Carmine Crocco: differenze tra le versioni

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Terminata la collaborazione con Borjes, il brigante [[Rionero in Vulture|rionerese]] ritornò ad azioni di mero banditismo, assalendo viandanti e compiendo depredazioni, ricatti, sequestri e omicidi di personalità gentilizie delle zone, al fine di estorcere migliaia di ducati.<ref name="cita|Del Zio|p. 154"/> Il brigante iniziò a privilegiare la [[guerriglia]] allo scontro in campo aperto, suddividendo la sua armata in piccole bande distribuite nel territorio, che si sarebbero riunite in caso di scontri con un contingente più grande. La tattica rese i drappelli più agili e imprendibili, favoriti anche dal territorio boschivo e impervio, causando molti problemi ai reparti del Regio Esercito.<ref>{{cita|Bourelly|p. 171}}.</ref> Benché i tentativi di restaurazione fossero ormai vani, i realisti borbonici non abbandonarono Crocco e, vedendo nelle insurrezioni repubblicane e nella spedizione di Garibaldi verso lo [[Stato Pontificio]] una circostanza favorevole che avrebbe turbato l'attenzione del governo savoiardo, continuarono a sostenerlo cercando di ravvivare l'insorgenza.<ref>{{cita|Bourelly|p. 172}}.</ref>
 
Le sue scorrerie si protrassero fino alle zone di [[Avellino]], [[Campobasso]], [[Foggia]], [[Bari]], [[Lecce]], [[Matera]], [[Ginosa]], [[Castellaneta]] e si ritrovò a collaborare in diverse occasioni con altri capobriganti, come [[Angelantonio Masini]], [[Eustachio Fasano]] e il pugliese [[Sergente Romano]]. Quest'ultimo propose al suo collega lucano di unire le proprie forze, muoversi su [[Brindisi]], occupare [[Terra d'Otranto]], in(ove questaagiva terra operava un certoil [[Cosimo Mazzeo| (brigante Pizzichicchio]]), che era leader indiscusso delle province di Taranto, Brindisi e Lecce. In più Crocco collaborava con i comuni del [[provincia di Bari|barese]] innalzando la bandiera borbonica ma Crocco, a causa dell'esito negativo dei precedenti piani legittimisti, lasciò cadere il progetto.<ref>{{cita|Cinnella|p. 148}}.</ref> Dinnanzi all'apparente invincibilità degli uomini di Crocco, intervennero in aiuto della guardia nazionale e dell'esercito anche i militi della [[Legione ungherese]], che diedero filo da torcere al capobrigante e le sue bande.<ref>{{cita|Del Zio|pp. 159-160}}.</ref> Se da una parte Crocco perdeva uomini, dall'altra ne recuperò altrettanti a causa di una quantità irreversibile di renitenti che, per salvarsi dalla fucilazione, furono costretti alla macchia.
 
Gli scontri tra briganti e truppe italiane non accennarono a placarsi. Uno degli episodi più brutali avvenne nel marzo [[1863]], quando le sue bande (tra cui quelle di [[Ninco Nanco]], [[Giuseppe Caruso (brigante)|Caruso]], [[Caporal Teodoro]], Coppa, Sacchetiello e [[Malacarne]]), tesero un'imboscata a un distaccamento di 25 [[Cavalleggeri#Cavalleggeri di Saluzzo|cavalleggeri di Saluzzo]], guidato dal capitano Giacomo Bianchi, reduce della [[guerra di Crimea]], picchiando e uccidendo circa venti di loro, incluso il capitano. Lo sterminio avvenne in risposta alla fucilazione di alcuni briganti nei pressi di [[Rapolla]], perpetrato dagli stessi cavalleggeri. Nell'autunno dello stesso anno, Crocco, spinto dalla crescente pressione della coalizione regia e dal graduale abbandono del sostegno popolare, ebbe un breve ritorno al legittimismo. Diffuse un invito alla rivolta, cercando di sfruttare il sentimento religioso del volgo, in cui sembrò offrire anche un'alleanza alle forze rivoluzionarie di sinistra antimonarchiche:<ref>vedi pag 82 in Stato maggiore dell'esercito - ufficio storico, ''Memorie Storiche militari 1981, Roma , 1982''</ref>