Domiziano: differenze tra le versioni
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Come nel caso di [[Tiberio]], Domiziano è stato in parte riabilitato dall'odierna storiografia, sfumandone almeno i connotati più negativi. Infatti, la [[dinastia flavia]], provenendo dal ceto medio-basso, era sempre stata vista con diffidenza dall'aristocrazia, che per dodici anni era stata controllata dall'accorta diplomazia di [[Vespasiano]] e del figlio maggiore [[Tito (imperatore romano)|Tito]]. Domiziano decise invece di tornare alla politica popolare dei [[dinastia giulio-claudia|Giulio-Claudi]], rafforzando i propri privilegi per contrastare l'opposizione dei patrizi, ammantandosi di un'aureola divina e pretendendo di essere chiamato «signore e dio nostro».
Durante la guerra contro gli invasori daci, alcune legioni al comando di Saturnino, governatore della Germania, si ribellarono, costringendolo a firmare una pace affrettata e sfavorevole ai romani. Sentendosi tradito, Domiziano fu portato a vedere congiure ovunque, anche oltre la loro reale esistenza, e a difendere ulteriormente il culto della sua personalità. Questa situazione esacerbò il carattere già diffidente dell'Imperatore, che si isolò dal suo ambiente. Gli storici dell'epoca lo ricordano come un uomo sfuggente, di cui restano poche informazioni personali nonostante i quindici anni del suo regno. [[
Un curioso aneddoto sui passatempi preferiti di Domiziano è fornito da [[Sesto Aurelio Vittore|Aurelio Vittore]]: «Per qualche ora teneva lontani tutti e si metteva a inseguire battaglioni di mosche». Su questo fatto ritorna anche Svetonio come esempio della crudeltà del ''princeps'', scrivendo: «All'inizio del suo principato, era solito, ogni giorno, isolarsi per alcune ore soltanto per acchiappare mosche, infilzandole con uno stiletto acuminatissimo, tanto che una volta Vibo Crispo, interrogato da un tale se ci fosse qualcuno con l'imperatore, gli rispose: - No, neppure una mosca»: l'aneddoto delle mosche è ricordato anche da [[Cassio Dione]]: «Sta per conto suo, non ha con sé nemmeno una mosca». Quanto alla sua figura, gli storici dell'epoca ricordano l'alta statura, la bellezza, le guance spesso arrossate - particolare scambiato per collera e timidezza - i grandi occhi sormontati da sopracciglia rialzate, lo sguardo inquietante e il tono basso della voce. Piuttosto frugale e sobrio, «dopo la colazione del mattino dove mangiava di buon appetito, per il resto della giornata spesso non prendeva altro se non una mela [...] se dava frequentemente sontuosi festini, li faceva servire alla svelta, senza prolungarli oltre il tramonto».<ref>Svetonio, ''Domiziano'', 21; Marziale IV, 8, 10.</ref>
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Domiziano rifiutò di rinunciare al diritto di condannare a morte i senatori responsabili di gravi reati,<ref name="Cassio Dione, LXVII, 2"/> annullò la legge di [[Roscio Cepio]] che prevedeva il pagamento di un'indennità a favore dei senatori di nuova nomina,<ref>Svetonio, ''Domiziano'', 9.</ref> e ripristinò l'onere, imposto da [[Claudio]] ai questori entrati in carica, di offrire al popolo giochi gladiatorii.<ref>Svetonio, ''Domiziano'', 4.</ref> Intenzionato a non ricorrere al consulto del Senato, si rivolse a un gruppo di personalità di provata esperienza, pratica già sperimentata da Vespasiano e Tito, per riceverne consigli e indicazioni di amministrazione e di governo: tra questi, il giurista [[Pegaso (giurista)|Pegaso]],<ref>Citato da Giovenale, IV, 78, che lo definisce ''optimus atque interpres legum sanctissimus'', del quale peraltro poco si conosce, se non che fu autore, intorno al [[75]], del ''senatusconsultum pegasianum'', in materia di diritto ereditario.</ref> già console, governatore e ''[[praefectus urbi]]'' sotto Vespasiano come sotto Domiziano, [[Quinto Vibio Crispo]], console nell'[[83]], [[Marco Arrecino Clemente]], cognato di Tito, già console e [[prefetto del pretorio]], Valerio Festo, console nel [[71]], [[Marco Acilio Glabro]], [[Rubrio Gallo]], [[Lucio Valerio Catullo Messalino]], il prefetto del pretorio [[Gaio Rutilio Gallico]] e il prefetto all'Urbe [[Tito Aurelio Fulvo]], nonno di [[Antonino Pio]].<ref>{{cita|Gsell 1894|pp. 62-63}}.</ref>
