Vittorio Emanuele II di Savoia: differenze tra le versioni

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=== Roma capitale e gli ultimi anni ===
 
 
All'unità d'Italia mancavano ancora importanti territori: il Veneto, il Trentino, il Friuli, il Lazio, l'Istria e Trieste. La capitale "naturale" del neonato regno avrebbe dovuto essere Roma, ma ciò era impedito dall'opposizione di Napoleone III che non aveva alcuna intenzione di rinunciare al suo ruolo di protettore del papa. Per dimostrare che Vittorio Emanuele II rinunciava a Roma, e quindi per attenuare la situazione di tensione con l'imperatore francese, si decise di spostare la capitale a Firenze, città vicina al centro geografico della penisola italiana. Tra il 21 e il 22 settembre [[1864]] scoppiarono sanguinosi tumulti per le vie di Torino, che ebbero come risultato una trentina di morti e oltre duecento feriti. Vittorio Emanuele avrebbe voluto preparare la cittadinanza alla notizia, al fine di evitare scontri, ma la notizia in qualche modo era trapelata. Il malcontento era generale, e così descrisse la situazione [[Olindo Guerrini]]:
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Con Roma capitale si chiudeva la pagina del Risorgimento, anche se ancora mancavano a completamento dell'unità nazionale le cosiddette "[[Irredentismo italiano|terre irredente]]". Tra i vari problemi che il nuovo Stato dovette affrontare, dall'[[analfabetismo]] al [[brigantaggio]], dall'[[industrializzazione]] al [[diritto di voto]], vi fu oltre la nascita della famosa [[questione meridionale]], anche la "questione romana". Nonostante fossero stati riconosciuti al Pontefice speciali immunità, gli onori di Capo di Stato, una rendita annua e il controllo sul [[Vaticano]] e su [[Castel Gandolfo]], Pio IX rifiutava di riconoscere lo stato italiano per via dell'annessione di Roma al regno d'Italia avvenuta con la [[Breccia di Porta Pia]] e ribadiva, con la disposizione del [[Non expedit]] ([[1868]]), l'inopportunità per i cattolici italiani di partecipare alle elezioni politiche dello Stato italiano e, per estensione, alla vita politica.
 
Inoltre il Pontefice inflisse la [[scomunica]] a Casa Savoia, vale a dire sia a Vittorio Emanuele II sia ai suoi successori, e insieme con loro a chiunque collaborasse al governo dello Stato; questa scomunica venne ritirata solo in punto di morte del Sovrano. Comunque Vittorio Emanuele, quando gli si accennava alla vicenda di Roma, mostrava sempre un malcelato fastidio tanto che, quando gli proposero di fare un ingresso trionfale a Roma e salire sul Campidoglio con l'elmo di Scipio rispose che per lui quell'elmo era: "Buono solo per cuocerci la pastasciutta!" <ref>[https://books.google.it/books?id=YaBfXGrurHsC&pg=PT36&dq=Buono+solo+per+cuocerci+la+pastasciutta!&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi14-elk9vJAhXKsxQKHbKODLMQ6AEIHjAA#v=onepage&q=Buono%20solo%20per%20cuocerci%20la%20pastasciutta!&f=false Carlo Fruttero, Massimo Gramellini, ''La Patria, bene o male'', Mondadori, 2011] {{webarchive|url=https://web.archive.org/web/20151222101304/https://books.google.it/books?id=YaBfXGrurHsC&pg=PT36&dq=Buono+solo+per+cuocerci+la+pastasciutta!&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwi14-elk9vJAhXKsxQKHbKODLMQ6AEIHjAA |data=22 dicembre 2015 }}</ref>. Infatti, se il padre era stato estremamente religioso, Vittorio Emanuele era uno scettico ma molto superstizioso <ref>[[Silvio Bertoldi]], ''Il re che fece l'Italia: vita di Vittorio Emanuele II di Savoia'', Rizzoli, 2002, p.97</ref> che subiva molto l'influenza del clero e l'ascendente del Pontefice.
 
==== Morte ====
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La commozione che investì il Regno fu unanime e i titoli dei giornali la espressero facendo uso della retorica tipica del periodo; Il Piccolo di Napoli titolò "È morto il più valoroso dei Maccabei, è morto il leone di Israele, è morto il Veltro dantesco, è morta la provvidenza della nostra casa. Piangete, o cento città d'Italia! piangete a singhiozzo, o cittadini!". "Chi sapeva, o gran re, di amarti tanto?" scrisse il poeta romano [[Fabio Nannarelli]]; perfino [[Felice Cavallotti]], co-fondatore dell'[[Estrema sinistra storica]] espresse il proprio cordoglio al nuovo re Umberto I. Tutta la stampa, compresa quella straniera, fu unanime nel cordoglio (ma giornali austriaci Neue Freie Presse e il Morgen Post non si unirono, com'era prevedibile, al lutto). [[L'Osservatore Romano]] scrisse: "Il re ha ricevuto i Santi Sacramenti dichiarando di domandare perdono al Papa dei torti di cui si era reso responsabile". L'[[Agenzia Stefani]] smentì immediatamente, ma la [[Curia romana|Curia]] smentì la smentita: la stampa laica insorse giungendo ad appellare Pio IX "avvoltoio" e accusandolo di "infame speculazione sul segreto confessionale"; quella che avrebbe potuto essere un'occasione di distensione si produsse, così, in un'ennesima polemica.<ref name="ReferenceA"/>
 
Vittorio Emanuele II aveva espresso il desiderio che il suo feretro fosse tumulato in Piemonte, nella [[Basilica di Superga]], ma [[Umberto I di Savoia|Umberto I]], accondiscendendo alle richieste del [[Comune di Roma]], approvò che la salma rimanesse in città, nel [[Pantheon (Roma)|Pantheon]], nella seconda cappella a destra di chi entra, adiacente cioè a quella con l<nowiki>'</nowiki>''Annunciazione'' di [[Melozzo da Forlì]]. La sua tomba divenne la meta di pellegrinaggi di centinaia di migliaia di italiani, provenienti da tutte le regioni del Regno, per rendere omaggio al re che aveva unificato l'Italia. Si calcola che più di 200.000 persone abbiano preso parte ai [[funerali di Stato|funerali di Stato.]].<ref>[[Alfredo Comandini]], ''L'Italia nei cento anni del secolo XIX (1801-1900)'', 17 gennaio 1878, A. Vallardi, 1907</ref>
Stendendo il proclama alla nazione, Umberto I (che adottò il numerale I anziché IV, che avrebbe dovuto mantenere secondo la numerazione sabauda), così si espresse:
{{Citazione|Il vostro primo Re è morto; il suo successore vi proverà che le Istituzioni non muoiono!<ref>Leone Carpi, ''Il risorgimento italiano'', F. Vallardi, 1884, pag.154</ref>}}
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Per i figli Vittoria ed Emanuele di Mirafiori avuti da lei, il sovrano fece costruire all'interno della Mandria le cascine "Vittoria" ed "Emanuella", quest'ultima ora nota come Cascina Rubbianetta, per l'allevamento dei cavalli.
 
Lo scrittore [[Carlo Dossi]], nel diario ''Note azzurre'', affermava che il re fosse virilmente "superdotato", che vivesse smodatamente le passioni sessuali e che nelle sue avventure avesse generato un numero assai rilevante di figli naturali.<ref>Carlo Dossi, Note Azzurre, numero 4595, riportata integralmente in {{cita web |url=http://archiviostorico.corriere.it/1993/gennaio/14/ecco_note_azzurre_luci_rosse_co_0_930114616.shtml |titolo=Copia archiviata |accesso=31 ottobre 2013 |urlmorto=no |urlarchivio=https://web.archive.org/web/20131101221758/http://archiviostorico.corriere.it/1993/gennaio/14/ecco_note_azzurre_luci_rosse_co_0_930114616.shtml |dataarchivio=1º novembre 2013 }}</ref> <ref>[http://www.cinquantamila.it/storyTellerArticolo.php?storyId=0000001400552 ''Nota numero 4595'']</ref>
 
== Discendenza ==
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Da [[Rosa Vercellana]] (soprannominata ''La bela Rosin'' in piemontese), per quasi trent'anni sua amante, Vittorio Emanuele II ebbe due figli [[Vittoria di Mirafiori|Vittoria]] ([[1848]]-[[1905]]) ed [[Emanuele Alberto Guerrieri di Mirafiori|Emanuele]].<ref>Danilo Tacchino, ''Torino. Storia e misteri di una provincia magica'', Edizioni Mediterranee, 2007, p. 152</ref>. Fu dal sovrano nominata nel [[1859]] contessa di Mirafiori e di Fontanafredda. Nel [[1864]] Rosina seguì il re a [[Firenze]], stabilendosi nella [[villa La Petraia]]. Nel [[1869]] il re si ammalò e, temendo di morire, sposò religiosamente a [[San Rossore]] Rosa Vercellana con un [[matrimonio morganatico]], ovvero senza l'attribuzione del titolo di regina. Il rito religioso si tenne il 18 ottobre di quell'anno, celebrato anche con rito civile, il 7 ottobre [[1877]], a [[Roma]].
 
Vittorio Emanuele ebbe inoltre numerose altre amanti, non solo tra le donne del popolo<ref>Una sua amante di alto rango fu « [...] Laura Bon, attrice famosa, spinta nelle braccia del re dallo stesso Cavour, che poco accettava la presenza della Vercelliana...» (In D. Tacchino, ''Op. cit. ibidem'')</ref>. Tali relazioni ebbero tutte breve durata e si conclusero talvolta con la nascita di figli a cui fu assegnato il cognome ''Guerrieri'' o ''Guerriero'' (che il re riservava appunto a questa sua discendenza) oltre che una pensione.<ref>Roberto Gervaso, ''La bella Rosina: amore e ragion di stato in Casa Savoia'', Bompiani, 1991, p. 104</ref> Uno di questi figli presunti sarebbe il generale [[Donato Etna|Donato Etna.]].<ref>« [...] nella cartella biografica dell'Archivio storico dello Stato maggiore dell'esercito, un appunto dattiloscritto dichiara l'E. figlio naturale di Vittorio Emanuele II».
(In Alessandro Brogi, ''Dizionario Biografico degli Italiani'' - Volume 43 (1993) alla voce "Donato Etna"</ref>