Mario Francese: differenze tra le versioni
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Un certo costruttore, don Peppino Garda, presunto “boss” di Monreale, vendette frettolosamente molti degli edifici, costruiti in via Sciuti in società con Peppino Quartuccio, e si ritirò in eremitaggio.
Dalla vendita degli edifici si ricavarono circa cento milioni
Così quando nel 1975, approvato il progetto dell' opera, cominciano le procedure per gli espropri don Peppino e compagni vanno all'incasso: per i terreni pagati complessivamente due miliardi di lire, con i soldi della Cassa del Mezzogiorno ai nuovi e antichi proprietari, in tutto 240 possidenti, ne incassano diciassette. Denaro che in gran parte finisce nelle casseforti mafiose in piccolissima parte agli altri proprietari e agli affittuari. Uno sfregio anche all'impegno di Danilo Dolci che per la costruzione delle dighe si era battuto. L' affare però non riguarda solo i terreni, ci sono tanti altri soldi da agguantare: subappalti, forniture di cemento, pietrame e quant'altro, posti di lavoro da distribuire, mezzi meccanici da affittare. Un intreccio di appetiti che lascia sul suolo una dozzina di morti e una scia di attentati. Francese, instancabile segugio, indaga, annota e scrive sul Giornale di Sicilia, dove è cronista giudiziario, quel che accade in quel territorio diventato un Vietnam. Fa nomi e cognomi, rappresenta la guerra tra vecchia e nuova mafia; è il primo a farlo ed è ancora il primo a rivelare l' ascesa dei Corleonesi e a chiamare "commissione" il vertice della cupola. E, come se non bastasse, collega alcuni morti ammazzati alla guerra nelle cave e uno dei primi delitti eccellenti quello del colonnello Giuseppe Russo nel 1977 a Ficuzza a controversie per i subappalti. Francese paga con la vita, ad appena 54 anni, il suo coraggio e il suo fiuto di cronista.
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