Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?: differenze tra le versioni

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|ubicazione=[[Museum of Fine Arts (Boston)|Museum of Fine Arts]]
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'''''Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?'''''COSA MANGIAMO, questi sono i misteri dell’uni Voi fate domande noi troviamo risposte e sono alieno ahahahahahah è un dipinto del pittore francese [[Paul Gauguin]], realizzato nel 1897 e conservato al [[Museum of Fine Arts (Boston)|Museum of Fine Arts]] di [[Boston]].
 
== Storia ==
Da dove veniamo?Chi siamo? Quando si mangia, ma quando si mangia?Sono questi i misteri dell’universo voi fate domande io do risposte sono alienoLL'opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell'uomo, fu dipinta dall'artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (l'artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente). Ad aggravare le cose, giunse a Gauguin la notizia della morte della figlia prediletta Aline, avvenuta pochi mesi prima. Il dolore per la perdita spinse l'artista a creare un'opera di grandi dimensioni (la più grande del suo opus) che fosse una riflessione sull'esistenza, un testamento spirituale e quindi una summa di tutte le sue ricerche cromatiche e formali degli ultimi otto anni.
 
In questa pirotecnia di luttuosi eventi Gauguin volle mettere mano ad un quadro che, agendo come un vero e proprio «testamento spirituale», riuscisse a condensare la sua visione sull'arte. Egli descrisse per la prima volta ''Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?'' in una lettera indirizzata all'amico Daniel de Monfreid; dopo alcuni schizzi preparatori, il pittore vi lavorò notte e giorno per circa un mese, imponendosi un ritmo di lavoro frenetico che finì col prostrarlo. Fu così che, ritenendosi incapace di finire il dipinto, Gauguin tentò di suicidarsi ingerendo arsenico, ma la dose troppo forte e presa di getto determinò un forte vomito che annullò l'effetto del veleno. In un paradiso tropicale che si era lentamente tramutato in inferno Gauguin ebbe la forza di infondere in questo quadro tutta la carica grezza e veemente delle sue pennellate e, ovviamente, del suo temperamento. «Prima di morire» osservò «ho trasmesso in questo quadro tutta la mia energia, una così dolorosa passione in circostanze così tremende, una visione così chiara e precisa che non c'è traccia di precocità e la vita ne sgorga fuori direttamente». Gauguin, detto in altre parole, voleva che questo quadro potesse «essere paragonabile al Vangelo», calandosi dunque nel mistico ruolo di Cristo, vittima e redentore al tempo stesso, in ciclica fuga dal labirinto della civilizzazione occidentale.
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{{citazione|Non amo molto l’arte del Sig. Paul Gauguin. Per molto tempo ne sono rimasto a distanza, ne ho parlato in un tono faceto, un po’ in velocità, lo conoscevo appena. Questa volta, ho esaminato con attenzione le poche tele recenti esposte nel negozio del Sig. Vollard a Rue Laffitte, e se la mia opinione è cambiata di poco, nondimeno ho sentito nascere e attestarsi entro di me una stima profonda e ferma per l’opera grave, riflettuta, sincera del pittore. […] Ad ogni modo, anche dopo questo studio accurato, non mi sono sentito né trascinato né emozionato come mi ricordo d’esserlo stato per altri artisti; ho ragionato sui motivi della mia freddezza e penso di averli scoperti. […] Ciò che colpisce di primo acchito chi voglia farci caso, è la superiore articolazione, soprattutto in senso decorativo, esibita dalle sue tele. Ne deriva ai paesaggi una sapiente, tranquilla, armonia, condotta non tanto in vista di un effetto soltanto pittoresco, quanto nell'intento, quasi sempre realizzato, di prestare un fondamento intenso, meditativo, all’emozione che ne deve scaturire. Se i brutali contrasti di tonalità ricche, piene e vibranti, che non si fondono né mai trapassano dall’una all’altra con valori intermedi, forzano sul momento un’attenzione distratta, si