Rasoio di Occam: differenze tra le versioni

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Esemplificativo della posizione di Kant è l'aneddoto che ha come protagonisti [[Pierre Simon Laplace|Laplace]] e [[Napoleone Bonaparte|Napoleone]]. Quando Laplace presentò la prima edizione della sua opera ''Exposition du système du monde'' ([[1796]]) a Napoleone, questi osservò: "Cittadino, ho letto il vostro libro e non capisco come non abbiate dato spazio all'azione del Creatore". A queste parole Laplace replicò seccamente:<ref>[http://www.hawking.org.uk/does-god-play-dice.html Does God Play Dice?]</ref> "Cittadino [[Primo console]], non ho avuto bisogno di questa ipotesi."
 
D'altra parte un credente, oppure uno scettico, potrebbe aggiungere che una spiegazione è per definizione un'affermazione di un principio o di una causa ritenuta necessaria per rendersi conto dell'esistenza di una determinatezza, che da sola non soddisfa i requisiti di una evidenza (di una risposta a un "perché c'è"). Se si assume il mondo come spiegazione dello stesso, nel senso che il mondo deve avere una sua causa (per esempio Dio), nulla vieta di poter spiegare l'esistenza del mondo senza ricercare la sua causa, cioè mettendo in opera il Rasoio di Occam e tagliando la causa (Dio). E non manca chi sostiene, come [[Emanuele Severino]], che tutte le cose non hanno causa, ma sono eterne ed è quindi insensato andare alla ricerca di una causa prima che riguardi l'esistenza del mondo.<ref>«''di tutte le cose è necessario dire che è impossibile che non siano, cioè è necessario affermare che tutte – dalle più umili e umbratili alle più nobili e grandi – tutte sono eterne. Tutte, e non solo un dio, privilegiato rispetto ad esse.''» (E. Severino, ''La strada. La follia e la gioia'' (1983), Rizzoli Bur, 2008, pp. 103-104)</ref>
 
Tuttavia i principi di razionalizzazione del ragionamento indotti da Occam, che successivamente sono stati denominati dalla critica filosofica "rasoio di Occam", non furono utilizzati da frate Guglielmo per affrontare il tema dell'esistenza di Dio. Infatti, secondo quanto esposto nelle sue due opere ''Summa totius logicae'' e ''Expositio aurea super artem veterem'', egli illustra come la realtà sia eminentemente individuale e nessun universale esista fuori dell'anima; né le "idee" di [[Platone]], né l'[[Aristotelismo|aristotelico]] e [[Tomismo|tomistico]] ''quod quid est'' (essenza identificata come fondamento oggettivo dei processi astrattivi), né le [[Duns Scoto|scotistiche]] ''formalitates''; l'[[universale]] è solo nel soggetto conoscente, operazione di classificazione degli individuali. Nella realtà individuale non v'è distinzione di essenza ed esistenza, distinzione reale tra gli accidenti e la sostanza, essendo i primi modi di concepire la sostanza, e così per le relazioni che sono quindi oggetto della [[logica]], non della [[metafisica]]. Questa concezione della [[realtà]] e questo modo d'intendere il processo conoscitivo hanno le loro corrispondenze nella [[teologia]]: quindi non viene meno il concetto di Dio, ma decade il valore delle tradizionali prove della sua esistenza; neppure il [[principio di causalità]] può essere utilizzato nella prova dell'esistenza di Dio, non essendo possibile escludere un regresso all'[[Infinito (filosofia)|infinito]].