Socializzazione dell'economia: differenze tra le versioni

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Nell'ambito dell'ideologia [[fascismoFascismo|fascista]] la [[locuzione]] '''socializzazione dell'economia''' indica una teoria proclamata nella [[Repubblica Sociale Italiana]] di trasformazione sociale dell'[[economia]] nella quale la proprietà dei [[mezzi di produzione]] non è esclusiva del [[capitalista]], ma è partecipata con i lavoratori impiegati nell'azienda.
 
Tale teoria [[Economia politica|economica]] venne elaborata e prevista nel [[Manifesto di Verona]], documento che conteneva il programma politico del [[Partito Fascista Repubblicano]], allora alla guida della neo costituita [[Repubblica Sociale Italiana]]. Il manifesto fu presentato durante il [[Congresso di Verona (1943)|Congresso deldi PFR]] tenutosi a [[Verona]] il 14 novembre [[1943]]. Fino ad allora, secondo i fascisti intervenuti a [[Verona,]] ogni realistico tentativo di apporre più ardite modifiche al sistema economico italiano era naufragato di fronte all'ostracismo dei poteri economici definiti come [[plutocrazia]].
 
La legge "quadro" sulla socializzazione, entrata in vigore nel 1944 (Decreto LegislativoD.Lgs. 12 Febbraiofebbraio 1944, Nn. 375) ebbe tuttavia scarsissima applicazione sperimentale, e non poté incidere - come sperato dal regime - nel creare consenso attorno ad esso e rilanciare decisamente la produzione bellica, per altro rigidamente controllata dai tedeschi occupanti e da essi in larghissima misura assorbita.
 
== La socializzazione nel fascismo ==
Il termine venne coniato nel [[1943]] per indicare una dottrina economica concepita dal [[fascismo]] all'interno del sistema economico [[Corporativismo|corporativista]] della [[Repubblica Sociale Italiana]], ma i prodromi vanno individuati nella [[Carta del Carnaro]] promulgata a [[Fiume (Croazia)|Fiume]] nel [[1920]] e nella [[Carta del Lavoro]] del [[1927]]. La ''socializzazione fascista'' avrebbe dovuto costituire, nelle intenzioni dei suoi proponenti, la "[[Terza via (fascismo)|terza via]]" nei confronti dei due maggiori sistemi economici del [[XX secolo|Novecento]]: (il [[capitalismo]] ede il [[bolscevismo]],) sia per quanto riguarda l'economia chesia per i suoi riflessi sul piano sociale. Prese parte al suo sviluppo anche l'ex comunista [[Nicola Bombacci]] (caro amico di Benito Mussolini) che contribuì a quest'opera riprendendo, tra l'altro, le teorie dell'anarchico ucraino [[Nestor MakhnoIvanovič Machno|Nestor Ivanovyč Machno]], dal [[fabianesimo]] e dal [[distributismo]] [[Silvio Gesell|geselliano]]. Amico di vecchia data di [[Benito Mussolini]], nonché condivisore degli ideali socialisti del Fascismofascismo, Nicola Bombacci collaborò a questa politica economica della [[Repubblica Sociale Italiana]] senza tuttavia rinnegare i propri ideali comunisti, ma sforzandosi di farli collimare con la politica sociale fascista.
 
Nel ''Manifesto di Verona'' si affermava che la base della Repubblica Sociale Italiana e della dottrina economica del Partito Fascista Repubblicano sarebbe stato il lavoro (articolo 9); e che la proprietà privata, frutto di lavoro e risparmio sarebbe stata garantita, ma non si sarebbe dovuta per ciò trasformare in entità disgregatrice della personalità altrui sfruttandone il lavoro (articolo 10). Tutto ciò che era di interesse collettivo, da un punto di vista economico si sarebbe dovuto nazionalizzare (articolo 11). Nelle aziende sarebbe stata avviata e regolata la collaborazione tra maestranze e operai per la ripartizione degli utili e per la fissazione dei salari (articolo 12). In agricoltura le terre incolte o mal gestite sarebbero state espropriate e riassegnate a favore di braccianti e cooperative agricole (articolo 13). L'Ente Nazionale per la casa del popolo avrebbe avuto l'obbiettivo di fornire una casa in proprietà a tutti (articolo 15). Si sarebbe costituito un [[Confederazione Generale del Lavoro, della Tecnica e delle Arti|sindacato dei lavoratori]], obbligatorio, e avrebbe riunito tutte le categorie (articolo 16).
 
