Niccolò Machiavelli: differenze tra le versioni

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=== L'infanzia e la giovinezza ===
{{citazione|Nacqui povero, ed imparai prima a stentare che a godere.|N. Machiavelli, ''[[s:Lettere (Machiavelli)/Lettera II a Francesco Vettori|Lettera a Francesco Vettori]]''.}}
Niccolò Machiavelli (scritto anche Macchiavelli sulla statua a lui dedicata all'ingresso degli Uffizi) nacque a [[Firenze]],<ref>Archivio dell'Opera di Santa Maria del Fiore, Libri dei battesimi: A dì 4 di detto maggio 1469 Niccolò Piero e Michele di m. Bernardo Machiavelli, p. di Santa Trinita, nacque a dì 3 a hore 4, battezzato a dì 4</ref> terzo figlio, dopo le sorelle Primavera ([[1465]]) e Margherita ([[1468]]) e prima del fratello Totto ([[1475]]-[[1522]]); figlio di Bernardo ([[1432]]-[[1500]]) e di Bartolomea Nelli ([[1441]]-[[1496]]). Anticamente originari della [[Val di Pesa]], i [[Machiavelli (famiglia)|Machiavelli]] sono attestati<ref>Dal Villani, nella sua ''Cronica''</ref> popolani guelfi residenti almeno dal [[XIII secolo]] a Firenze, dove occuparono uffici pubblici ed esercitarono il commercio. Il padre Bernardo era tuttavia di così poca fortuna da esser considerato, non si sa quanto veritieramente, figlio illegittimo: dottore in [[legge]], risparmiatore per carattere o per necessità, ebbe interesse agli studi di umanità, come risulta da un suo ''Libro di Ricordi'' che è anche la principale fonte di notizie sull'infanzia di Niccolò.<ref>I ''Ricordi'' vanno dal 30 settembre 1474 al 19 agosto 1487</ref> La madre, secondo un suo lontano pronipote,<ref>In ''Discorsi di Architettura'' del senatore Giovan Battista Nelli, 1753</ref> avrebbe composto laude sacre, rimaste peraltro sconosciute, dedicate proprio al[[Girolamo Savonarola|rolamofiglio Savonarola]]Niccolò.
 
Nel [[1476]] Niccolò cominciò a studiare [[lingua latina|latino]] con un certo Matteo, l'anno dopo si dedicava allo studio della [[grammatica]] con [[Battista da Poppi]], all'[[aritmetica]] nel [[1480]] e l'anno seguente affrontava le prove scritte di componimento in latino. Opere in questa lingua esistevano nella biblioteca paterna: la I Deca di [[Tito Livio]] e quelle di [[Flavio Biondo]], opere di [[Cicerone]], [[Macrobio]], [[Prisciano]] e [[Marco Giuniano Giustino]]. Adulto, maneggerà anche [[Lucrezio]]<ref>La sua trascrizione del ''De rerum natura'' è nel manoscritto Vaticano Rossiano 884</ref> e la ''Historia persecutionis vandalicae'' di [[Vittore Uticense]]. Non conobbe invece il [[lingua greca|greco antico]], ma poté leggere le traduzioni latine di alcuni degli storici più importanti, soprattutto [[Tucidide]], [[Polibio]] e [[Plutarco]], da cui trasse importantissimi spunti per la sua riflessione sulla Storia<ref>L. Canfora, ''Noi e gli antichi'', Milano 2002, p. 16, 22, 121</ref>. S'interessò alla politica fin dalla giovinezza, come dimostra una sua lettera del 9 marzo [[1498]], la seconda che di lui ci è pervenuta - la prima è una richiesta al cardinale [[Juan López|Giovanni Lopez]], del 2 dicembre [[1497]], affinché si adoperi a riconoscere alla sua famiglia un terreno contestato dalla famiglia dei [[Pazzi]] - indirizzata probabilmente all'amico [[Ricciardo Becchi]], ambasciatore fiorentino a Roma, nella quale egli si esprime in modo critico contro [[Girolamo Savonarola]].
 
