Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?: differenze tra le versioni
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|ubicazione=[[Museum of Fine Arts (Boston)|Museum of Fine Arts]]
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'''''Da dove veniamo? Chi siamo? Dove
== Storia ==
L'opera, che pone i massimi quesiti esistenziali dell'uomo, fu dipinta dall'artista a Tahiti in un momento assai delicato della sua vita: prima di un tentativo non riuscito di un suicidio (l'artista era malato, aveva seri problemi al cuore ed era sifilitico, in lotta con le autorità locali ed isolato sia fisicamente che artisticamente). Ad aggravare le cose, giunse a Gauguin la notizia della morte della figlia prediletta Aline, avvenuta pochi mesi prima. Il dolore per la perdita spinse l'artista a creare un'opera di grandi dimensioni (la più grande del suo opus) che fosse una riflessione sull'esistenza, un testamento spirituale e quindi una summa di tutte le sue ricerche cromatiche e formali degli ultimi otto anni.
In questa pirotecnia di luttuosi eventi Gauguin volle mettere mano ad un quadro che, agendo come un vero e proprio «testamento spirituale», riuscisse a condensare la sua visione sull'arte. Egli descrisse per la prima volta ''Da dove veniamo? Che siamo? Dove
Il dipinto, che come precisò lo stesso Gauguin fu realizzata ''au premier coup'', «sulla punta del pennello, su una tela da sacchi piena di nodi e di rugosità» fu poi arrotolato e spedito a Parigi al mercante d'arte Ambroise Vollard insieme ad altre opere coeve recanti un tema analogo. Vollard, uomo animato da uno spiccato fiuto per gli affari e dal coraggio di proporre novità pittoriche al pubblico (rimarchevole la sua vicinanza alle sperimentazioni formali dei cubisti), stipulò così un contratto redditizio col Gauguin, assicurandosi l'esclusiva della sua opera. Quando l'opera fu esposta a Parigi, tuttavia, furono molti i critici a restare spiazzati dall'arcana enigmaticità del dipinto, che suscitò timidi apprezzamenti solo per la sua veste cromatica e compositiva. Si legga il commento di André Fontainas sul ''Mercure de France'':
{{citazione|Non amo molto l’arte del Sig. Paul Gauguin. Per molto tempo ne sono rimasto a distanza, ne ho parlato in un tono faceto, un po’ in velocità, lo conoscevo appena. Questa volta, ho esaminato con attenzione le poche tele recenti esposte nel negozio del Sig. Vollard a Rue Laffitte, e se la mia opinione è cambiata di poco, nondimeno ho sentito nascere e attestarsi entro di me una stima profonda e ferma per l’opera grave, riflettuta, sincera del pittore. […] Ad ogni modo, anche dopo questo studio accurato, non mi sono sentito né trascinato né emozionato come mi ricordo d’esserlo stato per altri artisti; ho ragionato sui motivi della mia freddezza e penso di averli scoperti. […] Ciò che colpisce di primo acchito chi voglia farci caso, è la superiore articolazione, soprattutto in senso decorativo, esibita dalle sue tele. Ne deriva ai paesaggi una sapiente, tranquilla, armonia, condotta non tanto in vista di un effetto soltanto pittoresco, quanto nell'intento, quasi sempre realizzato, di prestare un fondamento intenso, meditativo, all’emozione che ne deve scaturire. Se i brutali contrasti di tonalità ricche, piene e vibranti, che non si fondono né mai trapassano dall’una all’altra con valori intermedi, forzano sul momento un’attenzione distratta, si deve pur riconoscere che queste tonalità, spesso cantanti, ardite, trionfali, altre volte mancano l’effetto per la monotonia della ripetizione, per il confrontarsi, alla lunga irritante, di un rosso squillante a fianco di un verde che vibra allo stesso modo, con lo stesso fine. […] Troppe volte i personaggi del suo sogno appaiono secchi, rigidi, incolori, delineati in maniera imprecisa, mal formulati da un’immaginazione segnata da una maldestra metafisica, il cui senso resta avventuroso e l’espressione arbitraria. Niente resta di simili opere, se non la testimonianza di errori deplorevoli. Le idee astratte non possono comunicarsi in concretezza d’immagini