Storia del fascismo italiano: differenze tra le versioni

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Una degli strumenti propagandistici più efficaci del regime fu quello della cosiddetta "[[quota 90]]"; rivalutando infatti la lira nei confronti della [[sterlina inglese]], Mussolini riuscì sì a far quadrare i conti dello stato, ma mise il paese fuori dai mercati d'esportazione poiché con tale mossa raddoppiò il prezzo delle merci italiane all'estero.<ref>[http://www.treccani.it/enciclopedia/quota-90_%28Dizionario-di-Economia-e-Finanza%29/ ''quota 90'' da treccani.it, 2012]</ref> Quando poi si registrò il crollo della borsa USA nella giornata del 29 ottobre [[1929]] ([[martedì nero]]), Mussolini ordinò di ignorare totalmente l'evento, pensando che l'episodio non avrebbe toccato minimamente l'Italia. L'economia nazionale entrò invece in una profonda crisi che portò alla nascita dell'[[IRI]] e che durò fino al [[1937]]-[[1938]]. Solo nella metà degli [[anni 1930|anni trenta]] Mussolini si rese conto della situazione e solo allora svalutò la lira del 41% e introdusse nuove tasse; da quel momento la politica del [[governo Mussolini]] diede scarso peso all'economia del paese, concentrandosi invece su una politica estera, in particolare nella [[guerra d'Etiopia]] e nella [[guerra civile spagnola]] prima e nella [[seconda guerra mondiale]] a fianco della [[Germania nazista]] poi.
 
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== La politica estera ==
{{F|fascismo|gennaio 2013|L'unica sottosezione sufficientemente munita di fonti è quella sui crimini in Etiopia; nel resto della sezione le fonti sono troppo poche}}{{vedi anche|Africa Orientale Italiana|crisi di Corfù|Impero coloniale italiano|sanzioni economiche all'Italia fascista}}
[[File:Italian_empire_1940.PNG|miniatura|L'[[impero coloniale italiano]] nel 1940]]
In politica estera il regime tentò di dare risalto alla figura dell'Italia, anche se spesso ciò si tradusse in diversi interventi militari, causando talvolta problemi come nel caso delle [[Sanzioni economiche all'Italia fascista|sanzioni economiche]], decise dalla [[società delle Nazioni]] come conseguenza della [[guerra d'Etiopia]] che vietò alla colonia il commercio con l'Italia.
 
In politica estera il fascismo seguì fino alla nomina agli Esteri di [[Galeazzo Ciano]] esclusivamente le direttive mussoliniane, dopodiché si trovò a dover agire - sia per la direzione di Ciano agli Esteri, sia per i minori margini di manovra dati dalla situazione internazionale - in maniera sempre meno autonoma e sempre più ideologica. Dopo la [[crisi di Corfù]] del [[1923]], Mussolini non si discostò per un lungo periodo dall'obiettivo del mantenimento dello ''[[status quo]]'' in [[Europa]], seguendo una politica prudente e scevra da avventure militari, nonostante la retorica nazionalista e militarista fossero tra i caratteri distintivi del regime. L'Italia mantenne buone relazioni con [[Francia]] e [[Regno Unito]], collaborò al ritorno della [[Germania]] nel sistema delle potenze europee pur nei limiti del [[Trattato di Versailles (1919)|Trattato di Versailles]] ([[1919]]), tentando altresì di estendere la sua influenza verso i Paesi sorti dalla dissoluzione dell'[[Impero austro-ungarico]] ([[Austria]] e [[Ungheria]]) e, nei [[Balcani]], ([[Albania]] e [[Grecia]]) in funzione anti-[[Regno di Jugoslavia|jugoslava]]. L'Italia fu il secondo Paese al mondo, dopo la Gran Bretagna, a stabilire nel [[1924]] relazioni diplomatiche con l'[[Unione Sovietica]].{{senza fonte}}
 
