Buddismo tibetano: differenze tra le versioni

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[[File:Buddha Tibet.jpg|thumb|upright=1.8|[[Buddha Śākyamuni]] (in tibetano l'appellativo sanscrito Śākyamuni è reso come <big>ཤཱཀྱ་ཐུབ་པ་</big>, ''shakya thub pa'') nell'arte tibetana. Particolare di un dipinto su tela degli inizi del XII secolo. Lo Śākyamuni qui è rappresentato nel momento in cui mette in moto la [[Ruota del Dharma]] (<big>ཆོས་ཀྱི་འཁོར་ལོ</big>, ''chos kyi 'khor lo''): il pollice e il medio (nascosti) della mano destra formano in un cerchio, la ''vitarkamudrā'', l'esposizione della dottrina, con il dito indice della mano sinistra, fa girare la ruota, le mette in moto. Notare sul capo la protuberanza cranica, la ''[[uṣṇīṣa]]'' (<big>གཙུག་གཏོར</big> ''gtsug gtor'') uno dei [[trentadue segni maggiori di un Buddha]], le orecchie allungate ricordano i pesanti gioielli indossati prima dell'abbandono della vita mondana.]]
 
Con l'espressione '''buddhismo tibetano''' si indica, negli studi di [[buddhologia]] e nella [[storia delle religioni]], quella peculiare forma di [[buddhismo Mahāyāna]]/[[Buddhismo Vajrayāna|Vajrayāna]] presente nell'area [[Tibet|tibetanatibet]]ana.
 
Il termine con cui i buddhisti tibetani si riferiscono al proprio credo religioso e alla propria pratica cultuale è '''''Chos''''' (<big>ཆོས</big>, pronuncia: ''ciö'') che poi è la resa in lingua tibetana del termine sanscrito ''[[Dharma]]''<ref>Prats, p.135</ref>., oppure, più completamente, con l'espressione '''''Sangs rgyas kyi bstan pa'''''<ref name="Matthew T. Kapstein, p. 1151">Matthew T. Kapstein, p. 1151</ref> (<big>སངས་རྒྱས་ཀྱི་བསྟན་པ</big>) che poi è la resa in tibetano del sanscrito '' buddha-śāsana'' ("Insegnamento del Buddha").་
 
Per indicare sé stessi in qualità di seguaci della propria religione buddhista, i tibetani utilizzano il termine ''nang pa'' (<big>ནང་པ</big>, lett. "interni"), indicando i seguaci delle altre religioni con il termine collettivo di ''phyi pa'' (<big>ཕྱི་པ</big>, pronuncia: ''cipa''; lett. "esterni")<ref>Prats, p.136</ref>.
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=== Le origini: i tre re del Dharma (''dharmarāja'', <big>ཆོས་རྒྱལ</big>, ''chos rgyal'') ===
 
Secondo la storiografia tradizionale l'arrivo del buddhismo in Tibet è databile al periodo del re Srong-btsan sGam-po (<big>སྲོང་བཙན་སྒམ་པོ</big>, [[Songtsen Gampo]], regno: [[622]] - [[649]]), quel sovrano che avendo ereditato dal padre un regno unificato lo rese potente in Asia centrale controllando un tragitto importante della [[Via della seta]]<ref>Robinson & Johnson, p.328.</ref>. Due delle sei mogli di Srong-btsan sGam-po, la cinese [[Wénchéng]] (文成, ?-678) e la nepalese [[Bhṛkuṭī]] (605? - 650) furono, sempre secondo la storiografia tradizionale, ferventi buddhiste<ref name="Prats, p.148">Prats, p.148.</ref> e per rendere loro onore il re fece costruire il primo tempio buddhista in Tibet, il Jo-khang (<big>ཇོ་ཁང</big>, [[Jokhang]]) a [[Lhasa]] (<big>ལྷ་ས</big>, lHa-sa) dove spostò la sua residenza.
 
In particolar modo la principessa cinese Wénchéng aveva portato con sé in Tibet, nella sua dote, una statua dorata del [[Buddha Śākyamuni]] indicata in tibetano con il nome di <big>ཇོ་བོ</big> ''Jo-bo'' ([[Jowo]], lett. "Signore") tuttora conservata con grandissimi onori nel tempio di [[Jokhang]]<ref> name="Matthew T. Kapstein, p. 1151<"/ref>.
 
Secondo la tradizione buddhista tibetana Srong-btsan sGam-po fu un'incarnazione del [[bodhisattva]] [[Avalokiteśvara]] (in tibetano: <big>སྤྱན་རས་གཟིགས་དབང་ཕྱུག</big>, sPyan-ras-gzigs dbang-phyug, "Chenrezig Wangchug"), mentre le due mogli incarnarono la bodhisattva [[Tārā]] (in tibetano: <big>སྒྲོལ་མ</big> sGrol-ma, "Dölma")<ref>Robinson & Johnson, p.328-9.</ref>. Allo stesso monarca la tradizione accredita l'ingresso della scrittura tibetana e la grammatica della sua lingua, ambedue fondate su modelli indiani<ref> name="Prats, p.148.<"/ref>.
 
Sempre la tradizione vuole che tale monarca invitò maestri buddhisti dalla Cina e dal Nepal, promuovendo la traduzione dei testi buddhisti in tibetano, nonché la promulgazione di un editto in cui avrebbe armonizzato le leggi tibetane con le norme morali buddhiste, tuttavia tale storiografia è certamente esagerata e fondata sulla necessità di elaborare un "mito delle origini"<ref>Prats, 148</ref> anche allo scopo di rendere autentiche alcune tradizioni che volevano l'ingresso del buddhismo in Tibet preannunciato secoli prima della nascita di questo monarca, al tempo di Lha Tho tho ri (<big>ལྷ་ཐོ་ཐོ་རི</big>, [[Lha Thotori]], IV secolo), con la miracolosa caduta dal cielo di alcuni ''sūtra'' e di alcune immagini di questa religione<ref>Matthew T. Kapstein, p. 1151.</ref> che gli antichi tibetani non erano ancora in grado di comprendere.
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Sempre la tradizione storiografica tibetana vuole che accanto a questo ''dharmarāja'' ("Re del Dharma", in tibetano: <big>ཆོས་རྒྱལ</big>, ''chos rgyal'', appellativo assegnato intorno al VIII/IX secolo) ve ne furono altri due: Khri Srong lde btsan (<big>ཁྲི་སྲོང་ཨིདེ་བཙན་</big>, [[Trhisong Detsen]], regno: 755-797) e Ral pa can (<big>རལ་པ་ཅན་</big> [[Ralpacan]], regno: 815-838) anche loro incarnazioni di ''bodhisattva'' cosmici, segnatamente di Mañjuśrī (<big>ཇམ་དཔལ་དབྱངས།</big>, ’Jam dpal dbyangs) il primo, e di Vajrapāṇi (<big>ཕྱག་ན་རྡོ་རྗེ</big>, Phyag na rdo rje) il secondo. In questa tradizione buddhista questi tre sovrani tibetani risultano, quindi, i tre protettori delle ''rigs gsum mgon po'' (<big>རིགས་གསུམ་མགོན་པོ</big>, "Tre stirpi [buddhiche]").
 
