piani di Antignano). La fonte è provvista di abbeveratoio con cannula ma il bordo della vasca si trova ormai sotto il piano stradale della contigua via di Fonte Eternina. Le sue acque si disperdono nel Fosso di Fonte Eternina già noto come Fosso Ariano.
  • la Fonte dei Colli è forse la più antica tra le fonti nel territorio di Roccaranierii: doveva essere questa la fonte che riforniva d'acqua l'insediamento romano dai cui resti è emersa la fistula acquaria in piombo negli scavi dell'ampliamento del cimitero di Roccaranieri. Nella tradizione degli abitanti del paese alla fonte sono associate virtù salutari. A monte della chiesa di San Giovanni, nella valle dei Vignali che risale verso la locaità le Piana, la fonte si trova in un terreno privato, non è provvista di abbeveratoio o fontana e non è accessibile direttamente dalla strada sterrata che dal cimitero di Roccaranieri porta a Cenciara, frazione del comune di Concerviano. Le sue acque si disperdono nell'omonimo Fosso dei Colli che a valle della chiesa di San Giovanni prende il nome di Fosso della Mola.
  • Fonte Rabelli si trova sul sentiero che dal trivio in località le tre Vie, sulla via di accesso a Roccaranieri verso Longone, conduce alla località le Valli. Non è provvista di vasca o fontanile e non sempre in estate è presente acqua.
  • Fonte Ramauri si trova a valle di Fonte Rabelli. Le sue acque confluiscono nel Fosso del Dannato, già noto come Rio Piombarolo.
  • Fonte Ramerti si trova tra le locailità le Valli e la località i San Lorenzi. Non è provvista di vasca o fontanile. Le sue acque si disperdono nel contiguo Fosso delle Scendelle e da lì nel Fosso del Rio che scaturisce dalle acque sorgenti in Vaccareccia (Fonte Sponga, Fonte del Cardinale, Fonte Vecchia di Vaccareccia).

La rete sentieristica di Roccaranieri modifica

Numerosi nel territorio di Roccaranieri, come nel resto del territorio dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, sono i sentieri che ripercorrono i vecchi sentieri interpoderali già indicati, all'epoca dello Stato Pontificio, sulle mappe del Catasto Gregoriano del 1834[157]. I sentieri, fin dall'epoca del governo abbaziale del territorio, ricoprivano una particolare importanza dal momento che permettevano di collegare tra loro i paesi dell'abbazia oltre che di raggiungere i terreni[158] e si teneva, perciò, in gran conto la manutenzione delle strade pubbliche e vicinali[159]:

Sentiero Bivio SS578 Salto Cicolana - Roccaranieri modifica
 
Un tratto del sentiero dal bivio della S.S.578 Salto-Cicolana a Roccaranieri nel bosco in località "Cereciu".

Nel Catasto Gregoriano del 1834 figura come Via Comunitativa detta della Mola che conduce alle Grotte: collegava Roccaranieri alla valle del Salto. Dalla Porta di Roccaranieri conduce alla Fonte Vecchia quindi al Ponte della Mola dove attraversa il Fosso della Mola e da lì raggiunge i Casali delle Cerase (località Lu Cerèciu) ove, oltrepassando la S.P. 30a che sale a Roccaranieri alle spalle del Casale Petrangeli, prosegue verso la S.S.578 Salto Cicolana di fronte all'edificio già noto come l'Osteria da Rosa in località nota come a' Piedi alla Costa.

Il fondo è per lo più in terra battuta. In alcuni tratti, nel bosco o prima di giungere dalla valle alla fonte del paese, è possibile scorgere tracce di selciato poste in essere nei secoli passati probabilmente per permettere più agevolmente la percorrenza del tracciato anche in inverno. In altri tratti il sentiero presenta delle cordonate in pietra, a modo di gradini, per facilitare i viandanti nell'ascesa.

Lungo alcuni tratti del percorso sono presenti muretti a secco per proteggere il sentiero a monte da smottamenti e sostenerne la sede a valle. In alcuni di questi tratti, quelli più vicini alla fonte, nascosti dalla vegetazione, i muri a monte raggiungono i tre metri di altezza. Per vasti tratti il sentiero è largo all'incirca 2 metri e il percorso è perlopiù lineare; solo in due tratti, per superare due dislivelli, sono presenti una serie di tornanti: a monte delle località detta Le Vignette e alla Grotta di Feliciano presso il bivio per le Fontanelle[160].

Il sentiero è lungo poco più di 3 km con un dislivello di 262m. Il tempo di percorrenza medio è di 40 minuti circa.

Altri Sentieri modifica

Costituiscono il resto della rete sentieristica di Roccaranieri i sentieri interpoderali per lo più già presenti sulla mappa del Catasto Gregoriano del 1834 nel foglio dedicato al territorio di Roccaranieri:

  • Sentiero San Giovanni - Casale Falcetti (già Via Comunitativa detta delli Vignali che conduce a Porcignano): si imbocca dal Ponte di San Giovanni tenendosi alla destra orografica del Fosso della Mola, quindi, oltrepassata la SP30a che sale a Roccaranieri imboccata una strada bianca si volta a destra dopo un centinaio di metri per discendere nell'alveo del torrente proveniente dalla Fonte dei Colli. Superato il guado si continua sul ciglio del colle fino ad arrivare al Casale Falcetti. Da lì si prosegue lungo una fratta per raggiungere la SP30b nei pressi di Fassinoro.
     
    Carta del territorio di Roccaranieri nel Catasto Gregoriano del 1834. Sono segnate le antiche strade interpoderali.
  • Sentiero Case Colli - Le Piana (già Via Comunitativa detta di San Giovanni che conduce a Cenciara): si imbocca sopra il cimitero, in località Case Colli. Si prosegue lungo un vialetto alberato fino ad entrare nel bosco. Il sentiero procede in alcuni tratti in lieve pendenza costeggiando a monte i boschi di Capo le Pietre (loc. Cape Prete) fino ad arrivare al casale in località le Piana.
  • Sentiero La Mola - Il Piano (Casale Cattani): dal Ponte della Mola una diramazione del sentiero verso valle, dopo aver guadato il Fosso della Mola, raggiunge il Casale Cattani nel fondovalle lungo la SS 578, dove il Fosso della Mola si innesta nel fiume Salto.
  • Sentiero La Mola - Peschiorescino - Il Piano (già Via Comunitativa detta di Peschio[111] che conduce a San Martino): dal Ponte della Mola, dopo del ponte svoltare a sinistra e proseguire nel bosco fino ai Casali di Peschiorescino quindi seguire le indicazioni per il piano verso Ponte San Martino.
  • Sentiero La Mola - Castello - Fonte Eternina: dal sentiero per il Ponte della Mola una deviazione a monte di un muraglione a sassi conduce, passando sotto la rupe del paese, attraverso i terreni subito al di sotto della Rocca, località nota come a' Castellu. Si prosegue fino al guado per il Fosso di Fonte Eternina, passato il quale si risale un costone in direzione della fonte per riuscire sulla strada sterrata che da Fonte Eternina porta a Ponte San Martino.
  • Sentiero Fonte Eternina - Casali Piantignano - Ponte San Martino (già Via Comunitativa detta di Fonte Tenina che conduce a Concerviano): dall'edicola della Madonna di Fatima lungo via dell'Immagine una strada asfaltata raggiunge la Fonte Eternina in vocabolo La Fossa quindi prosegue, a fondo sterrato, con la stessa ampiezza, fino al Rio Piombarolo. Di li si riduce a sentiero scendendo a valle, in mezzo al bosco, fino a raggiungere l'abitato di Bivio Concerviano e il Ponte di San Martino. Recentemente segnalato dalla Riserva dei Monti Cervia e Navegna in collaborazione con il comune di Concerviano nell'ambito di un progetto regionale per la realizzazione della Rete delle Ciclovie della Riserva dei Monti Navegna e Cervia[161].
  • Sentiero Casali Piantignano - Madonna della Quercia (Concerviano): dai Casali Piantignano, passando per il bosco, attraverso una serie di stretti tornanti guadagna il fondo valle ove scorre il Rio di Fonte. Da qui risale la collina su cui sorge il paese di Concerviano raggiungendo la chiesa della Madonna della Quercia.
  • Sentiero Le Tre Vie - Fonte Ramauri - Le Valli': dal trivio, sulla salita de' le Tre Vie, all'altezza dell'immagine di Sant'Antonio, in direzione Longone, sulla sinistra, fino a raggiungere il colle. Ridiscende, quindi, per una fratta, al fianco del Casale de' Pulenta fino a raggiungere un avvallamento presso la Fonte Rabelli. Prosegue poi lungo una fila d'alberi, in direzione nord verso la località Valloppio, fino a raggiungere la Strada de' Le Valli.

Società modifica

Evoluzione demografica modifica

La popolazione di Roccaranieri al pari di quella degli altri castelli dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, fino a tutto il 1700, non subì grandi trasformazioni: l'abitato mantenne la struttura originaria e all'incirca lo stesso numero di abitanti e di abitazioni dentro e fuori le mura.

Limitato fino al 1800 era il fenomeno dell'emigrazione o dell'immigrazione: se qualche persona si spostava da un paese all'altro era per questioni matrimoniali. I vincoli di parentela o di comparato era frequenti tra molti degli abitanti del territorio abbaziale.

Sporadico il fenomeno dell'emigrazione verso il Nordamerica agli inizi del novecento. Di ben altra portata l'emigrazione verso i centri urbani, specie verso la Capitale, a partire dal dopoguerra fino agli anni settanta.

Abitanti censiti[176]

Religione modifica

Per secoli sotto i possedimenti dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, la fede religiosa ha impresso un sigillo nella vita e nell'organizzazione sociale della comunità di Roccaranieri. La divisione amministrativa ecclesiastica è stata per secoli parte integrante della vita degli abitanti del paese utile per comprendere la storia e la cultura del borgo così come le realizzazioni dei suoi abitanti e le particolarità del suo territorio.

Le parrocchie di Roccaranieri modifica

A Roccaranieri ci furono sempre due chiese: quella di San Giovanni Battista fuori le mura, adibita prevalentemente al culto cimiteriale e alla sepoltura dei morti e quella di San Pietro Apostolo dentro le mura. Nella chiesa di San Giovanni si celebravano le messe dei defunti e i riti nella solennità della festa del patrono mentre nella chiesa di San Pietro, oltre la messa quotidiana, era consuetudine recitare ogni mercoledì, venerdì, sabato e domenica il rosario; la domenica, dopo la messa, si insegnava ai bambini la dottrina; durante la Quaresima un predicatore[177] venuto da fuori, preparava gli abitanti al mistero pasquale; tutte le famiglie del paese erano benedette in chiesa all'atto del matrimonio e le festività principale erano celebrate tra quelle antiche mura.

Alle due chiese corrispondevano due parrocchie: la parrocchia di San Giovanni Battista e la parrocchia di San Pietro Apostolo. Fino al 1434 le parrocchie venivano assegnate dall'abate ordinario di San Salvatore Maggiore a cui, all'epoca, era attribuito il potere temporale e spirituale.

La parrocchia di San Giovanni modifica

Al titolare della chiesa di San Giovanni Battista spettava il titolo di arciprete ed era associato alla chiesa il beneficio di San Giovanni, di cui facevano parte: Ville dè Rabelli (loc. Fonte Rabelli), Ville dè Venis, Ville di Colle Imperatore. Apparteneva alla parrocchia di San Giovanni anche una cappella situata presso le mura del castello di Roccaranieri che non aveva né cimitero né fonte battesimale[178]. I benefici di San Giovanni e di San Pietro furono riuniti nel 1500 nelle mani di un unico parroco che mantenne il titolo di arciprete di San Giovanni Battista, poi di nuovo divisi nel 1571 e poi infine riuniti nel 1591.

Esisteva anche il beneficio di San Lorenzo e della Venerabile Compagnia della Misericordia: il titolare aveva il compito di insegnare ai bambini del paese.

La parrocchia dei Santi Pietro e Paolo modifica

In seguito allo smembramento delle due abbazie di Farfa e di San Salvatore Maggiore e della costituzione della Diocesi di Poggio Mirteto, le parrocchie di Roccaranieri, di San Silvestro e di Cenciara, con bolla di Gregorio XVI del 24 novembre 1841, furono annesse alla Diocesi di Poggio Mirteto. Con Costituzione Apostolica «In altis Sabinae montibus» del 3 giugno 1925, dette parrocchie passarono alla diocesi di Rieti. Con decreto Vescovile del 1986, le parrocchie di San Leonardo in Fassinoro e di San Silvestro in San Silvestro sono state soppresse ed incorporate nella parrocchia di Roccaranieri.

Tradizioni modifica

Non stupisce che a Roccaranieri, al pari degli altri paesi facenti parte, per quasi dieci secoli, del dominio dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, le tradizioni religiose siano numerose e costituiscano un radicato patrimonio culturale ove i riti cristiani, nei secoli, si erano prima affiancati ed avevano via via sostituito i più antichi riti delle popolazioni sabine legati ai culti della terra.

