Sergente Romano: differenze tra le versioni

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Ben presto lasciò il comitato volendo passare subito all'azione, formando in poco tempo una squadra composta dalla maggior parte di ex-militari dell'Esercito Borbonico. Rifornitosi di armi e munizioni, il 26 luglio [[1861]] attaccò la guarnigione di [[Alberobello]] facendola prigioniera insieme ai militari del presidio di [[Cellino San Marco|Cellino]]. A Cellino si decise di fucilare i prigionieri: il milite Vitantonio Donadeo inginocchiandosi durante la fucilazione gridò ''"Madonna del Carmine, aiutami!"''. Il fucile, puntato sulla nuca, fece cilecca e il sergente Romano risparmiò Donadeo ed altri 8 prigionieri.<ref>Francesco Mario Agnoli, ''Dossier Brigantaggio'', Controcorrente, pg.248</ref> Due giorni dopo, il 28 luglio, attaccò [[Gioia del Colle]] mettendo in seria difficoltà la guarnigione, ma senza riuscire a prendere il controllo della città<ref>{{Cita libro|autore=Antonio Lucarelli|titolo=Il brigantaggio politico|anno=1982|editore=Longanesi|città=Milano|p=|pp=312-337|ISBN=}}</ref>. {{citazione necessaria|Era conosciuto, ai tempi del [[brigantaggio]], non come il sergente Romano, ma come ''Enrico La Morte''.}}
 
Ebbe anche contatti con [[Carmine Crocco|Carmine "Donatello" Crocco]], leader dei briganti del [[Vulture]] e parteciparono, assieme, ad alcuni assalti alle truppe unitarie, come nel febbraio [[1862]], quando Crocco e Romano giunsero con i loro uomini nei pressi di [[Andria]] e [[Corato]], uccidendo dei militi della [[Guardia Nazionale Italiana|Guardia Nazionale]] in servizio di perlustrazione e depredando alcune masserie. Romano invitò il capobrigante lucano ad un'alleanza, con l'obiettivo di conquistare [[Terra d'Otranto]], ein questa terra collaborò con Cosimo Mazzeo (brigante Pizzichicchio), che dominava le province del Salento. Il Romano dominò i comuni del [[provincia di Bari|barese]] innalzando ovunque il vessillo borbonico ma Crocco, reduce dell'esito negativo dei precedenti tentativi di restaurazione, rifiutò la proposta.<ref>Ettore Cinnella, ''Carmine Crocco. Un brigante nella grande storia'', Della Porta, 2010, p.148</ref> {{chiarire|Il 24 luglio [[1862]], quattro commilitoni si distaccarono dal sergente Romano che non era a favore, dimostrando pietà, della morte del prigioniero caporale della Guardia Nazionale Teodoro Prisciantelli.}}
 
A seguito dell'uccisione della sua fidanzata, Lauretta d'Onghia<ref>{{citazione necessaria|Alla fidanzata scriveva alcune lettere, in una di queste diceva a Lauretta che lui aspirava solamente a formarsi una famiglia con lei, vivendo così da buon cristiano, "''non appena sentiremo la novella di essere nel trono il nostro Re''"}}.</ref>, il 9 agosto ad Alberobello il sergente Romano assaltò la fattoria di Vito Angelini, ritenuto il delatore che aveva permesso la morte di Lauretta, e lo fece fucilare nell'aia. Dopo aver subito una dura sconfitta il 4 novembre [[1862]] presso la masseria Monaci, vicino [[Noci (Italia)|Noci]], il capobrigante divise la sua banda in piccoli gruppi più manovrabili, ispirandosi alla tattica di Crocco.<ref>Antonio Pagano, ''Due Sicilie: 1830-1880'', Capone, 2002, p.216</ref> Nello stesso mese, furono invasi i comuni di [[Carovigno]] ed [[Erchie]], disperdendo la guardia nazionale e saccheggiando le abitazioni dei liberali.