Il secondo ''chos rgyal'', Khri Srong lde btsan, fu l'erede al trono di Khri lde gtsug btsan (<big>ཁྲི་ལྡེ་གཙུག་བཙན</big>, [[Trhi Detsuktsen]], regno:712-755), quel re tibetano che chiese all'imperatore cinese dei fascicoli (<big>བམ་པོ</big> ''bam po'') di scritture buddhiste. Anche Khri lDe gtsug btsan ebbe come consorte una principessa cinese buddhista, Jīnchéng (金城, ?-739), giunta in Tibet due anni prima della sua ascesa al trono. Jīnchéng fu colpita dall'assenza di riti funebri nel paese in cui era giunta e quindi si decise a introdurre l'usanza buddhista cinese di celebrarne per l'intera durata del lutto, questo consistente in sette settimane. Questa pratica cultuale è all'origine della credenza, diffusa in opere come il ''[[Bardo Tödröl Chenmo]]'' (<big>བར་དོ་ཐོས་གྲོལ་ཆེན་མོ་</big>, conosciuto anche come "Libro tibetano dei morti"), secondo la quale tra la morte e la rinascita del defunto trascorrerebbero quarantanove giorni<ref> name="Matthew T. Kapstein, p. 1151<"/ref>.
 
La principessa Jīnchéng invitò in Tibet anche dei monaci khotanesi che formarono la prima comunità monastica (''[[saṃgha]]'', in tibetano: <big>དགེ་འདུན</big>, ''dge ’dun'') in quella regione<ref> name="Matthew T. Kapstein, p. 1151<"/ref>. Tuttavia, in seguito alla morte della principessa avvenuta nel 739, probabilmente a causa di un'epidemia di peste, vi fu l'espulsione di questi monaci<ref> name="Matthew T. Kapstein, p. 1151<"/ref>. Lo stesso re, Khri lDe gtsug btsan verrà assassinato prima che a Lhasa giungessero i testi che aveva richiesto all'imperatore cinese. In quella circostanza, gli emissari dell'imperatore cinese giunti in Tibet decisero di nascondere i preziosi testi in quanto il tredicenne erede, Khri Srong lde btsan, essendo stato inizialmente influenzato da consiglieri ostili al buddhismo, ne proibì la diffusione. Ma il nuovo re e futuro secondo ''chos rgyal'', Khri Srong-Ide-btsan, si ricredette presto, avendo chiesto di essere messo a conoscenza dei testi nascosti fu indottrinato nella nuova fede da un maestro buddhista cinese, convertendosi così alla nuova religione all'età di vent'anni, nel 767<ref> name="Matthew T. Kapstein, p. 1151<"/ref>. A lui si deve la promulgazione di editti per lenire le sofferenze di uomini e animali nel corso delle epidemie e la costruzione del primo monastero buddhista in Tibet, lo Bsam yas (<big>བསམ་ཡས</big>, [[Samye]]) nel 779 circa.
 
Su quest'ultimo evento, la tradizione narra che sempre a Khri Srong lde btsan dobbiamo l'invito al monaco indiano, precisamente l'abate (''upādhyāya'') del monastero di [[Nālandā]], [[Śāntarakṣita]] (<big>ཞི་བ་འཚོ</big>, Zhi ba ’tsho, 725–788), il quale, a sua volta, invitò dodici monaci indiani dell'antica scuola Mūlasarvāstivāda (<big>གཞི་ཐམས་ཅད་ཡོད་པར་སྨྲ་བ</big>, Gzhi thams cad y od par smra ba) grazie ai quali, secondo le rigide regole del ''[[vinaya]]'' buddhista (in tibetano il termine sanscrito ''vinaya'' viene reso come <big>འདུལ་བ།</big>, ''<nowiki></nowiki>'dul ba''), poterono essere ordinati, nell'VIII secolo, i primi sette monaci tibetani<ref>Princeton, voce "Śāntarakṣita". </ref>. Da questo momento tutti i monaci tibetani saranno ordinati secondo il ''[[vinaya]]'' di questa antica scuola indiana<ref>Robinson & Johnson, p.30.</ref>.
 
Secondo la tradizione, Śāntarakṣita non riusci tuttavia a fondare il monastero di Bsam yas, questo per la tenace ostilità dei tibetani seguaci della religione locale (indicata convenzionalmente quanto impropriamente con il termine [[Bön]], <big>བོན</big>)<ref>Da qui l'avvertenza che indicare la religione tibetana locale con il termine "Bon", <big>བོན</big>, può essere foriero di equivoci perché l'esistente "religione Bon" poco ha a che fare con la religione pre-buddhista tibetana. Riguardo al nome "Bon" va evidenziata anche l'avvertenza del tibetologo giapponese [[Yoshirō Imaeda]]: «Formerly European historians, relying exclusively on later (that is to say, post-eleventh-century) Tibetan documents, thought that before the introduction of Buddhism, there was a religion in Tibet called ‘Bon’. As Tibetan studies advanced, the more complex reality of the religious situation in ancient Tibet began to emerge. The first important step was to note that Bon was only one element of the religious world and that the Bon pos were only one category of priests of ancient Tibet. It was therefore necessary to dissociate the properly indigenous elements from those that were foreign, and group them together under the designation of ‘nameless religion’» (in Matthew T. Kapstein e Brandon Dotson (a cura di). ''Contributions to the Cultural History of Early Tibet''. Brill, Leiden, 2007, p. 105.</ref>. Fu allora che il re Khri Srong lde btsan, su consiglio dell'abate indiano, invitò a Lhasa il taumaturgo originario della [[Uḍḍiyāna]], [[Padmasambhava]] (<big>པདྨ་འབྱུང་གནས།</big>, Padma ’byung gnas), il quale, giunto in Tibet, sconfiggerà persino gli dèi locali nemici del buddhismo, consentendo in questo modo la costruzione dello Bsam yas, il quale verrà eretto probabilmente nel 775 sul modello di un ''[[maṇḍala]]'' indiano, e consacrato quattro anni dopo. In quel monastero furono ordinati da Śāntarakṣita, e dai monaci indiani ''mūlasarvāstivādin'' proveniente dal monastero di Vikramaśila<ref>Prats, p. 150; Tucci, 1958, pp.25-6.</ref>, i primi sette monaci tibetani. Padmasambhava introdurrà per primo in Tibet le dottrine e le pratiche proprie del buddhismo esoterico.
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Il re, sempre secondo la storia tradizionale, si decise nel 784 a convocare un contraddittorio tra i buddhisti, rappresentati da Padmasambhava, e i rappresentanti della religione locale, tra cui spiccava Dran pa nam mkha (དྲན་པ་ནམ་མཁའ). L'esito della disputa, che incluse oltre il confronto dialettico anche alcune prove paranormali, si risolse favorevolmente per i buddhisti e molti dei seguaci del [[Bön]] (བོན), compreso Dran pa nam mkha, finirono per convertirsi al Dharma buddhista che divenne per un decreto reale, nel 791, la religione ufficiale del Tibet. Gli altri seguaci del Bön invece preferirono l'esilio risolvendosi a nascondere i propri testi dottrinari.
 
