Rizzoli: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m Annullate le modifiche di 217.31.112.82 (discussione), riportata alla versione precedente di IrishBot
Etichetta: Rollback
→‎Dagli anni 70 agli anni 80: spazi e punteggiature
Riga 67:
Nel [[1973]] entrò in azienda [[Bruno Tassan Din]] come responsabile del settore finanziario e, nello stesso anno, il presidente [[Andrea Rizzoli]] avvia l'acquisizione della società editrice del [[Corriere della Sera]], il primo quotidiano italiano. L'«Editoriale Corriere della Sera», vera e propria corazzata editoriale, pubblica anche un quotidiano del pomeriggio, il ''[[Corriere d'Informazione]]'' e i settimanali ''[[Amica (periodico)|Amica]]'', ''[[La Domenica del Corriere]]'', ''[[Corriere dei Piccoli]]''. Il pacchetto azionario dell'Editoriale Corriere della Sera era ripartito fra tre soggetti: famiglia Crespi (nella persona di [[Giulia Maria Crespi|Giulia Maria]]), [[Angelo Moratti]] e [[famiglia Agnelli]]. Era sufficiente quindi acquisirne due per diventare i nuovi proprietari. L'operazione si concluse il 12 luglio [[1974]]. Andrea Rizzoli non si accontentò del pacchetto di controllo, ma volle per sé il 100% della società editrice. L'investimento superò i 40 miliardi di lire.<ref>{{Cita|Comprati e venduti}}</ref> Le tre quote furono pagate rispettivamente: 15 miliardi e 445 milioni, in contanti, a Giulia Maria Crespi; 13 miliardi, parte in contanti e parte differiti, a Moratti; 13,5 miliardi, somma da devolvere entro 3 anni, agli Agnelli. La società acquirente assorbì la società acquisita: dalla fusione nacque la ''Rizzoli-Corriere della Sera (RCS)''. Per effettuare l'acquisizione, la Rizzoli dovette chiedere un finanziamento bancario di 25 miliardi di lire.<ref>{{Cita news|autore=Marco Ventura|titolo=La parabola dell'editore ingenuo, una vita di battaglie difficili|pubblicazione=Il Messaggero|data=13 dicembre 2013}}</ref>
 
Il 10 ottobre [[1975]] la Rizzoli comunicò ai sindacati che il deficit patrimoniale ammontava a 20 miliardi di lire. Sui 3.500 dipendenti, 500 erano in esubero. L'editore però rassicurò i sindacati: il gruppo intendeva espandersi e consolidarsi. Infatti, nel [[1976]] la RCS mise a segno due colpi: l'acquisto della rete tv Telemalta<ref>{{Cita web|url=http://www.newslinet.it/notizie/storia-della-radiotelevisione-italiana-il-progetto-della-prima-tv-nazionale-privata-italiana|titolo=Storia della radiotelevisione italiana. Il progetto della prima tv nazionale privata italiana: Telemalta di Rizzoli|accesso=21/07/2018}}</ref> e del maggiore quotidiano del sud, ''[[Il Mattino]].'' Nel [[1977]] altre tappe dell'espansione furono l'acquisizione della ''[[Gazzetta dello Sport]]'', il primo quotidiano sportivo italiano, e il controllo azionario di due giornali locali, ''[[Alto Adige (quotidiano)|Alto Adige]]'' e ''[[Il Piccolo]]'' di [[Trieste]].
 
In quello stesso anno giunse a scadenza il pagamento della quota acquisita dalla famiglia Agnelli per rilevare il ''Corriere''. Il suo valore, a causa dell'indicizzazione dei tassi d'interesse, era lievitato da 13,5 a 22,475 miliardi, una somma che la Rizzoli non disponeva. Cercando finanziamenti in tutte le direzioni, finì per accettare l'offerta di [[Roberto Calvi]] (presidente del [[Banco Ambrosiano]]), pervenutagli tramite la mediazione della loggia massonica [[P2]] di [[Licio Gelli]]. In luglio la Rizzoli, finanziata dal Banco, estinse il debito con la Fiat. Cinque giorni dopo il Banco procedette ad un'iniezione di denaro fresco: 20,4 miliardi sotto forma di un aumento di capitale (che passò da 5,1 a 25,5 miliardi).<ref>{{Cita|Assalto alla stampa: controllare i media per governare l'opinione pubblica|p. 8-9}}</ref> Roberto Calvi ottenne in pegno da Rizzoli l'80 per cento delle quote del gruppo. L'editore avrebbe potuto riscattare interamente il suo 80% dopo tre anni, ma al valore, maggiorato, di 35 miliardi. Calvi era diventato il vero padrone della Rizzoli. In seguito alla modifica dell'assetto finanziario salì alla cabina di comando [[Bruno Tassan Din]], che divenne il [[direttore generale]].<ref>{{Cita web|url=http://www.ilgiornale.it/news/pecorella-nello-scippo-corriere-angelo-rizzoli-fu-vittima.html|titolo=Pecorella: "Nello scippo del Corriere Angelo Rizzoli fu vittima sacrificale"|accesso=21/07/2018}}</ref> La solidità della RCS dipese ora dalle buone relazioni con la P2 e i partiti politici, commistioni che Andrea Rizzoli aveva sempre accuratamente evitato.<ref>Stefano Lorenzetto scrive: «Le banche statali (l'Icipu di Franco Piga, l'Imi di Giorgio Cappon e l'Italcasse di Giuseppe Arcaini) gli avevano chiuso i rubinetti per ordine della [[Democrazia Cristiana]]». ''Il Giornale'', 15 maggio 2010.</ref>
 
Nel [[1978]] Andrea lasciò al figlio [[Angelo Rizzoli (1943-2013)|Angelo]] (chiamato da tutti Angelone) le redini del gruppo. Nel nuovo consiglio di amministrazione entrarono [[Umberto Ortolani]], avvocato, braccio destro di [[Licio Gelli]], e Bruno Tassan Din. Nel [[1979]] il gruppo RCS era saldamente il maggiore gruppo editoriale italiano con una quota di mercato del 25% (e un fatturato di 1.000 miliardi di lire) e si posizionava al secondo posto in Europa. Ogni giorno pubblicava 1.380.000 copie di quotidiani e quasi due milioni di copie di periodici. Il fatturato pubblicitario si aggirava sui 60 miliardi di lire annuali, a fronte di 3.500 dipendenti, 700 dei quali giornalisti.<ref>{{Cita web|url=http://www.ilgiornale.it/news/scippo-corriere-rizzoli-volevano-che-morissi-vivo-accusarli.html|titolo=Rizzoli: volevano che morissi, vivo per accusarli|accesso=21/07/2018}}</ref><ref>{{Cita|Dancing days.1978-1979. I due anni che hanno cambiato l'Italia|p. 33-36}}</ref>