Principi della dinamica: differenze tra le versioni

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Ciò viene dettagliatamente descritto da Galileo in due sue opere, rispettivamente, nel [[1632]] e nel [[1638]]: il ''[[Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo]]'' e ''[[Galileo Galilei#I Discorsi e dimostrazioni matematiche|Discorsi e dimostrazioni matematiche intorno a due nuove scienze attenenti alla meccanica e i movimenti locali]]''.
Scrive Galileo nel Dialogo: “''il mobile durasse a muoversi tanto quanto durasse la lunghezza di quella superficie, né erta né china; se tale spazio fusse interminato, il moto in esso sarebbe parimenti senza termine, cioè perpetuo''”. Ma questo, scrive ancora Galileo: “''deve intendersi in assenza di tutti gli impedimenti esterni e accidentari''” … e che gli oggetti in movimento siano: “''immuni da ogni resistenza esterna: il che essendo forse impossibile trovare nella materia, non si meravigli taluno, che faccia prove del genere, se rimanga deluso dall'esperienza''”. Bisogna aggiungere, ad onor del vero, che, com’e noto, Galileo riteneva che un moto inerziale avrebbe assunto una direzione circolare e non rettilinea, come invece riteniamo oggi, a partire da Newton. Infatti, secondo Galilei, i pianeti si muovono di moto circolare uniforme attorno al Sole, senza subire alcun tipo di effetto, gravitazionale o di altro tipo.
La sua prima enunciazione formale è tuttavia di [[Isaac Newton]] (''[[Philosophiae Naturalis Principia Mathematica]]''), che pur ne riconosce erroneamente la paternità galileiana: “''Lex prima: Corpus omne perseverare in statu suo quiescendi vel movendi uniformiter in directum, nisi quatenus a viribus impressis cogitur statum illum mutare.''”. Newton chiarisce inoltre il concetto nella definizione 3:
 
« La vis insita, o [[forza]] innata della materia, è il potere di resistere attraverso il quale ogni corpo, in qualunque condizione si trovi, si sforza di perseverare nel suo stato corrente, sia esso di quiete o di moto lungo una linea retta. Questa forza è proporzionale alla forza che si esercita sul corpo stesso e non differisce affatto dall'inattività della massa, ma nella nostra maniera di concepirla. Un corpo, dall'inattività della materia, è tolto non senza difficoltà dal suo stato di moto o quiete. Dato ciò questa vis insita potrebbe essere chiamata in modo più significativo vis inertiae, o forza di inattività. Ma un corpo esercita questa forza solo quando un'altra forza, impressa su di esso, cerca di cambiare la sua condizione [di moto o di quiete, NdT]; e l'esercizio di questa forza può essere considerato sia resistenza che impulso; è resistenza quando il corpo, cercando di mantenere il suo stato attuale, si oppone alla forza impressa; è impulso quando il corpo, non dando libero corso alla forza impressa da un altro cerca di cambiare lo stato di quest'ultimo. La resistenza è solitamente ascritta ai corpi in quiete e l'impulso a quelli in moto; ma moto e quiete, come vengono intesi comunemente, sono solo relativamente distinti; e d'altronde, quei corpi che comunemente sono considerati in quiete non lo sono sempre realmente. »