La festa di San Giovanni Battista (24 Giugno) modifica

È di gran lunga la festa più sentita del paese essendo San Giovanni Battista il Santo Patrono fin dai tempi del governo abbaziale. Durante questa festività gli abitanti di Roccaranieri si recavano in processione dalla chiesa di San Pietro dentro le mura fino a quella di San Giovanni fuori le mura. Le confraternite si occupavano dell'organizzazione della festa.

«San Giovanni Battista è la festa più sentita del paese; da secoli cadente il 24 giugno [è stata rimessa da qualche anno al sabato più vicino]. La commemorazione inizia la vigilia con la processione serale e una solenne funzione del vespro cantato nella chiesa di S. Giovanni Battista al Cimitero, dove in tempi passati si usava spargere il pavimento con fiori di sambuco e foglie di noce. Al mattino lo sparo dei mortaletti da il via ai festeggiamenti che vengono allietati nel prosieguo del giorno dalla locale banda musicale che fa il giro lungo le vie del paese addobbate con festoni di bosso preparati con cura nei giorni precedenti. Alle ore 11 si ripete la processione con la statua del Santo condotta con fatica da una squadra di volenterosi portatori verso il Cimitero dove si celebra una messa solenne allietata da canti di gioia della corale paesana. La ricorrenza si chiude con l'Alzata delle Reliquie ossia con l'ostensione dei reliquiari dei vari santi, seguita dal commento storico del loro martirio e dall'esposizione della reliquia della Santa Croce verso la quale tutti si inginocchiano in devota adorazione. Il rientro della processione avviene lungo l'erta strada mulattiera con notevoli difficoltà per i portatori della macchina del Santo che fanno a gara per espletare tale incombenza in segno di fede e di espiazione.»

La Pasquarella (30 Dicembre, 5 Gennaio) modifica

ll termine "Pasquarella" origina dal nome di "prima pasqua" o "pasqua epifania" con il quale la festività dell'Epifania era comunemente nota tra le popolazioni dell'area sabina. Durante la ricorrenza era usanza che una folla di cantori, un tempo pastori, percorrendo le vie del paese, si fermasse di casa in casa e, a gruppi alterni, intonasse delle strofe annunciando la nascita del Messia prima di accettare qualche dono, in denaro o alimenti, da parte degli abitanti riconoscenti e proseguire oltre.

I riti della Pasquarella si celebrano anche a Roccaranieri come in buona parte della Sabina[179]. In particolare a Roccaranieri la celebrazione della Pasquarella avviene in due date distinte: il 30 dicembre ed il 5 gennaio. In quei giorni tre brani diversi, in dialetto sabino, vengono cantati dai coreuti: un brano il 30 dicembre e due brani, diversi dal precedente, il 5 gennaio. Nelle due occasioni, al calare della sera, i cantori si ritrovano al cimitero del paese, presso l'antica chiesa di San Giovanni per intonare le strofe che poi ripetono proseguendo per le strade del paese fermandosi alla porta di ogni famiglia[180]. Alla sera del 5 gennaio, poi, al termine del percorso, nella piazza principale del paese, vengono distribuite le ciambelle delle anime sante, particolari ciambelle ai semi d'anice.

Le Rogazioni modifica

Tre processioni venivano fatte durante le Rogazioni: la prima all'immagine di San Filippo e Giacomo, la seconda all'immagine della Madonna della Cerqua (ndr. La Madonna della Quercia di Concerviano), la terza alla chiesa di San Giovanni Battista[3].

«Le Rogazioni erano manifestazioni collettive pagane, entrate prepotentemente nel mondo cristiano, durante le quali il parroco impartiva la benedizione alle messi, ai frutti e a tutte le coltivazioni, cantando in latino una serie di litanie fra cui "Ut fructus terrae dare et conservare digneris!", alle quali il popolo rispondeva sempre in latino col ritornello "Te rogamus audi nos!".»

Riti della Settimana Santa modifica

  • Domenica delle Palme (Benedizione Ulivo)
  • Sepolcri (Giovedì Santo)
  • Processione del Cristo Morto (venerdì Santo)

«La ricorrenza di questo giorno della vita del Signore, manifesta qui un contenuto devozionale molto sentito dalla gente, per la grande drammacità evocativa che emana la statua dell'Addolorata che tiene in braccio il Cristo morto, trasportata da uomini vestiti in segno di lutto con camici neri e seguita da un corteo di fedeli portanti candele e fiaccole accese.»

  • Benedizione del Fuoco (sabato Santo)
  • Lunedì di Pasqua (Pellegrinaggio alla Madonna dei Cignali)
 
Messa del lunedì dell'Angelo alla Madonna dei Cignali.

La processione più lunga[181] era quella che di faceva il lunedì di Pasqua quando si arrivava addirittura alla chiesa di Santa Maria dei Cignali di Porcignano[182].

«Fino a qualche anno fa da epoca immemorabile, ogni lunedì di Pasqua anche la popolazione andava in pellegrinaggio presso la chiesetta della Madonna dei Cinghiali che nell'Alto Medioevo era una grancia intorno alla quale col tempo si coauglò l'antico paese di Licingianum ogi scomparso. Per tradizione e solo per questo giorno il parroco pro-tempore di Roccaranieri diventa titolare del santuario, ricevendo nella circostanza per il suo sostentamento la copiosa decima riscossa in elemosine durante la festa e tale diritto è rimasto fino ai nostri giorni condizionato però dall'obbligo che alla cerimonia sacra partecipi ovviamente il popolo roccheciano. La suddetta ricorrenza [....] si svolgeva secondo i canoni di un tipico pellegrinaggio medievale. Accompagnati dal suono festoso delle campane si partiva alle nove del mattino da Roccaranieri in processione, aperta da un vessillo bianco portante ricamata una grossa M su una banda e un agnello coricato sull'altra, il tutto sorretto per tradizione di famiglia sempre dalla stessa persona, rivestita di tunica bianca con cordone ai fianchi e copri spalle rosso e da due bambini in camice bianco aventi il compito di reggere il fiocchi del vessillo. Di seguito veniva il Crocifisso grande e a due lampioni sorretti da altrettante persone ricoperte anch'esse da camici bianchi, cui seguiva la processione con gli stendardi della Madonna sorretti, ognuno, da donne che incedevano in gruppi di tre alla volta, cantando litanie e inni sacri, intercalati ogni tanto dal suono della banda musicale del paese. All'altezza del cimitero, dopo una breve orazione per i defunti, la processione veniva sciolta per ricomporsi presso la cosiddetta casa di Camillo e arrivare cosi uniti dinanzi alla vecchia chiesa di Fassinoro, dove il corteo si univa a quello locale che era in attesa per procedere processionalmente insieme fino al Santuario della Madonna dei Cinghiali. Celebrata quivi una solenne messa, tutta la gente si stendeva accomunata sui prati circostanti a consumare la colazione, offrendosi reciprocamente, ognuno le focacce, i dolci e le vivande all'altro in segno di pacifica convivenza. Terminata per cosi dire l'agape fraterna, si ricomponeva la processione e mentre quelli di Fassinoro tornavano nella loro chiesa, i roccheciani procedevano spediti alla volta del casale Falcetti, dove venivano accolti dal suono festoso delle campane che li accompagnavano fino alla piazza del paese.»

Corpus Domini modifica

Una processione particolare era quella del Corpus Domini che si snodava dentro le vie del paese.

«Tutto il paese sembra un roseto; ogni strada e piazza è piena di fiori; dalle finestre pendono le coperte più belle di ogni famiglia, stese per onorare il passaggio del Cristo presente nell'Ostia consacrata, trasportata con l'ostensorio dal sacerdote protetto da un baldacchino sorretto da quattro uomini.»

Ascensione modifica

«La sera precedente l'Ascensione vengono tuttora accesi in segno di giubilio decine di fuochi che scoppiettanti illuminano la notte, innalzando al cielo lunghe lingue di fuoco simboleggianti l'Ascensione del Cristo Risorto.»

I defunti modifica

La prima messa del giorno dei defunti, il 2 novembre, viene celebrata nella chiesa di San Giovanni Battista alle cinque del mattino. Durante la messa viene intonato dai fedeli il Dies Irae di Tommaso da Celano.

Altre feste ricorrenti modifica

  • Madonna del Rosario (2 Settembre)
  • Sant'Antonio Abate (17 Gennaio)

Manifestazioni religiose sopravvissute modifica

Di tutte le tradizioni religiose, ai tempi odierni, sopravvivono solo alcune manifestazioni:

  • La Pasquarella, 30 di Dicembre e 5 di Gennaio.
  • Messa alla Madonna dei Cignali, lunedì di Pasqua
  • Festa di San Giovanni Battista, 24 giugno
  • Festa della Madonna del Rosario, terza domenica di Settembre.
  • Celebrazione dei defunti, 2 novembre

Folklore modifica

La leggenda del brigante Feliciano modifica

Essendo a lungo stata terra di confine, non stupisce che nel territorio di Roccaranieri si conservino storie di briganti. Uno in particolare, il brigante Feliciano, è ricordato nelle storie che i nonni di Roccaranieri raccontano ai propri nipoti.

 
Escursionisti visitano il paese, maggio 2023.

Si narra che il Brigante Feliciano Testa vivesse con la sua banda nei dintorni di Roccaranieri, ai danni dei viandanti che attraversavano il confine tra il Regno di Napoli e lo Stato Pontificio, sfuggendo ai gendarmi dell'uno e dell'altro stato. Una sera di pioggia, all'imbrunire, il brigante si imbatté nella carrozza di una gran dama che era rimasta invischiata nel fango. Il brigante, forse meravigliato dai modi cortesi della dama, le prestò soccorso per permetterle di riprendere il viaggio senza chiedere al malcapitato, come era solito, un pegno in denaro in cambio della propria vita. La dama[183] fu riconoscente del servizio prestato tanto da fare lei dono al brigante di una chioccia con dodici pulcini d'oro[184].

Il Brigante, tornato a notte fonda al covo della sua banda che si trovava nei pressi dell'abitato di Roccaranieri, dovette affrontare il problema di dovere assicurare un nascondiglio al prezioso tesoro. Non fidandosi, tra quelli della sua banda, neanche del suo più fedele compagno che si occupava per lui di ogni faccenda, cercò un espediente per essere sicuro di non essere seguito: chiese al suo bravo di rimanere nel covo, continuando a pestare nel mortaio la polvere da sparo, cosicché lui potesse udire il tonfo del pestello nel mortaio e procedere a nascondere il tesoro. Feliciano minacciò il suo compagno che, se avesse udito interrompersi anche per un solo istante, mentre era via, il rumore del mortaio, una volta rientrato, lo avrebbe ucciso. Il compagno, che conosceva la ferocia del suo capo e non intendeva assolutamente metterne in dubbio la parola, obbedì ciecamente, continuando per tutto il tempo a pestare la polvere da sparo e, non avendo modo di vedere, dal covo, dove si fosse recato il brigante, poiché era notte fonda, non seppe mai, al pari degli altri della banda, dove fosse stato nascosto il tesoro.

La leggenda narra che il tesoro del brigante Feliciano sia nascosto nei pressi della Grotta di Feliciano, lungo il sentiero che da Roccaranieri scende alla valle del Salto, nei terreni conosciuti come le Fontanelle, il luogo probabilmente più lontano, tra quelli sotto la Rocca, dove era possibile udire i rumori del pestare di un mortaio provenienti dal covo dei malviventi.

Musica modifica

La banda musicale di Roccaranieri modifica

Particolare rilevanza, nel corso del secolo scorso, a cavallo della seconda guerra mondiale, assunse la "Banda musicale di Roccaranieri" che svolgeva i proprie servizi, durante le feste patronali, nei paesi dei territori dell'abbazia ed oltre, nel territorio del Cicolano. Tra i suoi direttori restano nella memoria del paese e dei suoi abitanti il Maestro Corradino Longhi (28.10.1908-04.08.1959), clarinettista, e, più recentemente, il Maestro Guerrino Novelli (18.10.1931-11.6.2014), trombettista, i quali hanno contribuito a diffondere la cultura musicale nelle famiglie del paese.

Cucina modifica

I vertuti modifica

Il primo maggio, in coincidenza con l'antica occorrenza del Calendimaggio, ovvero con l'arrivo della primavera, anche a Roccaranieri come nel resto della Sabina, le famiglie sono solite consumare una zuppa di antichissima origine Sabina, detta la zuppa di vertuti, realizzata con ingredienti della dispensa invernale quali legumi (ceci o fagioli) e cereali (orzo o farro) e verdure o erbe di campo novelle (i fogliolitti ovvero gli stridoli), il tutto condito con del semplice olio d'oliva a crudo.

Economia modifica

 
Fiori di zafferano di Roccaranieri.

Il territorio di Roccaranieri, dai tempi antichi e fino ai tempi più moderni[185], si è prestato ad un'economia di tipo agricolo-pastorale essendo presenti su di esso, come ricordava il documento farfense del 783 "... terris, vineis, silvis, pascuils..." (it terre, vigne, boschi, pascoli) . Agli abitanti sono stati assicurati la sussistenza ed una parca tranquillità economica dai prodotti coltivati sul suo territorio: cereali, granturco, castagne, frutta e ortaggi. Particolare rilevanza aveva anche l'allevamento bovino ed equino oltre a quello, più marginale, degli ovini[186].