deve pur riconoscere che queste tonalità, spesso cantanti, ardite, trionfali, altre volte mancano l’effetto per la monotonia della ripetizione, per il confrontarsi, alla lunga irritante, di un rosso squillante a fianco di un verde che vibra allo stesso modo, con lo stesso fine. […] Troppe volte i personaggi del suo sogno appaiono secchi, rigidi, incolori, delineati in maniera imprecisa, mal formulati da un’immaginazione segnata da una maldestra metafisica, il cui senso resta avventuroso e l’espressione arbitraria. Niente resta di simili opere, se non la testimonianza di errori deplorevoli. Le idee astratte non possono comunicarsi in concretezza d’immagini a meno che esse non abbiano preso corpo nel sogno stesso dell’artista, in una qualche materiale allegoria che, fatta vivente, le manifesti. Qui risiede il valore esemplare dell’arte elevata di Puvis de Chavannes. Per prestare consistenza a un ideale filosofico, egli ha concepito dei raggruppamenti armoniosi, dove gli stessi atteggiamenti dei personaggi sapevano imporci un sogno analogo al suo. Nel grande pannello esposto dal Sig. Gauguin, neanche le due figure agili e pensierose che passano tranquille e così belle sullo sfondo, o l’abile evocazione di un idolo misterioso, riuscirebbero a rivelarci il senso dell’allegoria, se non fosse per la scritta che egli si è premurato d’apporre in un angolo alto della tela: ''Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?''. L’interesse, del resto, si disperde, scorre dalla donna dal gesto muto accovacciata sul primo piano alle altre figure quasi selvagge, tutti effetti bizzarri a cui ci si abitua, per fissarsi infine esclusivamente sul fascino del luogo dove la scena è ambientata. Neanche intendo insistere nel segnalare la grazia di una donna per metà distesa all’aria aperta in una sorta di letto sontuoso e strano, così come gli altri pannelli, dove si rivela il mestiere tenace di un innovatore ostinato, in tutto l’impeto, un po’ brutale, del suo impegno. Tutto sommato, il Sig. Gauguin è un pittore raro cui è stata troppo a lungo rifiutata l’occasione di cimentare la foga generosa del proprio temperamento in un affresco decorativo di rilievo, in un pubblico edificio. Lì sapremmo, nel modo più giusto, quello che egli potrebbe essere e, nel caso che gli riuscisse di diffidare della propria tendenza all'astrazione, vedremmo nascere dal suo sforzo, ne sono sicuro, un’opera potente e di naturale armonia|André Fontainas<ref>{{cita libro|autore=Maria Grazia Messina|collana=Monografie Umanistica|città=Firenze|titolo=Paul Gauguin, un esotismo controverso|anno=2006|editore=Firenze University Press|url=http://www.fupress.com/archivio/pdf/4417.pdf|ISBN=97888-6453-110-6}}</ref>}}
Se l'esposizione di ''Da dove veniamo? Che siamo? Dove andiamo?'' fu accompagnata da molte perplessità, nulla bastò a spegnere il fervoroso entusiasmo di [[Charles Morice]], intimo amico di Gauguin che, ritenendo tale opera di particolare pregio artistico, accettò di promuovere una sottoscrizione pubblica finalizzata a consacrarla all'universalità del museo. Pienamente consapevole della propria confezione sbrigativa, poi, Gauguin non esitò a corredare tale sottoscrizione con una descrizione dell'opera, che riporteremo nel paragrafo successivo, dove la risonanza suggestiva del suo contenuto è potenziata grazie allo svolgimento narrativo di alcuni spunti. Anche questo tentativo, tuttavia, non bastò a destare i critici d'arte dal loro sonno intellettuale e naufragò contro lo scoglio dell'eccessiva arditezza pittorica e contenutistica del dipinto, che fu clamorosamente rifiutato. Ambroise Vollard, alla fine, riuscì a vendere la tela per ben duemilacinquecento franchi a Gabriel Frizeau: dopo esser pervenuta alla Marie Harriman Gallery di New York nel 1936, infine, il dipinto fu acquistato il 16 aprile dello stesso anno dal Museum of Fine Arts di Boston, dov'è tuttora esposto.
 
== Descrizione ==
È lo stesso Gauguin a guidare l'osservatore nell'interpretazione dell'opera con un testo di suo pugno, che riportiamo di seguito: