Camillo Benso, conte di Cavour: differenze tra le versioni

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Le elezioni del 15 luglio 1849 portarono, tuttavia, ad una nuova, benché debole, maggioranza dei democratici. Cavour fu rieletto, ma D'Azeglio convinse Vittorio Emanuele II a sciogliere la Camera dei deputati e il 20 novembre 1849 il Re emanò il [[proclama di Moncalieri]], con cui invitava il suo popolo ad eleggere candidati moderati che non fossero a favore di una nuova guerra. Il 9 dicembre fu rieletta l'assemblea che, finalmente, espresse un voto schiacciante a favore della pace. Fra gli eletti figurava di nuovo Cavour che, nel collegio di Torino I, ottenne 307 voti contro i 98 dell'avversario<ref>Hearder, ''Cavour'', Bari, 2000, pag. 69.</ref><ref>{{Cita|Romeo|pp. 175-176, 179}}</ref>.
 
In quel periodo Camillo Benso si mise in evidenza anche per le sue doti di abile operatore finanziario. Ebbe infatti una parte di primo piano nella fusione della Banca di Genova e della nascente Banca di Torino, che diede vita alla [[Banca Nazionale deglinegli Stati Sardi]]<ref>{{Cita|Romeo|pp. 177-178}}</ref>. Dopo il successo elettorale del dicembre 1849 Cavour divenne una delle figure dominanti dell'ambiente politico piemontese e gli venne riconosciuta la funzione di guida della maggioranza moderata che si era costituita.
 
Forte di questa posizione sostenne che fosse arrivato il tempo delle riforme, favorite dallo [[Statuto Albertino]] che aveva creato reali prospettive di progresso. Si sarebbe potuto innanzi tutto staccare il Piemonte dal fronte [[Cattolicesimo|cattolico]]-[[Reazione (politica)|reazionario]] che trionfava nel resto d'Italia<ref>{{Cita|Romeo|p. 186}}</ref>. A tale scopo il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette [[leggi Siccardi]] (9 aprile e 5 giugno 1850), che abolirono vari privilegi del [[clero]] nel Regno di Sardegna e con le quali si aprì una fase di scontri con la [[Santa Sede]], con episodi gravi sia da parte di D'Azeglio sia da parte di [[Papa Pio IX]]. Fra questi ultimi ci fu il rifiuto di impartire l'[[Unzione degli infermi|estrema unzione]] all'amico di Cavour, [[Pietro De Rossi Didi Santarosa|Pietro di Santarosa]], morto il 5 agosto [[1850]]. A seguito di questo rifiuto Cavour per reazione ottenne l'espulsione da Torino dell'[[Ordine dei Servi di Maria]], nel quale militava il sacerdote che si era rifiutato di impartire il sacramento, influenzando probabilmente anche la decisione di arresto dell'arcivescovo di Torino [[Luigi Fransoni]]<ref>{{Cita|Romeo|pp. 186-187}}</ref>.
Dopo il successo elettorale del dicembre 1849 Cavour divenne una delle figure dominanti dell'ambiente politico piemontese e gli venne riconosciuta la funzione di guida della maggioranza moderata che si era costituita.
 
Forte di questa posizione sostenne che fosse arrivato il tempo delle riforme, favorite dallo [[Statuto Albertino]] che aveva creato reali prospettive di progresso. Si sarebbe potuto innanzi tutto staccare il Piemonte dal fronte [[Cattolicesimo|cattolico]]-[[Reazione (politica)|reazionario]] che trionfava nel resto d'Italia<ref>{{Cita|Romeo|p. 186}}</ref>. A tale scopo il primo passo fu la promulgazione delle cosiddette [[leggi Siccardi]] (9 aprile e 5 giugno 1850) che abolirono vari privilegi del [[clero]] nel Regno di Sardegna e con le quali si aprì una fase di scontri con la [[Santa Sede]], con episodi gravi sia da parte di D'Azeglio sia da parte di [[Papa Pio IX]]. Fra questi ultimi ci fu il rifiuto di impartire l'[[estrema unzione]] all'amico di Cavour, [[Pietro De Rossi Di Santarosa|Pietro di Santarosa]], morto il 5 agosto [[1850]]. A seguito di questo rifiuto Cavour per reazione ottenne l'espulsione da Torino dell'[[Ordine dei Servi di Maria]], nel quale militava il sacerdote che si era rifiutato di impartire il sacramento, influenzando probabilmente anche la decisione di arresto dell'arcivescovo di Torino [[Luigi Fransoni]]<ref>{{Cita|Romeo|pp. 186-187}}</ref>.
 