Si circondò di segretari – i ''procuratores'' – tanto aristocratici quanto cavalieri o di più oscura origine, che così accumulavano ingenti fortune, come il liberto Claudio, ''[[fiscus Caesaris|procurator a rationibus]]'' (o ''[[fiscus Caesaris|procurator fisci]]''), cioè alle finanze, gestite, dopo la sua caduta in disgrazia verso l'[[85]], da un certo Fortunato Attico; il ''procurator ab epistulis'' [[Ottavio Titinio Capitone]]<ref>Capitone è ricordato nell'iscrizione {{CIL|6|798}} da cui, per la successiva ''damnatio memoriae'', è cancellato il nome di Domiziano.</ref> lodato da [[
Tuttavia il suo regno rimase ancora una [[diarchia]] perché, se Domiziano ostentò indifferenza o disprezzo riguardo alle prerogative del Senato, non osò nemmeno diminuirne i poteri, conoscendo la forza e il prestigio di cui quell'istituzione ancora godeva; della carica di censore si avvalse solo per escludervi per indegnità un unico senatore, un certo Cecilio Rufo,<ref>Svetonio, ''Domiziano'', 8 e Cassio Dione, LXVII, 13.</ref> e fece consoli personaggi aristocratici come [[Lucio Antonio Saturnino]] nell'[[82]], [[Lucio Volusio Saturnino]] nell'[[87]], [[Quinto Volusio Saturnino]] nel [[92]] e [[Tito Sestio Magio Laterano (console 94)|Tito Sestio Magio Laterano]] nel [[94]].
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L'intensa attività edilizia di Domiziano non si spiega soltanto con una presunta mania di grandezza dell'imperatore, ma anche per la necessità di completare costruzioni già avviate dai suoi predecessori e di porre rimedio al grande incendio che, dopo quello celebre avvenuto sotto [[Nerone]], devastò ancora Roma nell'anno [[80]]. Quando non abitava a Roma, Domiziano amava risiedere sia nella monumentale [[villa di Domiziano (Castel Gandolfo)|villa]] che si fece costruire sui [[Colli Albani]], dalla quale poteva ammirare il panorama della campagna romana e dei laghi di [[Lago Albano|Albano]] e di [[Nemi]], sia in ville site a [[Monte Tuscolo|Tuscolo]], a [[Gaeta]] e sul mare, ad [[Antium|Anzio]], sulla penisola del [[Circeo]] e a [[Baia (Bacoli)|Baia]].<ref>Di questi luoghi dà notizia Marziale: V, 1, 3; V, 1, 5; V, 30.</ref> Il grande palazzo sul colle Palatino fu progettato dall'architetto [[Rabirio]] e venne terminato intorno al [[92]].<ref>Marziale, VII, 56: «Gli astri e il cielo prendesti religiosamente, Rabirio, / quando costruisti con mirabile arte la casa parrasia».</ref>
La sua imponenza diede occasione ai cortigiani di esprimere grandi lodi così come ai detrattori di criticare l'imperatore.<ref>Plutarco, ''Vita di Publicola'', 15: «Chi avesse visto un solo portico del palazzo di Domiziano, o la basilica, o un bagno, o uno degli appartamenti delle sue concubine [...] si sentirebbe spinto a dire a Domiziano: ''Non è devozione né ambizione lodevole la tua: è follia. Tu godi a edificare''».</ref> Oltre ai numerosi templi, fu eretta nella II regione – il Celio - la ''Mica Aurea'', un padiglione privato che non è chiaro dove esattamente sorgesse,<ref>La notizia di Marziale, II, 59: «Son detta Mica e come vedi sono un piccolo refettorio (''cenatio parva'') / da me si prospetta il sepolcro dei Cesari», ha fatto discutere su dove realmente sorgesse la costruzione. Cfr.: [[Lawrence Richardson
Di molti lavori pubblici eseguiti nelle province non si hanno notizie probabilmente a causa della ''damnatio memoriae'' decretata dal Senato dopo la sua morte, che portò alla distruzione delle iscrizioni che lo riguardavano. Si sa tuttavia di costruzioni di strade nella [[Betica]], in [[Galazia]], [[Cappadocia]], nel [[Ponto]], in [[Licaonia]], in [[Paflagonia]], di opere non precisate ad [[Antiochia di Siria|Antiochia]] e della fondazione della città di [[Domizianopoli]] in [[Isauria]].<ref>{{cita|Gsell 1894|pp. 151}}.</ref> Diede incarico all'architetto [[Apollodoro di Damasco|Apollodoro]]<ref>Cassio Dione, LXIX, 4.</ref> di costruire a Roma un teatro musicale le cui tracce sono ancora visibili accanto al [[palazzo Massimo alle Colonne]], edificato nel [[XVI secolo|Cinquecento]] da [[Baldassarre Peruzzi]], che [[Polemio Silvio]]<ref>''[[Laterculus]]'', in ''Chronica Minora'', p. 585.</ref> arrivò a considerare una delle sette meraviglie del mondo, e uno [[stadio]] la cui forma è conservata dalla celebre [[piazza Navona]].