Scopo dichiarato della politica estera fascista, fin dai primissimi atti e discorsi politici di Mussolini, era quello di assicurare "a un popolo di quaranta milioni di individui" un posto di primo piano sulla scena mondiale. Questo significava annettere all'Italia territori coloniali dove "esportare" la propria eccedenza demografica attraverso la valorizzazione delle colonie esistenti e poi - nel 1935 - con la conquista dell'impero d'[[Abissinia]]. Contemporaneamente, la politica a breve periodo previde - fin quando possibile - la revisione dei trattati sottoscritti dall'Italia fra il 1918 e il 1922 che "mutilavano" la vittoria nella [[grande guerra]] e che portarono l'Italia ad acquisire [[Fiume (Croazia)|Fiume]] nel 1924 e a garantire [[Zara]] nonostante la rinunzia al resto della [[Dalmazia]].
[[File:Molti_nemici1.jpg|alt=|miniatura|Mosaici al [[Foro Italico]]]]
La politica del [[governo Mussolini]] si indirizzò anche verso la creazione di un impero coloniale, come "retrovia" e riserva demografica, industriale, agricola e di materie prime in caso di un nuovo conflitto generalizzato in Europa. Giocoforza, questo impero non poteva che essere cercato in Etiopia, uno dei pochi territori africani ancora indipendenti.{{senza fonte}} La [[guerra d'Etiopia]], lungamente ritardata da Mussolini proprio per trovare con inglesi e francesi un accordo diplomatico che smembrasse l'impero di Haile Selassie senza ricorrere all'invasione, portò alla rottura dei cordiali rapporti finora intrattenuti coi vecchi alleati. L'Italia subì delle sanzioni economiche e i suoi rapporti con le nazioni democratiche si incrinarono definitivamente. Nelle sue memorie, [[Winston Churchill]] descrisse come segue la situazione diplomatica successiva alla crisi etiopica: «la politica britannica aveva forzato Mussolini a cambiare fronte. La Germania non era più isolata. Le quattro potenze occidentali erano divise due contro due anziché tre contro una», mentre invece il diplomatico sir [[Robert Vansittart]] «pensava continuamente alla minaccia tedesca e avrebbe voluto avere la Gran Bretagna e la Francia organizzate al massimo delle loro forze per affrontare questo più grave pericolo, con l'Italia dietro di loro come amica e non come nemica»<ref>Winston Churchill, ''[http://books.google.it/books?id=j9RBAgAAQBAJ&pg=PA80 The Second World War]'', A&C Black, 2013, pp. 80-81.</ref>
 
La crisi interna del regime negli ultimi anni prima dello scoppio della [[seconda guerra mondiale]], il logoramento delle forze armate dopo cinque anni di continui impegni militari (Abissinia, Spagna, Albania), l'emergere deciso della Germania come prima potenza militare d'Europa e la sua alleanza con Stalin ([[Patto Molotov-Ribbentrop]]), spinsero Mussolini verso una politica doppiogiochista (alleanza dichiarata con la Germania, trattative sotterranee con la Gran Bretagna) che portò l'Italia in guerra. Durante la prima fase del conflitto la politica estera fascista fu sostanzialmente mossa dal tentativo di svilupparsi parallelamente (e spesso ai danni) di quella tedesca: un tentativo destinato a fallire in seguito ai numerosi rovesci militari subiti dalle forze armate italiane su quasi ogni fronte. Si segnala, in questo periodo, la durezza del contegno italiano verso la [[Francia]], sconfitta dai tedeschi, il quale fu fra i principali motivi per i quali questa nazione non si unì decisamente all'[[Potenze dell'Asse|Asse]].
 
Sempre più prigioniera della propria propaganda, la politica estera fascista fu spinta ad azioni dettate più dalle necessità ideologiche che non da quelle pragmatiche, infilando il paese in una spirale di fallimenti della quale si giovarono tanto gli alleati dell'Asse quanto i nemici. A partire dal 1943, Mussolini cercò continuamente di convincere Hitler della necessità di un accordo con l'Unione Sovietica, per concentrare le forze contro gli angloamericani<ref>[[Gian Giacomo Migone]], ''Gli Stati Uniti e il fascismo. Alle origini dell’egemonia americana in Italia'', Feltrinelli, Milano 1980</ref>, mentre, tuttavia, continuavano segretamente i contatti fra il dittatore italiano e il premier britannico Winston Churchill. Con la [[caduta del fascismo]], l'[[armistizio di Cassibile]] e la nascita della [[Repubblica Sociale Italiana|RSI]] cessò quasi del tutto ogni residuo tentativo di politica estera autonoma del regime, eccezion fatta per le pressioni su Hitler per un accomodamento russo-tedesco e gli sporadici contatti fra Mussolini e Churchill.<ref>Per una disamina della politica estera fascista si rimanda all'opera di De Felice (''Mussolini l'alleato''), nonché allo studio incompiuto di Franco Bandini ''L'Estate delle Tre Tavolette'' e al lavoro di Fabio Andriola ''Il Carteggio Churchill-Mussolini''.</ref>
 