== Ministro del Regno di Sardegna (1850-1852) ==
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[[File:James de Rothschild.jpg|thumb|upright=0.8|Il banchiere francese [[James Mayer de Rothschild]] con cui Cavour trattò diverse volte prestiti per il Piemonte.]]
 
Dopo pochi giorni dal ritorno di Cavour a Torino, il 22 ottobre [[1852]], [[Massimo Dd'Azeglio|D'Azeglio]], a capo di un debole esecutivo che aveva scelto di continuare una politica [[Anticlericalismo|anticlericale]], diede le dimissioni.
 
Vittorio Emanuele II, su suggerimento di La Marmora, chiese a Cavour di formare un nuovo governo, a condizione che il Conte negoziasse con lo [[Stato Pontificio]] le questioni rimaste aperte, prima fra tutte quella dell'introduzione in Piemonte del matrimonio civile. Cavour rispose che non avrebbe potuto cedere di fronte al papa e indicò in [[Cesare Balbo]] il successore di D'Azeglio. Balbo non trovò l'accordo con l'esponente di destra [[Ottavio Thaon di Revel|Revel]] e il re fu costretto a tornare da Cavour. Costui accettò allora di formare il nuovo governo il 2 novembre 1852, promettendo di far seguire alla legge del matrimonio civile il suo normale percorso parlamentare (senza porre cioè la fiducia)<ref>.Secondo Chiala, quando La Marmora propose a Vittorio Emanuele la nomina di Cavour a Presidente del Consiglio, il Re avrebbe risposto in piemontese: «Ca guarda, General, che côl lì a j butarà tutii con't le congie a'nt l'aria» ("Guardi Generale, che quello lì butterà tutti con le gambe all'aria"). Secondo Ferdinando Martini, che lo seppe da Minghetti, la risposta del Sovrano sarebbe stata ancora più colorita: «E va bin, coma ch'aa veulo lor. Ma ch'aa stago sicur che col lì an poch temp an lo fica an't el prònio a tuti!» ("E va bene, come vogliono loro. Ma stiamo sicuri che quello lì in poco tempo lo mette nel culo a tutti!").[https://books.google.it/books?id=8J7tCgAAQBAJ&pg=PT403&lpg=PT403&dq=%C2%ABCa+guarda,+General,+che+c%C3%B4l+l%C3%AC+a+j+butar%C3%A0+tutii+con%27t+le+congie+a%27nt+l%27aria%C2%BB&source=bl&ots=a4ReUbIs3m&sig=1V0WOJ8_zNbvzzEbUYfYXjjwgdo&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwj-0MqG8OTUAhXDzxQKHQHvC5IQ6AEILzAA#v=onepage&q=%C2%ABCa%20guarda%2C%20General%2C%20che%20c%C3%B4l%20l%C3%AC%20a%20j%20butar%C3%A0%20tutii%20con't%20le%20congie%20a'nt%20l'aria%C2%BB&f=false][[Indro Montanelli]]<span>, </span>''L'Italia unita''<span>, Bur, 2015</span></ref>.
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Obiettivo principale del primo governo Cavour fu la restaurazione finanziaria del Paese. Per raggiungere il pareggio il conte prese varie iniziative: innanzi tutto fu costretto a ricorrere ai banchieri [[Rothschild]] poi, richiamandosi al sistema francese, sostituì alla dichiarazione dei redditi l'accertamento giudiziario, fece massicci interventi nel settore delle concessioni demaniali e dei servizi pubblici, e riprese la politica dello sviluppo degli istituti di credito<ref>{{Cita|Romeo|pp. 233, 235-236, 238}}</ref>.
 
D'altro canto il governo effettuò grandi investimenti nel settore delle ferrovie, proprio quando, grazie alla riforma doganale, le esportazioni stavano avendo un aumento considerevole. Ci furono tuttavia notevoli resistenze ad introdurre nuove imposte fondiarie e, in generale, nuove tasse che colpissero il ceto di cui era composto il parlamento<ref>{{Cita|Romeo|pp. 240, 244-245, 252}}</ref>. Cavour, in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che consentissero una base finanziaria adeguata alle sue iniziative<ref>{{Cita|Romeo|p. 245}}</ref>.
 