Agricoltura modifica

Al giorno d'oggi nuove colture si sono affacciate sul territorio come quella dello zafferano reso ormai una realtà da una piccola azienda locale. La tradizionale coltura della vite, così comune in passato tra gli abitanti del villaggio, è ormai marginale, quasi scomparsa. Rimangono solo alcune vigne ed il sapere ormai più che millenario di chi custodisce i segreti della coltivazione della vite e del processo di vinificazione[187].

L' allevamento bovino rappresenta ancora oggi una risorsa importante per le aziende che lo praticano.

Industria modifica

L'abbondanza di boschi, soprattutto di querce e castagne, costituisce una ricchezza per il territorio e l'industria di lavorazione del legname è la sola presente sul territorio della frazione.

Servizi modifica

Nel paese sono presenti un ufficio postale[188] e una farmacia, gli unici presenti nel territorio del comune di Longone Sabino. È anche presente un bar, ritrovo per gli abitanti del paese di Roccaranieri e delle frazioni vicine.


Infrastrutture e trasporti modifica

 
Il bus Cotral della Linea Rieti-Longone Sabino alla fermata nell'abitato di Roccaranieri.

Strade modifica

Il paese si trova sulla SP30a che collega Roccaranieri alla strada statale 578 Salto Cicolana. Quest'ultima è un'arteria a scorrimento veloce collegante Rieti con l'autostrada A24 che si estende, nel suo primo tratto, lungo la valle del fiume Salto: gli svincoli più vicini all'abitato di Roccaranieri sono quelli di "Roccaranieri-Grotti" (3,5km) e "Concerviano-Roccaranieri" (5,5km).

Ferrovia modifica

La stazione ferroviaria più vicina è quella di Cittaducale, sulla linea Terni-Rieti-L'Aquila-Sulmona nell'attigua Valle del Velino al di la del Colle Ponzano su cui sorge l'abitato di Calcariola, frazione del comune di Cittaducale.

Mobilità modifica

Il paese è servito da una corsa del Cotral Rieti - Longone Sabino[189] che collega Roccaranieri a Rieti[190], durante la settimana, domenica esclusa, due volte al giorno: un passaggio del bus la mattina e uno nel primo pomeriggio.

Dal maggio 2023 anche nel territorio del comune di Longone Sabino è attivo, come in altri comuni dell'altopiano reatino, un servizio sperimentale di autobus a chiamata denominato Chiamabus ed operato sempre dal Cotral.

In ambito culturale modifica

Roccaranieri, insieme ad altri paesi dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, fa da sfondo al giallo storico L'enigma dell'Abbazia di Luciano Tribiani ambientato nel XIII secolo[191].

Note modifica

  1. ^ a b Antonius Hercules, Giorni di Feste Particolari dei Castelli dell'Abbazia di S.Salvator Maggiore, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 481.
  2. ^ a b Leggio (1990), Banzola
  3. ^ a b Maglioni.
  4. ^ Leggio (2022).
  5. ^ Rinvenuta il 20/07/1998, nello scavo per la realizzazione di due tombe familiari, la fistula ha dimensioni: lunghezza 70cm, diametro 11cm, spessore 5mm (dati forniti da Luigi Tomassetti). La condotta, dunque, rientra nella categoria delle tubazioni di medio calibro, probabilmente vicenaria o tricenaria, secondo la suddivisione fatta da Frontino nel De aquaeductu urbis Romae, con una portata tra i 7 e gli 11 l/s (Pace, pag.86-87). Catalogata nel 2010 come CIL IX, 08676a.
  6. ^ Nel 2000 la fistula, recante l'iscrizione descritta originariamente dall'Holstenius, venne riportata come scomparsa dalla professoressa Maria Carla Spadoni.
  7. ^ Maria Carla Spadoni, Aggiornamenti al CIL, in Supplementa Italica, vol. 18, Quasar, 2000, p. 84.
  8. ^ L'umanista Lukas Holste (alias Holstenius), nel Codice Dresdensis del 1649, al foglio 90, riporta una fistula, insieme ad altre, come provenienti da Reate e recante l'iscrizione:

    «M(arcus) Marius Crescentianus»

  9. ^ Rodolfo Lanciani, Silloge Epigrafica Acquaria, Roma, 1880, p. 270.
  10. ^ Theodor Mommsen, Volume IX. Inscriptiones Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabinorum, Piceni Latinae (PDF), in Corpus Inscriptionum Latinarum, 1883, p. 806.
  11. ^ Eagle Database, CIL IX,6354, su edr-edr.it.
  12. ^ La Spadoni, nell'articolo del 2000 in nota precedente, cita Marcus Marius Crescentianus come esempio di gentilizio Marius attestato a Rieti ritenendo che Marcus Marius Crescentianus fosse un plumbarius ovvero il produttore della fistula e non il proprietario della villa ove la fistula era stata trovata.
  13. ^ Maria Carla Spadoni Cerroni e Anna Maria Reggiani, Reate , 1992. pag.74, Giardini, 1992, p. 74.
  14. ^ L'Archivio del Capitolo di Rieti (nelle citazioni ACR) e il Regesto Farfense (nelle citazioni RF).
  15. ^ a b ACR, IV L 2 (ACR, arm.IV, fasc.L, n.2)
  16. ^ Michele Michaeli, Memorie storiche di Rieti, Vol. II, 1898, p. 115, Nota IV.
  17. ^ Il documento in pergamena è stato pubblicato in fotografia con il n.48 a p. 85 su “Gli Archivi unificati della Curia Vescovile di Rieti fonte di Storia” di Giovanni Maceroni e Anna Maria Tassi, Editrice Massimo Rinaldi, 1996.
  18. ^ Actum in civitate reatina, anno 948 pridie kal. Aug. Regnante Lothario, anno regni eius XIV
  19. ^ ''...forse il (ndr.Tachiprando) comandante degli armati reatini che cacciarono i saraceni dalla Sabina nell’anno 918...'' (Chisari)
  20. ^ Pietro Nelli, Roma Salaria Falacrine, Roma, Lulu.com, 2009, pp. 64-67.
    «[Ndr. Il Tachiprando menzionato nel documento ACR IV L 2 del 948 è con buona probabilità lo stesso dell'iscrizione nella chiesa di San Silvestro di Cittareale]:

    L'iscrizione commemora la riconsacrazione dell'edificio sacro, ricostruito ad opera di Takebrandus (it. Tachiprando) il giorno 5 dicembre 924 dopo la vastationem saracinorum (ndr. la devastazione ad opera dei saraceni), al tempo del vescovo di Rieti Tofi e dal Re Rodolfo II di Borgogna (chiamato in Italia dai grandi feudatari italiani nel 921 ribellatisi a Berengario e nominato re d'Italia nel 923).

    POST VASTATIONEM SARACINORVM EGO TAKEBRANDVS PECCATOR RENOVARE ET CONSECRARE ROGAVI CVM SINTARI ET PETRO PRBRI TEMPORIBVS DOMINO IOANHI PAPE ET TOFI EP[ISCOP]O CIVITATE REATINE ET RODVLFO REGI AB INCARNACIONEM DOMINI NOSTRI IHV XPI ANNO NVASENTESIMO VICESIMO QVARTO QVINTA DIE MS DECEBER PER INDICTIO TERTIODECIMO PETRVS EPS CONDIDIT LEO ARCHIPRBT REATINA