=== La crisi austriaca del 1934 ===
{{vedi anche|Anschluss|fronte di Stresa}}Spartiacque della politica estera fascista fu essenzialmente la prima crisi austriaca del [[1934]], con il tentativo di Hitler di annettere l'[[Austria]] dopo aver fatto assassinare il cancelliere austriaco [[Engelbert Dollfuss]] (amico personale di Mussolini). In quel frangente l'Italia schierò le proprie divisioni al [[Brennero]], minacciando un'azione militare in difesa dell'alleato austriaco, se la [[Germania]] avesse varcato le frontiere. Di fronte a questa crisi - tuttavia - Francia e Gran Bretagna rimasero inerti. Per contrastare le mire hitleriane sulla [[prima repubblica austriaca]], nell'aprile 1935 Mussolini invitò i governi francese e britannico alla [[Fronte di Stresa|conferenza di Stresa]], il cui esito fu un sostanziale fallimento, risolvendosi in generiche dichiarazioni contro le intenzioni revisioniste della Germania, nonché ingenerando in Mussolini la convinzione di aver ricevuto l'implicita approvazione franco-britannica verso la conquista italiana dell'[[Impero etiope|Etiopia]].<ref>{{cita news|[[Sergio Romano]]|http://www.corriere.it/lettere-al-corriere/12_Luglio_19/-MUSSOLINI-NEMICO-DI-HITLER-GRANDE-OCCASIONE-PERDUTA_53eb09d6-d163-11e1-aa2d-fec7547fb733.shtml|Mussolini nemico di Hitler grande occasione perduta|Corriere della Sera|19 luglio 2012}}</ref>
 
Il successivo [[accordo navale anglo-tedesco]], firmato nel giugno dello stesso anno senza che il governo di Londra ne avesse informato gli alleati francese e italiano, apparve a Mussolini come un ulteriore atto di ipocrisia da parte dei britannici, i quali avevano sostanzialmente riconosciuto che la Germania non era più sottoposta ai vincoli militari imposti dal [[Trattato di Versailles (1919)|trattato di Versailles del 1919]].<ref>Clement Leibovitz, Alvin Finkel, ''[http://books.google.it/books?id=XXI7zNzBfBgC&pg=PA68 Il nemico comune. La collusione antisovietica fra Gran Bretagna e Germania nazista]'', Fazi Editore, 2005, pp. 68-69.</ref>
 
=== L'intervento nella guerra civile spagnola ===
{{vedi anche|guerra civile spagnola}}Il 18 luglio [[1936]] scoppiò la [[guerra civile spagnola]]; il [[governo Mussolini]] inizialmente seguì con moderato interesse le vicende di politica interna spagnola. Dei fondi segreti erano stanziati ogni anno per finanziare formazioni fasciste o vicine al fascismo, la più importante delle quali, per vicinanza di ideali, era la [[Falange Española de las Juntas de Ofensiva Nacional Sindicalista|Falange spagnola]] di [[José Antonio Primo de Rivera]].{{senza fonte}}
 
Venne deciso l'intervento militare a favore dei franchisti, l'Italia partecipò alla guerra civile inviando un contingente di circa 50.000 uomini inquadrato nel ''[[Corpo Truppe Volontarie]]'', ed un contingente della [[Regia Aeronautica]] denominato ''[[Aviazione Legionaria]]''.
 
