Rivolta di Nika: differenze tra le versioni

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La rivolta allargava le sue motivazioni in vari campi. Attaccò anche due funzionari imperiali, [[Triboniano]] e [[Giovanni di Cappadocia]], quest'ultimo [[prefetto del pretorio]] per l'Oriente (''praefectus praetorio per Orientem''), che si occupavano di imporre le tassazioni necessarie al mantenimento della corte imperiale con la magnificenza voluta da Giustiniano I e che venivano inoltre attribuite ai capricci dell'imperatrice [[Teodora (moglie di Giustiniano)|Teodora]].
 
Erano in realtà figure chiave del governo dovendosi in parte anche a loro la redazione del [[Codice giustinianeo]]; ma erano accusati di fare mercato della giustizia, modificando le leggi a pagamento e distraendo nelle proprie tasche i fondi delle finanze pubbliche. Si riteneva che non vi fosse più nulla di pubblico che non si pagasse due volte: allo stato la tassa e all'esattore "la mancia", per evitare tassazioni maggiori o la minaccia di controlli rigorosi.
 
Il malcontento di entrambe le fazioni ora riunite prese allora a bersaglio questi ministri dell'imperatore, e congiuntamente pose la richiesta di rimuovere i tre autorevoli personaggi: [[Giovanni di Cappadocia]], prefetto pretoriano d'Oriente, Triboniano, questore del Palazzo, Eudemone, il prefetto della capitale direttamente attaccato dai rivoltosi. Subentra qui un terzo elemento, la relativa debolezza mostrata dall'imperatore. Giustiniano infatti subito li depose, e questo sembrò forse alle parti in rivolta un segno di debolezza. Giustiniano ebbe di fatto delle responsabilità precise nell'accendere la rivolta, come riferisce [[Procopio]] nella sua opera dove ci pone il risvolto negativo della coppia imperiale, nella Historia Arcana. Ci dice infatti come Giustiniano appoggiasse degli Azzurri i più estremisti spingendoli, con la concessione dell'impunità, ad effettuare vari delitti, per poi riportarli improvvisamente all'ordine.