=== La formazione ===
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[[File:Niccolo Machiavelli uffizi.jpg|left|thumb|Statua di Machiavelli, [[Galleria degli Uffizi]] a [[Firenze]].]]
{{citazione|Della persona fu ben proporzionato, di mezzana statura, di corporatura magro, eretto nel portamento con piglio ardito. I capelli ebbe neri, la carnagione bianca ma pendente all'ulivigno; piccolo il capo, il volto ossuto, la fronte alta. Gli occhi vividissimi e la bocca sottile, serrata, parevano sempre un poco ghignare. Di lui più ritratti ci rimangono, di buona fattura, ma soltanto [[Leonardo da Vinci|Leonardo]], col quale ebbe pur che fare ai suoi prosperi giorni, avrebbe potuto ritradurre in pensiero, col disegno e i colori, quel fine ambiguo sorriso|[[Roberto Ridolfi]], ''Vita di Niccolò Machiavelli'', p. 22}}
[[File:Caterina Sforza.jpg|thumb|upright|[[Caterina Sforza Riario|Caterina]], ritratta da [[Lorenzo Sforzadi RiaCredi]].]]
Niccolò aveva già presentato al ''Consiglio dei Richiesti'', il 18 febbraio [[1498]], la propria candidatura a segretario della Seconda Cancelleria della Repubblica fiorentina, ma gli fu preferito un candidato savonaroliano. Pochi giorni dopo la fine dell'avventura politica e religiosa del frate ferrarese, il 28 maggio Machiavelli fu nuovamente designato ed eletto il 15 giugno dal ''Consiglio degli Ottanta'', elezione ratificata dal ''Consiglio maggiore'' il 19 giugno 1498, probabilmente grazie all'autorevole raccomandazione del Primo segretario della Repubblica, [[Marcello Virgilio Adriani]], che il [[Paolo Giovio|Giovio]] asserisce<ref>P. Giovio, Elogia clarorum virorum, 1546, 55v: «Constat [...] a Marcello Virgilio [...] graecae atque latinae linguae flores accepisse»</ref> essere stato suo maestro.
 
Per quanto i compiti delle due Cancellerie siano stati spesso confusi, generalmente alla prima si attribuivano gli affari esterni, e alla seconda quelli interni e la guerra: ma i compiti della seconda Cancelleria, presto unificati con quelli della Cancelleria dei ''Dieci di libertà e pace'', consistevano nel tenere i rapporti con gli ambasciatori della Repubblica, cosicché, essendogli stata affidata, il 14 luglio, anche questa ulteriore responsabilità, Machiavelli finì per doversi occupare di una tale somma di compiti da essere storicamente considerato, senza ulteriori distinzioni, il «Segretario fiorentino».
 
Era il tempo nel quale, conclusa l'avventura italiana di [[Carlo VIII di Francia|Carlo VIII]], la maggiore preoccupazione di Firenze era volta alla riconquista di [[Pisa]] - resasi indipendente dopo che [[Piero il Fatuo|Piero de' Medici]] l'aveva data in pegno al [[re di Francia]]- e alleata di [[Repubblica di Venezia|Venezia]] che, intendendo impedire l'espansione fiorentina, aveva invaso il [[Casentino]], occupandolo a nome dei Medici. Il pericolo venne fronteggiato dal capitano di ventura [[Paolo Vitelli]], e la mediazione del [[duca di Ferrara]] [[Ercole I d'Este|Ercole I]], il 6 aprile [[1499]], riconsegnò il Casentino a Firenze, autorizzandola altresì a riprendersi Pisa. In marzo venne inviato a [[Pontedera]], dove erano acquartierate le milizie del [[signore di Piombino|signore di P]]<nowiki/>attro, assalti[[Jacopo sarìaIV impossibileAppiano|Jacopo ched'Appiano]], alleato di reggessero»Firenze.
 