Nel 792 sempre il re Khri Srong lde btsan decise di dirimere una seconda controversia. Il buddhismo era giunto in Tibet da diversi paesi: India, [[Regno di Khotan]], Nepal e Cina, portando con sé diverse dottrine, culti e sensibilità. In quel momento erano presenti in Tibet due orientamenti inerenti al Dharma buddhista, quello di origine indiano, risalente secondo la tradiziona tibetana a [[Nāgārjuna]], che perorava l'avvicinamento graduale, progressivo, detto in tibetano ''rim gyis 'jug pa'' (<big>རིམ་གྱིས་འཇུག་པ</big>), verso l'Illuminazione (''[[bodhi]]'', in tibetano <big>བྱང་ཆུབ</big>, ''byang chub''); l'altro di origine cinese e di tradizione [[Chán]] (禅) perseguiva invece la saggezza repentina, immediata, detta in tibetano ''cig gar 'jug pa'' (<big>ཅིག་གར་འཇུག་པ</big>) di questa ''bodhi''. I primi predicavano quindi il conseguimento, progressivo e paziente, dei meriti (''[[puṇya]]'', in tibetano <big>བསོད་ནམས</big>, ''bsod nams'') e della saggezza primigenia (ཡེ་ཤེས, ''ye shes'') per superare i vincoli [[karman|karmici]]; mentre i secondi ritenevano qualsivoglia azione della mente, anche quella virtuosa, provocatrice del ''[[karman]]''.
 
Su questo dibattito i buddhologi statunitensi [[Richard H. Robinson]] e [[Willard L. Johnson]] precisano:
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Comunque sia, a seguito di questo concistoro fu emesso un editto reale a favore del partito perorato da Kamalaśīla, questo fatto provocò la protesta dei cinesi e dei loro seguaci, alcuni di loro si automutilarono, altri giunsero a suicidarsi<ref>Prats, p.153</ref>. Non solo, ridotti a essere considerati "eretici" (<big>མུ་སྟེགས་པ</big>, ''mu stegs pa'') altri ancora, forse seguaci dell'antica religione<ref>Tucci, 1958, p.45</ref>, si ribellarono violentemente uccidendo alcuni del partito avversario tra cui lo stesso Kamalaśīla.
Terzo, e ultimo, ''chos rgyal'' fu il pronipote di Khri Srong lde btsan, Khri gTsug lde btsan (<big>ཁྲི་གཙུག་ལྡེ་བཙན</big>, regno: 815-836) meglio conosciuto con l'appellativo Ral pa can (<big>རལ་པ་ཅན་</big>, [[Ralpacan]], "colui dalla grande chioma", appellativo di [[Īśvara]]), il quale, fervente buddhista, giunse a prendere i voti monastici<ref name="Prats, p. 153">Prats, p. 153</ref>. L'attività religiosa del sovrano fu mirata in particolar modo alla traduzione dei testi buddhisti. In tal senso fu da lui promulgato un editto per stabilire delle regole di traduzione più stringenti e più affidabili che portarono alla adozione di un lessico sanscrito-tibetano, edito nell'814, il ''[[Mahāvyutpatti]]'' ( "Grande etimologia"; tibetano: <big>བྱེ་བྲག་ཏུ་རྟོགས་པར་བྱེད་པ།</big>, ''bye brag tu rtogs par byed pa'')<ref> name="Prats, p. 153<"/ref>.
 
Nell'836 il fervore religioso del sovrano provocò la reazione dei seguaci del Bon tra i quali spiccava il fratello maggiore di Ral pa can, Glang Dar-ma (<big>གླང་དར་མ</big>, [[Langdarma]], regno: 836-842) che, istigato dai suoi correligionari, si rese regicida e usurpatore. Il regno di Glang Dar-ma durò tuttavia fino all'842 quando una freccia scagliata da un monaco buddhista<ref>Prats, p. 154</ref> di nome Lha lung dpal gyi rdo rje (<big> ལྷ་ལུང་དཔལ་གྱི་རྡོ་རྗེ</big>, [[Lhalung Palgyi Dorje]]) mise fine alla sua vita e al suo regno anti-buddhista<ref>Guenther, p. 143</ref>.
 
Le ragioni della persecuzione anti-buddhista da parte di Glang Dar-ma andrebbero fatte risalire, a detta del tibetologo tedesco [[Herbert V. Guenther]], all'eccessivo potere raggiunto dai monasteri buddhisti:
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La storiografia tradizionale tibetana suddivide in due parti la storia della diffusione del buddhismo nella regione del Tibet: la prima indicata con l'espressione ''sna dar'' (<big>སྣ་དར</big>, "diffusione iniziale") inerisce al periodo che si avvia con il regno di Srong-btsan sGam-po nel VI secolo e si conclude con la persecuzione del Dharma decisa dal re Glang Dar-ma alla fine del IX secolo. Il secondo periodo, che inerisce alla rifioritura del buddhismo in Tibet, viene indicato con l'espressione ''phyi dar'' (<big>ཕྱི་དར</big>, "diffusione defintiva")
 
Non esistono fonti giunte a noi, contemporanee del periodo della seconda metà del IX secolo, che descrivano la persecuzione anti-buddhista promossa dal re Glang Dar-ma<ref>Anne-Marie Blondeau, p.106</ref> la quale separa i due periodi sopramenzionati, quello che è certo è che il Tibet sembra entrare in un periodo di confusione religiosa e politica. Le cronache successive narrano di templi distrutti, monaci costretti ad abbandonare l'abito, ''[[paṇḍit]]'' indiani cacciati, e quindi la scomparsa del buddhismo nel Tibet centrale. Il potere regale si sgretola, i cinesi riconquistano quelle aree dell'Asia centrale da loro perse a favore dei tibetani decenni prima<ref>Tra il VII e il IX secolo i re tibetani furono in costante stato di guerra, conquistando vaste regioni cinesi e giungendo persino a conquistare, in un'occasione, la capitale cinese Chang'an. Così David L. Snellgrove e Hugh Richardson (p.31): «From the seventh century onwards Tibet begins to enter an entirely new period of growth and development. The political history of the period of the Yarlung kings (seventh to ninth centuries) is one of constant warlike activity. China was the principal rival and the Tibetans pressed further and further into the borderlands of what are now Kansu, Szechwan, Yunnan and Shansi. On one occasion they even captured Ch'ang-an (Sian) which was then the capital of China. By occupying strategic points on the routes through Central Asia they cut China's communications with the West, and the strain on Chinese resources and spirit are echoed in the war-weary poems of the great T'ang poets Po Chii-i, Li Po and Tu Fu. There were of course periods of peace, when Tibetan and Chinese envoys passed between the courts and between the generals on the frontiers. » </ref>.
 