Cavour, in effetti, non riuscì mai a realizzare le condizioni politiche che consentissero una base finanziaria adeguata alle sue iniziative<ref>{{Cita|Romeo|p. 245}}</ref>.
 
Il 19 dicembre [[1853]], si parlò di "quasi restaurate finanze", benché la situazione fosse più seria di quanto annunciato, anche per la crisi internazionale che precedette la [[guerra di Crimea]]. Cavour di conseguenza si accordò ancora con i Rothschild per un prestito, ma riuscì anche a collocare presso il pubblico dei risparmiatori, con un netto successo politico e finanziario, una buona parte del debito contratto<ref>{{Cita|Romeo|pp. 248-249}}</ref>.
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A Camillo Benso d'altronde non mancava il consenso politico. Alle elezioni dell'8 dicembre 1853 furono eletti 130 candidati dell'[[Connubio|area governativa]], 52 della Sinistra e 22 della Destra. Nonostante ciò, per replicare all'elezione di importanti politici avversari<ref>[[Lorenzo Valerio|Valerio]], [[Angelo Brofferio|Brofferio]], [[Lorenzo Pareto|Pareto]] a Sinistra e [[Clemente Solaro della Margarita|Solaro della Margarita]] a Destra.</ref> il Conte sviluppò un'offensiva politica sull'ordinamento giudiziario che la crisi economica non gli permetteva di concentrare altrove. Fu deciso, anche per recuperare parte della Sinistra, di riprendere la politica anticlericale<ref>{{Cita|Romeo|p. 259}}</ref>.
 
A tale riguardo il ministro della Giustizia [[Urbano Rattazzi]], all'apertura della [[V Legislatura del Regno di Sardegna|V legislatura]] presentò una proposta di legge sulla modifica del codice penale. il nucleo della proposta consisteva in nuove pene previste per i sacerdoti che, abusando del loro ministero, avessero censurato le leggi e le istituzioni dello Stato. La norma fu approvata alla Camera a larga maggioranza (raccogliendo molti voti a Sinistra) e, con maggiore difficoltà, anche al Senato<ref>{{Cita|Romeo|pp. 259-260}}</ref>. Furono successivamente adottate modifiche anche al codice di procedura penale e fu ultimato il percorso per l'approvazione del codice di procedura civile<ref>{{Cita|Romeo|p. 261}}</ref>.
 
Furono successivamente adottate modifiche anche al codice di procedura penale e fu ultimato il percorso per l'approvazione del codice di procedura civile<ref>{{Cita|Romeo|p. 261}}</ref>.
 
=== L'intervento nella guerra di Crimea ===
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Nel [[1853]] si sviluppò una crisi europea scaturita da una disputa religiosa fra la [[Secondo Impero francese|Francia]] e la [[Impero russo|Russia]] sul controllo dei luoghi santi nel territorio dell'[[Impero ottomano]]. L'atteggiamento russo provocò l'ostilità anche del governo inglese che sospettava che lo Zar volesse conquistare [[Costantinopoli]] e interrompere la via terrestre per l'[[India britannica]].
 
Il 1º novembre 1853 la Russia dichiarò guerra all'Impero ottomano, che aveva accettato la linea francese, aprendo quella che sarà chiamata la [[guerra di Crimea]]. Conseguentemente, il 28 marzo [[1854]] la Gran Bretagna e la Francia dichiararono guerra alla Russia. La questione, per le opportunità politiche che potevano presentarsi, cominciò ad interessare Cavour. Egli infatti, nell'aprile 1854, rispose alle richieste dell'ambasciatore inglese [[James Hudson]] affermando che il Regno di Sardegna sarebbe intervenuto nella guerra se anche l'Austria avesse attaccato la Russia, di modo da non esporre il Piemonte all'esercito [[Asburgo|asburgico]]<ref>Hearder, ''Cavour'', Bari, 2000, pagg. 94-96.</ref>.
 