    (it. Dopo la devastazione dei saraceni io Tachiprando peccatore chiesi di restaurare e di consacrare con Sintari (ndt. forse Sintaro avo di Gisone figlio di Campone di Rieti?) e Pietro al tempo di papa Giovanni X e del vescovo di Rieti Tofi e di Rodolfo re per incarnazione di Dio nostro nell'anno novecentoventesimoquarto, quinto giorno di dicembre, indizione tredicesima. Pietro vescovo ricostruì [essendo] Leone arcipresbitero della Chiesa di Rieti).»
  21. ^ AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.
    « Plagia, pl. Plage : La documentazione del toponimo si presenta in origine come Pladia (sec. IX, Massia 1925, 14), poi Plagia (a. 1182, BSSS XXXVII, 85, 80), Pleia (a. 1167, BSSS XXXVII, 41, 41). Possiamo ancora aggiungere Playa (a. 1041, BSSS XXVI, 323, 172), Plena (a. 1162, BSSS XXXVI, 28, 38), Pleya (a. 1212, BSSS XXVI, 2, 100). L’etimo è evidentemente la voce tardo-latina plagia (Cortelazzo-Zolli, s.v.), dal valore di ‘pendio dolce, costa’, adatto alla posizione dell’insediamento. Per la diffusione toponimica ricordiamo Piaggia, frazione di Briga Alta, in provincia di Cuneo. A. r.»
  22. ^ ACR, IV K 4 (ACR, arm.IV, fasc.K, n.4). Il documento contiene il contratto di enfiteusi tra Giovanni, vescovo di Rieti, e i chierici Giovanni, Benedetto e Stefano relativo a terreni prossimi ai terreni del documento del 948 in particolare la chiesa di San Giovanni Battista nel luogo detto Pretorio nelle Plage nel territorio reatino.
  23. ^ a b L'atto del 948 (ACR, IV L 2) prosegue: "C’è un casale con i suoi beni e le sue pertinenze ed è posto sulla via delle Plage che conduce al monastero di S. Salvatore e confina con il Rio Lungo (lat. Rigu Latu, letteralmente Rio Ampio ndr. Rio di Fonte Pasquale il torrente più lungo tra quelli dei territori dell'interflumine Salto-Turano), il fiume chiamato Salto, le terre e le selve del Monastero di San Salvatore che io Aldo posseggo in prestito dallo stesso monastero."
  24. ^ Il toponimo Plage è citato nei documenti farfensi, per la prima volta, in un documento del 766. Da allora ricorre ripetutamente nei documenti farfensi e in un documento papale del 1157 ne vengono forniti i limiti che permettendo di identificarlo con l'interflumine tra il Salto ed il Turano e di accertare che il Pretorium in territorio reatino fosse effettivamente, tra tutti i toponimi Pretorium presenti nella Sabina (vedi ad esempio Pretorium vicino ad Amiterno), quello nei cui pressi si trovava la Chiesa di San Giovanni di Roccaranieri.
  25. ^ a b ".... in un documento del 1157, riscoperto dal cardinale Ildelfonso Schuster, si registra che il conte Lamberto di Favenza (ndr. Faenza, dei Conti di Cunio) aveva fatto concordia con i monaci di Farfa a proposito del castello delle Plaie (è il Castello delle Plage che era toccato in feudo ai Conti di Cunio) che aveva i seguenti confini “da cima i castelli di Magnalardo e Cenciara, da un lato il fiume Velino, dall’altro la chiesa di S.Angelo nel borgo di Rieti e infine il fiume Turano” ." (Maglioni, pag.10)
  26. ^ (LA) Codice Vaticano 8474, foglio 45 - verso, in Regesto Farfense, 1125.
  27. ^ Gregorio da Catino, Il Regesto di Farfa, a cura di Ugo Balzani e Ignazio Giorgi, Vol. II, Roma, 1914, p. 116, R.151.
  28. ^ Nel documento Ildebrando, duca di Spoleto, dona al monastero di Farfa i casali Sibiano e Suciliano (potrebbe trattarsi della proprietà che diede poi luogo al toponimo lat. Licinianus, Licingianum, Licignanum, it. Licignano da cui Li Cingnali nei pressi di Fassinoro ove si trova la chiesa della Madonna dei Cignali) nel Fondo del Pretorio nel territorio reatino (lat. Massa Pretorii in territorio reatino).
  29. ^ AA.VV., Dizionario di Toponomastica: Storia e Significato dei Nomi Geografici Italiani, Milano, Garzanti, 1990, p. 383.
    « Massa: Dal latino massa ‘massa, ammasso’, come termine gromatico ‘tenuta’, nell’alto Medioevo massa e la denominazione che viene data ai grandi possedimenti, un insieme di fondi o poderi coltivati da coloni e servi, affidato ad un conductor o actionarius , che per lo più intorno al sec. X finiscono per trasformarsi in feudi quando il casale che ne e il centro viene fortificato e diventa sede di un signore feudale. Altre masse si smembrano, in parti assegnate a lavoratori-soldati per la difesa, dalla seconda meta del sec. VIII, sotto la minaccia di assalti dei Longobardi. Da massa derivano toponimi che interessano specialmente Veneto, Emilia Romagna, Toscana ed Umbria (LUI XIII, 158; Doria 1981, 186). Per quanto riguarda la Toscana, Pieri 1919, 317 osserva che pur essendo generale l’accezione agraria di massa, il termine potrebbe talvolta rappresentare un plurale di masso. c. M.»
  30. ^ Nel documento dell'Archivio del Capitolo di Rieti del 948 il vescovo di Rieti, di nome Anastasio è chiaramente di origine romana, mentre Aldo, figlio di Tachiprando è di chiara ascendenza longobarda.
  31. ^ Schuster, Pag.405.
  32. ^ È probabile che prima che i territori delle Plage, a seguito di lasciti testamentari, passassero nella disponibilità delle abbazie, alcuni di questi, specie quelli nei pressi delle pievi, fossero già di pertinenza del Capitolo di Rieti, come dimostrano i documenti del 948 e, più in particolare quello del 982, nell'archivio del Capitolo di Rieti nel caso della chiesa di San Giovanni di Roccaranieri. Discorso analogo per la pieve di Sant'Agata nei pressi di quello che più tardi divenne il Castrum Plagiarum ovvero il borgo di Guardiola (vedi Chisari).
  33. ^ Schuster, pag.395-396.
  34. ^ I territori sottoposti alle abbazie imperiali erano sotto la protezione diretta dell'imperator e per questo nullius dioecesis (it. di nessuna diocesi) ovvero, nel caso dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore, non sottoposti alla diocesi reatina.
  35. ^ Pierre Toubert, Les structures du Latium médieval. Le Latium meridional et la Sabine, du IX siècle à la fin du XII siècle, Roma, Bibliothèque des Écoles françaises d'Athènes et de Rome, 1973.
  36. ^ De Meo, Tecniche Costruttive Medioevali, La Sabina, L'Erma di Bretschneider, p. 22.
  37. ^ Nella Rocca era presente una sorgente, attinta tramite un pozzo scavato al di sotto della chiesa di San Pietro, come da testimonianza della signora Gianna Camilli in Cattani, nipote del sacerdote don Ugo Clementi, parroco di Roccaranieri nel periodo 1921-1943.
  38. ^ Maglioni, pag. 8.
  39. ^ L'abbazia di San Salvatore Maggiore, sul monte Letenano, poco distante da Roccaranieri, sorse probabilmente sulle rovine della villa romana di Sesto Tadio Nepote. La villa doveva trovarsi nei pressi della via Cecilia, strada romana che, diramandosi dalla via Salaria nei pressi di Trebula Mutuesca, attraversava la regione dell'interflumine Salto-Turano per raggiungere Amiternum. Il territorio di Roccaranieri/Massa Pretorii doveva essere attraversato da una viabilità minore di collegamento tra la sottostante Valle del Salto e l'altopiano delle Plage. Il sentiero che congiunge Roccaranieri al sottostante bivio sull'odierna S.S.578 Salto-Cicolana potrebbe essere ciò che resta di un antico iter di epoca romana.
  40. ^ La prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) è in una lettera di papa Gregorio IX del 1239 conservata a Roma (Maglioni). Prima della scoperta del documento del 1239 la prima menzione del toponimo Rocca Ranieri (lat. Rocca Raynerj) era ritenuta quella contenuta nel Documento Parigino (folio 25v, nell'angolo in basso a destra), un documento del 1252 che ci è pervenuto non nell’originale, ma in copia, eseguita in epoca posteriore e oggi conservato a Parigi nella Biblioteca nazionale di Francia al Département des manuscrits come Latin 1556 (B.N.Lat.1556). Si tratta degli Statuta Synodalia Reatina, documento riguardante l'insieme delle regole e comportamenti da osservarsi nel governo spirituale e temporale della Chiesa nella diocesi di Rieti (i titoli dei capitoli ne forniscono degli esempi: de immunitate ecclesiae, de poena sacerdotum qui conducunt ecclesias sine licentia episcopi, de bona mobilia et immobilia ecclesiae non alienatur, de tonsura clericorum, de sacramento confirmationis, si musca vel aracna vel aliquid cecident in calice, de revocatione beneficiorum, de forma absolvendi usurarios in confessione, de poena ponentium ignem, de procurantibus abortum, de mulieribus non manentibus cum viris). Al termine del testo delle disposizioni statutarie, al foglio 18, si trova il Liber censuum ecclesiae Reatinae disposto per volontà di Thomas (vescovo reatino dal 1252 al 1265): "Nos Thomas permissione divina reatinus episcopus volentes scire[...]omnes ecclesias[...]duximus adnotandas infra diocesem reatinam", iniziando con le parole: "hec est summa omnium ecclesiarum tam civitatis quam diocesis reatine et censualium et illarum que respondent et ecclesie reatine". Grazie a Roberto Tupone di Villerose di Borgorose che ne richiese una fotocopia, la Biblioteca nazionale di Francia, nel 2017, ha colto l'occasione per digitalizzare il documento ed inserirlo nella Biblioteca digitalizzata Gallica rendendolo consultabile gratuitamente insieme alla scheda sul manoscritto. Secondo la scheda presente in Gallica, il manoscritto B.N.Lat.1556 sarebbe stato precedentemente catalogato come Mazarin 1022 ovvero come facente parte della biblioteca personale del Cardinale Mazzarino: il manoscritto potrebbe essere giunto a Parigi al seguito di Gabriel Naudé, bibliotecario del cardinale Francesco dei conti Guidi di Bagno, vescovo di Rieti tra il 1635 e il 1639, il quale affidò al Naudé l’incarico di riordinare l’Archivio Capitolare di Rieti. Naudè fu quindi al seguito di Ranuccio Farnese e poi del Cardinale Rischelieu e quindi del suo successore, il Cardinale Mazzarino per il quale formò una copiosa biblioteca passata poi al parlamento francese e quindi alla Biblioteca nazionale di Francia (cfr. Ileana Tozzi su Frontiera, 2019).
  41. ^ a b c Che un insediamento già esistesse all'epoca del Barbarossa è lasciato supporre da un documento del 1253 riguardante la controversia tra il Vescovo di Rieti e l'abbate di San Salvatore Maggiore. Durante il processo a Rieti, Don Raniero, parroco di San Giovanni di Pratoianni, testimoniò che a consacrare un altare nella chiesa di San Pietro a Roccaranieri fu Dodone, vescovo di Rieti (1137-1153, 1137-1181 secondo il Tedeschi) pertanto se ne deduce che la chiesa di San Pietro a Roccaranieri, e quindi il nucleo abitato stesso, all'epoca, fosse già esistente (Maglioni, pag.45).
  42. ^ Mauro de Meo, Tecniche costruttive murarie medievali, la Sabina, L'Erma di Bretschneider, 2006, p. 263.
  43. ^ a b Paolo Maglioni, Storie inedite di castelli antichi, Rieti, Arti Grafiche Nobili Sud, 1995, p. 9.
    «Nella visita pastorale dell'11 ottobre 1844, il vescovo di Rieti Mons. Filippo dei conti di Curoli, informatosi degli usi, costumi ed origini del paese da poco entrato nella sua diocesi (ndr. dopo la soppressione della Diocesi dell'abbazia di San Salvatore Maggiore), così scrisse: "Roccaranieri prende il nome dal cognome del conte Ranieri di Ravenna che abbandonata la patria era venuto in questo luogo e facendo fabbricare il castello con la profusione delle sue ricchezze aveva dato l'origine e nome al paese". »
  44. ^ Benucci, pag.114.
  45. ^ Il notaio Giovanni Cesidio da Gavignano fu al seguito del commissario pontificio Lorenzo de' Cerroni che il 27 luglio 1486 emanò una sentenza sulla lite sorta tra il comune di Roccaranieri e quello di Concerviano intorno alla proprietà dei territori di Antignano, paese ormai diruto tra Concerviano e Roccaranieri, i cui territori erano, all'epoca, già stati incorporati da Roccaranieri.
  46. ^ È per questo motivi che i conti di Cunio vengono alcune volte indicati nei documenti come "Faentini" (de' Faventia) mentre altre volte sono indicati come "Ravennati".
  47. ^ Non stupisce che Dante, avendo trascorso gli ultimi anni della sua vita in Romagna ed essendo morto a Ravenna, conoscesse nei dettagli la cornice romagnola delle lotte tra impero e papato di cui i Conti di Cunio erano stati tra i protagonisti.
  48. ^ La terzina loda l'estinzione della stirpe dei Malvicini di Bagnacavallo, mentre biasima i conti di Castrocaro e di Cunio che si danno pena di perpetuare la propria stirpe.
  49. ^ Nel campo ghibellino fin dai tempi del Barbarossa, alle cui fortune si legarono, i Conti di Cunio raggiunsero l'apice dei rapporti con la corona sveva durante il regno di Federico II nel XIII secolo: nei documenti dell'epoca, tra gli altri con lo stesso nome, un conte Ranieri si distingue tra i conti di Cunio per aver sposato Maria di Donegallia, ultima erede di una nobile casata dai territori contigui a quelli di Cunio, cioè quella dei conti di Donegallia, ed è per questo indicato a volte come Ranieri conte di Donegallia. È questi il Ranieri di Cunio presente al celebre assedio di Faenza «civitas munitissima, immo singularis in Romaniola» che si risolse il 14 aprile del 1241, dopo otto mesi, a favore dell'imperatore Federico II, quando, grazie alle trattative intessute proprio da Ranieri di Cunio, la città si consegnò all'imperatore. Federico II era riuscito finalmente a piegare Faenza, il rivale forse più tenace, dopo Bologna e Milano, fra tutti quelli, appartenenti allo schieramento guelfo, con cui si era confrontato fino a quel momento. Federico II dimostrò la propria gratitudine al Conte Ranieri rilasciando, il 1 maggio 1241, un diploma al conte di Cunio pro gratis ejus servitiis con il quale confermò al conte Ranieri comitatum Cuniensem et jurisdictionem, così come l’investitura di alcuni luoghi che già da tempo risultavano sotto il controllo dei Cunio: Barbiano, Massa Zagonara, Basino, Casali, Granarolo, Mazapede, Rovere, Ancona, Vizolo, Strambaccio, Seraglio e Gineclo (Pallotti).