La tradizione narra che tre monaci (''bhikṣu''; in tibetano དགེ་སློང, ''dge slong'') itineranti caricarono i testi del ''vinaya'' su un mulo fuggendo nell'Amdo (<big>ཨ་མདོ</big>, ''a mdo'', nome di una regione tibetana posta a Oriente), dove ristabilirono una prima comunità monastica<ref>I nomi di questi monaci, secondo la tradizione, erano ''Rab gsal'' proveniente dalla provincia di Gtsang, ''Gyo dge byung'' proveniente da Bo dong e ''Dmar Sākyamuni'' proveniente da Stod lung. Questi tre monaci, caricarono sul mulo i testi del ''vinaya'', a significare la necessaria continuità monastica legittima, dirigendosi verso Oriente. E dopo aver attraversato le regioni sotto il dominio dei Turchi karluk e quelle sotto gli Uiguri giunsero infine nell'Amdo. Lì un ex credente della religione Bon che viveva in quel luogo, di nome Dge rab gsal, il quale precedentemente era stato convertito al buddhismo, chiese a questi tre monaci appena giunti di essere ordinato monaco. Viste le peculiari e rigide regole del ''vinaya'', per l'ordinazione di un nuovo monaco è indispensabile la presenza di almeno cinque monaci già ordinati. Al fine di consentire l'ordinazione di Dge rab gsal si aggiunsero, per completare il numero di cinque, due monaci cinesi lì presenti (Cfr. ad es. Tucci, p. 37).</ref>. Tale tradizione intende mitizzare un probabile accadimento storico, ovvero che vi furono delle realtà monastiche non "istituzionalizzate" nei monasteri le quali, sopravvivendo alla chiusura di questi ultimi ordinati con gli editti di Glang Dar-ma, consentirono la rifioritura monastica nelle parti non centrali del Tibet.
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Tale rinascita è stata interpretata, sempre secondo Ramon N. Prats<ref>Ramon N. Prats, p. 155</ref>, anche su una riconsiderazione del buddhismo del primo periodo al quale furono mosse delle severe critiche riguardanti il lassismo nella disciplina monastica e la degenerazione morale, questa causata anche per la cattiva interpretazione di alcune dottrine tantriche.
 
Durante questo periodo nuovi discepoli si formano attorno ai rispettivi ''bla-ma'' <big>(བླ་མ</big>, [[lama (buddhismo)|lama]]; rende in quella lingua il sanscrito ''guru'', "maestro") andando a costituire quei lignaggi di insegnamenti da maestro a discepolo (in sanscrito: ''guruparamparā''; in tibetano: <big>བླ་བརྒྱུད</big>, ''bla brgyud'') che sono all'origine di differenti scuole le quali, tuttavia, sono fondate sul medesimo canestro di disciplina monastica (''vinaya''), quello dell'antica scuola indiana dei ''mūlasarvāstivādin''.
 
Da tener presente, come osserva Ramon N. Prats, che queste scuole, le quali ammontano tra le passate e le presenti in circa una trentina,
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====La tradizione "Antica": ''rnying ma'' (<big>རྙིང་མ་</big>, [[Nyingma]])====
Con la fioritura delle nuove scuole e dei nuovi lignaggi, avvenuta in particolar modo tra l'XI e il XII secolo, i seguaci delle forme di buddhismo tibetano preesistenti (queste fiorite tra il VII e il X secolo) furono distinti in un gruppo separato e indicati con il nome di ''rnying ma'' (<big>རྙིང་མ་</big>, [[Nyingma]], "antico"), nome che intende sottolineare la loro "antichità" rispetto alle "nuove scuole" (<big>གསར་མ་</big>, ''gsar ma''). Va tuttavia detto che ciò che concerne questa tradizione, ivi compreso il suo nome, è attestabile solo a partire dall'XI secolo, quando i seguaci dell'antico buddhismo riorganizzarono il "loro" buddhismo alla stregua di ciò che accadeva nelle nuove scuole del buddhismo "riformato" in quel momento emergenti<ref>Prats, 156</ref>.
 
Questa tradizione è comunque strettamente legata al maestro tantrico originario dell'Uḍḍiyāna [[Padmasambhava]], ai suoi " [[venticinque discepoli Padmasambhava|venticinque discepoli]]" (<big>རྗེ་འབངས་ཉེར་ལྔ</big> ''rje 'bangs nyer lnga'') locali tra i quali emerge la figura dell'VIII secolo Rnam par snang mdzad lo tsa ba (<big>རྣམ་པར་སྣང་མཛད་ལོ་ཙ་བ</big>, il [[Vairocana (lotsāva)|''lotsāva'' Vairocana]], conosciuto anche con la differente pronuncia di Vairotsana o con il nome di famiglia Ba gor, <big>བ་གོར</big>), uno dei fondatori dello [[rDzogs-chen]] (<big>རྫོགས་ཆེན</big>), e allo ''yogin'' indiano dell'VIII-IX secolo [[Vimalamitra]] (<big>དྲི་མེད་བཤེས་གཉེན</big> Dri med bshes gny en).
 
Accanto alla lettura agiografica inerente al taumaturgo e maestro tantrico Padmasambhava, questa scuola conserva una serie di testi che vanno sotto il nome collettivo di ''gter-ma'' (<big> གཏེར་མ</big>, "[[Terma]]", "Tesoro nascosto") celati all'epoca di Padmasambhava e scoperti nel corso dei secoli da maestri, appellati come ''gter ston'' (<big>གཏེར་སྟོན</big>, [[tertön]], "Rivelatore dei Tesori"), nonché una edizione dei ''tantra'' antichi esclusi dalle recensioni del [[Canone buddhista tibetano]], raccolti da Rat na gLing-pa (རཏྣ་གླིང་པ་, anche [[Ratna Lingpa]], 1403 - 1478) nell'opera intitolata ''rNying ma rgyud 'bum'<nowiki></nowiki>'' (རྙིང་མ་རྒྱུད་འབུམ་, [[Nyingma Gyübum]], "Centomila tantra della Tradizione Antica").
 