La soddisfazione degli inglesi fu evidente, ma per tutta l'estate del 1854 l'Austria rimase neutrale. Infine, il 29 novembre 1854, il ministro degli Esteri britannico [[George Villiers, IV conte di Clarendon|Clarendon]] scrisse ad Hudson chiedendogli di fare di tutto per assicurarsi un corpo di spedizione piemontese. Un incitamento superfluo, poiché Cavour era già arrivato alla conclusione che le richieste inglesi e quelle francesi, queste ultime fatte all'inizio della crisi a Vittorio Emanuele II, dovevano essere soddisfatte. Il Conte decise quindi per l'intervento sollevando le perplessità del ministro della Guerra [[Alfonso La Marmora|La Marmora]] e del ministro degli Esteri [[Giuseppe Dabormida]] che si dimise<ref>Hearder, ''Cavour'', Bari, 2000, pagg. 85, 99, 100.</ref>.
 
Assumendo anche la carica di ministro degli Esteri, Cavour, il 26 gennaio [[1855]], firmò l'adesione finale del Regno di Sardegna al trattato anglo-francese. Il Piemonte avrebbe fornito 15.000 uomini e le potenze alleate avrebbero garantito l'integrità del Regno di Sardegna da un eventuale attacco austriaco. Il 4 marzo 1855, Cavour dichiarò guerra alla Russia<ref>Cavour per l'apertura delle ostilità colse il pretesto che la Russia durante la prima guerra di indipendenza aveva rotto le relazioni con il Regno di Sardegna (al tempo la Russia intratteneva rapporti migliori con l'Austria) e che lo Zar Nicola I aveva rifiutato, nel 1849, di riconoscere l'ascesa al trono di Vittorio Emanuele II. Cfr. Hearder, ''Cavour'', Bari, 2000, pag. 102.</ref> e il 25 aprile il contingente piemontese salpò da [[La Spezia]] per la [[Penisola di Crimea|Crimea]] dove arrivò ai primi di maggio. Il Piemonte avrebbe raccolto i benefici della spedizione con la [[Seconda guerra d'indipendenza italiana|seconda guerra di d'indipendenza]], quattro anni dopo.
 
=== La legge sui conventi: la Crisi Calabiana ===
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Con l'intento di avvicinarsi alla Sinistra e ostacolare la Destra conservatrice che andava guadagnando terreno a causa della crisi economica, il governo Cavour, il 28 novembre [[1854]] presentò alla Camera la legge sui conventi. La norma, nell'ottica del [[liberalismo]] [[Anticlericalismo|anticlericale]], prevedeva la soppressione degli ordini religiosi non dediti all'insegnamento o all'assistenza dei malati. Durante il dibattito parlamentare vennero attaccati, anche da Cavour, soprattutto gli [[ordini mendicanti]] come nocivi alla moralità del Paese e contrari alla moderna etica del lavoro.
 
La forte maggioranza alla Camera del Conte dovette affrontare l'opposizione del clero, del [[Vittorio Emanuele II di Savoia|Re]] e soprattutto del Senato che in prima istanza bocciò la legge. Cavour allora si dimise (27 aprile 1855) aprendo una crisi politica chiamata [[crisi Calabiana]] dal nome del [[diocesi di Casale Monferrato|vescovo di Casale]] [[Luigi Nazari di Calabiana|Luigi di Calabiana]], senatore e avversario del progetto di legge.
 
== Il secondo governo Cavour (1855-1859) ==
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La [[guerra di Crimea]], vittoriosa per gli alleati, ebbe fine nel 1856 con il Congresso di Parigi al quale partecipò anche l'Austria.
 
Cavour non ottenne compensi territoriali per la partecipazione al conflitto, ma una seduta fu dedicata espressamente a discutere il problema italiano. In questa occasione, l'8 aprile, il ministro degli Esteri britannico [[George Villiers, IV conte di Clarendon|Clarendon]] attaccò pesantemente la politica illiberale sia dello [[Stato Pontificio]], sia del [[Regno delle dueDue Sicilie]], sollevando le proteste del ministro austriaco [[Karl Ferdinand von Buol-Schauenstein|Buol]].
 
Ben più moderato, lo stesso giorno, fu il successivo intervento di Cavour, incentrato sulla denuncia della permanenza delle truppe austriache nella [[Legazione delle Romagne|Romagna pontificia]]<ref>{{Cita|Romeo|p. 327}}</ref>.
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[[File:Italia 1861-it.svg|thumb|left|upright=0.8|L'Italia alla morte di Cavour, nel 1861.]]
 
