Simboli dei campi di concentramento nazisti

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I simboli dei campi di concentramento nazisti, principalmente colori, lettere, numeri, facevano parte di un sistema semiologico di identificazione dei prigionieri dei lager[1].

Tabella dei contrassegni diramata nel 1940 e nel 1941 a tutti i comandanti dei KL[2]

Sistema di codifica dei contrassegni modifica

Il sistema di codifica dei contrassegni serviva a classificare i prigionieri, generalmente in base a gruppi creati sulla base dei motivi dell'arresto. I simboli erano in stoffa, affibbiati sulla divisa, definita dai prigionieri con divisa a motivo Zebra,a causa delle strisce chiare e scure alternate.[3]: sulla casacca, all'altezza del petto, sulla sinistra, e sui pantaloni, all'altezza della coscia destra[4]. I criteri per l'identificazione degli internati variavano però a seconda dei luoghi di detenzione, e del trascorrere del tempo. L'assegnazione di un prigioniero a una categoria dipendeva in ogni caso dall'arbitrio della Gestapo; le suddivisioni si confusero e persero poi di valore con l'aumentare dei deportati da molti paesi[1][5], e con il progressivo sgretolamento del Terzo Reich[6].

Triangoli colorati modifica

Triangoli doppi modifica

 
La Stella di David
  • Un triangolo invertito sovrapposto a un triangolo di colore giallo indicava che il prigioniero era un ebreo; ad esempio, un triangolo nero sovrapposto a un triangolo giallo indicava un prigioniero "asociale" ebreo, oppure un triangolo giallo sovrapposto a un triangolo rosa indicava un prigioniero omosessuale ebreo;
  • la sagoma di un triangolo, bordata di nero, sovrapposta a un triangolo giallo, indicava un ebreo "profanatore della razza", Rassenschänder[33][34], ossia accusato di violare la "legge per la protezione del sangue", Blutschutzgesetz[35], poiché aveva avuto una relazione con una donna "ariana"[4];
  • un triangolo giallo sovrapposto a un triangolo nero, indicava una donna "ariana", "profanatrice della razza", Rasseschänderin, ossia accusata di avere una relazione con un uomo ebreo.

Simboli particolari modifica

 
Ebrei olandesi prigionieri nel campo di concentramento di Buchenwald portano un distintivo con la lettera N per Niederländer
  • Determinate lettere utilizzate all'interno dei triangoli indicavano il paese di origine:
    B (Belgier, belga), F (Franzosen, francese), I oppure IT (Italiener, italiano), J (Jugoslawen, jugoslavo), N (Niederländer, olandese), P (Polen, polacco), S (Spaniern, spagnolo) T (Tschechen, ceco), U (Ungarn, ungherese)[4]. Tedeschi, austriaci, lussemburghesi non avevano alcuna lettera riferita alla nazionalità[2];
  • un rettangolo posto al di sopra del triangolo indicava i prigionieri recidivi, Ruckfällige[4];
  • nel lager di Auschwitz verso la fine del 1944 gli ebrei erano contrassegnati con un triangolo rosso sopra il quale vi era un rettangolo giallo[36];
  • nel lager di Mauthausen gli ebrei erano identificati con una Stella di David formata da due triangoli, uno giallo e uno rosso, appositamente sovrapposti[2];
  • un disco nero, posto tra il vertice inferiore del triangolo e il numero di matricola, contrassegnava i prigionieri assegnati alle compagnie di disciplina, Strafkompanie, condannati a una colonia penale per aver commesso infrazioni disciplinari[37];
  • un disco bianco-rosso, weiss-rote Zielscheibe[38], posto sotto il numero di matricola e sulla divisa all'altezza della schiena[2], contrassegnava i prigionieri sospetti di fuga, Fluchtverdacht[39];
  • una lettera Z, che precedeva il numero di matricola dei prigionieri, identificava Rom e Sinti[40];
  • un triangolo nero recante la lettera A al centro indicava il prigioniero condannato al "lavoro rieducativo", Arbeitserziehungshäftling[41];
  • un triangolo verde recante la lettera S al centro indicava il delinquente abituale detenuto per misura di sicurezza, Sicherungsverwahrte Häftlinge. Si trattava dei carcerati che avrebbero dovuto essere assegnati ai lager giudiziari, Justizlager, inviati invece ai campi di concentramento per "fermo protettivo"[42];
  • la sigla SU contrassegnava i prigionieri di guerra sovietici[2][43];
  • la lettera E posta prima del numero di matricola contrassegnava i prigionieri "da rieducare", Erziehungshäftling[43];
  • la lettera X di colore rosso, tracciata all'altezza della schiena sugli abiti civili indossati da alcuni prigionieri, poiché era un evidente simbolo identificativo degli internati, serviva a scoraggiare i tentativi di fuga[31][44];
  • i Kapo generalmente portavano al braccio sinistro una fascia particolare, erano perciò detti "quelli che portano la fascia", Bindenträger[45];
  • un disco rosso sotto il quale vi era la sigla IL (Im Lager, nel campo) contrassegnava i prigionieri sospetti di pianificare una fuga.
  • un triangolo bianco con il contorno nero e la scritta IMI per gli Internati Militari Italiani (coloro che dopo l'8 settembre 1943 rifiutarono di giurare fedeltà alla Repubblica Sociale Italiana o rifiutavano il lavoro obbligatorio)
  • un triangolo bianco con il contorno nero e l'iniziale dello Stato di appartenenza nel triangolo per i Prigionieri di Guerra
  • un bracciale con la scritta TODT per coloro che venivano arruolati per i lavori forzati nel caso non fosse disponibile un Trasporto o per esigenze difensive lungo le coste o per coloro che non erano internati ma avevano ottenuto la possibilità di lavorare fuori dai lager.