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=== La persecuzione dei filosofi ===
[[File:Antoine Rivalz - La Mort de Paetus.jpg|thumb|upright|La morte di Arria e Caecina Peto]]
Già sotto [[Vespasiano]] i maestri della filosofia stoica e scettica attivi in Roma erano stati perseguitati per la loro opposizione al regime. Ostilio e Demetrio erano stati mandati in esilio ed [[
Il processo, tenuto nel [[93]] contro un favorito di Domiziano, [[Baebio Massa]], accusato di malversazione durante il suo proconsolato in [[Betica]], favorì la reazione imperiale. L'accusa fu tenuta da [[
Il processo contro Senecione coinvolse Fannia, la vedova di Elvidio Prisco, nipote di [[Arria|Caecinia Arria]] e [[Caecina Peto]], e figlia di [[Publio Clodio Trasea Peto|Trasea Peto]], che fu esiliata con la madre Arria per aver collaborato alla stesura del libro.<ref>Plinio il Giovane, ''Lettere'', VII, 19, 10.</ref> Anche il figlio suo e di Elvidio, l'omonimo e già console Elvidio Prisco, autore di una pantomima satirica contro Domiziano, fu condannato a morte in quell'anno.<ref>Plinio il Giovane, ''Lettere'', III, 11, 3; Svetonio, ''Domiziano'', 10.</ref> Anche un elogio di Trasea Peto, scritto da [[Aruleno Rustico|Giunio Aruleno Rustico]], fu bruciato e il suo autore giustiziato. Tribuno nel [[66]] e pretore nel [[69]], stoico, Aruleno Rustico aveva già rischiato la vita sotto Nerone a causa della sua amicizia con Trasea. Il suo libro doveva contenere giudizi particolarmente severi contro l'imperatore, se gli costò l'accusa di lesa maestà.<ref name="Svetonio, Domiziano, 10"/> La moglie Gratilla e il fratello Giunio Maurico furono esiliati.<ref>Plinio il Giovane, ''Lettere'', III, 11, 3.</ref> Subito dopo questi processi, un decreto del Senato stabilì l'espulsione dei filosofi e degli astrologi.<ref>Svetonio, ''Domiziano'', 10; Aulo Gellio, XV, 11, 4-5. Per questi due autori, i filosofi furono cacciati dall'Italia; per Cassio Dione, LXVII, 13, per Plinio il Giovane, ''Lettere'', III, 11, 3, e per altri, soltanto da Roma. È possibile che vi siano stati due decreti successivi di espulsione.</ref> Il [[pitagora|pitagorico]] [[Apollonio di Tiana]] se ne andò a [[Pozzuoli]], [[Epitteto]] si ritirò a [[Nicopoli d'Epiro|Nicopoli]], [[Dione Crisostomo]] in [[Anatolia|Asia Minore]].
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* [[Giordane]], ''[[De origine actibusque Getarum]]''.
* [[Marco Valerio Marziale|Marziale]], [[Wikisource:la:Epigrammaton libri XII|''Epigrammi'' (testo latino), I-XII]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}.
* [[
:* [[Wikisource:la:Epistularum Libri Decem (Gaius Plinius Caecilius Secundus)|''Epistularum Libri Decem'' (testo latino)]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}};
:* [[Wikisource:la:Panegyricus|''Panegyricus'' (testo latino)]] {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}.
* [[
* {{Bibliografia|Strabone|[[Strabone]], ''[[wikisource:el:Γεωγραφία|Geografia (testo greco)]]'' (Γεωγραφικά). {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}} (Versione in inglese disponibile [http://penelope.uchicago.edu/Thayer/E/Roman/Texts/Strabo/home.html qui]).}}
* {{Bibliografia|Svetonio|[[Gaio Svetonio Tranquillo|Svetonio]], [[Wikisource:la:De vita Caesarum libri VIII|''De vita Caesarum libri VIII'' (testo latino)]], vite di ''Vespasiano'', ''Tito'' e ''Domiziano''. {{simbolo|Wikisource-logo.svg|15}}}}
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