La socializzazione dell'economia attuata durante la Repubblicana Sociale Italiana deriva dalla [[corporazione proprietaria]] ideata da [[Ugo Spirito]], ovvero la [[Corporativismo|corporazione]] che diventa proprietaria dell'azienda, ricercando l'equilibrio tra le due componenti della produzione, ovvero [[lavoro]] e [[Capitale (economia)|capitale]].<ref>''Il comunista in camicia nera, Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini'', Arrigo Petacco, Mondadori, 1997.</ref> La socializzazione si trovò affiancata agli altri due capisaldi dell'ideologia economica del fascismo, cioè il [[corporativismo]] e la [[fiscalità monetaria]], come base del sistema politico della [[democrazia organica]].{{quote|I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio|Enzo Pezzato in ''La Repubblica fascista", 22 aprile 1945.<ref>Luciano Lanna, Filippo Rossi, ''Fascisti immaginari: tutto quello che c'è da sapere sulla destra'', Vallecchi, 2003, pagp. 176.</ref>}}
La socializzazione dell'economia attuata durante la RSI, deriva dalla [[corporazione proprietaria]] ideata da [[Ugo Spirito]], ovvero la [[Corporativismo|corporazione]] che diventa proprietaria dell'azienda, ricercando l'equilibrio tra le due componenti della produzione: lavoro e capitale.<ref>''Il comunista in camicia nera, Nicola Bombacci tra Lenin e Mussolini'', Arrigo Petacco, Mondadori, 1997</ref>
 
La socializzazione si trovò affiancata agli altri due "capisaldi" dell'ideologia economica del fascismo: il "[[corporativismo]]" e la "[[fiscalità monetaria]]", come base del sistema politico della ''[[democrazia organica]]''.
 
{{quote|I nostri programmi sono decisamente rivoluzionari le nostre idee appartengono a quelle che in regime democratico si chiamerebbero "di sinistra"; le nostre istituzioni sono conseguenza diretta dei nostri programmi; il nostro ideale è lo Stato del Lavoro. Su ciò non può esserci dubbio: noi siamo i proletari in lotta, per la vita e per la morte, contro il capitalismo. Siamo i rivoluzionari alla ricerca di un ordine nuovo. Se questo è vero, rivolgersi alla borghesia agitando il pericolo rosso è un assurdo. Lo spauracchio vero, il pericolo autentico, la minaccia contro cui lottiamo senza sosta, viene da destra. A noi non interessa quindi nulla di avere alleata, contro la minaccia del pericolo rosso, la borghesia capitalista: anche nella migliore delle ipotesi non sarebbe che un'alleata infida, che tenterebbe di farci servire i suoi scopi, come ha già fatto più di una volta con un certo successo. Sprecare parole per essa è perfettamente superfluo. Anzi, è dannoso, in quanto ci fa confondere, dagli autentici rivoluzionari di qualsiasi tinta, con gli uomini della reazione di cui usiamo talvolta il linguaggio|Enzo Pezzato in ''La Repubblica fascista", 22 aprile 1945.<ref>Luciano Lanna, Filippo Rossi, ''Fascisti immaginari: tutto quello che c'è da sapere sulla destra'', Vallecchi, 2003, pag. 176.</ref>}}
 
=== Socializzazione delle imprese ===
Fu Mussolini già il 23 settembre 1943 nel formare il governo a volere l'istituzione del ministero dell'Economia corporativa, nominando ministro prima Silvio Gai e dal 1º gennaio 1944 [[Angelo Tarchi (politico)|Angelo Tarchi]]. Fu quest'ultimo ad accelerare la stesura del decreto legge sulla socializzazione.
 
