Benelli: differenze tra le versioni
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Il funzionamento dell'azienda fu reso più difficile dall'inizio della [[prima guerra mondiale]] e, nel [[1916]], un [[Terremoti in Italia nel XX secolo|violento terremoto]] rese inagibile l'officina e l'abitazione. Teresa Boni Benelli, tuttavia, trovò una nuova sistemazione che consentì di riprendere l'attività.
Complice l'univoca passione per i motori, i fratelli Benelli avevano preso l'abitudine, sin dal [[1910]], di riunirsi per progettare, sotto la direzione di Giuseppe e Giovanni, un motore tutto loro con il quale equipaggiare una motocicletta. L'opera di progettazione, prototipazione e sviluppo, eseguita fuori dall'orario di lavoro e spesso ostacolata dalle difficoltà anzidette, durò otto anni e partorì un motore a due tempi di 75 [[centimetro cubo|cm³]] che venne esposto alla [[Fiera campionaria di Milano|1ª Fiera campionaria di Milano]] del [[1920]], ottenendo lusinghiere critiche. Successivamente maggiorato a 98 cm³, il motore equipaggiò il primo [[motociclo]]
Le moto Benelli, senza Tonino che dovette interrompere la sua brillante carriera di pilota nel [[1932]] a causa di un incidente, risultarono comunque vittoriose, ed arrivarono a conquistare nel [[1939]] il prestigioso [[Tourist Trophy]]. Vittoria bissata nel [[1950]] dal pilota cesenate [[Dario Ambrosini]] laureatosi Campione del Mondo nello stesso anno.
▲La supremazia tecnologica della Benelli nei confronti delle altre case motociclistiche italiane si basava sulla distribuzione a "cascata" d'ingranaggi con albero a camme in testa. Soluzione che, anche se non era una novità assoluta in campo motoristico, divenne ben presto il "marchio di fabbrica" della casa di Pesaro. Infatti a [[Giuseppe Benelli]] gli è stato imputato (soprattutto dai suoi detrattori) di non aver inventato nulla, ma in realtà la sua innovazione consiste nella geniale interpretazione costruttiva finalizzata ad eliminare gli effetti negativi delle dilatazioni termiche che affliggevano queste applicazioni. I cinque ingranaggi cilindrici a denti diritti della distribuzione furono inseriti (a cascata) in una sottile ed elegante cartella di alluminio collocata sul lato dx del motore, sulla sommità della quale vi era montato il "castelletto" della distribuzione con l'albero a camme e bilancieri annessi. Il tutto però non era fissato rigidamente alla testa del motore, ma vincolato da due "colonnette" cilindriche poste in corrispondenza delle viti della testata e alloggiate su due fori ricavati nel castelletto. Ciò permetteva ai due "blocchi" (cartella-castelletto/cilindro-testata), nella fase di dilatazione per effetto del calore, di scorrere l'uno sull'altro, senza creare quelle deformazioni che avrebbero reso inaffidabile il sistema. Soluzione che fu brevettata nel 1927 e che diede inizio al successo commerciale e sportivo della casa del "Leoncino", protrattasi fino allo scoppio della seconda guerra mondiale.
=== Il dopoguerra ===
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