  50. ^ Il fatto che questa famiglia possedesse terre in Romagna e in Sabina non è troppo curioso in considerazione del fatto che, fin dal tempo dei bizantini, i territori dell'esarcato di Ravenna erano gli unici possedimenti collegati direttamente al ducato romano. Le terre in questa fascia di territorio avevano costituito, quindi, per lungo tempo, due parti, benché distanti, dello stesso dominio.
  51. ^ Il Benucci, nel proseguo del testo sull'archivio del notaio Giovanni Cesidio di Gavignano, ci conferma la presenza in Sabina, proprio a Gavignano, nel 1251, dei possedimenti di un conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia ovvero lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 (vedi nota precedente): [.....]Ora, se questo imperatore fu, come ci sembra ragionevole, Federico II, che, venuto a Rieti nel luglio del 1241 «[ eam] sibi resi stentem invenit» (ndr. la trovò resistente), e tosto si affrettò, chiamato dal cardinal Giovanni Colonna, a Roma, questo conte Ranieri è lo stesso dei Doc. I e LXXVI dello Sperandio (ndr. Antonio Sperandio, storioco del XVIII secolo). Quest'ultimo (ndr. documento LXXVI dello Sperandio) noi abbiamo riveduto sull'originale, che si conserva nell'archivio comunale di Calvi (ndr. Calvi dell'Umbria). È un verbale della Cerna di Calvi del 10 ottobre 1496, nella quale è fatta menzione d'un antico istromento (ndr. atto), dove il conte Ranieri del fu Ranieri colla moglie Maria de Domnigallia ed i figli Lamberto, Nicola, Bailardino, Adalberto, Lodovico e Guidone recessero alla chiesa di Sabina i castelli di Altaino e Striano che da antico loro appartenevano. Non vi si fa menzione, è vero, dell'anno, ma che non si sia lontani dall'epoca da noi supposta, ci conferma questo passo del Doc. I dello Sperandio che si riferisce alle vendite di ghianda fatte dagli antichi vicedomini di Sabina: «Et anno 1251 illustri comiti d.[ominus] Raynerio et illustri comitissae dominae Mariae de Domnigallia coniugibus pro eorum vaxallis de Gabiniano, ut habetur ex Rofrido de Faida scriniario Episcopien.»
  52. ^ ''Nel 1762 a Roma, nella curia di Monte Citorio, ci fu un giudizio, "actores" del quale furono certi Ignazio e Nicolò Serafini che pretendevano dimostrarsi discendenti dei conti di Cunio in Sabina e di esserne eredi legittimi dei possedimenti. I possessori di quei beni furono da costoro convocati in tribunale come "rei conventi", si trattava di enti pubblici o di persone nobili più potenti dei Serafini; il giudizio allora si concluse a favore dei "rei convinti", mentre i Serafini, furono condannati come falsari ed impostori; i documenti da loro prodotti in giudizio come probanti furono giudicati falsi o interpolati dal perito del tribunale Pier Luigi Galletti abate e monaco cassinese; si concluse che il tutto era stato una pura invenzione dei Serafini come pure l'aver preteso di portare in Sabina i conti di Cunio! '' (Banzola, pag.329)
  53. ^ Comune di Poggio Catino sul sito del SIUSA (Sistema Informativo Unificato per le Sovraintendenze Archivistiche) dl MiBAC, su siusa.archivi.beniculturali.it.
    «[......]La prima menzione del nuovo borgo compare in documenti farfensi del 1093. Nella prima metà del XII sec. il castello di Catino e il suo Poggio si costituirono in un libero comune; in seguito, forse per sedare una rivolta, il pontefice inviò Teobaldo, della famiglia dei Sant'Eustachio, e lo insignì del titolo di barone affidandogli il feudo. Tornato nel 1477 alla Camera apostolica, l'anno dopo il castello fu venduto da Sisto IV al Comune di Rieti, il quale a sua volta lo cedette, nel 1479, al mercante genovese Meliaduce Cicala; nel 1483 Poggio Catino fu acquistato dagli Orsini, che ne rimasero in possesso sino al 1588, allorchè il feudo fu venduto ai Savelli. Venne loro confiscato nel 1592, a causa di una pesante situazione debitoria, e nel 1594 Papa Clemente VIII ne autorizzò la vendita al nobile romano Mario Capizucchi per il quale, due anni dopo, il Papa elevò il feudo a marchesato. Il dominio dei Capizucchi durò sino al 1614, allorchè il possedimento fu acquistato dal comasco Settimio Olgiati [.....]»
  54. ^ Angelo Fumagalli, Delle istituzioni diplomatiche, II, 1802, pp. 422-423.
  55. ^ "Alcuni decenni dopo, nel 1790, l'arciprete della cattedrale di Sabina certo Francesco Paolo Sperandio pubblicò un libro storico-celebrativo sulla Sabina con dedica all'allora card. vescovo di Sabina Andrea Corsini; l'autore vi raccolse un notevole numero di documenti storici fra i quali diversi riguardanti i conti di Cunio. Attualmente però la quasi totalità di questi documenti non risulta reperibile nei testi originali e molti di essi dai contenuti poco chiari e storicamente poco probabili lasciano supporre siano interpolati o falsi; da certe affermazioni dello stesso Sperandio, sembra potersi trattare, almeno in parte, di quelle fonti antecedentemente utilizzate dai Serafini e da loro falsificate o interpolate; a tale proposito non si sa se lo Sperandio fu ingenuo nell'accogliere tali documenti, oppure se colluse coi Serafini."(Banzola, pag.329)
  56. ^ Banzola, pag.331
  57. ^ Maglioni, pag.10.
  58. ^ a b Una lettera del papa Anastasio IV del 4 maggio 1157: cita il conte Lamberto di Faenza ed i suoi figl,i tra cui un Ranieri, feudatario di Farfa per i castelli di Tribuco e Bocchignano. Con tale atto il pontefice decretò l'unione del territorio del castello di Tribuco a quello del castello di Bocchignano, precisando però che tale decisione aveva incontrato l'opposizione del conte Lamberto di Cunio e dei suoi figli, Ranieri, Gebeardo, Unrocco e Gerardo (Leggio (1990), Banzola, Maglioni, pag.10). Dalla genealogia dei Conti di Cunio redatta da Banzola sembra che questi accolga la tesi che Lamberto di Faenza fosse sposato con Rengalda, sorella dell'imperatore Barbarossa. Il Pallotti, successivamente, rigetta invece questa ipotesi ritenendo addirittura che la figura di Rengalda non sia affatto provata storicamente.
  59. ^ Federico Barbarossa salì al trono dopo il Concordato di Worms (1122) che sancì la fine della lotta per le investiture segnando il predominio del papato sull'impero.
  60. ^ Chisari identifica il Castrum Plagiarum con il castello di Guardiola nel territorio delle Plage affacciato sulla Valle del Turano, ricordando come: "Tersilio Leggio noto storico e valoroso studioso del territorio reatino, vi aveva posto l’accento in occasione di un accurato saggio dal titolo ''I conti di Cunio e la Sabina. Un problema tra storiografia e storia'' pubblicato su “Studi Romagnoli” n.41 del 1990'', dove in ogni caso oscilla tra questa località e la località di Castelvecchio, forse influenzato dal nome del toponimo". A sostegno, secondo Chisari, dell'identificazione della Guardiola come il Castrum Plagiarum, l'esistenza, nel castello, della chiesa di Sant'Agata: "La presenza fin dall’VIII secolo, della chiesa di S. Agata e di un insediamento, tale a giustificare la pieve, la parrocchia, certo di carattere rurale ma in ogni caso di dimensioni non trascurabili, rende credibile l’apprestamento di una fortificazione". Chisari cita: "la scheda n. R1060 pubblicata nella "Carta dei Luoghi di Culto della Diocesi di Rieti" a cura dello Sperandio, vol. I della Regione Lazio, dove si legge della "Pieve di S.Agata" ubicata nel vocabolo "Plaia" nel toponimo di Sala, citata in una bolla di papa Anastasio IV del 1153. Lo stesso luogo di culto è chiamato "S.Agata in Plagiae" nel 1182 in una bolla di papa Lucio II, è denominato "ecclesia S.Agacte" in un documento del 1381 conservato nell’Archivio di Stato di Rieti (vol.VII c.26 v) e in un altro del 1408 (vol.XX c.60 r, ) è chiamata "ecclesia de Plagis S.Agata" nel 1398. La chiesa è inserita nella mappa n.10 dell’Archivio di Stato di Rieti sez.VIII Sala e Guardiola del 1820 ed è citata anche dallo studioso prof. Vincenzo Di Flavio nel suo lavoro “Il Registro delle Chiese della Diocesi di Rieti del 1398 nelle Memorie del vescovo Saverio Marini” 1989 scheda n.489. La scheda n.R1 060 [del libro di Di Flavio] riporta che la chiesa di S. Agata apparteneva sin dall’origine alla diocesi di Rieti. Questa informazione dovrebbe significare che quando la cappella fu costruita quella terra era nel dominio di Rieti e del suo vescovo." Continua Chisari su Guardiola: "Questo edificio (ndr. Il castello di Guardiola) fu modificato e ristrutturato dopo il 1300 per opera di un “magistrum Jacobum lombardum de Varesio muratorem” esperto di opere fortificatorie (Leggio, Le fortificazioni a Rieti, p. 80). Le feritoie verticali, con in basso la parte circolare per il passaggio della canna dell’arma da fuoco, tipiche per l’uso di archibugi, esistenti sulle torri manifestano i restauri successivi all’introduzione delle armi da fuoco, quando l’uso di queste attrezzature divenne sufficientemente diffuso nella zona e testimonia un lungo uso della struttura, almeno dal XII secolo al XV secolo. Le altre fortificazioni della zona, Roccaranieri, Magnalardo, Belvedere, non mostrano feritoie per gli archibugi."
  61. ^ Leggio (1990), Maglioni, pag.10, Pallotti.
  62. ^ a b Leggio (1990).
  63. ^ a b Pallotti.
  64. ^ In quegli anni l'imperatore Barbarossa si trovava dover affrontare la minaccia che proveniva dalla straordinaria avanzata dei normanni che, giunti nel meridione d'Italia all'inizio dell'XI secolo, già fra il 1053 ed il 1080 avevano occupato la Marca Fermana che comprendeva parte delle odierne regioni delle Marche meridionali e dell'Abruzzo settentrionale e si erano spinti ai confini con lo Stato della Chiesa finché, agli ordini dei figli di re Ruggero II di Sicilia, con azione rapida quanto incontrastata, nell'estate del 1144, conquistarono la Marsica, l'Amiternino e tutto il territorio fino a Rieti che venne assediata e poi distrutta nel 1149.
  65. ^ Carlo Tedeschi, Le iscrizioni di Dodone, vescovo di Rieti, 2014.
    «Dopo la distruzione ad opera dei Normanni del 1149, il Vescovo di Rieti, Dodone (1137-1181), si diede alla ricostruzione della città e delle chiese nella diocesi. Dodone, prima di essere eletto alla carica episcopale fu arcidiacono Ecclesiae Reatinae, come suggerisce la sua sottoscrizione ad un documento del 1133, mentre non è provata la sua appartenenza all’ordine cistercense, pure insistentemente ribadita nella storiografia locale. La sua giurisdizione episcopale, al pari di quella dei suoi predecessori e successori, si estendeva su un vasto territorio dell’Appennino centrale, che dal Reatino giungeva fino alla piana dell’Aquila, dal momento che la diocesi di Amiternum fu soppressa ed accorpata a quella reatina probabilmente già nella seconda metà dell’XI secolo. Un territorio, dunque, vasto, ma soprattutto di cruciale importanza dal punto di vista strategico, in un secolo che vide l’annessione dell’Abruzzo al Regno di Sicilia (1140) e i continui tentativi dei maggiori protagonisti della scena politica italiana — il Papato, l’Impero, i Normanni — di attrarre la Marsica e la Sabina entro la propria sfera di influenza. Conseguenza diretta di tale situazione fu l’assedio subito da Rieti da parte dell’esercito normanno e la devastazione della città con cui si concluse nel 1149. Stretto tra Normanni, Papato e Impero, costretto ad operare in un’area ancora segnata dall’ingombrante - seppure ormai declinante - presenza monastica, Dodone seppe guadagnarsi un ruolo centrale, rafforzando quanto più possibile il suo controllo, attraverso un'abile politica di alleanze variabili.»
  66. ^ Con l'abate Adenolfo (1125) si sancì ufficialmente la totale sudditanza di Farfa al papato.
  67. ^ A beneficiare delle concessioni di Federico I, oltre alle Abbazie di Farfa e San Salvatore Maggiore, fu il vescovo di Rieti, Dodone (vedi Tedeschi), probabile parente dei Conti di Cunio, per via di donazioni di territori faentini alla diocesi reatina difficilmente spiegabili se non da legami di parentela a personaggi dell'area romagnola come appunto i Conti di Cunio. Il vescovo Dodone fu destinatario, nel dicembre 1177, quando Federico I si trovava ad Assisi e Perugia, di un diploma con cui l'imperatore prendeva sotto la propria protezione l'intera diocesi reatina. Tutto a dimostrazione di un disegno dell'imperatore di attrarre nella propria orbita tutti i territori di confine dello Stato della Chiesa strappandoli alla parte guelfa in cui Rieti era entrata, sottoponendosi alla protezione papale, dopo essere diventata libero comune nel 1171.
  68. ^ L'odierna Guardiola secondo Chisari.
  69. ^ ACR, Arm.V Fasc.F, 3, (15 dicembre 1185).
  70. ^ "I motivi a sostegno della diversità dell’area sono da rilevare nella differente tipologia degli atti giuridici, infatti, il primo documento è un patto di concordia mentre il secondo è un contratto di enfiteusi. Questo è un contratto che si stipula tra il proprietario della terra e un altro soggetto che s’impegna a coltivarla e a migliorarla, inoltre i confini dell’area del primo documento fanno riferimento a Magnalardo e Cenciara mentre i confini del secondo citano Porcigliano (oggi Fassinoro) e, com’è evidente dalla topografia, la nuova concessione andrebbe ad includere la zona dove oggi e localizzata Roccaranieri. Inoltre l’atto di concordia è stipulato con l'abate di Farfa, mentre il contratto di enfiteusi è stipulato con l'abate di S.Salvatore, infine nel primo documento si parla di un “castello delle Plaie” e nel secondo si contratta per una "terra delle Plaie"'." (Chisari)
  71. ^ Da notare che l'atto del 1185, steso il 15 dicembre, segue il matrimonio tra Enrico VI, figlio del Barbarossa e Costanza d'Altavilla, celebrato per procura a Rieti il 23 agosto 1185 (celebrato di nuovo, in presenza dello sposo, a Milano, il 27 gennaio 1186).
  72. ^ Maglioni, pag.12.
  73. ^ Paolo Desanctis, Notizie storiche sopra il tempio cattedrale, il capitolo, la serie dei vescovi, ed i vetusti monasteri di Rieti, 1887, p. 77.
  74. ^ a b Banzola.
  75. ^ Conte Ranieri di Cunio figlio di Hostia od Hostica e fratello di Guido.