====La tradizione, estinta, delle "Parole e istruzioni [del Buddha]": ''bka' gdams'' (<big>བཀའ་གདམས</big>, [[Kadam]])====
Oltre alle realtà periferiche che non furono toccate dagli editti del re anti-buddhista, il rifiorire di questa tradizione religiosa in Tibet viene attribuita ad un altro re, sovrano nel regno della regione del Mnga' ris (<big>མངའ་རིས</big>, territorio che si estendeva nelle provincie occidentali del Tibet fino alla regione del Ladakh), questo fondato da un discendente di Glang Dar-ma a cui succedette una dinastia nepalese. A questo sovrano, di nome Ye shes 'od (959–1040, <big>ཡེ་ཤེས་འོད</big>, [[Yeshe-Ö]]), dobbiamo la reintroduzione di un buddhismo di origine indiana maggiormente coerente con le regole morali del ''Dharma''. Così Ye shes 'od inviò giovani monaci tibetani presso i monasteri indiani del Kashmir, invitando nel suo regno i maestri indiani con i loro testi religiosi. Tra i primi spicca Rin chen bzang po (958-1055, <big>རིན་ཆེན་བཟང་པོ</big>, [[Rinchen Zangpo]]), futuro grande ''[[lotsāva]]'' e fondatore di templi; tra i secondi emerge l'importante figura di [[Atiśa]] Dīpaṃkaraśrījñāna (in tibetano: <big>ཨ་ཏི་ཤ་མར་མེ་མཛད་དཔལ་ཡེ་ཤེས</big>, ''a ti sha mar me mdzad dpal ye shes'', 982-1054), quel monaco indiano giunto in Tibet nel 1042 su invito del pronipote di Ye shes 'od, Byang chub 'od (984–1078, <big>བྱང་ཆུབ་འོད</big>, [[Changchup Ö]]).
 
Atiśa risulta essere una delle figure centrali per la successiva diffusione del buddhismo in Tibet. A lui si deve innanzitutto il celeberrimo ''[[Bodhipathapradīpa]]'' ("La lucerna sulla via dell'Illuminazione", composto inizialmente in sanscrito tra il 1042 e il 1043, fu successivamente da lui tradotto in tibetano con il titolo <big>བྱང་ཆུབ་ལམ་གྱི་སྒྲོན་མ</big>, ''byang chub lam gyi sgron ma'', è al [[Toh.]] 3947). Questo testo corrisponde a un breve manuale dell dottrine buddhiste organizzato su tre differenti livelli a seconda delle capacità spirituali del lettore. Il ''[[Bodhipathapradīpa]]'' risulterà essere il testo fondante del sentiero spirituale detto ''lam rim'' (<big>ལམ་རིམ</big>, "sentiero graduale") a sua volta a fondamento delle tradizioni ''bka' gdams'' e ''dge lugs''<ref name="Ramon N. Prats, p. 158">Ramon N. Prats, p. 158</ref>. Ad Atiśa è attribuita anche l'introduzione in Tibet della celeberrima dottrina detta del ''[[Kālacakratantra]]'' (in tibetano: <big>དུས་ཀྱི་འཁོར་ལོ་རྒྱུད</big>, ''dus kyi ’khor lo rgyud'')
 
Nel suo peregrinare verso le regioni centrali del Tibet, Atiśa incontrò a Snye thang (<big>སྙེ་ཐང</big>, [[Nyethang]], a circa 30 Km a Sud-Ovest di Lhasa) un monaco proveniente dalla regione orientale del Khams (<big>ཁམས</big> Kam) ma originario del་ distretto di Dbus (<big>དབུས་</big>, [[Ü (regione)|Ü]], Tibet centrale) di nome 'Brom ston nal ba'i 'byung gnas (<big>འབྲོམ་སྟོན་རྒྱལ་བའི་འབྱུང་གནས</big>, [[Dromtön]] Gyalwe Jungne, 1008-1064), che divenne il suo principale discepolo<ref>Herbert V. Guenther, p. 144</ref>.
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{{q|Si narra che quando Dromton chiese ad Atiśa se fossero più importanti i testi (''bka'<nowiki></nowiki>'', "parola del Buddha" e ''bstan bcos'', opere esegetiche degli studiosi indiani) oppure l'insegnamento del proprio maestro, questi rispose che l'insegnamento del maestro era più importante, perché poteva garantire la corretta interpretazione dell'intenzione nascosta alla quale il discepolo era legato o verso la quale aveva un obbligo (''gdams''). Per questo, in effetti, l'importanza dell'insegnante o lama (tibetano, ''bla ma'') nel suo diretto contatto con il discepolo conferì al Buddhismo tibetano il nome spesso usato di Lamaismo. | Herbert V. Guenther, p. 144}}
 
Questo discepolo di Atiśa diverrà il fondatore della prima scuola "nuova" rispetto alla ''rnying ma'', nota come ''bka' gdams'' (<big>བཀའ་གདམས</big>, [[Kadam]], "parole e istruzioni [del Buddha]"), stabilita nel monastero di Rwa-sgreng (<big>རྭ་སྒྲེང</big>, [[Monastero di Reting|Reting]]) fondato nel 1057 dallo stesso 'Brom ston nal ba'i 'byung gnas, in cui egli stesso si ritirerà in una vita di clausura per il resto della sua vita<ref> name="Ramon N. Prats, p. 158<"/ref>.
 
Questa prima scuola del "nuovo" buddhismo tibetano, che scomparirà intorno al XV secolo per motivi ancora non pienamente compresi<ref>Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), ''Princeton Dictionary of Buddhism'', Princeton University Press, 2013.</ref>, sarà caratterizzata dalla stretta osservanza del ''[[vinaya]]'' e dalle pratiche di purificazione della mente, dette ''blo sbyong'' (<big>བློ་སྦྱོང</big>), al fine di realizzare la profonda verità della ''[[śūnyatā]]'' (in tibetano: <big>སྟོང་ཉིད</big>, ''stong nyid'')<ref> name="Ramon N. Prats, p. 158<"/ref>.
 
====La tradizione [del Monastero della] "Terra grigia": ''sa skya'' (<big>ས་སྐྱ་</big> [[Sakya]])====
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Premesso che l'espressione ''bka’ brgyud'' è comunemente usata da tutte le tradizioni buddhiste tibetane per indicare la trasmissione dell'insegnamento del Buddha da maestro a discepolo, in questo caso essa designa un preciso lignaggio detto ''Mar pa bka’ brgyud'' (<big>མར་པ་བཀའ་བརྒྱུད</big>, "Trasmissione dell'insegnamento orale di Mar pa") dal nome del suo fondatore, il traduttore e maestro Mar pa Chos kyi blo gros (<big>མར་པ་ཆོས་ཀྱི་བློ་གྲོས</big>, [[Marpa Chökyi Lodrö]], 1012–1097). a cui fanno riferimento un insieme di sottoscuole, alcune indipendenti tra loro, tutte attinenti a questo alveo, ossia che fanno riferimento al lignaggio di Mar pa Chos kyi blo gros e ai relativi insegnamenti.
 
