Erving Goffman: differenze tra le versioni

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Autore, nel 1961, del testo ''Asylums. Le istituzioni totali: i meccanismi dell'esclusione e della violenza'' (''Asylums: Essays on the Condition of the Social Situation of Mental Patients and Other Inmates'') - che sarà il capostipite di un filone di pensiero - per il quale aveva attinto informazioni all'Istituto d'igiene mentale di [[Washington]], descrive la "[[istituzionalizzazione]]" come la reazione dei pazienti alle strutture burocratiche di un'istituzione ospedaliera. Goffman usa la [[fenomenologia]] per comprendere come gli esseri umani percepiscano le interazioni che essi osservano ed alle quali partecipano. Per Goffman non esiste alcuna "[[verità]] vera", ma solo interpretazioni che sono vere per ciascun individuo. Insieme a Thomas Szasz (1920-2012), nel 1970 fonda la “American Association for the Abolition of Involuntary Mental Hospitalization”.
<references />Ha anche scritto inoltre nel 1974 ''Frame analysis. L'organizzazione dell'esperienza'' (''Frame analysis: An essay on the organization of experience''). Molte delle sue opere formano la base della [[teoria del frame]] in [[sociologia]] e nella [[sociologia della comunicazione]]. Egli ha infine contribuito, assieme ad [[Harold Garfinkel]], all'approfondimento di temi sia dell'[[etnometodologia]] che della [[microsociologia]]<ref>P.P. Giglioli, ''Rituale, Interazione, Vita Quotidiana. Saggi su Goffman e Garfinkel'', Editrice CLUEB, Bologna, 1990.</ref>.
 
In quanto sociologo, Goffman si interessò particolarmente a come si comportano gli uomini quando si incontrano, indipendentemente da chi sono o dal motivo per il quale si incontrano. Il modo in cui si comunica non dipende unicamente da parole e gesti, ma anche dal modo in cui ci si veste o dagli oggetti che si utilizzano. Durante un’interazione infatti ciascuno di noi trasmette un’immagine di sé e allo stesso ne riceve un’altra in cambio. Goffman si soffermò su come gli uomini tentano di mantenere costantemente un’immagine positiva e coerente di se stessi. In italiano, per esempio, esistono le espressioni come “Salvare la faccia” o “Metterci la faccia” o in inglese “Save somebody’s face” o “Lose somebody’s face”, ma il concetto che si avvicina maggiormente a quello espresso da Goffman è quello di «figura», come nelle espressioni “Fare bella/brutta figura”. Ciò che conta non è solamente come appariamo agli occhi degli altri, ma anche come crediamo di essere visti.
 
''The term «face» can be defined as the positive social value a person effectively claims for himself by the line others assume he has taken during a particular contact.''<ref>{{Cita pubblicazione|nome=Louis|cognome=Molet|data=1972|titolo=Interaction Ritual — Essay on Face-to-Face behavior|rivista=Anthropologica|volume=14|numero=1|pp=91|accesso=2018-12-28|doi=10.2307/25604869|url=http://dx.doi.org/10.2307/25604869|nome2=Erving|cognome2=Goffman}}</ref>
 
 
Per spiegare il proprio punto di vista, Goffman utilizza diverse metafore prese direttamente dal palcoscenico: l’interazione sociale è vista come un dramma, in cui vi sono gli attori (la gente) che interpretano non tanto un personaggio inventato, quanto loro stessi, cercando di rappresentare chi credono di dover essere o sperano di riuscire ad essere, a seconda del palcoscenico sul quale si recita e a seconda del pubblico che osserva. Ovviamente, questo si ripercuote direttamente sul linguaggio e sul modo di parlare di ogni singola persona, che provando a mantenere l’immagine che si vuole mostrare, adopera particolari strategie. In questa prospettiva la lingua è in grado di fornire agli uomini le formule di cortesia che sono generalmente impiegate per riuscire a fare quello che si vuole o per mantenere i rapporti con le persone, assumendo un tipo di comportamento adeguato, che nella sociolinguistica viene definito <agire sociale strategico>. La nozione di Face di Goffman verrà ripresa da altri autori, quali [[:en:Penelope_Brown|Penelope Brown]] e [[:en:Stephen_Levinson|Stephen Levinson]] nel loro libro ''Politeness Some Universals in Language Usage'' (1978).
 
 
 
 
== Note ==