Fallito il progetto di un successo dei moderati a Napoli, il Conte per ridare a Casa Savoia una parte attiva nel movimento nazionale, decise l'invasione delle [[Legazione delle Marche|Marche]] e dell'[[Legazione dell'Umbria|Umbria]] pontificie. Ciò avrebbe allontanato il pericolo di un'avanzata di Garibaldi su Roma. Bisognava però preparare Napoleone III agli avvenimenti e convincerlo che l'invasione piemontese dello Stato Pontificio sarebbe stato il male minore. Per la delicata missione diplomatica il Conte scelse [[Luigi Carlo Farini|Farini]] e [[Enrico Cialdini|Cialdini]]. L'incontro fra costoro e l'imperatore francese avvenne a [[Chambery]] il 28 agosto 1860, ma su ciò che in quel colloquio si disse resta molta incertezza e sul consenso francese, riportato dalla tesi italiana, è possibile che si sia determinato un equivoco.

In buona sostanza Napoleone III tollerò l'invasione piemontese delle Marche e dell'Umbria, cercando di rovesciare sul governo di Torino l'impopolarità di un'azione controrivoluzionaria. E appunto questo era ciò che Cavour voleva evitare. Le truppe piemontesi non si dovevano scontrare con Garibaldi in marcia su Roma, ma prevenirlo e fermarlo con un intervento giustificabile in nome della causa nazionale italiana. Anche il timore di un attacco austriaco al Piemonte, tuttavia, fece precipitare gli eventi e Cavour intimò allo Stato pontificio di licenziare i militari stranieri con un ultimatum a cui seguì l'11 settembre, prima ancora che giungesse la risposta negativa del cardinale [[Giacomo Antonelli|Antonelli]], la violazione dei confini dello Stato della Chiesa. La Francia ufficialmente reagì in difesa del Papa, e anche lo zar [[Alessandro II di Russia|Alessandro II]] ritirò il suo rappresentante a Torino, ma non ci furono effetti pratici<ref>{{Cita|Romeo|pp. 470-473}}</ref>.
 
Intanto la crisi con Garibaldi si era improvvisamente aggravata, poiché quest'ultimo aveva proclamato il 10 che avrebbe consegnato al Re i territori da lui conquistati solo dopo aver occupato Roma. L'annuncio aveva anche ottenuto il plauso di Mazzini. Ma il successo piemontese nella [[battaglia di Castelfidardo]] contro i pontifici del 18 e il conferimento al governo di un prestito di 150 milioni per le spese militari, ridiedero forza e fiducia a Cavour, mentre Garibaldi, pur vittorioso nella [[battaglia del Volturno]], esauriva la sua spinta verso Roma<ref>{{Cita|Romeo|pp. 474, 476}}</ref>.
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Il 29 maggio [[1861]] Cavour ebbe un malore, attribuito dal suo medico curante ad una delle crisi malariche che lo colpivano periodicamente da quando - in gioventù - aveva contratto la [[malaria]] nelle risaie di famiglia del [[Provincia di Vercelli|vercellese]]. In questa occasione tutte le cure praticate non ebbero effetto, tanto che il 5 giugno venne fatto chiamare un sacerdote francescano suo amico, padre Giacomo da Poirino (1808-1885)<ref name=Romeo-524>{{Cita|Romeo|p. 524}}</ref>.
 
Costui, come gli aveva promesso già da cinque anni, somministrò l'[[estrema unzione]] a Cavour, ignorando sia la scomunica che il conte aveva subito nel 1855, sia il fatto che Cavour non ritrattò le sue scelte [[anticlericale|anticlericali]]<ref name=Romeo-524 />.
 