Mar pa Chos kyi blo gros proveniva da una ricca famiglia della regione Lho brag (<big>ལྷོ་བྲག</big>, [[Lhodrak]], nel Tibet meridionale), di carattere piuttosto violento fu inviato dai genitori dal maestro 'Brog mi. Compì alcuni importanti pellegrinaggi in India dove per dodici anni studiò sotto il maestro e ''[[mahāsiddha]]'' di [[Nālandā]], Na ro pa (<big> ནཱ་རོ་པ</big>, [[Nāropa]]; in sanscrito: Naḍapāda; 956-1040 o 1016-1100).
 
Rientrato in Tibet Mar pa Chos kyi blo gros lì trasferì le dottrine di questo famoso ''[[mahāsiddha]]'' indiano dall'alto lignaggio tantrico (la tradizione vuole che maestro di Nāropa fu un altro ''[[mahāsiddha]]'' indiano, [[Tilopa]], a sua volta edotto alle dottrine tantriche dal buddha primordiale in persona detto [[Vajradhara]]) indicate con il nome tibetano ''chos drug'' (<big>ཆོས་དྲུག</big>; in sanscrito: ''ṣaḍdharma''; "Sei dottrine"), le quali, mirando a uno stato psicofisico, contemplano: l'innalzamento della temperatura corporea (<big>གཏུམ་མོ་</big>, ''gtum mo''; [[tummo]]; sanscrito: ''caṇḍālī''); l'eliminazione degli attaccamenti per mezzo della meditazione sul "corpo illusorio" (<big>སྒྱུ་ལུས </big>, ''sgyu lus'', [[gyulü]]; sanscrito: ''māyākāya''; ''māyādeha''); le pratiche del sogno (<big>རྨི་ལམ</big>, ''rmi lam'', [[nylam]]; sanscrito: ''svapnadarśana'') al fine di oltrepassare lo condizione confusionale della mente; la meditazione sulla natura luminosa (<big>འོད་གསལ་</big>, '''od gsal'', [[ösal]]; sanscrito: ''ābhāsvarā'') della mente al fine di superare l'ottundimento; le pratiche relative allo stato intermedio (<big>བར་དོ</big>, ''bar do'', [[bardo]]; sanscrito: '' antarābhava'') che si manifesta dopo la morte; quindi il trasferimento/trasmigrazione (<big>འཕོ་བ</big>, ''<nowiki></nowiki>'pho ba'', [[phowa]]; sanscrito: ''saṃkramati'') in un'altra forma di esistenza del principio dello stato di coscienza dopo la morte.
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L'origine di questa scuola va fatta risalire alla figura del dotto e mistico Tsong kha pa (<big>ཙོང་ཁ་པ</big>, [[Tsongkhapa]] 1357-1419), altrimenti conosciuto con il nome monastico di Blo bzang grags pa (<big>བློ་བཟང་གྲགས་པ</big>, Losang Drakpa), per la precisione ai suoi allievi il cui "approccio" viene indicato in lingua tibetana come ''Dga’ ldan pa’i lugs'' (<big>དགའ་ལྡན་པའི་ལུགས</big>, da cui il nome ''dge lugs'' proprio di questa tradizione<ref>«The name
Dge lugs may have originally been an abbreviation of Dga’ ldan pa’i lugs.» Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), ''Princeton Dictionary of Buddhism'', Princeton University Press, 2013.</ref>) ossia l'approccio di "coloro che provengono dai monti ''Dga'ldan''", laddove Tsong kha pa, nel 1409 e grazie alla potente e nobile famiglia dei ''Phag mo gru'' (<big>ཕག་མོ་གྲུ</big>) aveva eretto il suo monastero, detto per l'appunto del ''Ri bo dga'ldan'' (<big>རི་བོ་དགའ་ལྡན་</big>, anche [[Ganden]] a 45 &nbsp;km a est di Lhasa).
 
Tsong kha pa ebbe modo di ricevere gli insegnamenti buddhisti da maestri di differenti lignaggi e, giunto ai quaranta anni, prese i voti monastici per entrare nel celebre monastero di [[Rwa sgreng]] (<big>རྭ་སྒྲེང་དགོན་པ</big>, Rwa sgreng dgon pa, [[monastero di Reting]], collocato nella valle del ’Phan po a circa 100 km a nord di Lhasa) a quel tempo affiliato all'ormai scomparso lignaggio dei ''bka' gdams''. Dopo aver studiato lì la letteratura buddhista, in particolar modo il ''[[Bodhipathapradīpa]]'' del dotto indiano del X secolo Atiśa Dīpaṃkaraśrījñāna, redasse, nel 1402, quella celeberrima opera che va sotto il titolo tibetano di ''Lam rim chen mo'' (<big>ལམ་རིམ་ཆེན་མོ</big>, "Il sommo sentiero graduale"; al [[Toh.]] 5392) che, tra l'altro, contiene dotte citazioni proprie dei testi indiani del buddhismo affrontando gli stadi del percorso spirituale buddhista. Dopo questo, Tsong kha pa predispose un ulteriore trattato, lo ''sngags rim chen mo'' (<big>སྔགས་རིམ་ཆེན་མོ་</big>, "Il sommo [sentiero del] mantra graduale",; al [[Toh.]] 5281) che invece si occupa delle pratiche proprie del buddhismo esoterico.
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Il Bkra shis lhun po (<big>བཀྲ་ཤིས་ལྷུན་པོ</big>, [[Tashi Lhunpo]]) sarà il quarto grande monastero fondato da questa scuola nei pressi della città di Gzhi ka rtse (<big>གཞི་ཀ་རྩེ་</big>, [[Shigatse]]) nel 1447 da un altro seguace, in questo caso anche nipote, di Tsong kha pa, Dge ’dun grub (<big>དགེ་འདུན་གྲུབ་</big>, [[Gendün Drup]], 1391–1475) il quale, posteriormente, riceverà il titolo, tipico di questa tradizione, di "primo" Ta la’i bla ma (<big>ཏ་ལའི་བླ་མ</big>, [[Dalai Lama]]).
 