=== La guerra d'Etiopia ===
{{vedi anche|fronte di Stresa|guerra d'Etiopia}}
[[File:Soldatietiopia.jpg|miniatura|Soldati italiani in partenza per l'[[Etiopia]]]]
[[File:Areonautica-_Tibaldi.JPG|alt=|miniatura|Ritratto del militare Francesco Maglio realizzato nel 1942 dal Cav. C. Tibaldi, unico fotografo per militari medaglia d'oro]]
La campagna militare italiana per la conquista dell'[[Impero Etiope]] fu conseguenza della decisione di Mussolini di fornire all'Italia un'ampia ''retrovia'' coloniale dove attingere materie prime, derrate, uomini e fornire altre sì uno sbocco all'emigrazione in vista di un prossimo e probabile conflitto generalizzato in Europa. Infatti il crollo repentino del [[Fronte di Stresa]] in funzione di contenimento della [[Germania]] nazista aveva posto Mussolini di fronte alla prospettiva di un isolamento dell'Italia in caso di guerra con i tedeschi per il mantenimento dello [[status quo]] in Europa.
[[File:Bando_contro_lo_schiavismo_in_Tigrè.jpg|miniatura|Bando di soppressione dello schiavismo nella [[regione dei Tigrè]], emanato [[governo Mussolini]]]]
Questo aveva convinto il dittatore italiano che l'Italia poteva fare una politica autonoma solo a patto di ottenere un'autosufficienza alimentare, industriale e demografica che il solo territorio metropolitano e le colonie fino allora acquisite non potevano garantire.<ref>Renzo de Felice, ''Mussolini il duce'', cit.</ref>
 
La campagna fu condotta con un imponente dispiegamento di forze e vinta con relativa facilità. Dal punto di vista propagandistico, essa fu il più grande successo del regime fascista: riuscì a attirare intellettuali e perfino antifascisti attorno ai leitmotiv del ''posto al sole'', della ''liberazione degli abissini dalla schiavitù'' e della ''rinascita dell'Impero Romano''<ref>G. Candeloro, Vol 9, 1993</ref>.
 
Come conseguenza dell'aggressione all'Etiopia, l'Italia subì la condanna della [[Società delle Nazioni]], che determinò un blocco commerciale del [[mar Mediterraneo]] e le sanzioni economiche condotte da 52 nazioni (fra cui tutte le potenze coloniali europee). Ciò favorì l'avvicinamento economico e politico dell'Italia alla [[Germania]] nazista (sebbene questa avesse rifornito di armi l'Etiopia in funzione anti-italiana sino a poco prima del conflitto), che era già uscita dalla Società delle Nazioni e aveva osteggiato il [[Trattato di Versailles (1919)|trattato di Versailles del 1919]].
 
In seguito l'Impero in [[Africa Orientale]] fu tuttavia amministrato con pugno di ferro contro le bande di ribelli e lealisti al vecchio governo del [[Negus]], e si preparò una forma di sviluppo separato fra le popolazioni indigene e i nuovi coloni italiani non dissimile dall'[[apartheid]] praticato in alcune colonie e [[dominion]] britannici come il [[Sudafrica]]. Se non altro vennero anche liberate decine di migliaia di schiavi e si tentò di "avanzare l'Abissinia: costruzione di strade, scuole, ospedali, ferrovie (le locomotive "Littorine" sono in uso in Etiopia ancor' oggi), inoltre l'odierna Addis Abeba, capitale dell'Abissinia, o [[Etiopia]], era un villaggio prima che venisse conquistata dall'Italia che ha costruito praticamente la totalità della città odierna.
 
In seguito nei vari tentativi di Mussolini di trovare una nuova intesa con la [[Gran Bretagna]] l'Italia propose di risolvere il cosiddetto "[[problema ebraico]]" in Europa e [[Palestina]] offrendo ai [[Sionismo|sionisti]] un piano embrionale di colonizzazione territori nel [[Goggiam]] già abitati da secoli da popolazioni abissine di religione israelita, i [[falascia]], con la creazione di uno "stato" federato all'Impero Italiano in AOI. A quanto risulta il piano restò lettera morta.<ref>''ibidem''</ref>
 
=== I rapporti con la Chiesa cattolica e il Concordato ===