Giovan Francesco Caroto: differenze tra le versioni

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La predisposizione di Caroto alla sperimentazione, al virtuosismo e all'astrazione formale raggiunge il suo apice in una fantasiosa rivisitazione di un'opera ''Puttino che gioca'' del Luini che il pittore veronese realizza nella tela ''[[Fanciullo con disegno]]'', probabilmente la sua più celebre opera, oggi conservata al Museo di Castelvecchio. L'originalità del soggetto, un fanciullo raffigurato mentre si volge allo spettatore ridendo e mostrando un suo infantile disegno, rappresenta quasi un ''unicum'' in un'epoca in cui era assai raro rappresentare un bambino come figura autonoma. Inoltre, la modernità dell'idea insita nell'aver messo nelle sue mani un disegno contribuisce a rendere l'opera ancora più singolare.<ref name="Castelvecchio393-395"/> Vi sono state diverse letture circa la sua possibile datazione ma oggi si tende a collocarla prossima alla realizzazione della ''Santa Caterina'', per via di alcuni lineamenti del fanciullo che ricordano quelli della santa.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 48}}.</ref> Circa il riconoscimento del soggetto raffigurato, la mancanza di una identificazione sessuale e di un chiaro riferimento all'appartenenza sociale, escludono che si tratti di un rampollo della nobiltà, facendo piuttosto pensare che sia da ricercare tra i conoscenti più stretti dell'artista o addirittura tra i suoi figli.<ref name="Castelvecchio393-395">{{cita|Marini, Peretti, Rossi, 2010|pp. 393-395}}.</ref>
 
Diversi documenti attestano la presenza, intorno al 1523, di Caroto nel Monferrato, probabilmente recatosi qui per alienare alcuni beni fondiari. E', probabilmente, a questo temporaneo soggiorno che si deve la realizzazione di un ''San Sebastiano'' per la [[Chiesa di Santo Stefano (Casale Monferrato)|chiesa di Santo Stefano]].<ref name="cita|Fiorio, 1971|p. 20"/> In questo dipinto l'artista veronese, che si firma sulla corazza del santo gettata a terra, si dimostra particolarmente originale nel linguaggio, riprendendo tuttavia il tema del nudo già trattato nella ''Pietà''; la sua maestria lo afferma decisamente tra i pittori [[rinascimento|rinascimentale]], completo e capace di padroneggiare la tecnica del [[chiaroscuro]].<ref>{{cita|Fiorio, 1971|pp. 49-50}}.</ref> Il dipinto trae una chiara ispirazione dai pittori lombardi ma sono stati notati anche delle relazioni con lo stile del [[Bramante]] e del [[Correggio (pittore)|Correggio]].<ref name=Treccani/> Il ritorno a casale, e quindi il rinnovato contatto con gli artisti lombardi, ispira a Caroto un'ulteriore tela, a cui deve notevoli prestiti dai lavori di [[Giampietrino]], raffigurante una ''Sofonisba beve il veleno'' (oggi a Castelvecchio), sebbene sia da notare che la protagonista sia stato talvolta identificata anche con [[Cleopatra]] o [[Artemisia]] invece che con la [[Sofonisba|regina cartaginese]] riconosciuta invece dai più.<ref name="Castelvecchio397-399">{{cita|Marini, Peretti, Rossi, 2010|pp. 397-399}}.</ref>
 
Fatto ritorno a Verona, nel 1524 realizza un [[affresco]], ''Dio Padre e le sette Virtù'', per il palazzo Poratalupi commissionato da Giulio della Torre.<ref name=Treccani/> A partire da questi anni, lo stile del Caroto muterà nuovamente, orientandosi sempre di più verso quelli in voga a [[Roma]] e che si erano diffusi in Lombardia grazie alla circolazione delle stampe dei lavori di Raffaello e all'abbandono della città eterna da parte di molti artisti a seguito dello storico [[Sacco di Roma (1527)|sacco]] che flagellò la città. Questo nuovo modo di concepire la pittura da parte di Giovan Francesco inizierà a vedersi nell'[[affresco]] realizzato nel 1524 per Giulio della Torre e arriverà alla sua massima espressione nella predella di San Bernardino, ora conservata a Bergamo. I continui viaggi di Giovan Francesco contribuirono anche ad importare a Verona queste contaminazioni stilistiche, andando ad influire su alcuni pittori locali come [[Francesco Morone]] e il [[Torbido]].<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 51}}.</ref>