Tale titolo che, va detto, inerisce esclusivamente a questa singola tradizione tibetana, fu coniato nel 1578 quando, nella regione del lago Tso Ngömpo (<big>མཚོ་སྔོན་པོ</big>, lett. "lago azzurro"; quel grande lago di acqua salata conosciuto anche con il nome mongolo di Хөх нуур, Koko Nor; o con il cinese 靑海湖 Qinghǎi Hú; situato nella provincia del Qinghai) avvenne l'incontro tra il potente condottiero del clan mongolo dei [[Tümed]], [[Altan Khan]], (antico mongolo: {{MongolUnicode| ᠠᠯᠲᠠᠨ<br> ᠬᠠᠨ}}, 1507-1588) e l'abate dei monasteri ''dge lugs'' di ’Bras spungs e di Se ra, il ''bla ma'' bSod nams rgya mtsho (<big>བསོད་ནམས་རྒྱ་མཚོ</big>, [[Sönam Gyatso]], 1543-1588). Come era costume i due si scambiarono dei titoli onorifici, quello assegnato dal ''khan'' mongolo al ''bla ma'' tibetano consisteva nella traduzione mongola dell'ultima parte del suo nome, ''rgya mtsho'' (<span style="font-size:24px">རྒྱ་མཚོ</span>), ovvero ''dalai'' (antico mongolo: {{MongolUnicode|ᠲ‍‍ᠠ‍ᠯ‍ᠠ‍ᠢ}}) che, anche in mongolo, significa "oceano". Da qui il titolo tipizzato in tibetano come ''ta la'i bla ma'' (<span style="font-size:24px">ཏ་ལའི་བླ་མ</span> , adattato in [[Dalai Lama]], pronuncia in italiano: "talee lama") con il significato di "maestro oceanico".
 
Tale titolo fu assegnato, ovviamente in via postuma, ad altri due importanti predecessori di bSod nams rgya mtsho, oltre al già citato Dge ’dun grub anche a Dge 'dun rgya mtsho (<big>དགེ་འདུན་རྒྱ་མཚོ</big>, [[Gendün Gyatso]], 1475-1542).
 
Questi importanti tre maestri furono considerati alla stregua della dottrina detta dello ''sprul sku'' (<big>སྤྲུལ་སྐུ་</big>, [[trülku]], anche nella resa anglosassone di ''tulku'', rende il sanscrito ''[[nirmāṇakāya]]''), furono quindi considerati manifestazioni, incarnazioni, l'uno dell'altro. Tale dottrina, per quanto già presente ad esempio nella scuola dei ''[[Kar ma Bka’ brgyud]]'', sostituiva la tradizionale consuetudine di successione tra maestri, presente nelle altre scuole buddhiste tibetane, dove il maestro in carica designava a succedergli il più qualificato dei suoi allievi.
 
Il successore, ovvero l'incarnazione dello stesso bSod nams rgya mtsho, il ''bla ma'' che aveva incontrato Altan Khan, fu individuato dalle gerarchie ''dge lugs'' proprio in un pronipote del ''[[khan]]'' mongolo, Yon tan rgya mtsho (<big>ཡོན་ཏན་རྒྱ་མཚོ་</big>, [[Yönten Gyatso]], 1589-1617, unico Dalai Lama non tibetano) che venne così nominato come IV Dalai Lama, fatto che consentì alla scuola fondata da Tsong kha pa di legarsi vieppiù con le casate mongole, patrone politico-militari di quelle regioni.
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Al quarto Dalai Lama di origine mongola , succedette, sempre con il metodo dello ''sprul sku'', il quinto Ngag dbang blo bzang rgya mtsho (<big>ངག་དབང་བློ་བཟང་རྒྱ་མཚོ་</big>, [[Ngawang Lozang Gyatso]], 1617-1682) una delle personalità più eminenti dell'intera storia tibetana, appellato per questo da suo popolo come <big>ལྔ་པ་ཆེན་པོ</big> (''lnga pa chen po'', il "Grande Quinto").
 
Figlio di una nobile famiglia del ’Phyong rgyas (<big>འཕྱོང་རྒྱས</big>, Chongye, nello Yarlung) ebbe come maestro, e forse padre biologico, un illustre esponente del lignaggio [[Jo-nang]], Kun dga' snying po (<big>ཀུན་དགའ་སྙིང་པོ</big>, [[Kunga Nyingpo]], altrimenti conosciuto anche come Tāranātha, 1092-1158) mentre la madre, secondo le sue stesse memorie, fu la compagna tantrica di questo grande maestro.
 
Riconosciuto da Blo bzang chos kyi rgyal mtshan (བློ་བཟང་ཆོས་ཀྱི་རྒྱལ་མཚན, [[Lozang Chökyi Gyaltsen]], 1570–1662), il quarto Pan chen bl ama, (<big>པན་ཆེན་བླ་མ</big>, [[Panchen Lama]]) nel 1622 come incarnazione del IV Dalai Lama, quindi del mongolo Yon tan rgya mtsho, e condotto nel monastero di ''Ddga'ldan'', nel 1625 Ngag dbang blo bzang rgya mtsho venne ordinato monaco continuando gli studi sotto diversi insegnanti, studi che riguardarono l'intera tradizione buddhista tibetana, sotto il quarto Pan chen bl ama.
 
In questo periodo i seguaci del ''dge lugs'' vengono perseguitati dal re del Dbus-gtsang (<big>དབུས་གཙང</big>, [[Ü-Tsang]]), (<big>ཀར་མ་བསྟན་སྐྱོང</big>, Kar ma bstan skyong, ([[Karma Tenkyong]], 1605-1642), patrono sia della potente tradizione ''Kar ma Bka’ brgyud'' (ཀརྨ་བཀའ་བརྒྱུད, [[Karma Kagyü]]) che di quella che va sotto il nome di Jo nang (<big>ཇོ་ནང</big>, [[Jonang]]).
 
L'alleanza tra i mongoli e i ''dge lugs'', già instaurato con il III Dalai Lama e confermato con il IV, egli stesso un mongolo, verrà ulteriormente stabilita dal V, il quale si legherà al governatore mongolo del Qoshot, Gushri Khan (1582-1655). Grazie a questi potenti alleati dal 1642 il V Dalai Lama, con il reggente Bsod nams chos 'phel (<big>བསོད་ནམས་ཆོས་འཕེལ</big>, [[Sönam Chöpel]], circa 1595-1658), governerà l'intero Tibet centrale.
 
La relazione tra il V Dalai Lama e i mongoli fu stabilita secondo il modello ''yon mchod'', (<big>ཡོན་མཆོད</big>anche ''mchod yon'', [[yön chö]]), già instaurato nel 1247 tra gli esponenti della tradizione ''sa skya'' (<big>རྙིང་མ་</big> [[Sakya]]) e [[Kubilai Khan]], che riservava il ruolo politico religioso ai Dalai Lama e il ruolo politico militare ai ''[[khan]]'' mongoli<ref>«The relationship thus forged between the Dalai Lama and the Mongol ruler was based on the so-called priest-patron (YON MCHOD) model previously established between the Sa sky a heirarch ’ PHAGS PA BLO GROS RGYAL MTSHAN and Qubilai Khan.» Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism, Princeton University Press, 2013.</ref>.
 