La socializzazione delle imprese -, vista con sospetto e boicottata dalla [[Nazionalsocialismo|Germania nazionalsocialista]] -, venne disposta inizialmente con il Decreto Legislativo delD.Lgs. 12 febbraio 1944, Nn. 375, alla firma di [[Benito Mussolini]] unita a quelle di [[Domenico Pellegrini Giampietro]] e [[Piero Pisenti]]. Per diretta conseguenza il compito venne assegnato al ministro dell'Economia corporativa l'ingegner Angelo Tarchi, che si insediò nella sede del ministero, a Bergamo.
 
Il 20 giugno [[1944]], ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio, [[Anselmo Vaccari]], in un rapporto diretto a Mussolini riportò come "I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi.<ref>''Rapporto Vaccari'' al Duce, in: Santo Peli, ''Storia della Resistenza in Italia'', Einaudi, Torino, 2006, ISBN 88-06-18092-4, p. 69; Edoardo e Duilio Susmel ''Opera Omnia di Benito Mussolini'', La Fenice, Firenze; F. Deakin, ''Storia della Repubblica di Salò'', Einaudi, Torino, 1963; Gianni Oliva, ''La Repubblica di Salò'', Giunti, 1997.</ref>
 
Il 20 giugno [[1944]], ossia appena quattro mesi dopo il decreto legislativo, il dirigente della federazione fascista degli impiegati del commercio, [[Anselmo Vaccari]], in un rapporto diretto a Mussolini riportò comequanto segue: "«I lavoratori considerano la socializzazione come uno specchio per le allodole, e si tengono lontano da noi e dallo specchio. Le masse ripudiano di ricevere alcunché da noi».<ref>''Rapporto Vaccari'' al Duce, in: Santo Peli, ''Storia della Resistenza in Italia'', Einaudi, Torino, 2006, ISBN 88-06-18092-4, p. 69; Edoardo e Duilio Susmel ''Opera Omnia di Benito Mussolini'', La Fenice, Firenze; F. Deakin, ''Storia della Repubblica di Salò'', Einaudi, Torino, 1963; Gianni Oliva, ''La Repubblica di Salò'', Giunti, 1997.</ref> L'attuazione integrale della socializzazione era prevista per il [[Anniversario della liberazione d'Italia|25 aprile 1945]].<ref>Antonio Fede, Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, p. 41.</ref>
L'attuazione integrale della socializzazione era prevista, ironia della sorte, per il 25 aprile [[1945]].<ref>Antonio Fede, Appunti critici di storia recente, Ed. Coop. Quilt, Messina 1988, pag. 41</ref>
 
Difatti il 25 aprile 1945 tra i primi atti politico-amministrativi del [[CLNAIComitato di Liberazione Nazionale]] dopo la sconfitta del [[fascismo]] nel [[nordNord Italia]], vi fu proprio l'[[abrogazione]] del DLD.Lgs sulla socializzazione definita da esso un tentativo "«di aggiogare le masse lavoratrici dell'Italia occupata al servizio ed alla collaborazione con l'invasore"».<ref>C.L.N., Bollettino ufficiale degli atti del C.L.N.-Giunta regionale di governo per il Piemonte, 25 aprile 1945, tratto da Perticone, G. ''La repubblica di Salò'', ed. Leonardo, Roma, 1947.</ref>
governo per il Piemonte, 25 aprile 1945, tratto da:<br />Perticone, G. ''La repubblica di Salò'', Ed. Leonardo, Roma 1947</ref>.
 
== Note ==