Inferno - Canto tredicesimo: differenze tra le versioni

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non pomi v'eran, ma stecchi con tòsco.|vv. 4-6}}
 
Non ci sono piante verdi quindi, ma di colore scuro, non rami dritti ma nodosi e contorti, nessun frutto ma solo spine avvelenate. Dante precisa la descrizione con una [[similitudine (figura retorica)|similitudine]]: le dimore tra [[Cecina (Italiafiume)|Cecina]] e [[Tarquinia|Corneto]] (cioè la [[Maremma]]) di quelle bestie che odiano i terreni coltivati non sono in confronto così fitte e con vegetazione tanto aspra. Qui, dice il poeta, le [[Arpie]] (le "brutte" Arpie, che cacciarono con presagi funesti i troiani dalla [[Strofade]], da un episodio del III libro dell'[[Eneide]]) fanno i loro nidi: esse, descrive il poeta, hanno corpo di uccello e volto umano, ed emettono strani lamenti (''fanno lamenti in su li alberi strani'' vv 15, è un iperbato, ovvero la parola a cui si riferisce l'aggettivo viene allontanata dalla parola stessa). La descrizione delle Arpie è piuttosto statica ed esse non compiono nessuna azione diretta nel canto: Dante le sente e le vede, ma parla come se ce le stesse descrivendo senza guardare, a prescindere dalla percezione.
 
Virgilio, prima di entrare nel bosco, ricorda a Dante che si tratta del secondo girone del VII cerchio, quello dei violenti contro sé stessi, al quale seguirà il "sabbione" dei violenti contro Dio e contro natura. Inoltre la guida dice a Dante di guardare bene, che vedrà cose a cui non crederebbe se gli venissero raccontate.