L'utilizzo dei triangoli nel lager di Bolzano modifica

Nel Campo di transito di Bolzano, Polizei- und Durchgangslager Bozen, o Dulag Bozen, vigeva un utilizzo dei simboli diverso rispetto a quello comune a molti lager[46][47][48]:

  • un triangolo blu indicava i prigionieri di guerra;
  • un triangolo bianco indicava gli ostaggi;
  • un triangolo giallo indicava gli ebrei;
  • un triangolo rosso indicava gli oppositori politici;
  • un triangolo rosa indicava i rastrellati;
  • un triangolo verde indicava gli ostaggi.

Numeri di matricola modifica

I numeri di matricola attribuiti ai prigionieri, Häftlingsnummer, che sostituivano il nominativo degli internati, erano affibbiati sulla divisa, scritti in nero su stoffa bianca, posti all'altezza del cuore e al centro della coscia destra, talvolta riportati su una placchetta di latta da portare al collo o al polso[2], oppure tatuati sull'avambraccio.

Schemi riassuntivi dei simboli modifica

Seguono alcuni schemi riassuntivi dei simboli.

TRIANGOLI Politici Criminali Emigrati Testimoni
di Geova
Omosessuali Asociali Rom/Sinti
Normale              
Recidivo              
Prigioniero di compagnia di disciplina              
Ebreo  
 
 
 
 
 
 
Nota[49]
 
 
 
 
 
 
ALTRI SIMBOLI  
Ebreo che ha una relazione "interrazziale"
 
"Ariana" che ha una relazione "interrazziale"
 
Ebreo ad Auschwitz dalla fine del 1944
 
Sospetto di fuga
Numero di matricola


Bracciale marrone: prigioniero speciale

In ordine discendente: numero di matricola, rettangolo da recidivo, triangolo o stella, membro di battaglione penale, sospetto di fuga
 
Condannato al "lavoro rieducativo"
 
