Ikrima ibn Abi Jahl: differenze tra le versioni

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Fu ben per questo che, al contrario di tutti coloro che fino al giorno prima s'erano espressi in favore dello scontro con i [[musulmani]], egli fu con [[Suhayl ibn Amr|Suhayl ibn ʿAmr]] l'unico meccano che nel 630 resistette in armi ad essi, in quella che risultò essere la "conquista" (''fatḥ'') definitiva di Mecca. Lo scontro cui egli partecipò, guidando tra i venti e i trenta irriducibili pagani, avvenne a al-Līṭ, alla periferia della città e fu qui che si ebbero i pochissimi caduti musulmani.
 
Fuggito in [[Yemen]], in cui aveva operato con grandi profitti sua madre, che controllava di fatto la lucrosa importazione di profumi a Mecca, ʿIkrima fu convinto nei mesi successivi a chiedere il perdono di [[Maometto]] con un formale atto di conversione all'Islam che, nei fatti, era diventato l'assoluto e incontrastato padrone della situazione politica dell'intero [[Hijaz|Ḥiğāz]]. Così infatti avvenne e il profeta, che già in numerose altre occasioni aveva dato prova di pragmatismo e di duttilità politica, accettò l'atto che portava tra le sue filafile un giovane che, proprio per la sua impulsività e coraggio, nonché per la sua precedente dimostrazione di scarsa propensione a piegarsi a situazioni di comodo che potessero tornargli utili, si mostrava dotato di qualità morali che potevano tornare assai utili alla giovane Comunità islamica.
 
Il suo momento arrivò nel periodo del [[califfo|califfato]] di [[Abu Bakr|Abū Bakr]]. Nella cosiddetta "guerra della ''[[ridda]]''" egli ebbe infatti il comando (con [[Khalid ibn al-Walid|Khālid ibn al-Walīd]]) delle forze musulmane incaricate di riportare all'obbedienza di [[Medina]] le riottose tribù che, effettivamente o presuntivamente, erano considerate ormai convertite all'Islam.