Bianca Giovanna Sforza: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Trebbia (discussione | contributi)
Nessun oggetto della modifica
Ho tolto per fedeltà ai documenti d'archivio noti l'investitura di Bianca Giovanna su Bobbio e Castel san Giovanni, in quanto risulta investita solo della signoria di Voghera. Per imperizia non mi è possibile rettificare il dato nelle prime tre righe. Per Bobbio è incerta l'investitura del Sanseverino, perché si ritiene avocato alla Camera Ducale, ma è certa la delega al Sanseverino della difesa del castello. Per Castel san Giovanni necessita l'atto d'archivio citato.
Riga 57:
Come si evince dal diploma in data 8 novembre [[1489]] a firma autografa di suo cugino, il duca [[Gian Galeazzo Maria Sforza|Gian Galeazzo Maria]], il quale concedeva la facoltà di legittimare “''Dominam Johannam Blancam”'' al duca palatino Nicolò Gentili, il vero nome della primogenita di Ludovico il Moro era Giovanna, ma veniva da tutti chiamata col secondo nome di Bianca. Stante la consuetudine, è giustificato appellarla col secondo nome Bianca.
 
''' '''Il 14 dicembre 1489, il Moro – prima delle nozze con [[Beatrice d’Este]] - legittimava la figlia Bianca nel [[Castello Sforzesco (Vigevano)|castello di Vigevano]], col ministero del notaio Antonio Zunico. '' ''Contestualmente all’atto di legittimazione, lo Sforza prometteva in sposa la figlia a Galeazzo Sanseverino, assegnandole in dote lela prestigioseprestigiosa conteecontea di Bobbio e Voghera ed il feudo di Castel San Giovanni. Nel rogito del notaio Antonio Zunico è detto espressamente che il Moro, duca di Bari, prometteva “all’illustre potente marchese e militare signor Galeazzo Sforza Visconti di San Severino etc. la predetta sua amatissima figlia per via di sponsali, con l’intento di dargliela in sposa non appena raggiungeva l’età legittima”''.'' Circa un mese dopo, il dieci di gennaio 1490, nel castello di porta Giovia in Milano, “''magnifico ac solemni apparatu”'' Galeazzo celebra gli sponsali con la piccola Bianca.
 
Infine il 20 giugno 1496 il Moro aveva acconsentito che avvenisse per Bianca la “trasductio ad maritum”, atto definitivo delle pratiche matrimoniali.
 
Nelle decisioni del Moro aveva pesato la volontà di compiacere il favorito Galeazzo e al contempo di realizzare l’ambizione di espandere i propri domini feudali. Infatti è evidente che in quel matrimonio lo Sforza riponeva il progetto di unificare territorialmente il proprio dominio sull’intero territorio sottratto ai [[Dal Verme]] dopo l’avvelenamento del conte [[Pietro II Dal Verme|Pietro]] perpetrato nel 1485: entrambi gli sposi - Bianca con Bobbio, Voghera e Castel San Giovanni e Galeazzo, signore di Castelnuovo Scrivia, al quale venivano donate (con atto del vescovo de Trottis databile prima del 1494, come riportano gli storici Benedetto Rossetti e Ferdinando Ughello) le terre vermesche dell'Oltrepo e della [[Val Tidone]] ([[Zavattarello]], [[Rocca d'Olgisio]], [[Pianello Val Tidone]], [[Romagnese]], [[Pecorara]] e la sua valle) espropriate dal Moro - avrebbero assicurato in futuro quali eredi il controllo sull’intera area, snodo commerciale verso il mare e presidio strategico-militare. Per quanto concerne Bobbio, è certo che il Sanseverino, come comandante dell’Armata Ducale, era in prima persona investito della difesa militare del [[Castello Malaspiniano (Bobbio)|Castello]], che era stata la roccaforte vermesca.
 
=== Una biografia ricostruita sulla base di dati d'archivio ===
Riga 70:
- la madre di Bianca viene nominata nell’atto semplicemente come signora Bernardina, segno che si voleva nasconderne l’identità, e che evidentemente era tenuta estranea all’ambiente della corte milanese (diversamente dalle successive amanti Cecilia Gallerani e Lucrezia Crivelli, potenti cortigiane);
 
- si apprende inoltre per la prima volta - tramite la traduzione sopra citata – che Bianca fu concepita quando Bernardina era già sposata e che il nome di suo marito era, sia all’epoca del concepimento che alla data dell’atto, “Antonio Gentili”, un nobile tortonese di età molto avanzata (è significativo che delegato alla legittimazione fosse appunto Nicolò Gentili, un famigliare dello stesso Antonio);
 
- che il Moro al momento del concepimento di Bianca era unito da “fidanzamento” con Beatrice, mentre nell’atto della legittimazione di Bianca vi veniva qualificato come “sposato per la sopraggiunta età legittima della sua illustrissima consorte” (il matrimonio era imminente).
Riga 76:
Degno di nota è il fatto che nel diploma di legittimazione non compaia il cognome della madre, nominata esclusivamente come Bernardina; solo nella lettera del Moro del 23 novembre 1496 - una epistola riservata nella quale il Duca la avverte della repentina morte della figlia - comparirà nominata per esteso come Bernardina de Conradis.
 