  76. ^ Riccardo Pallotti, Pubblici poteri e signorie di castello nella Romagna nord-occidentale (Secoli XI - XIII) - Cap. 7.3 - I conti di Cunio. (Pag.206-221), in Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medioevale, Università di Bologna, Bologna, 2014.
  77. ^ Riccardo Pallotti, Un diploma di Federico II per i conti di Bagnacavallo. Armi, politica e poteri signorili tra Romagna e Patrimonium, in Studi Romagnoli, LXV, Cesena, Stilgraf, 2014.
    «Tersilio Leggio ha sostenuto che Federico I avesse inserito i conti di Cunio nel suo programma di strategia politico-militare volto a tutelare posizioni di potere e giurisdizioni dell’Impero nella penisola italica; nel caso della Sabina si trattava di conservare al potere imperiale un’area minacciata dalle mire espansionistiche del vicino regno normanno così come dalle rivendicazioni territoriali del Papato. Mauro Banzola ha sostenuto che il conte Ranieri di Cunio, presumibilmente lo stesso menzionato in un rogito ravennate del 1166, sia entrato in contatto con Federico I l’anno seguente. Ranieri, assieme ad altri nobili di Romagna vicini al conte Guido Guerra, potrebbe essersi unito alla spedizione che lo Svevo stava intraprendendo contro il Papato e il regno di Sicilia; una volta giunti in Sabina, questi aristocratici avrebbero ottenuto, per volontà del sovrano, beni e territori collegati, almeno in parte, al patrimonio farfense; in tale contesto il conte Ranieri avrebbe fondato Roccaranieri. Il confronto tra diverse fonti documentarie, in particolare atti di compravendita e documentali papali, rende comunque plausibile l’ipotesi di un trasferimento permanente di alcuni membri del gruppo parentale e alla nascita di un autonomo ramo “sabino” della famiglia comitale di Cunio in un momento precedente, già attorno alla metà del XII secolo. Resta comunque l’attestazione del forte legame della famiglia dei Cunio con la Casa di Svevia.»
  78. ^ Maglioni, pag.6-12.
  79. ^ Prosegue il Benucci: Ora se questo imperatore fu, come ci sembra ragionevole, Federico II, che, venuto a Rieti nel luglio del 1241 «[eam] sibi resi stentem invenit», e tosto si affrettò, chiamato dal cardinal Giovanni Colonna, a Roma, questo conte Ranieri è lo stesso dei Doc. I e LXXVI dello Sperandio. Quest'ultimo noi abbiamo riveduto sull'originale, che si conserva nell'archivio comunale di Calvi. È un verbale della Cerna di Calvi del 10 ottobre 1496, nella quale è fatta menzione d'un antico istromento, dove il conte Ranieri del fu Ranieri colla moglie Maria de Domnigallia ed i figli Lamberto, Nicola, Bailardino, Adalberto, Lodovico e Guidone recessero alla chiesa di Sabina i castelli di Altaino e Striano che da antico loro appartenevano. Non vi si fa menzione è vero dell'anno, ma che non si sia lontani dall'epoca da noi supposta, ci conferma questo passo del Doc. I dello Sperandio che si riferisce alle vendite di ghianda fatte dagli antichi vicedomini di Sabina: «Et anno 1251 illustri comiti d. Raynerio et illustri comitissae dominae Mariae de Domnigallia coniugibus pro eorum vaxallis de Gabiniano, ut habetur ex Rofrido de Faida scriniario Episcopien.» Il conte Ranieri, inequivocabilmente il Ranieri sposo di Maria di Donegallia, è lo stesso dell'assedio di Faenza del 1241 citato dal Pallotti.
  80. ^ Dopo il matrimonio tra i suoi genitori, Enrico VI e Costanza d'Altavilla a Rieti nel 1185 che aveva posto le basi per l'unione della corona di Sicilia con quella di imperatore e quindi dei rispettivi domini.
  81. ^ Insieme, nello stesso periodo, ad Anagni, Ferentino, Segni e Viterbo.
  82. ^ San Francesco fu ripetutamente a Rieti tra il 1223 e il 1226.
  83. ^ L'evento è raffigurato in un affresco in una sala del Museo Civico di Rieti. nel Palazzo Comunale della città (Federico II ricevuto da Gregorio IX). L'affresco, eseguito tra il 1644 e il 1655, scoperto sotto lo scialbo nel 1960 durante la sistemazione del museo, è stato assegnato da L. Mortari a Vincenzo Manenti (Cfr. L. Mortari, Museo Civico di Rieti, Roma 1960, n. 25, p. 27, tav. 30; Di Flavio, Artisti del '600 a Rieti in Lunario Romano, Rieti 1981, p. 297).
  84. ^ Muratori, Bollettino Umbro di Storia Patria, p. 115.
  85. ^ Memore dell'assedio di Federico II del 1241, il Comune di Rieti, si prodigò per la costruzione di una nuova cinta muraria (1252-1320) usando, per i materiali da costruzione, cave di breccia site nel territorio delle Plage fino ad allora nei domini dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, approfittando della lontananza del papa, protettore dell'abbazia, durante la cattività avignonese. L’esilio avignonese e lo scisma d’Occidente portarono al declino della Sabina che, nei secoli successivi, fu teatro di scontro e posta in palio delle contese tra famiglie baronali romane come gli Orsini, i Colonna e i Savelli, tutte detentrici, in Sabina di terre e di castelli ancora oggi visitabili, come il castello Orsini a Nerola o il castello Savelli a Palombara Sabina.
  86. ^ Francesco Palmegiani, L'antichissimo Palazzo Vescovile di Rieti, in Terra Sabina, Vol. II, Roma, 1923.
  87. ^ Robert Brentano, A New World in a Small Place - Church and Religion in the Diocese of Rieti, 1188-1378, Berkley, University of California Press, 1994.
  88. ^ Maglioni, pag.13.
  89. ^ Secondo la ricostruzione di Chisari, sotto il Barbarossa, nel 1157 i Conti di Cunio avevano già ottenuto il Castrum Plagiarum dall'Abbazia di Farfa, quindi nel 1185 ottennero un'altra porzione delle Plage, compreso il territorio di Roccaranieri, sotto Enrico VI, figlio del Barbarossa, dall'Abbazia di San Salvatore Maggiore.
  90. ^ Certo, c'è da notare come, nella ricostruzione di Maglioni, il membro di una famiglia così fedele alla casata Sveva, fin dai tempi del Barbarossa, passasse dallo schieramento ghibellino a quello guelfo quando proprio nello stesso anno degli eventi descritti a San Salvatore Maggiore da Maglioni, 1241, un Raniero, lo sposo di Maria di Donegallia, si era reso protagonista nel campo guelfo nell'assedio di Faenza, lo stesso che nel 1251 era signore di Gavignano.
  91. ^ Nel 1317 l'abbazia di San Salvatore Maggiore siglò una pace con i conti di Cunio circa gli eventi degli anni 1282-1309 nei territori abbaziali (Maglioni, pag.26). Nel 1794, nella causa intentata, di nuovo, contro Concerviano per i diritti di pascipascolo nel territorio del castello diruto di Antignano, il consiglio di Roccaranieri si riunì a Roccaranieri nell'aula consiliare e fu indirizzato dal conte di Cunio, intervenuto di persona, ad una copia dell'antica sentenza del giudice Lorenzo de' Cerroni che si trovava nell'archivio di Bocchignano (ndr. Quella del 1486 trascritta dal notaio Giovanni Cesidio da Gavignano e ritrovata poi a Calvi dell'Umbria dal Benucci nel 1896) (Maglioni, pag.23): si trattava però del Serafini che si riteneva ancora l'erede legittimo dei Conti di Cunio nonostante la sentenza del 1762.
  92. ^ Barbiano faceva parte dei possedimenti garantiti da Federico II nel 1241 al conte Ranieri di Cunio (Pallotti).
  93. ^ "Alberico da Barbiano ebbe a svolgere il suo apprezzato lavoro al servizio della Regina Giovanna di Napoli anche a Rieti, nei primi giorni dell’agosto 1380, ma poi si accontentò, forse in ricordo dei suoi legami con la città, di un riscatto di soli 150 scudi per abbandonare la zona. In seguito ebbe l’incarico di comandante generale dello Stato Pontificio e dopo passò al servizio degli Sforza di Milano e dove si imparentò con quella famiglia e con quella dei Belgioioso. Le vicende familiari e patrimoniali di questa nobile stirpe è stata oggetto di accurate ricerche non sempre coronate da successo, considerata la prolificità e le conseguenti ramificazioni delle parentele."(Chisari)
  94. ^ Da Chisari: "Il Castrum Plagiarum (lat. integrum tenimentum castri Plagiarum), affacciato sulla valle del Turano, di proprietà dell'Abbazia di Farfa, in locazione perpetua ad Alberico da Barbiano, erede dei conti di Cunio, venne da questi e dal figlio del defunto conte Nicolò, della famiglia di Cunio, ceduto con un contratto (rogato il 20 febbraio 1347 dal notaio Amico di Calisto di Bocchignano) ai reatini Luca Canali e Nicolò Alfani. Già nel 1344 Alberico da Barbiano aveva ceduto agli Alfani il palazzo di San Giorgio che i Cunio possedevano a Rieti presso la chiesa di San Giorgio: fu infatti concesso a Teodino, Pietro e Carlo, fratelli di Cecco Alfani (Andrea Di Nicola, Gli Alfani di Rieti, 1993, p. 47). La circostanza che fino al 1347 il castello di Guardiola fu gestito dalla famiglia di Cunio, il cui potente rappresentante, Alberico da Barbiano, capitano della Compagnia di San Giorgio, la celebre compagnia di ventura che in quel periodo mise tutta l’Italia a ferro e fuoco, non è di poco conto."
  95. ^ Antonius Hercules, Oppida, Castra et Villae sub iurisdictione Abbatiae S.Salvator Maioris, in Synodus dioecesana insignium abbatiarum S. Mariae Farfensis et S. Salvatoris Maioris Ord. S. Benedicti, Roma, Tipografia Barberini, 1686, p. 1069.
  96. ^ Paolo Maglioni, che insieme a Luigi Tomassetti riuscì nell'impresa di recuperare, a Calvi dell'Umbria, l'atto del notaio Giovanni Cesidio da Gavignano, a quasi un secolo di distanza dal Benucci, riporta per intero la sentenza (Maglioni, pag.21-22).
  97. ^ È interessante notare come, seppure il castello di Antignano fosse ormai diruto nel XIII secolo, come ricordato dalla lapide di Roccaranieri, nel 1385 il suo nome figurava ancora, durante il governo dell'abate di San Salvatore Maggiore Ludovico di Lippo Mareri, tra i Castelli dell'abbazia che erano ancora: Mirandella, Vallecupola, Poggio Vittiano, Guaita, Rocca Vittiana, Longone, Pratoianni, Baccarecce, Antignano, San Silvestro, Rocca Ranieri, Porcigliano, Cenciara, Offeio, Capradosso, San Martino e Verano. Nel 1506, poi, il nome di Antignano era ancora nel portale di San Salvatore Maggiore ordinato da Giulio II della Rovere e scolpito dar Ser Luca da Vallecupola, raffigurato però tra le formelle delle ultime due file, quelle riservate ai castelli ormai diruti di cui l'abbazia, però, conservava la titolarità sui territori.
  98. ^ Il consiglio di Roccaranieri, riunito il 10 Ottobre del 1743, decise di tassarsi a seconda del numero di capi di bestiame posseduti da ogni famiglia per trovare il denaro per sostenere una nuova causa (Maglioni, pag.23).
  99. ^ Si trattava, in realtà, di quel Serafini, già condannato come falsario nel 1762 a Roma nella causa Serfini-Olgiati, che, trent'anni dopo, si andava ancora spacciando come erede dei Conti di Cunio.
  100. ^ Alcuni abitanti tra i più abbienti di Roccaranieri furono costretti a vendere alcuni terreni per ricavare i 100 scudi necessari a pagare il notaio per ritracciare la sentenza del 1486 (Maglioni, pag.23).
  101. ^ Maglioni, pag.23.
  102. ^ Maglioni, pag.40.
  103. ^ È probabile che gli abitanti di Concerviano, informati dell'identità del Serafini il quale, nel 1794, aveva indicato l'ubicazione agli abitanti di Roccaranieri del documento recante la sentenza del 1486, visti i trascorsi del Serafini come falsario, abbiano avanzato un ricorso supponendo false le carte prodotte dagli abitanti di Roccaranieri proprio su indicazione del Serafini. Pare ormai, invece, assodata l'assoluta autenticità del documento del 1486 con il quale il Serafini, vista la sua familiarità con i documenti notarili, poteva essere venuto in contatto durante le sue estensive ricerche sui Conti di Cunio negli archivi della Sabina.
  104. ^ (EN) Shlomo Simonsohn, The Apostolic See and the Jews. Documents: 1539–1545, in The Apostolic See and the Jews. Complete set of 8 volumes, Vol.5, Toronto, Pontifical Institute of Mediaeval Studies, 1988-1991, doc. 2226, ISBN 978-0-88844-419-6.
  105. ^ Consulta straordinaria negli Stati romani (a cura di), Bollettino delle leggi e decreti imperiali pubblicati dalla Consulta straordinaria negli Stati romani. Con l'indice cronologico e delle materie, Volume 2, Luigi Perego Salvioni Stampatore, 1809, p. 509.
  106. ^ Attilio La Padula, Roma e la regione nell'epoca napoleonica Contributo alla storia urbanistica della città e del territorio, Roma, Istituto editoriale pubblicazioni internazionali, 1970, p. 217.
  107. ^ Il fante Sante Giangiuli, di Francesco Giangiuli, nato a Roccaranieri (Cantone di Monteleone), il 2 aprile 1791, coscritto a 20 anni nel 1811, assegnato il 27 gennaio 1812 nel 25º reggimento di fanteria di linea (25e régiment d'infanterie de ligne, ai comandi del colonnello Martin François Dunesme, veterano delle campagne napoleoniche), inquadrato nel 5º battaglione, 3ª compagnia del reggimento con la matricola 11365, partecipò alla Campagna di Russia del 1812 (iniziata tra il 23 ed il 25 giugno 1812 con l'attraversamento del fiume Niemen) dove, presumibilmente, trovò la morte (i registri dell'esercito francese riportano la dicitura "Presumée prisonier in Russie en 1812"). È lecito supporre che non fosse tra le vittime della battaglia di Borodino del 7 settembre 2012 ma che, dopo la presa di Mosca, fosse, piuttosto, tra quanti non fecero ritorno lungo il cammino della ritirata (iniziata il 19 ottobre 1812 e conclusa formalmente il 14 dicembre 1812 col passaggio del Maresciallo Ney sul fiume Niemen). cfr. ( Henri Charles-Lavauzzelles (a cura di), Historique du 25e régiment de ligne, 2e édition, Paris, Henri Charles-Lavauzzelles éditeur militaire, 1905, pp. 84-91.)
  108. ^ J. Martinet, Annuario Politico, Statistico, Topografico e Commerciale del Dipartimento di Roma per l'anno 1813 compilato per ordine del Baron de Tournon Prefetto del Dipartimento, Viterbo, Stamperia dell'Accademia degli Ardenti, 1812.
  109. ^ Adone Palmieri, Descrizione topografica di Roma e Comarca. Loro monumenti, commercio, industria, agricoltura, istituti di pubblica beneficenza, santuarii, acque potabili e minerali, popolazione, uomini illustri nelle scienze, lettere ed arti, con molte altre nozioni utili ad ogni ceto di persone. Parte prima: Roma., Volume I, Roma, 1864, pp. 115-116.
    «[.....]Rocca Ranieri:

    Una mola a grano di Novelli, sali e tabacchi, macello, vino, muratore, sarti è quanto presenta questo piccolo paese appodiato di Longone. La Parrocchiale ristretta Chiesa senza organo è dedicata a S. Pietro, ed ha sotto 459 anime, riunite in 81 famiglie entro 78 case: ma 78 degli indicati individui soggiornano nella campagna. L'aria di Rocca Ranieri è eccellente, ed ubertoso il territorio, esteso in superficie tavole 7125. Non evvi nulla da rimarcare, se non l'antica Rocca dei Ranieri, da che trasse il suo nome. È lontano 6 miglia e mezzo da Rieti, e le prime sue famiglie sono Mattioni, e Longhi. Gli abitanti si occupano tutti nella pastorizia e nell'agricoltura.

    Censimento Rust. 18267 - Cens. Urb. 1923.

    Direzione Postale: Rieti per Rocca Ranieri.»
  110. ^ Località Lu' Cereciu lungo il sentiero che giungeva a Roccaranieri dalla Valle del Salto (verso Grotti).
  111. ^ a b AA. VV., Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani., Milano, Garzanti, 1996,, ISBN ., Milano, Garzanti, 1990, pp. 485-486, ISBN 88-11-30500-4.
    « Pesco: Voce dei dialetti meridionali, anche con la variante peschio, ha il significato di ‘pietra, grosso macigno, roccia’ ed e ben rappresentata nella toponomastica centro-meridionale, compresi Lazio ed Umbria (ove è marginale) e con l’esclusione di Sicilia e Salento; e più frequente nel Sannio (Abruzzo e Molise). Corrisponde a pessulus, pesclus , plescus nei documenti medievali e rappresenta verosimilmente (ma non mancano altre ipotesi etimologiche) un relitto lessicale italico (depone per tale interpretazione anche l’area di diffusione della voce). Pare essere la continuazione del termine osco pees slum / pestlum, attestato col significato di ‘podio’; formalmente può ben essere l’antecedente delle varianti medievali citate. Quanto al significato, da ‘podio, basamento’ ad ‘altura’, e parallelo al latino podium, in origine ‘basamento’, quindi ‘altura’, ‘poggio’; l’evoluzione successiva a ‘roccia’ dei dialetti meridionali e motivata dalle caratteristiche dell’orografia dell’Italia centro-meridionale (v. Poccetti 1983, 245-254 che riassume tutta la questione relativa al tipo “pesco" ed anche “peschio"). c. M.»
  112. ^ Sunto delle voluminose e moltiplici memorie esistenti nel deposito della guerra intorno alle annose reclamazioni di confine tra il regno di Napoli e lo stato pontificio, Napoli, 1837, pp. 53-54.
    «Il Confine nel Territorio de Le Grotte: Dal detto fosso (ndr. Fosso di Cenciara), poco sotto la Mola seguitando in sulla Selvetta di Cenciara o di San Nicola, indi per linea retta alla Cesa di Salvati e di qui all'ara Spizzapane, donde calando si va ai Casarini delle Cerase, poscia al Peschio Roscino, indi per linea retta sino alla Roscia di Francia di qua dal fiume Salto verso Calcariola e continua per la Strada Regia (ndr. la vecchia Salto-Cicolana).»
  113. ^ Dai Rapporti della Polizia dello Stato Pontificio per l'anno 1837 conservati all'Archivio di Stato di Rieti vedi pag.17/256.
  114. ^ Odoardo Bussini, La diffusione del colera in Umbria nel secolo XIX e l’impatto sull’assetto demografico, in Popolazione e storia, XV, n. 2, Udine, Forum Editrice Universitaria Udinese, 2014, p. 100.
    «L’epidemia del 1855 interessò circa 1/3 della popolazione totale, diversificandosi comunque sul territorio; il comune capoluogo presenta valori di morbosità intorno al 20‰ e di mortalità pari al 10‰, ma in alcuni piccoli comuni, dove il colera era arrivato in modo violento, i livelli sono assai più elevati.

    I membri delle deputazioni sanitarie dell’Umbria, specie in occasione della crisi