Il V Dalai Lama promosse anche quella dottrina secondo la quale lui, e i suoi incarnati predecessori, erano la manifestazione terrena del ''bodhisattva'' cosmico [[Avalokiteśvara]], venendo anche considerato erede dei primi tre re del Dharma (''dharmarāja'', ཆོས་རྒྱལ, ''chos rgyal'')<ref>«The Dalai Lama promoted the view that he and the previous Dalai Lamas were incarnations (SPRUL SKU) of the BODHISATTVA AVALOKITEŚVARA and that he himself was linked to the three great religious kings (''chos rgyal'') SRONG BTSAN SGAM PO, KHRI SRONG LDE BTSAN, and RAL PA CAN .» Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), Princeton Dictionary of Buddhism, Princeton University Press, 2013. </ref>.
 
[[File:Potala Palace.jpg|upright=2.7|thumb]]
 
Questi ultimi due aspetti furono particolarmente significativi per la cultura tibetana
 
Da una parte Avalokiteśvara (tibetano: <big>སྤྱན་རས་གཟིགས</big>, ''spyan ras gzigs''; Chenrezik) rappresentava, per le tradizioni di quelle terre, non solo il protettore dell'intero paese ma anche il mitico progenitore dei tibetani. La sua sacra figura era conosciuta già al tempo del re Khri Srong lde btsan, epoca in cui venne tradotto il ''[[Kāraṇḍavyūhasūtra]]'' (<big>ཟ་མ་ཏོག་བཀོད་པའི་མདོ</big>, ''Za ma tog bkod pa’i mdo'', al [[Toh.]] 116), testo che introduceva questo ''[[bodhisattva]]'' cosmico in Tibet, facendogli acquisire quel ruolo supremo per il buddhismo tibetano.
 
E se la mitologia indiana (cfr. ''[[Gaṇḍavyūha]]''; ''Sdong po bkod pa'', <big>སྡོང་པོ་བཀོད་པ</big>, al [[Toh.]] 44), e quindi tibetana, individuava la residenza di questo grande ''bodhisattva'' della misericordia sul [[monte Potala]] (<big>པོ་ཏ་ལ</big>, ''po ta la''), e se il primo re del Dharma tibetano, Srong-btsan sGam-po, già lui stesso considerato incarnazione di Chenrezik, aveva eretto nel VII secolo la sua residenza sul "Poggio Rosso" (<big>དམར་པོ་རི</big>, ''dmar po ri'') a Lhasa, fu facile per il V Dalai Lama avviare, nel 1645, la costruzione di un'imponente fortezza sullo stesso Poggio Rosso, ribattezzato per l'occasione come "Potala", andandola così a indicare come sacra, potente e visibile reggia della teocrazia da lui instaurata e rappresentata.
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====La tradizione, estinta, [del monastero di] "''Jo nang''" [''phun tshogs gling''] (<big>ཇོ་ནང</big>, [[Jonang]])====
Questa tradizione ha origine nel monastero ''Jo nang phun tshogs gling'' (<big>ཇོ་ནང་ཕུན་ཚོགས་གླིང</big>, [[Jonang Püntsokling]] collocato a nord-ovest di Shigatse) fondato nel XIII secolo da Kun spangs pa Thugs rje brtson ’grus (<big>ཀུན་སྤངས་པ་ཐུགས་རྗེ་བརྩོན་འགྲུས</big>, [[Kunpangpa Tukje Tsöndrü]], 1243–1313) e ampliato da Dol po pa Shes rab rgyal mtshan (<big>དོལ་པོ་པ་ཥེས་རབ་རྒྱལ་མཚན</big>, [[Dolpopa Sherap Gyaltsen]], 1292–1361). Tuttavia questa scuola sostiene di aver origine dal mistico dell'XI secolo Yu mo Mi bskyod rdo rje (<big>ཡུ་མོ་མི་བསྐྱོད་རྡོ་རྗེ་</big>, [[Yumo Mikyö Dorje]]).
 
La peculiarità storica di questa tradizione si rileva nel maestro Dol po pa Shes rab rgyal mtshan il quale elaborò quella particolare dottrina inerente la "[[vacuità]]" detta estrinseca che va sotto il nome tibetano di ''gzhan stong'' (<big>གཞན་སྟོང</big>, ''shentong''), provocando quel dibattito dottrinario giunto fino ai giorni nostri tra i suoi promulgatori e coloro che vi si oppongono, ovvero che propugnano la dottrina della "vacuità intrinseca" detta in tibetano ''rang stong'' (<big>རང་སྟོང</big>, ''rangtong'').
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===Il buddhismo tibetano nel mondo moderno e contemporaneo===
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==Le principali dottrine del buddhismo tibetano==
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==Le [[Canone buddhista tibetano|scritture del buddhismo tibetano]]==
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* il ''bsTan-’gyur'' (nella grafia tibetana: <big>བསྟན་འགྱུར</big>; reso anche come ''Tangyur'' o ''Tanjur''; lett. "[La raccolta dei] commentari tradotti").
 
Il Canone tibetano è quindi l'opera che raccoglie i ''[[sūtra]]'' (མདོ, ''mdo''), i ''[[tantra]]'' (རྒྱུད, ''rgyud''), i ''[[śāstra]]'' (བསྟན་བཆོས, ''bstan bcos''), il ''[[vinaya]]'' (འདུལ་བ།, '''dul ba'') e in generale le scritture buddhiste, tradotte in [[lingua tibetana]] e ritenute importanti per la tradizione del [[Buddhismo Vajrayāna]] in Tibet.
 
Il Canone tibetano si è sostanzialmente formato dall'VIII al XIII secolo, assumendo una sua prima edizione definitiva grazie al dotto poligrafo e ''[[Lama (buddhismo)|bla-ma]]'' (བླ་མ) del XIV secolo Bu-ston rin-chen grub ( བུ་སྟོན་རིན་ཆེན་གྲུབ་, anche [[Butön Rinchen Drup]], 1290-1364).
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== Note ==
 
{{Vajrayana}}
<references />
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* Robert E. Buswell Jr. & Donald S. Lopez Jr., (a cura di), ''Princeton Dictionary of Buddhism'', Princeton University Press, 2013.
* Philippe Cornu, ''Dizionario del Buddhismo''. Milano, Bruno Mondadori, 2003 (2001).
* Herbert Guenther, ''Il buddhismo in Tibet'', in "Enciclopedia delle religioni", vol. 10. Milano, Jaca Book, 2006 (1989), pp. &nbsp;141 e sgg.
* Matthew T. Kapstein, ''Buddhism in Tibet'', in "[[Encyclopedia of Religion]]", vol. 2. NY, Macmmillan, 2004, pp. &nbsp;1150 e sgg.
* Matthew T. Kapstein, ''The Tibetan Assimilation of Buddhism''. New York, Oxford University Press, 2000.
* Matthew T. Kapstein e Brandon Dotson (a cura di). ''Contributions to the Cultural History of Early Tibet''. Brill, Leiden, 2007.