In maggio scrisse il ''Discorso della guerra di Pisa'' per il magistrato dei Dieci: poiché «Pisa bisogna averla o per assedio o per fame o per espugnazione, con andare con artiglieria alle mura», esaminate diverse soluzioni, si esprime favorevole a un assedio di «un quaranta o cinquanta dì ed in questo mezzo trarne tutti gli uomini da guerra potete, e non solamente cavarne chi vuole uscire, ma premiare chi non ne volesse uscire, perché se ne esca. Dipoi, passato detto tempo, fare in un subito quanti fanti si può; fare due batterie, e quanto altro è necessario per accostarsi alle mura; dare libera licenza che se ne esca chiunque vuole, donne, fanciulli, vecchi ed ognuno, perché ognuno a difenderla è buono; e così trovandosi i Pisani voti di difensori dentro, battuti dai tre lati, a tre o quattro assalti sarìa impossibile che reggessero».
 
Il 16 luglio [[1499]] si presentò a [[Forlì]] alla contessa [[Caterina Sforza|Caterina Sforza Riario]], nipote di [[Ludovico il Moro]] e madre di [[Ottaviano Riario]], che era stato al soldo dei fiorentini, per rinnovare l'alleanza e ottenere uomini e munizioni per la guerra pisana. Ottenne solo vaghe promesse dalla contessa che era già impegnata a sostenere lo zio nella difficile difesa del Ducato milanese dalle mire di [[Luigi XII di Francia|Luigi XII]] e dovette ripartire senza aver nulla ottenuto. Era nuovamente a Firenze in agosto, quando le artiglierie fiorentine, provocata una breccia nelle mura pisane, aprivano la via alla conquista della città, ma il Vitelli non seppe sfruttare l'occasione e temporeggiò finché la [[malaria]] non ebbe ragione delle sue truppe, costringendolo a togliere l'assedio il 14 settembre. Invano ritentò l'impresa: sospettato di tradimento, quello che «era il più reputato capitano d'Italia»<ref>R. Ridolfi, cit., p. 45</ref> fu decapitato.
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[[File:Georges d'Amboise.jpg|thumb|left|Il cardinale di [[Rouen]] [[Georges I d'Amboise|Georges d'Amboise]]]]
Il 6 agosto 1500 raggiunsero la corte francese a [[Nevers]], presentando al re e al ministro, [[Georges I d'Amboise|cardinale di Rouen]], le rimostranze per il cattivo comportamento dei loro soldati; sapendo che Firenze non aveva al momento denari sufficienti a finanziare l'impresa, invitarono Luigi a intervenire direttamente nella guerra, al termine della quale la Repubblica avrebbe ripagato la Francia di tutte le spese. Il rifiuto dei francesi - che richiedevano a Firenze il mantenimento degli svizzeri rimasti accampati in [[Lunigiana]] e minacciavano la rottura dell'alleanza - mise i legati fiorentini, privi di istruzioni dalla Repubblica, in difficoltà, acuite dalla ribellione di [[Pistoia]] e dalle iniziative che frattanto aveva preso in [[Romagna]] [[Cesare Borgia]], i cui ambiziosi e oscuri piani potentitopotevano comeanche laindirizzarsi lezionecontro peculiaregli delleinteressi "cose di Francia".<ref>Riccardo Bruscagli, "Niccolò Machiavelli"(1975)fiorentini.</ref>
 
Occorreva, pagando, mantenere buoni rapporti con la Francia - scriveva da [[Tours]] il 21 novembre - e guardarsi dalle macchinazioni del [[Alessandro VI|papa]]: così, ottenuto dalla Signoria il denaro richiesto dalla Francia, Machiavelli poteva finalmente ritornare a [[Firenze]] il 14 gennaio [[1501]]. Quella lunga permanenza nella corte francese verrà dislocata negli opuscoli (entrambi del 1510) ''De natura Gallorum'', dove i francesi verranno descritti come «humilissimi nella captiva fortuna; nella buona insolenti [ ... ] più cupidi de' danari che del sangue [ ... ] vani et leggieri [ ... ] più tosto tachagni che prudenti», con una bassa opinione degli Italiani, e nel successivo ''Ritratto delle cose di Francia'', dove, spostandosi su un piano d'analisi prettamente politica, finisce col fare della Francia l'esemplare dello stato moderno. Soprattutto egli insiste sul nesso fra la prosperità della monarchia e il raggiunto processo di unificazione nazionale, sentito come la lezione peculiare delle "cose di Francia".<ref>Riccardo Bruscagli, "Niccolò Machiavelli"(1975).</ref>
 
=== Cesare Borgia ===