a meno che esse non abbiano preso corpo nel sogno stesso dell’artista, in una qualche materiale allegoria che, fatta vivente, le manifesti. Qui risiede il valore esemplare dell’arte elevata di Puvis de Chavannes. Per prestare consistenza a un ideale filosofico, egli ha concepito dei raggruppamenti armoniosi, dove gli stessi atteggiamenti dei personaggi sapevano imporci un sogno analogo al suo. Nel grande pannello esposto dal Sig. Gauguin, neanche le due figure agili e pensierose che passano tranquille e così belle sullo sfondo, o l’abile evocazione di un idolo misterioso, riuscirebbero a rivelarci il senso dell’allegoria, se non fosse per la scritta che egli si è premurato d’apporre in un angolo alto della tela: ''Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?''. L’interesse, del resto, si disperde, scorre dalla donna dal gesto muto accovacciata sul primo piano alle altre figure quasi selvagge, tutti effetti bizzarri a cui ci si abitua, per fissarsi infine esclusivamente sul fascino del luogo dove la scena è ambientata. Neanche intendo insistere nel segnalare la grazia di una donna per metà distesa all’aria aperta in una sorta di letto sontuoso e strano, così come gli altri pannelli, dove si rivela il mestiere tenace di un innovatore ostinato, in tutto l’impeto, un po’ brutale, del suo impegno. Tutto sommato, il Sig. Gauguin è un pittore raro cui è stata troppo a lungo rifiutata l’occasione di cimentare la foga generosa del proprio temperamento in un affresco decorativo di rilievo, in un pubblico edificio. Lì sapremmo, nel modo più giusto, quello che egli potrebbe essere e, nel caso che gli riuscisse di diffidare della propria tendenza all'astrazione, vedremmo nascere dal suo sforzo, ne sono sicuro, un’opera potente e di naturale armonia|André Fontainas<ref>{{cita libro|autore=Maria Grazia Messina|collana=Monografie Umanistica|città=Firenze|titolo=Paul Gauguin, un esotismo controverso|anno=2006|editore=Firenze University Press|url=http://www.fupress.com/archivio/pdf/4417.pdf|ISBN=97888-6453-110-6}}</ref>}}
Se l'esposizione di ''Da dove veniamo? Che siamo? Dove
== Descrizione ==
È lo stesso Gauguin a guidare l'osservatore nell'interpretazione dell'opera con un testo di suo pugno, che riportiamo di seguito:
{{citazione|Ai due angoli in alto, dipinti in giallo cromo, reca il titolo a sinistra e la mia firma a destra, come un affresco guasto agli angoli applicato su di un fondo oro. A destra, in basso, un bambino addormentato e tre donne sedute. Due figure vestite di porpora si confidano i propri pensieri. Una grande figura accovacciata, che elude volutamente le leggi della prospettiva, leva il braccio e guarda attonita le due donne che osano pensare al loro destino. Al centro una figura coglie frutti. Due gatti accanto a un fanciullo. Una capra bianca. Un idolo, con le braccia alzate misteriosamente e ritmicamente, sembra additare l’aldilà. Una fanciulla seduta pare ascoltare l'idolo. Infine una vecchia, prossima alla morte, placata e presa dai suoi pensieri, completa la storia, mentre uno strano uccello bianco, che tiene una lucertola con gli artigli, rappresenta la vanità delle parole. Tutto ciò accade lungo un ruscello, sotto gli alberi. In fondo è il mare e le cime dell’isola vicina. Malgrado i diversi motivi di colore, il tono del paesaggio è tutto blu e verde veronese. Su questo fondo tutti i nudi staccano in vivo arancione|Paul Gauguin<ref name=loescher/><ref name=cdt>{{cita libro|titolo=Il Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo, Versione gialla|autore=Giorgio Cricco, Francesco Di Teodoro|anno=2012|editore=Zanichelli|città=Bologna|pp=1652-1653}}</ref>}}
La domanda estetica fondamentale di questo dipinto trova la sua ragione nel potere di enigmaticità racchiuso nelle varie figure che, succedendosi come in un fregio antico, si configurano come un'indagine figurativa e razionale intorno agli interrogativi di fondo che l'uomo si è da sempre posto su sé stesso: «Da dove veniamo?», «Chi siamo?» e «Dove
[[File:Gauguin - Tahitianer.jpg|thumb|''Da dove veniamo? Che siamo?