Non solo le due missive del Moro vergate il giorno della morte della figlia e datate 23 novembre, ma pure l'ulteriore lettera dell'Arcivescovo di Milano parimenti scritta da Vigevano e datata 23 novembre 1496 certificano che la data esatta della morte di Bianca fu il 23 (e non il 22 novembre, (come altrove erroneamente attestato).
 
=== La morte di Bianca è avvolta nel mistero ===
L’originale della lettera a Bernardina - pubblicata in originale (ASMI, Potenze sovrane, cart.1475-01) e trascritta nelle citate pubblicazioni della Glori unitamente alla lettera che lo stesso giorno il Moro scrisse al medico curante Ambrogio da Rosate (ASMI, Potenze sovrane, cart. 1475-02) - offrono prova certa che la morte di Bianca Sforza avvenne per cause sconosciute e che non risulta affatto che la giovane fosse mai stata incinta, come erroneamente sostenuto da varie fonti. Nella lettera indirizzata a Bernardina il padre aggiunge dettagli che confermano la natura ignota del male (“tolta per male non veduto né extimato” ) precisando: “Heri alle 3 hore essendosi epsa fin a quella hora sentita bene, comenziò ad aggravarsi et sopravenuti alcuni casi procedete pezorando sempre sin alle 17 del dì presente, al quale tempo fece fine al vivere suo”. La certezza della prova che si trattò di morte per cause ignote è resa nella seconda lettera indirizzata lo stesso giorno al medico curante, l’archiatra e mago di corte Ambrogio da Rosate, dove il Moro parla di “dolore collicho” e “parosismo” e accusa i medici di non aver capito la natura della sua “infirmità”, arrivando addirittura ad accusarli di averne causato la morte. Va sottolineata la forte connotazione di dubbio e sospetto manifestata dal Duca in una nota apposta in calce: “nuy dubitamo che li medici, iudicando questi dolori di stomacho li habiano dato vino et altre cose calde quali li hano nosuto ala testa”. In nessun punto delle notizie storico-biografiche rinvenute su Bianca viene accennato a una sua eventuale gravidanza.
 
Recependo ulteriori frammenti biografici, la Glori instaura un documentato parallelo tra natura ed evoluzione del male della primogenita del Moro (definito “passione de stomacho”) con l’analogo decorso patito dal giovane duca Gian Galeazzo Sforza, avvelenato per ordine di Ludovico il Moro (come da descrizione di Francesca M.Vaglienti in Dizionario biografico Treccani alla voce Gian Galeazzo Maria Sforza): il parallelo evidenzia in entrambi i casi i gravi sintomi gastrici e i diffusi malesseri alternati a passeggeri miglioramenti che si succedono tra estate e autunno. Curati dai migliori medici di corte con analoghi rimedi sulla base di diagnosi contraddittorie e fumose, i due cugini morirono entrambi nel giro di pochi mesi senza che si trovasse una ragionevole causa del decesso.
 
=== La scomparsa di Bianca e il tramonto della dinastia sforzesca ===
Si sa molto poco della giovane nel periodo che va dal 1490 al 1496.
 
Vezzeggiata a corte, era la prediletta di Beatrice d’Este (che per essere andata sposa al Moro ilnel gennaio 1491 fu accanto a Bianca da quando avevano rispettivamente all’incirca dieci e sedici anni fino al novembre 1496). Bianca è citata unitamente a Galeazzo in un sonetto del Bellincioni: gli sposi vi vengono celebrati nella cornice della corte milanese al culmine dello splendore, e la sposa-bambina è definita una “fenice”, per esaltarne le doti spirituali.
 
Malaguzzi Valeri ne" La Corte di Ludovico il Moro" ne offre un ritratto di adolescente innocente e fragile, turbata dal generale clima cortigiano amorale e dalle vicende famigliari non edificanti a cui assisteva (la oscura morte del cugino Gian Galeazzo, le amanti del padre e i suoi conflitti con Isabella d’Aragona ecc.) Al proposito scrive che, “le emozioni troppo forti della vita di corte e del precoce matrimonio ne danneggiarono la debole compagine “. Infatti “La piccola Bianca, come tant’altre sue compagne (anch’esse spose-bambine), fu subito lanciata nel vortice pericoloso della vita di corte e dei piaceri mondani”.