    del 1855, prestarono un’accorta vigilanza alle cause secondarie, identificate nella scarsa pulizia pubblica, in quella delle abitazioni private e nell’igiene personale, facendo adottare provvedimenti per rimuovere i rifiuti dalle strade, gli scoli delle acque, e ispirati a più generali interventi di risanamento, oltre a diffondere ripetutamente norme d’igiene individuale.»
  115. ^ Aggiudicazioni (Vendite) - Rieti (Perugia) - Subeconomato Benefici Vacanti, in Giornale dei lavori pubblici e delle strade ferrate, n. 1-2, Roma, Stabilimento Civelli, 2-9 Gennaio 1919.
    «Si registra la vendita di 194 piante d'alto fusto (castagno) pari a 536.500 mc di legname, appartenenti al beneficio della Parrocchia di San Pietro di Roccaranieri a Basilio Savastani di San Silvestro. Il legname proveniva dai fondi in vocabolo: La Vaccaia, Valle San Pietro, Valle Otrina, Pozzirio, Piana e Cerreto»
  116. ^ Il delitto di San Giovanni a Rocca Ranieri, in Il Carabiniere, Serie II, n. 47, Roma, Tipografia Voghera, 22 novembre 1884, p. 373.
  117. ^ Sono tuttora presenti nell'area di Filadelfia, famiglie con gli stessi cognomi di Roccaranieri: famiglie Falcetti, Mattioni, Novelli, Pezzotti. Sono probabilmente i discendenti, di terza e quarta generazione, degli emigrati tra la fine dell'800 e l'inizio del '900.
  118. ^ Archivio dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, Cartoline macrosismiche, elaborazione basata sui dati forniti dal Questionario macrosismico compilato dal Comune di Longone Sabino sugli effetti causati dal terremoto del 13 gennaio 1915 nelle località del territorio comunale, Longone Sabino febbraio 1915 (Regio Ufficio Centrale di Meteorologia e Geodinamica - Roma).
  119. ^ Notifiche del Comune di Longone Sabino, sindaco E. Verdirosi, in Foglio degli annunzi legali della provincia di Roma, n. 25, Roma, Istituto poligrafico e Zecca dello Stato, Sabato 4 Aprile 1925, p. 469.
    «[....] a Roccaranieri gli stabili in Via Belvedere n.10 (di proprietà di Falcetti Angela e Felice fu Giovanni, Falcetti Cecilia Giuseppina fu Domenico, Mattioni Barbara, Giuseppe e Margherita fu Pietro, Falcetti Giovanni, Gerolamo, Benedetto, Giuditta, Francesco, Lucia e Serfina fu Giuseppe) [.....] in Via della Chiesa n.17 (di proprietà di Felice Mattioni fu Raffaele).»
  120. ^ Sergente Pezzotti Giovanbatista; Soldati: Catasta Felice, Novelli Angelo, Novelli Ottavio, Mattioni Valentino, Magni Bartolomeo, Pezzotti Angelo, Pezzotti Arcangelo, Pezzotti Luigi, Rossi Giuseppe.
  121. ^ Soldati d'Africa (1897-1913), su google.it.
    «Fronte Libico: Novelli Pasquale, soldato 6 reggimento Fanteria, Encomio Zanmur 8 VI 1912»
  122. ^ Società Anonima Editrice, Lazio - Provincia di Rieti - Comune di Longone Sabino (4967), in Annuario Generale d'Italia 1933, II, n. 48, Genova, Stabilimento Tipografico G.B. Marsano.
  123. ^ Società Anonima Guida Monaci, Provincia di Rieti - Longone Sabino, in Guida Monaci - Annuario Generale di Roma e Lazio, LXIX, Roma, Società Anonima Guida Monaci, 1941, p. 257.
  124. ^ Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti del Regno d'Italia, Culto, in Bollettino ufficiale del Ministero di Grazia e Giustizia e dei Culti, n. 37, Roma, Tipografia Elzeviriana, 14 Settembre 1904, p. 435.
  125. ^ Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, Culto, in Bollettino ufficiale del Ministero della Giustizia e degli Affari di Culto, n. 22, Tipografia della Camera dei Deputati, 28 Maggio 1932, p. 410.
  126. ^ a b La lapide alla sinistra della porta di ingresso della Chiesa di San Pietro a Roccaranieri ricorda come la chiesa venne inaugurata nel 1934 quando era Vescovo di Rieti Mons. Massimo Rinaldi, parroco Don Ugo Clementi ed amministratore Giovanni Pezzotti. La lapide riporta altresì come la Chiesa venisse inaugurata sotto il Governo del Duce Benito Mussolini. Quest'ultima parte dell'iscrizione, volutamente cancellata dopo la guerra, è stata recentemente resa di nuovo visibile.
  127. ^ Sergente Maggiore Falcetti Celestino; Caporale Di Gregori Angelo; Soldati: Di Gregori Elvino, Tomassetti Umberto, Bocchi Antonio; Appuntato Camilli Filippo; Dispersi: Mastroiaco Icilio, Rossetti Armando; Carabiniere Pezzotti Ercole
  128. ^ 6 giugno 1944, martedì - Longone Sabino (Rieti), località Roccaranieri. I tedeschi, per rappresaglia, [uccidono] 13 civili: Bruno Vaccarezza, Pietro Panitti, Mario Novelli, Antonio Bocchi, Pietro Novelli, Pietro Persiani, Giuseppe Di Gregori, Augusto Miluzzi, Giuseppe Amadei, Elice Amadei, Vito Camilli, Giuseppe Fiamozzi, Gentile Antonio. (Cipolloni, Pag. 157)
  129. ^ Cipolloni (2003), Cipolloni (2011)
  130. ^ Dal sito Strazinazifasciste.it - Episodi di Roccaranieri di Longone Sabino del 06.06.1944, su straginazifasciste.it.
  131. ^ Luciano Radi, Buonanotte, onorevole, Roma, Società editrice internazionale, 1996, pp. 67-68.
    «Era un lavoro duro con degli orari impossibili che costringeva a dormire nei sottoscala e nelle cantine, un impiego stagionale che permetteva agli abitanti di Roccaranieri di integrare il magro reddito proveniente da attività agricole.»
  132. ^ L'onorevole Luciano Radi, parlamentare di riferimento per la DC, nel 1959 incontrò a Roma Termini i fuochisti di Roccaranieri.
  133. ^ La copia venne apposta, nel 1997, dalla Polisportiva di Roccaranieri sotto la presidenza di Alvaro Rossetti.
  134. ^ Una lettera di Gregorio IX del 1239 riporta la prescrizione papale, per i castelli di Roccaranieri e di Vallecupola, nei territori dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, di includere le case al di fuori della cinta muraria edificando una nuova cinta muraria. La prescrizione era per permettere la difesa dei castelli dell'abbazia contro gli eserciti dell'imperatore Federico II che, infatti, occuparono il territorio abbaziale nel 1241.
  135. ^ Nelle fonti è indicato come R.D.R. 1398 ovvero Registro Delle chiese che dipendono dal vescovo di Rieti nel 1398; l'originale del 1398 è andato perduto. Ne rimane una copia allegata alla visita pastorale del vescovo Marini dell' anno 1784.
  136. ^ Forse un abitante originario di Concerviano dove si trovano altri Caprioli nelle fonti notarili dell'epoca (Maglioni, pag.46).
  137. ^ Nella visita pastorale del 9 novembre 1681 il visitatore Giovan Francesco dè Laurentis, incaricato dal Rev.mo Cardinale Abate Commendatario di San Salvatore Maggiore Carlo Barberini, giunse a cavallo a Roccaranieri e fece una descrizione completa delle due chiese dopo averle visitate pima di ripartire per Cenciara (Maglioni, pag.46).
  138. ^ a b c d Maglioni, pag.45.
  139. ^ Claudio Lo Monaco, Bruno Astorre e Maria Tiziana Marcelli, L'edificio di culto - Codice del territorio. Recuperare per valorizzare. Anagrafe Regionale di Chiese Cappelle e Santuari di proprietà pubblica nel Lazio., a cura di Benvenuto Salducco e Piero Tosti Croce, collana Quaderni RISORSA, Roma, Gangemi Editore, 2016.
    «Ogni territorio ha un'identità ben definita, formata da paesaggi naturali, insediamenti urbani, attività economiche e produttive. A questi tratti caratterizzanti se ne deve aggiungere un altro, ovvero i luoghi di culto. È nelle chiese, nei monasteri, nelle abbazie e nei conventi, infatti, che l'individuo ritrova il senso di appartenenza alla comunità locale e riscopre le radici della tradizione cristiana. Ogni edificio religioso, con i suoi dipinti, i suoi arredi, le sue forme architettoniche, racchiude una storia a sé, in cui i cittadini si riconoscono e ritrovano tracce comuni del proprio passato. Il Lazio conserva, comune per comune, provincia per provincia, un patrimonio religioso dal valore inestimabile. È per questo che la Giunta Regionale ha promosso e finanziato la realizzazione dell'Anagrafe degli edifici di culto di proprietà degli enti locali. Solo conoscendo, infatti, le caratteristiche dei luoghi, gli eventuali interventi di restauro e gli aspetti del territorio di cui le chiese sono parte integrante, è possibile non disperdere la cultura e la storia delle comunità regionali. La tutela di questi edifici è, comunque, un dovere da parte degli amministratori locali. La conoscenza, che un'anagrafe come questa fornisce, permette di intervenire al meglio per valorizzare il patrimonio religioso della nostra regione, e fornire così, a tutti i cittadini, la possibilità di apprezzarlo, ammirarlo e custodirlo, quale parte integrante, ed imprescindibile, della propria identità. Dalla presentazione di Bruno Astorre, Presidente del Consiglio Regionale del Lazio.»
  140. ^ Vennero demolite la case di alcuni accanto alla chiesa e vennero ricostruite fuori dalle mura con le porte rivolte verso le mura (Maglioni, pag.27).
  141. ^ Maglioni, pag.50.
  142. ^ La chiesa venne riconosciuta, agli effetti civili, come "dissacrata" con regio decreto del 10/10/1941.
  143. ^ Istituto nazionale di archeologia e storia dell'arte, Rivista dell'Istituto nazionale d'archeologia e storia dell'arte, Istituto poligrafico dello Stato, Libreria, 1980, p. 323.
  144. ^ Soprintendenza alle gallerie e alle opere d'arte medioevali e moderne del Lazio, Mostra dei Restauri 1969 - XIII Settimana dei Musei, Roma, Museo di Palazzo Venezia, 1970.
  145. ^ Maglioni, pag.150.
  146. ^ Il 7 luglio 1889 il Sindaco di Longone Sabino cav. Mario Napoleoni fece ribattezzare Porcigliano in "Fassinoro", come ricorda una targa sulla piazza del paese.
  147. ^ Regione Lazio - Mappatura degli eventi di presenza dell'orso bruno marsicano, su geoportale.regione.lazio.it.
  148. ^ AIAMS.eu, Associazione Italiana Amici Mulini Storici, su aiams.eu.
  149. ^ Il Fosso della Mola di Roccaranieri, su micheleangileri.com.
  150. ^ Escursione in forra al Fosso di Roccaranieri, CAI di Roma (23 Ottobre 2022), su cairoma.it.
    « [La Forra di Roccaranieri] E’ una forra nascosta tra le colline della Valle del Salto (Rieti), ai piedi dell’omonimo paese da cui prende il nome. Il torrente scorre in un ambiente lussureggiante di vegetazione locale che sta riappropriandosi degli antichi sentieri e mulattiere, oramai abbandonate dall’uomo. Il percorso inizia nelle vicinanze del paese e, attraversando in pochi minuti il bosco, si accede al greto del torrente nei pressi di un antico ponte della vecchia strada poderale. Durante il percorso è possibile ammirare la bellezza naturalistica del canyon mentre si effettuano disarrampicate, piccoli toboga e calate su corda. L’escursione termina all’arrivo nella valle dove il torrente si immette nel fiume Salto. Il percorso è adatto a chi vuole provare un’avventura entusiasmante e divertente pur mantenendo un approccio basilare con l’attività del canyoning e godere di tutta la bellezza che offre un ambiente naturalistico fuori dagli ordinari percorsi dei sentieri montani. SCHEDA TECNICA: Tempo di avvicinamento: 15 minuti a piedi; Quota Ingresso: 610 metri s.l.m. Dislivello: 190m; Sviluppo: 550m; Verticale max: 27m; Tempo di percorrenza: 3/4 ore; Tempo di rientro: 5 minuti; Difficoltà: proponibile anche a principianti, tenendo comunque in debita considerazione l’impegno fisico e l’acquaticità della forra.»
  151. ^ MicheleAngileri.it, Fosso del Gufo, su micheleangileri.com.
  152. ^ MicheleAngelieri.it, Fosso delle Scendelle, su micheleangileri.com.
  153. ^ MicheleAngileri.it, Fosso della Vaccareccia, su micheleangileri.com.
  154. ^ MicheleAngileri.it, Fosso del Diavolo, su micheleangileri.com.
  155. ^ MicheleAngileri.it, Fosso di San Lorenzo, su micheleangileri.com.
  156. ^ Negli statuta del XV secolo dell'Abbazia di San Salvatore Maggiore la fonte principale di un paese, era indicata come Fons Iuxta. Vi si poteva attingere l'acqua ma non era permesso lavarvici i panni (Di Flavio).
  157. ^ Gli stessi sentieri furono, quindi, rilevati e riprodotti nelle mappe catastali del Regno d'Italia fino all'attuale catasto dell'Agenzia delle Entrate così come nelle carte dell'Istituto Geografico Militare.
  158. ^ Le strade interpoderali servivano anche da confine tra alcuni terreni come ricordato negli Statuta abbaziali di San Salvatore Maggiore del XV secolo - Libro I, articolo 6: "De terminatione confinium et viis vicinalibus". (Di Flavio, pag.141)
  159. ^ Maglioni, pag.41.
  160. ^ Le caratteristiche del percorso rendono plausibile ipotizzare che il sentiero ricalchi un antico iter romano che collegava la Valle di San Giovanni, dove sorgeva un insediamento romano, alla Valle del Salto. dove si collegava ad una viabilità maggiore per raggiungere il municipium di Reate, di Cliternia (Capradosso), Acquae Cutiliae (dove morì l'imperatore Vespasiano) e gli altri insediamenti della zona attraverso il resto della rete stradale, romana prima e altomedioevale poi.
  161. ^ Articolo Format Rieti (20.09.2019): La Regione finanzia anche la rete ciclabile della Riserva dei Monti Navegna e Cervia
  162. ^ Motu Proprio Leone XIII.
  163. ^ Documenti Istruzione Elementare.
  164. ^ Agglomerata 410 e sparsa 130.
  165. ^ Censimento Regno d'Italia 1911.
  166. ^ ISTAT:Accentrata 480 e sparsa 67.
  167. ^ ISTAT Bollettino mensile di statistica 1935.
  168. ^ ISTAT: 437 in paese e 74 in case sparse.
  169. ^ ISTAT: 391 in paese e 39 in case sparse.
  170. ^ Censimento ISTAT 1961.
  171. ^ ISTAT:311 in paese e 31 in case sparse.
  172. ^ ISTAT, Censimento della Popolazione Residente 1971 (PDF), su lipari.istat.it.
  173. ^ ISTAT:224 nel paese e 19 in case sparse.
  174. ^ 12º Censimento ISTAT.
  175. ^ ISTAT, Censimento Popolazione residente 2001, su dawinci.istat.it.
  176. ^ 1610,1736,1778,1817,1841,1844,1853 Maglioni, pag. 44, 1827 Motu proprio Leone XII[162], 1870[163], 1911[164][165], 1935[166][167], 1951[168], 1961[169][170], 1971[171][172], 1981[173][174], 2001[175].
  177. ^ Nel 1716 visitò Roccaranieri il predicatore gesuita padre Antonio Baldinucci ( Francesco Maria Galluzzi, Vita del P. Antonio Baldinucci della Compagnia di Giesù, missionario, Roma, Stamperia San Michele a Ripa, 1720, p. 208.) beatificato nel 1893 da papa Leone XIII. Tra il 4 e l'8 settembre 1742, durante la sua missione nelle terre dell'abbazia di San Salvatore Maggiore, raggiunse Roccaranieri San Leonardo da Porto Maurizio che vi eresse la via Crucis quindi si recò a San Silvestro e da lì a San Salvatore Maggiore ove, il 16 settembre 1742, per la predica della benedizione papale accorse da tutti i territori dell'abbazia e dal Cicolano una folla di più di 6000 che salirono anche sui tetti delle finestre della chiesa abbaziale ( Padri Minori Riformati (a cura di), Opere complete di S. Leonardo da Porto Maurizio missionario apostolico, Volume V, Venezia, Tipografia Emiliana, 1869, p. 117.
    «In tutta la Badia S.Salvatore patì molto per le strade così malagevoli, e vi fece del gran profitto spirituale.»
    )
  178. ^ Maglioni, pag.46.
  179. ^ Riti simili si celebrano anche nel resto del centro Italia: nel Lazio si chiama la Pasquarella, in Toscana è la Befanata, nelle Marche la Pasquella.
  180. ^ Pasquarella Roccaranieri 2011, foto di Maxx_72 su Flickr
  181. ^ Oltre alle tre processioni che si celebravano durante le Rogazioni Altre due processioni venivano celebrate: una il giorno di San Marco (25 Aprile) quando i fedeli si dirigevano di nuovo all'immagine di San Filippo e Giacomo verso la Chiesa di San Giovanni e l'altra il 3 maggio, giorno di Santa Croce, quando si andava alla Croce di Capo Ricci.
  182. ^ Maglioni, Pag.48.
  183. ^ Alcuni hanno speculato che si trattasse di Margherita d'Austria, detta la Madama d'Austria, figlia dell'imperatore Carlo V, andata in sposa ad Ottavio Farnese, nipote di Papa Paolo III, Alessandro Farnese, e fratello dei Cardinali Ranuccio e Alessandro Farnese Abati commendatari di San Salvatore Maggiore. Margherita, in virtù delle nozze con Ottavio Farnese, divenne signora dei possedimenti farnesiani d'Abbruzzo tra i quali ricadevano Cittaducale e Leonessa. È la stessa da cui prende il nome Palazzo Madama a Roma, sede del Senato della Repubblica Italiana. Margherita d'Austria fu a Cittaducale dove si occupò dell'ammistrazione tanto da essere ricordata recarsi nel 1571 tra Grotti e Casette per dirimere una controversia tra il confine del Regno di Napoli e dello Stato Pontificio.
  184. ^ Il dono ricorda la "Chiccia con i pulcini" o "Pitta di Teodolinda", capolavoro d'arte orafa di epoca longobarda, conservata al museo del Duomo di Monza cui fanno riferimento numerose leggende italiane.
  185. ^ Vedi descrizione di Palmieri del 1864.
  186. ^ Gli agnelli allevati a Roccaranieri, al pari di quelle allevati in altre regioni del Centro Italia, sono eligibili, previo rispetto del disciplinare di produzione, al marchio IGP di Agnello del Centro Italia IGP.
  187. ^ Seppure il territorio dell'interflumine tra Salto e Turano non sia mai stato apprezzato, nella storia recente, per la produzione di vini di alto rango, è bene ricordare che, il pioniere italiano dell'enogastronomia, il giornalista e scrittore Luigi Veronelli, compilando nel 1970, per la rivista Panorama, una delle prime guide enologiche dal titolo "Alla ricerca dei Vini Sconosciuti", segnalò, nel volume riguardante il Lazio, nella provincia di Rieti, alcune piccole produzioni anche nel comune di Longone Sabino e addirittura a Roccaranieri: Luigi Veronelli, Alla ricerca dei vini sconosciuti, collana Panorama, n. 232, 2 - Italia Centrale, Milano, Mondadori, 1970, p. 32.
    «Longone Sabino - Bianchi e rossi riscattano la rusticità con sana costituzione ed immediata allegria. Stimo migliori produttori: Memmo Falcetti (ndr. Roccaranieri), Bernardino Liberali (ndr. Longone Sabino), Bernardino e Giuseppe Tofani (ndr. Longone Sabino) e il geometra Giovanni Vagli (ndr. Longone Sabino)»
  188. ^ 1 Settembre 1909 - Istituzione Ufficio Postale di 3ª Classe a Roccaranieri (Prov. Peugia-Circondario Spoleto) (Bollettino del Ministero delle Poste e dei Telegrafi n.24 del 21 Agosto 1909 pag. 1241). 29 Gennaio 1937 - Attivato il servizio fonotelegrafico nella ricevitoria postale di Longone Sabino e posti fonotelegrafici a San Silvestro e Fassinoro, frazioni del comune di Longone Sabino, tutti collegati all'ufficio telegrafico di Roccaranieri (Gazzetta Ufficiale del Regno d'Italia n.76 del 1 IV 1937, pag.1213).
  189. ^ Linea Cotral Longone | Roccaranieri→Rieti | Stazione FS tramite moovitapp.com, su moovitapp.com.
  190. ^ Visitare il Lazio (con il trasporto pubblico), su visilazio.wordpress.com.
  191. ^ L'Enigma dell'Abbazia di Luciano Tribiani su Ibs.it

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