Iniziamo ora la lettura del dipinto, che va affrontata alla maniera orientale, ovvero procedendo da destra verso sinistra. «Da dove veniamo?»: la risposta a questo pregnante interrogativo ci viene fornita dal neonato in fasce all'estrema destra che, disteso sul manto erboso, si gode il suo primo giorno di vita, ancora sospeso nel mondo delle illusioni e dei furori giovanili, alludendo così alla gioventù che coglie la parte migliore dell'esistenza. Questo fanciullo, tuttavia, potrebbe anche richiamare il peccato originale: Gauguin è volutamente ambiguo sul significato delle sue figure, e l'opera può di fatto essere interpretata e fruita in vari modi secondo la personale sensibilità di ognuno («il mio sogno non si lascia catturare, non ha alcuna allegoria; è un poema musicale e fa a meno di qualsiasi libretto ... l’essenziale in un'opera d’arte è in quello che non è espresso» disse l'artista a tal proposito). «Al contrario di un’allegoria, in cui ogni elemento ha un suo significato simbolico e tutti insieme formano una storia di cui lo spettatore può comprendere il significato» commenta Francesco De Rosa «qui siamo di fronte a una visione complessa, fatta di sensazioni sovrapposte e intrecciate (di tempo, di spazio, di colore, di musica), più che di ragionamento. Il migliore modo per leggerla è dunque quello di avvicinarvisi senza alcuno schema interpretativo e lasciarsi catturare dalla sua magia evocativa».<ref name=loescher>{{cita web|url=http://opere.loescher.it/opere/polacco_terzomillenniorossa/isw/TW43_Gauguin.pdf|autore=Francesco De Rosa|editore=Loescher|città=Torino|titolo=Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?|opera=Letteratura Terzo Millennio}}</ref>
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Il respiro filosofico del quadro, poi, viene ampliato dalla seconda domanda posta dal titolo: «Cosa siamo?». A questo punto, procedendo verso sinistra, interviene il meraviglioso palcoscenico della natura, dove la commedia umana, tra mito, realtà e sogno, si perpetua dalla notte dei tempi. A destra tre donne vegliano sul bambino e alimentano con l'osservatore un dialogo di soli sguardi: i loro atteggiamenti corporei sono meditativi e sensuali al tempo stesso (quella a destra è completamente nuda, mentre quella di sinistra, pur coprendosi i seni con il braccio, non esita a portarsi con voluttà la mano alla bocca). L'attenzione del fruitore del dipinto, tuttavia, viene polarizzata soprattutto dal giovinetto al centro che, senza curarsi di essere osservato, tende le braccia verso l'alto e raccoglie un frutto. Il ventaglio di interpretazioni di questa figura si rivela ampio e variato, siccome tale gesto potrebbe alludere al momento della procreazione - atto con il quale un uomo vede, in un certo senso, i propri «frutti» - ma anche alla vigoria della gioventù, età della vita umana nella quali si è notoriamente più lieti e spensierati. Certo, la forza gioiosa giovanile è sempre pacatamente velata da un sentimento di malinconia, dettato dall'incertezza del domani e dall'impossibilità di rispondere a quesiti esistenziali così pregnanti come quelli proposti dal quadro: si osservino, ad esempio, le due ragazze vestite di porpora, probabilmente intente a discutere sul perché della vita, oltre che su progetti di ieri e di domani. Alcuni critici, affascinati dal gesto di cogliere il frutto, ne hanno tuttavia avanzato anche un'interpretazione di stampo religioso, che si riallaccerebbe così alla nozione cristiana del peccato, ben esemplificata nell'infrazione biblica compiuta da Eva quando assaporò la mela dell'albero proibito. La tela, d'altronde, è aperta anche ai rimandi religiosi, tanto che sullo sfondo troviamo la statua blu della dea lunare Hina, colta con le braccia levate e già oggetto di raffigurazione pittorica in Gauguin in ''[[Hina te Fatou]]''.<ref name=cdt/>
[[File:Where are we going.jpg|thumb|''Da dove veniamo? Che siamo?
Sembrerebbe quasi che Gauguin volesse suggerire che le peripezie umane, nonostante la loro tumultuosità, sono prive di sofferenze in quanto possono godere della benefica tutela delle divinità. In realtà non è così: le figure di ''Da dove veniamo? Che siamo?
== Note ==
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