Giovan Francesco Caroto: differenze tra le versioni

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La fase intermedia dell'attività pittorica del Caroto va indubbiamente messa in relazione con il suo interesse per la pittura lombarda ed è collegabile con il soggiorno del pittore a [[Milano]], riferitoci dal Vasari. Nell'ambiente cosmopolita di colui che divenne conte di Sesto Calende nel 1514, entrò probabilmente attorno a questa data in contatto con l'arte dei [[leonardeschi|pittori leonardeschi]] (in particolare di [[Bernardino Luini]] e [[Cesare da Sesto]]) e dei [[pittura fiamminga|fiamminghi]], da sempre molto in voga nella capitale lombarda. Nei primi anni del 1500, [[Milano]] era, infatti, considerata un importatissimo centro culturale e artistico. Qui erano attivi artisti del calibro di [[Vincenzo Foppa]], [[Bergognone]], [[Butinone]] e [[Bramantino]]. Attratto, probabilmente, da una scena artistica così vivace, Caroto vi si stabilì.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 37}}.</ref> Mentre era a Milano, Giovan Francesco fu "chiamato da Guglielino marchese di Monferrato".<ref group="N">Vasari scrive: "''Dopo aver servito il Visconte, essendo Giovanfrancesco chiamato da Guglielmo, Marchese di Monferrato, andò volentieri a servirlo essendo di ciò molto pregato dal Visconte, e così arivato gli fu assegnata bonissima provisione...''" Giorgio Vasari, ''Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori''.</ref></ref> e quindi dall'anno successivo la sua residenza risulta stabile a [[Casale Monferrato|Casale]] ospite del suo mecenate [[Guglielmo IX del Monferrato|Guglielmo IX]], dove si fermerà per almeno i successivi 5 anni.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|pp. 38-39}}.</ref>
 
Poco ci è rimasto dei lavori di Caroto in terra lombarda; sappiamo che dipinse la cappella ove era solito ad ascoltare la Messa, la chiesa e il castello di San Domenico, ma di tutto ciò non ne rimane traccia in quanto entrambi gli edifici vennero più volte rimaneggiati nel tempo.<ref group="N">Vasari racconta: "''Lavorò poi per le camere di quel castello molte cose che gli acquistarono grandissima fama. E dipinse in San Domenico, per ordine di detto marchese, tutta la capella maggiore, per ornamento d’una sepoltura dove dovea essere posto''". Giorgio Vasari, ''Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori''.</ref></ref> Notevoli attenzioni dovette dedicare all'esecuzione dei ritratti delle dame di servizio della marchesa, oltre che a quello del primogenito della casata, come infatti racconta Vasari:<ref name="cita|Fiorio, 1971|p. 22">{{cita|Fiorio, 1971|p. 22}}.</ref>:
 
{{Citazione|Fece il ritratto di detto signore e della moglie, e molti quadri che mandarono in Francia, et il ritratto parimente di Guglielmo lor primogenito ancor fanciullo, e così quegli delle figliuole e di tutte le dame che erano al servigio della Marchesana|Giorgio Vasari, ''Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori''<ref name=Vasari253>{{cita|Vasari|p. 253}}.</ref>}}
 
A proposito della sua abilità come ritrattista, sempre Vasari racconta un aneddoto in cui Giovan Francesco gareggia a Milano contro un pittore fiammingo in una gara di pittura che alla fine lo vide perdere solo perché, racconta lo storico aretino, il personaggio da egli scelto non era giovane e bello come quello dipinto dal suo avversario.<ref name="Castelvecchio393-395"/>
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[[File:Giovan Francesco Caroto - Pradella - San Giorgio in Braida.jpg|left|thumb|[[Predella]] del polittico di cui sopra, opera del Caroto.]]
 
Ritornato nella sua città natale, "accomodò di maniera le cose sue e del figliuolo, al quale diede moglie, che in poco tempo si trovò esser ricco di più di settemila ducati". Tuttavia, l'agiatezza acquisita non gli fece abbandonare la pittura, "anzi vi attese più che mai, avendo l’animo quieto e non avendo a stillarsi il cervello per guadagnarsi il pane."''<ref>{{Cita|Vasari|p. 253}}.<name=Vasari253/ref> Una delle prime opere di Caroto realizzate dopo il suo ritorno a Verona un [[polittico]] per un altare laterale della [[chiesa di San Giorgio in Braida]]. Di questo polittico sono suoi il ''San Rocco'', alla sinistra, il ''San Sebastiano'', alla destra, la lunetta con ''Trasfigurazione'' e la [[predella]] inferiore che comprende ''Orazione nell'orto'', ''Deposizione'' e ''Resurrezione''. Gli altri due dipinti che lo decorano sono attribuiti al [[Felice Brusasorzi|Brusasorzi]] e a [[Angelo Recchia]]. In quest'opera Giovan Francesco mette in luce quanto di meglio appreso durante i suoi soggiorni lombardi passati a studiare gli stili leonardeschi, arrivando a realizzare una delle sue opere più elevate dal punto di vista stilistico.<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 40}}.</ref> Gli sfumati, ottenuti con diverse stesure di velature e colore, conferiscono un'espressione malinconica ai due santi andando a realizzare un "sottile intrico culturale" tra gli stili del Bramantino e del Costa.<ref name=Viviani156>{{cita|Viviani, 2002|p. 156}}.</ref>
 
In questo periodo è, probabilmente, da collocarsi anche la sua tela raffigurante ''Santa Caterina d'Alessandria'', dipinta per la [[Chiesa di Madonna di Campagna (Verona)|chiesa di Madonna di Campagna]] (opera tarda del celebre architetto veronese [[Michele Sanmicheli]]) e oggi conservata presso il [[museo di Castelvecchio]].<ref name="Castelvecchio399-400">{{cita|Marini, Peretti, Rossi, 2010|pp. 399-400}}.</ref> Anche questo dipinto mostra in modo particolare le influenze della pittura lombarda, una caratteristica che continuerà ad alimentarsi à a seguito dei suoi frequenti viaggi a Casale. Nello specifico, lo stile si richiama a quello dei pittori seguaci di [[Raffaello]], moltiplicatisi a quel tempo nel milanese dopo il ritorno del Luini da [[Roma]]. Inoltre, la postura e l'atteggiamento di Santa Caterina ricordano la ''Santa Barbara'' del [[Boltraffio]] e la fisionomia dei dipinti di [[Leonardo da Vinci]].<ref>{{cita|Fiorio, 1971|p. 47}}.</ref>