Per questo motivo, padre Giacomo, parroco di [[Chiesa di Santa Maria degli Angeli (Torino)|Santa Maria degli Angeli]], chiesa nella quale avvennero poi le esequie<ref>Roberto Dinucci, ''Guida di Torino'', Edizioni D'Aponte, p. 127</ref><ref>Marziano Bernardi, ''Torino – Storia e arte'', Torino, Editori Fratelli Pozzo, 1975, p. 122</ref>, dopo aver riferito i fatti alle autorità religiose fu richiamato a Roma [[Sospensione a divinis|sospeso ''a divinis'']] e poi dimesso dallo stato clericale. Subito dopo il colloquio con padre Giacomo, Cavour chiese di parlare con [[Luigi Carlo Farini]] a cui, come rivela la nipote Giuseppina, confidò a futura memoria: «Mi ha confessato ed ho ricevuto l'assoluzione, più tardi mi comunicherò. Voglio che si sappia; voglio che il buon popolo di Torino sappia che io muoio da buon cristiano. Sono tranquillo e non ho mai fatto male a nessuno» <ref>In [https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/amicus-eugenius-br--cavourtra-monarchia-br--fede-e-sacramenti_20150611 In Gianni Gennari, ''[[Avvenire]]'', 11 giugno 2015] </ref>.
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Verso le nove giunse al suo capezzale il Re. Nonostante la febbre il Conte riconobbe Vittorio Emanuele, tuttavia non riuscì ad articolare un discorso molto coerente: «Oh sire! Io ho molte cose da comunicare a Vostra Maestà., molte carte da mostrarle: ma son troppo ammalato; mi sarà impossibile di recarmi a visitare la Vostra Maestà; ma io le manderò Farini domani, che le parlerà di tutto in particolare. Vostra Maestà ha ella ricevuta da Parigi la lettera che aspettava? L'Imperatore è molto buono per noi ora, sì, molto buono. E i nostri poveri Napoletani così intelligenti! Ve ne sono che hanno molto ingegno, ma ve ne sono altresì che sono molto corrotti. Questi bisogna lavarli. Sire, sì, sì, si lavi, si lavi! Niente stato d'assedio, nessun mezzo di governo assoluto, Tutti sono buoni a governare con lo stato d'assedio... Garibaldi è un galantuomo, io non gli voglio alcun male. Egli vuole andare a Roma e a Venezia, e anch'io: nessuno ne ha più fretta di noi. Quanto all'Istria e al Tirolo è un'altra cosa. Sarà il lavoro di un'altra generazione. Noi abbiamo fatto abbastanza noialtri: abbiamo fatto l'Italia, sì l'Italia, e la cosa va...»<ref>{{Cita libro|autore=Indro Montanelli|titolo=L'Italia dei Notabili (1861-1900)|anno=1973|editore=Rizzoli|città=Milano}}</ref><ref>{{Cita web|url=http://win.storiain.net/arret/num150/artic1.asp|titolo=La morte di Cavour|sito=win.storiain.net|accesso=2017-09-20}}</ref>
 
Secondo l'amico Michelangelo Castelli le ultime parole del Conte furono: «L'Italia è fatta - tutto è salvo», così come le intese al capezzale [[Luigi Carlo Farini]]. Il 6 giugno 1861, a meno di tre mesi dalla [[proclamazione del Regno d'Italia]], Cavour moriva così a Torino nel [[Palazzo Benso di Cavour|palazzo di famiglia]]. La sua fine suscitò immenso cordoglio, anche perché del tutto inattesa, e ai funerali vi fu straordinaria partecipazione<ref>{{Cita|Romeo|p. 525}}</ref>. A Cavour succedette come presidente del Consiglio [[Bettino Ricasoli]].
 
A Cavour succedette come presidente del Consiglio [[Bettino Ricasoli]].
 
== In memoria di Cavour ==
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Egli, inoltre, favorì l'[[agenzia Stefani]] con fondi segreti sebbene lo Statuto vietasse privilegi e monopoli ai privati<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, pag. 64.</ref>. Così l'agenzia Stefani, forte delle solide relazioni con Cavour divenne, secondo il saggista [[Gigi Di Fiore]], un fondamentale strumento governativo per il controllo mediatico nel Regno di Sardegna<ref>Gigi Di Fiore, ''Controstoria dell'unità d'Italia: fatti e misfatti del Risorgimento'', Milano, 2007, pag. 62.</ref>.
 
Mazzini, intanto, oltre ad aver condannato il gesto di Orsini e Pieri, espose un attacco nei confronti del primo ministro, pubblicato sul giornale "''[[L'Italia del popoloPopolo (1848)|L'Italia del Popolo]]"'':
{{Citazione|Voi avete inaugurato in Piemonte un fatale dualismo, avete corrotto la nostra gioventù, sostituendo una politica di menzogne e di artifici alla serena politica di colui che desidera risorgere. Tra voi e noi, signore, un abisso ci separa. Noi rappresentiamo l'Italia, voi la vecchia sospettosa ambizione monarchica. Noi desideriamo soprattutto l'unità nazionale, voi l'ingrandimento territoriale|Giuseppe Mazzini<ref name=Cappa>Alberto Cappa, ''Cavour'', G. Laterza & figli, 1932, pag. 249.</ref>}}