Delinquente abituale detenuto per misure di sicurezza
 
Polacco: P sul triangolo rosso
 
Membro delle forze armate

Galleria dei simboli dei campi di concentramento nazisti modifica

Note modifica

  1. ^ a b c d e f g Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Farbe
  2. ^ a b c d e f g Hans Maršálek, Storia del campo di concentramento di Mauthausen. Documentazione, edition Mauthausen, Vienna, 2008, cap. 5. I contrassegni dei detenuti
  3. ^ a b c d e Hans Maršálek, Storia del campo di concentramento di Mauthausen. Documentazione, edition Mauthausen, Vienna, 2008, Allegato Espressioni del lager (glossario)
  4. ^ a b c d Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Dreieckswinkel
  5. ^ a b Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino, Milano, Mursia, 1982, p. 282.
  6. ^ Enzo Collotti, I campi di concentramento in Otto lezioni sulla deportazione. Dall'Italia ai Lager, Milano, 2007, pag. 55
  7. ^ Bekleidung und Kennzeichnung der Häftlinge, su mauthausen-memorial.at.
  8. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Judenstern
  9. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Dreieck, gelber
  10. ^ Classification System in Nazi Concentration Camps
  11. ^ Triangolo Viola
  12. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Bibelforscher
  13. ^ Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino, 2004, alla voce Testimoni di Geova
  14. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Violetten, die
  15. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Asoziale, der
  16. ^ Black triangle campaign in difesa dei diritti dei disabili (in inglese)
  17. ^ Strous, R.D. Psychiatry during the Nazi era: ethical lessons for the modern professional. Ann Gen Psychiatry 6, 8 (2007). https://doi.org/10.1186/1744-859X-6-8
  18. ^ a b Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino, 2004, alla voce Omosessuali
  19. ^ Dizionario dell'Olocausto, Einaudi, Torino, 2004, alla voce Zingari
  20. ^ Vincenzo Pappalettera, Tu passerai per il camino. Vita e morte a Mauthausen, Ugo Mursia Editore.
  21. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Homosexualität
  22. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce rot
  23. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce PVH
  24. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Schutzhaft
  25. ^ Enzo Collotti, I campi di concentramento in Otto lezioni sulla deportazione. Dall'Italia ai Lager, Milano, 2007, pag. 46
  26. ^ Shoah, il dovere della memoria, in Erasmo, notiziario del GOI, Anno II, numero 1.
  27. ^ Paolo Liggeri, Triangolo rosso : dalle carceri di S. Vittore ai campi di concentramento e di eliminazione di Fossoli, Bolzano, Mauthausen, Gusen, Dachau, marzo 1944-maggio 1945, Milano : La casa, stampa 1946
  28. ^ Testimonianza di don Domenico Girardi, su lageredeportazione.org. URL consultato il 20 marzo 2015 (archiviato dall'url originale il 2 aprile 2015).
  29. ^ Testimonianza di don Angelo Dalmasso
  30. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Emigrant
  31. ^ a b Les Républicains espagnols déportés de France, su lekti-ecriture.com. URL consultato il 20 ottobre 2014 (archiviato dall'url originale il 7 novembre 2016).
  32. ^ a b A. Devoto, M. Martini, La violenza nei lager, Franco Angeli Editore, 1981, Glossario
  33. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Rassenschänder
  34. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Rassenschande
  35. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Blutschutzgesetz
  36. ^ NATIONAL GROUPS AND PRISONER CATEGORIES - PRISONERS' MARKINGS, su en.auschwitz.org. URL consultato il 19 aprile 2015 (archiviato dall'url originale il 14 aprile 2015).
  37. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Strafkompanie
  38. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce weiss-rote Zielscheibe
  39. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce Fluchtverdacht
  40. ^ Sinti and Roma (Gypsies) in Auschwitz, su en.auschwitz.org. URL consultato il 3 novembre 2014 (archiviato dall'url originale il 6 maggio 2012).
  41. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce A
  42. ^ Aldo Enzi, Il lessico della violenza nella Germania nazista, Patron, 1971, alla voce S
  43. ^ a b Prisoner classification system in Auschwitz 4, su en.auschwitz.org. URL consultato il 26 settembre 2014 (archiviato dall'url originale il 6 ottobre 2014).
  44. ^ Arminio Wachsberger, L'interprete. Dalle leggi razziali alla Shoah, storia di un italiano sopravvissuto alla bufera, Proedi Editore, 2009
  45. ^ Hermann Langbein, Uomini ad Auschwitz, Prefazione di Primo Levi, Mursia, p. 19.
  46. ^ Vincenzo Pappalettera (a cura di), Nei lager c'ero anch'io, Mursia, 1973.
  47. ^ il campo di concentramento di Bolzano (DURCHGANGSLAGER BOZEN)
  48. ^ Uomini, donne e bambini nel Lager di Bolzano (PDF), su deportati.it.
  49. ^ La classificazione "ebreo-testimone di Geova" appare contraddittoria, ma la definizione nazista di "ebreo", in base alla politica "razziale" nazista, includeva persone che avevano antenati ebrei; era dunque possibile che tali persone appartenessero ad altre religioni. L'esistenza di un ebreo-testimone di Geova, dunque, benché forse poco comune, non era in ogni caso impossibile.

Bibliografia modifica

Voci correlate modifica

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